Trasportati nel dibattito teologico originato dalla disputa indiretta tra le posizioni di Pietro Lombardo ed Abelardo, i versi di Boezio sembra- no confermare l’opportunità di un non eccessivo zelo nella datazione della questione. Se è pur vero che la distinzione trova naturale sviluppo a partire dai secoli XIII e XIV, e sebbene sia già presente nel suo nu- cleo essenziale nel XII, tuttavia è innegabile che essa rappresenti un aspetto della più generale ricerca teologica sugli attributi e i caratteri di Dio.
A conferma, valgano alcune citazioni dal testo biblico, nelle quali è possibile rintracciare la stessa ispirazione che anima la penna di Boezio.
Ad esempio dai versi del Salmista13:
Timeat Dominum omnis terra,
a facie autem eius formident omnes inhabitantes orbem. Quoniam ipse dixit, et facta sunt,
ipse mandavit, et creata sunt. Dominus dissipat consilia gentium, irritas facit cogitationes populorum.
Consilium autem Domini in aeternum manet,
cogitationes cordis eius in generatione et generationem. Beata gens, cui Dominus est Deus,
populus, quem elegit in hereditatem sibi.
La fede convinta di Boezio che emerge nella descrizione di quel Dio «qui perpetua mundum ratione gubernas», vero «finis, principium,
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vector, dux, semita, terminus idem» che è insieme «triplici mediam naturae cuncta moventem», si presenta nei versi 8-12 del Salmo XXXIII sì potente che «tema tutta la terra, tremino davanti a lui gli abi- tanti del mondo, perché egli parla e tutto è fatto, comanda e tutto esi- ste»: Dio, «Signore che annulla i disegni delle nazioni, rende vani i progetti dei popoli» ed il cui piano «sussiste per sempre, i pensieri del suo cuore per tutte le generazioni», tal che è «beata la nazione il cui Dio è il Signore».
Così altri passi neotestamentari14:
Facite ergo fructum dignum paenitentiae et ne velitis dicere intra vos: «Patrem habemus Abraham»; dico enim vobis quoniam potest Deus de lapidibus istis suscitare Abrahae filios.
Dio onnipotente, il Creatore del Cielo e della Terra può quel che è impossibile all’uomo15:
Aspiciens autem Iesus dixit illis: «Apud homines hoc impossibile est, apud Deum autem omnia possibilia sunt».
La medesima verità è professata in Sapienza IX, 1, «Deus patrum meorum et Domine misericordiae, qui fecisti omnia verbo tuo», così come in prima persona in Isaia XLIV, 24: «Ego sum Dominus, qui feci omnia».
A Dio tutto è possibile, e tutto il possibile ne dipende. Egli non può tuttavia che agire per il meglio, in quanto buono in grado massimo, e ciò ha sempre valore e non è suscettibile d’eccezione16:
Si non credimus, ille fidelis permanet, seipsum negare non potest.
Le parole della Seconda lettera a Timoteo sintetizzano la concezione dell’azione di Dio quale sempre a se medesima coerente e fedele, quin- di non affetta da possibilità di mutamento: l’operato di Dio si esplica
14 Mt. 3, 8-9.
15 Mt. 19, 26.
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sempre nel migliore dei modi ed è diretto alla produzione del migliore dei mondi possibili.
Il modus explicandi della potenza divina, date queste premesse, è necessario: se Dio non può dare vita a effetti nuovi e differenti, il passo successivo è costituito dalla necessarietà della creazione sempre eguale a se stessa. Nella sua infinita bontà, la creazione non può che produrre incessantemente i propri effetti, e tutto quel che è possibile ne sarà l’oggetto.
Tra le 219 tesi condannate da Étienne Tempier nel 1277, che incor- porano le precedenti censure di sette anni prima, si considerino le se- guenti17:
16. Quod prima causa est causa omnium [tantum] remotissima. 18. Quod Deum necesse est facere quidquid immediate fit ab ipso. 22. Quod Deus non potest esse causa novi facti, nec potest aliquid de novo producere.
23. Quod Deus non potest irregulariter, id est, alio modo quam movet, movere aliquid, quia in eo non est diversitas voluntatis.
