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La città come esperienza e l'estetica urbana

Esperienza urbana e ludicità contemporanea P EPPINO O RTOLEVA

1. La città come esperienza e l'estetica urbana

In questo capitolo vorrei prendere le mosse da alcuni aspetti della cultura urbana contemporanea, caratteristici degli ultimi trenta o quaranta anni, per poi ragionare sugli aspetti ludici che stanno manifestandosi in modo sempre più esplicito nella nostra relazione con le città. Seguirò in particolare tre/quattro linee di ragionamento.

La prima, in cui riprendo alcuni temi da me sviluppati altrove (ad esempio nel volume Il secolo dei media), riguarda la crescente tendenza a rappresentare le città non solo come entità geografiche e come aggregati di edifici e reti, ma come luogo dell'esperienza, e in particolare come, da un lato, teatro di un vissuto, dall'altro, oggetto di un insieme di percezioni sensoriali cariche di una forte componente estetica. Questa rappresentazione della città si impone, prima di tutto, nel corso dei viaggi, delle visite a città diverse da quella in cui si abita, e questo è normale perché nell'incontro con qualcosa di diverso dall'abituale la dimensione esperienziale emerge più diretta, e il viaggio dà in generale luogo a quel piacere del raccontare che è il modo più ovvio del dar forma a un vissuto; però questo modello di rappresentazione può finire poi con l'influenzare anche i pattern di percezione del luogo stesso in cui si vive.

Il turismo, soprattutto quello giovanile, è cambiato moltissimo in questi decenni, grazie ai voli low cost e a internet, che da un lato hanno reso possibile la visita a luoghi anche lontani per persone di reddito ridotto e in particolare per i giovani, e dall'altro (in particolare con servizi di scambio dal coach surfing a bla–bla car) hanno permesso di vivere in forma socializzata e relazionale aspetti del turismo che in precedenza era affidato a servizi relativamente impersonali. Uno degli aspetti caratteristici di queste nuove tendenze del turismo è il fatto che ha come meta sempre di più le città. Non

intendo solo, né tanto, le città d'arte, ma tutte le città, anzi prima di tutto quelle che si presentano come “capitali” del mondo (o città globali nella nota definizione di Saskia Sassen), come i nodi di una rete fisica che si sovrappone, caricandola di un altro senso e di un'altra fisicità, alla rete digitale. Ma come vengono messe in parole queste esperienze di visita? Quello che mi colpisce è che, nelle conversazioni giovanili, di persona e sul web, una delle espressioni chiave riguarda la bellezza incluse le discussioni sulla città “più bella” tra, per fare un esempio, Rio de Janeiro, Buenos Aires o New York. In altri termini, l'esperienza del viaggio dà luogo a una valutazione di tipo estetico che assume come oggetto la città in quanto tale.

Ora, in questi scambi e conversazioni la città si presenta come un oggetto estetico del tutto peculiare, per certi versi paradossale. Non ci si basa sulla bellezza dei contenuti di una città per dire se è bella. Non ho mai sentito, ad esempio, i (tanti, attualmente) sostenitori della superiorità estetica di Berlino rispetto a molte altre città europee ricordare quali specifici luoghi della città, quale museo o anche quale strada, sono in sé belli; per loro, è la città di Berlino ad essere tale, più o meno di altre. Una simile valutazione è

— olistica, basata su un insieme di percezioni, su una multisensorialità nella quale non esiste una gerarchia tra i sensi quale solitamente si poteva riconoscere nelle più tradizionali rappresentazioni delle città centrate sul visuale; — sociocentrica, tendente a valorizzare da un lato la

“socievolezza” delle città come apertura a chi vi arriva dall'esterno, dall'altro la vitalità delle città stesse come luoghi di incontro e di aggregazione tra i loro stessi abitanti;

— esperienziale, centrata cioè sul vissuto di chi visita e sul come questi incontra il vissuto di chi la città la abita; centrata quindi non solo e non tanto sulla spazialità (la città come insieme di luoghi) quanto sul modo in cui è stato attraversato un tempo

di permanenza, che può farsi poi racconto, in parole o sempre più spesso anche in foto non tanto descrittive quanto auto– narrative.

