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Esperienza urbana e ludicità contemporanea P EPPINO O RTOLEVA

4. Oltre il cerchio magico

Veniamo così alla seconda linea di ragionamento. Nel suo classico intervento sulla ludicità umana, Homo ludens (pronunciato la prima volta negli anni Trenta), Johan Huzinga introdusse il concetto di

cerchio magico, intendendo con questa espressione la necessità di una

separazione netta tra il gioco ed il mondo. In realtà questa separazione non è un dato antropico primario, ma il punto d'approdo di un processo complesso che vale la pena di ripercorrere molto schematicamente.

Nella vita infantile pre–scolare (dalla nascita fino ai 3–4 anni) si deve parlare di un gioco al contrario indifferenziato che non è separato dal resto del vivere, e nel quale la distinzione stessa tra un gioco e un altro è piuttosto sfocata. Del bambino in questa fase John Dewey diceva, in un articolo dei primi anni del suo lavoro pedagogico, che “giocare è vivere”, che il gioco non è un aspetto specifico dell'esistenza ma vi si sovrappone quasi per intero; chiunque osserva dei bambini piccoli si può rendere conto della veridicità della sua asserzione. La differenziazione del gioco, per distinzione tra forme ludiche diverse e per separazione dagli altri aspetti del vivere, è poi parte del percorso di crescita delle persone. Il primo passaggio, che si ha normalmente verso i tre o quattro anni, sta nell'apprendere i giochi con le regole e, cosa strettamente legata, nel imparare a dare dei nomi ai giochi. Vygotsky diceva che si passa sempre di più con il crescere da un gioco con situazioni immaginarie esplicite e regole nascoste a un gioco con situazioni immaginarie nascoste e regole esplicite.

Progressivamente, con il passaggio verso l'età adulta, questa differenziazione diventa sempre più accentuata: non solo i giochi si

separano tra loro, non solo si separano dal lavoro, dai compiti in classe eccetera, ma il gioco coll'età adulta diventa una sfera molto specifica, e in parte interstiziale, della vita. Con la società industriale poi questo processo di differenziazione si è ulteriormente accentuato: oltre al processo di separazione che accompagna lo sviluppo delle persone ce n'è uno a carattere sociale e normativo. La suddivisione del tempo nella società industriale è una divisione funzionale, e come dicevamo il ludico di per sé è l'opposto dell'homo oeconomicus. Se quest'ultimo è una persona che persegue sistematicamente i propri interessi, il ludico viene presentato come qualcosa che esula dall'economico, che non persegue una razionalità calcolata e finalizzata ma al contrario scopi di piacere che in una logica economica possono apparire “spreco”, dépense secondo il termine francese usato da un grande teorico della ludicità come Roger Caillois. La cultura industriale che separa il gioco dal resto del mondo e in qualche modo lo confina in un proprio spazio, ha dominato per secoli ed è tutt'ora fortissima. Il “cerchio magico” di Huizinga ha assunto così un duplice valore: da un lato è un'esigenza intrinseca alla ludicità, in quanto fin da un'età molto precoce il gioco è tale solo se separato dal resto del vivere; dall'altro è un confine che separa il ludico dal resto del vivere in modo storicamente determinato nel mondo industrializzato.

Ma ora il cerchio magico, in tutte e due le accezioni, conosce una profonda trasformazione. Ciò che sta accadendo adesso è quello che io chiamo il passaggio dall'homo ludens di Huizinga all'homo ludicus. Il primo è un essere umano che in alcuni momenti gioca preso esclusivamente dal piacere di farlo, e con una concentrazione raramente riscontrabile in altri momenti del vivere, ma lo fa solo in quei momenti; il secondo è uno che non è mai del tutto preso dal gioco, ma è molto spesso impegnato in attività semi–ludiche, un essere umano che vive una presenza del gioco nei momenti più vari

dell'esistenza, nella cui vita la ludicità si infila, possiamo dire, un po' dappertutto.

L'avvento dell'homo ludicus agisce in due direzioni. Da un lato il gioco penetra nella cosiddetta vita seria — e la gamification (uso di modelli di pattern ludici per raggiungere degli scopi concreti) è un caso assolutamente tipico di questo fenomeno. Il gioco esce dalla sua cornice per diventare utile. Creando un grosso problema naturalmente: si tratta ancora di un gioco, quando un gioco è utile? Non c'è qualcosa di profondamente contraddittorio nella nozione di gioco utile o serio, non è vero che la natura del gioco prevede che serva solo se non serve a niente?

Dall'altra parte il gioco sfugge al cerchio magico anche in un altro modo: la ludicità invade infatti momenti dell'esistenza che non sono tipicamente considerati momenti ludici. Assume così, una dimensione sempre di più interstiziale, da aspetto separato della vita umana diventa ingrediente di tanti aspetti e momenti diversi. In una vita in cui la dimensione temporale è sicuramente molto più frammentaria che nel passato industriale classico, il gioco occupa una quantità crescente di frammenti di tempo.

In una vita che si presenta prima di tutto come successione di esperienze, una parte crescente di queste, magari la parte più frammentaria, i segmenti più minuti che a volte sfuggono all'attenzione critica di coloro stessi che li vivono, sta assumendo caratteristiche sempre più spesso semi–ludiche: una serie di esperienze definite da regole e relazioni (sociali o tra umani e macchine), che acquistano senso in quel più vasto quadro di vissuti che dà senso al vivere, e in particolare al vivere nella città. Uno dei fenomeni più caratteristici della ludicità contemporanea del resto è strettamente legato al modificarsi dello spazio/tempo del vivere, ed è il gioco in mobilità.