24. Quod Deus est aeternus in agendo et movendo, sicut in essendo; aliter ab alio determinaretur, quod esset prius illo.
28. Quod ab uno primo agente non potest esse multitudo effectum. 30. Quod primum non potest aliud a se producere; quia omnis differentia quae est inter agens et factum est per materiam.
33. Quod effectus immediatus a primo debet esse unus tantum, et simillimus primo.
Il carattere necessitarista che si accompagna alla concezione insieme cosmologica e teologica di origine greca, in particolare aristotelica, così
17 Per una lista delle proposizioni condannate nel 1277, si veda P. M
ANDONNET,Si-
ger de Brabant et l’averroïsme latin au XIIIe siècle, 2 vols., Louvain, 1908-11, in parti-
colare il II volume, pp. 175-191. Sulla condanna di Tempier, cfr. inoltre: É. GILSON,
History of Christian Philosophy in Middle Ages, New York, 1955, pp. 387-409; R. HIS-
SETTE, Enquête sur les 219 articles condamnés à Paris le 7 mars 1277, Louvain-Paris,
1977; L. BIANCHI, Il vescovo e i filosofi: La condanna parigina del 1277 e l’evoluzione
dell’aristotelismo scolastico, Bergamo, 1990; D. PICHÉ (ed.), La condamnation pari-
sienne de 1277. Texte latin, traduction, introduction et commentaire, Paris, 1999; J.A. AER-
TSEN,K.EMERY J.,A.SPEER (eds.), Nach der Verurteilung von 1277. Philosophie und
Theologie an der Universität von Paris im letzen Viertel des 13. Jahrhunderts. Studien und Texte, in Miscellanea Mediaevalia, 28 (Berlin-New York, 2001).
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come l’idea che la creazione necessaria sia anche ottima nonché l’unica possibile per Dio poiché contiene tutto il possibile (e Dio, si è detto, può agire solo per il meglio e sempre, senza spazio per l’eccezione), è tuttavia in potenziale disaccordo con la dottrina cristiana di un mondo e di un universo contingente contrapposto al Dio creatore invece libero e sovrano, la cui opera si esercita in forme che pur avrebbe egli potuto determinare in maniera diversa.
La dura condanna del 1277 pone in grande evidenza la questione, mettendo in luce l’insistenza sul tema della potenza di Dio e sulla sua libertà da parte del vescovo parigino: le tesi condannate erravano, se- condo la censura, nella misura in cui costringevano l’azione divina nei limiti di un necessitarismo esasperato. Non è il caso di ricordare oltre come l’usitata quaestio permetta poi di risolvere in nuce il problema, garantendo a Dio la libertà della propria potenza infinita18. Ne consegue
un’onnipotenza divina al cui confronto il mondo sensibile e l’ordine che gli appartiene è contingente, ma che fa salva al contempo la con- gruità di tale finitezza rispetto all’infinita maestà dell’artefice. La crea- zione dell’ordine universale dipende unicamente ed in via esclusiva dalla volontà divina, che rifiuta altre pur possibili determinazioni.
Se Aristotele stabiliva l’impossibilità di un corpo infinito e la neces- sitata finitezza ed unicità del mondo, ciò è duramente condannato in virtù di un agire divino innegabilmente buono, che si esplica per mezzo di una creazione libera in riferimento all’ordine del creato.
18 Cfr. P. D
UHEM, Etudes sur Leonard de Vinci, 3 vols., Paris, Hermann et Fils,
1906-1913, in particolare il volume II: sebbene considerato dalla storiografia ottocente- sca una delle più oscurantiste espressioni della Chiesa medievale ai danni della libertà di pensiero, la vicenda parigina configura per Pierre Duhem un punto di crisi per la cultura scientifica medievale. Con la premessa alle condanne pronunciate, secondo la quale gli autori delle tesi censurate affermerebbero la verità delle proprie posizioni in base alla filosofia di Aristotele anziché alla fede cristiana (dando adito – sebbene possa facilmente vedersi questa impostazione come volutamente polemica – ad una teoria della «doppia verità» se non già della possibile esistenza di una verità diversa da quella testimoniata nel testo sacro), la visione imposta dall’aristotelismo avrebbe assistito ad un primo forte momento di crisi, riconsegnando insieme con la dipendenza del creato dalla libertà fattiva di Dio anche una maggiore apertura della cultura del tempo rispetto a idee che si erano materializzate in un fermo e rigido determinismo.
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