Si può dire che il parlare di una bellezza urbana si lega a una de– oggettivazione della rappresentazione delle città, che sembra avere sempre più bisogno da un lato di una dimensione di racconto, dall'altro di presentarsi come terreno di interazioni, inclusa quella con colui/colei che ne fanno esperienza. Anche l'uso della macchina fotografica rispecchia questo cambiamento: si è passati dal prevalente collezionare immagini di luoghi memorabili alla tendenza a privilegiare il punto di vista e la testimonianza fino al recente trionfo della soggettivazione per eccellenza dei luoghi, il selfie in cui l'oggetto si integra direttamente con l'autore. Questo passaggio potrà essere meglio chiarito da un confronto, che vi proporrò rapidamente perché già ne ho parlato altre volte, tra i diversi modelli di guide turistiche. 2. Le guide turistiche e le rappresentazioni della città

La guida turistica classica che, a partire dall'invenzione del Baedeker negli anni '30 dell'Ottocento, ha fatto benissimo il suo mestiere e continua a farlo ancora adesso, fa di ogni luogo (che sia uno stato, una regione o appunto una città) un libro, per suddividerlo poi in tanti capitoli, fatti di singole località o di percorsi che le uniscono, o all'interno di una città di singoli “itinerari”: in questo modo da un lato si propone una sequenza predefinita della visita dall'altro si stabilisce una perfetta corrispondenza tra lo strumento– libro e il suo oggetto. Così, se si prende la guida di Torino del Touring Club, si trova Torino letteralmente “srotolata” lungo le sue pagine come una serie di luoghi che potete incontrare e visitare. Per esempio, se si percorre via Po in un itinerario da piazza Castello verso il fiume, la guida indica che sulla sinistra si trova il Rettorato dell'Università, poi il palazzo degli stemmi e così via. Ugualmente, se entrate in un

museo, indicherà la prima sala a sua volta suddivisa per le pareti e in ogni parete per i singoli quadri, poi la seconda, la terza, eccetera. La città viene fatta parlare attraverso i suoi contenuti, contenuti prima di tutto da vedere. Tradizionalmente in queste guide altri aspetti sensoriali a cominciare dal gusto erano staccate dal resto e avevano uno spazio limitato, che si presentava sotto la forma di consigli di servizio distinti dalla visita vera e propria. Di recente questa componente è stata maggiormente sviluppata anche se resta separata; e questo è avvenuto anche sotto la spinta della concorrenza.

Vediamo ora, appunto, la concorrenza cioè le guide di nuova generazione: il cui debutto, per schematizzare, possiamo collocare in Australia già negli anni '70 con le Lonely Planet anche se poi a queste è seguita una serie di guide diverse, in parte differenti tra loro, ma con alcune somiglianze di fondo. In queste guide le città non vengono presentate come sequenze di contenuti visivi, ma come insiemi e

sottoinsiemi di percezioni e di possibili esperienze. La componente

narrativa assume un rilievo paragonabile, a tratti superiore, rispetto a quella descrittiva. Una guida di Torino che segue questo stile prenderà le mosse dall'atmosfera di Torino, magari spiegando che sembra una città noiosa a prima vista, ma non lo è, perché con i suoi caffè e con il cibo buono ed il vino buoni (notate l'insistenza fortissima sul sensoriale) può ispirare una serie di visite e di piaceri anche personalizzati. Queste guide fra l'altro, non prescrivono un itinerario, invitano al contrario, il turista a trovare le proprie strade a partire dalle sue personale curiosità, limitandosi a fornire una serie di possibili porte di accesso: così troviamo la Torino dei vermut, quella dei gay, quella dei club degli scacchi, e così via. Si passa così da una rappresentazione fortemente oggettivante delle città a una in cui è decisiva la dimensione soggettiva e esperienziale. E narrativa: raccontando forniscono degli elementi sulla base dei quali ciascuno costruirà il proprio, personale, racconto.