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La Commedia: l’ardua scelta del “punto drammatico”

Creatrice e non creatura: l’ecfrasi “ante picturam”

1. La Commedia: l’ardua scelta del “punto drammatico”

Dai grandi poeti si possono cavare molte belle imaginazioni per le arti rappresentative; ma proporsi di trarne le imagini belle e fatte è un confondere tutta l’arte, un supporre che la diversità dei mezzi e

dei sensi sui quali cotesti mezzi son destinati a fare impressione, non debbano entrare nelle considerazioni dell’artista.390

La questione della profonda diversità fra arti figurative e poesia, sancita in maniera inequivocabile da Lessing nel 1766, non impedisce che si cerchi una via per farle dialogare.

Se è vero che la pittura adopera per le sue imitazioni mezzi o segni affatto differenti dalla poesia; quella cioè figure e colori nello spazio, questa invece suoni articolati nel tempo; se i segni debbono avere indiscutibilmente un rapporto con ciò che indicano, segni ordinati uno accanto all’altro possono esprimere soltanto oggetti, che esistono uno accanto all’altro, o le cui parti esistono una accanto all’altra, mentre segni che si susseguono esprimono solo oggetti che seguono uno dopo l’altro, o le cui parti seguono una dopo l’altra.

Oggetti che esistono uno accanto all’altro, o le cui parti esistono una accanto all’altra, si chiamano corpi. Quindi i corpi con le loro proprietà visibili sono gli oggetti propri della pittura.

Oggetti che seguono uno dopo l’altro, o le cui parti seguono una dopo l’altra, si chiamano in generale azioni. Quindi le azioni sono l’oggetto proprio della poesia.391

La separazione delle rispettive zone d’influenza costituisce nella prima metà dell’Ottocento, invece che un limite invalicabile, la base di partenza per gettare un ponte di congiunzione che ogni intellettuale risolve nel modo che preferisce. L’articolo di Francesco Ambrosoli prende le mosse dalle incisioni realizzate dallo scultore John Flaxman per l’album dantesco pubblicato per la prima volta a Londra nel 1793 e che riscuote una straordinaria fortuna editoriale, insieme alle altre serie grafiche dell’artista inglese, in tutta Europa, Italia compresa, dove è proposto a Milano da Pietro e Giuseppe Vallardi nel 1821 e a Napoli da Beniamino Del Vecchio nel 1839. Ambrosoli, nel prosieguo della riflessione,

390

F. AMBROSOLI, Arti parlate e arti rappresentative, in F. MAZZOCCA, Scritti d’arte del primo

Ottocento, cit., p. 66.

trova la sua personale soluzione elaborando una comune fonte di ispirazione per tutte le arti che chiama “regione delle idee”.

Le singole Arti cominciano da quel punto che il concetto o l’idea si converte in immagine e soggiace alle materiali condizioni dei mezzi adoperati; ma l’arte propriamente è una per tutti e risguarda l’idea. […] Noi vediamo una sola idea espressa con due linguaggi; e quando l’espressione del linguaggio muto è difettosa, ci accorgiamo assai facilmente che, se l’artista fosse stato libero di usare quei modi che meglio si convenivano a lui, il concetto o l’idea avrebbe potuto piacere ed essere efficace anche nel suo lavoro. Quindi siamo ricondotti a pensare che al di sopra di queste imagini, nelle quali si manifestano le varie arti, vi è un’alta regione, la regione delle idee, dove tutti gli artisti concorrono, dov’è una ricchezza comune a tutti, non peraltro acconcia tutta per tutti, ma per ciascuno in quella parte a cui corrispondono i mezzi ch’essi hanno per convertirla in proprio uso.392

Il problema della traduzione della parola in immagine non nasce né tanto meno si conclude così, tuttavia è proprio il riferimento dantesco a favorire l’aggancio per comprendere i motivi per i quali a questa altezza cronologica risolver tale problema diventa, più che una disquisizione teorica, una vera e propria necessità pratica. All’interno del movimento di recupero delle antiche glorie nazionali sviluppatosi nei principali stati europei, in Italia, all’inizio del secolo, si riunisce un gruppo di pittori tedeschi a cui viene dato il nome di Nazareni. Attorno ai due allievi dell’Accademia viennese, Friedrich Overbeck e Franz Pforr, si raccolgono altri artisti che, in occasione dell’anniversario del loro primo incontro, il 10 luglio 1809, istituiscono la confraternita della Lega di San Luca, con il proposito, fedeli alle teorie artistiche di Wilhelm August von Schlegel e di Wilhelm Heinrich Wackenroder, di mirare sempre alla verità rappresentativa rifiutando il classicismo accademico. L’anno seguente parte del gruppo giunge a Roma, dove, grazie all’intercessione del direttore dell’Accademia di Francia, ottiene il permesso di stabilirsi all’interno del monastero di Sant’Isidoro dove realizza dei lavori, ispirati soprattutto a temi tratti dalla Bibbia o dalle vite dei santi, in uno stile arcaizzante modellato su artisti quattrocenteschi quali Beato Angelico, Perugino e il primo Raffaello oppure sull’antica pittura tedesca. Nel

392 F. AMBROSOLI, Arti parlate e arti rappresentative, in F. MAZZOCCA, Scritti d’arte del primo

1817 il marchese Carlo Massimo commissiona ai Nazareni l’affrescatura delle tre stanze della sua dimora di campagna, il Casino Massimo. Ognuna delle tre sale, in forza delle scene epiche rappresentate, finisce per essere identificata con l’autore dal quale sono tratte: la stanza di Dante a cui lavorano Philipp Veit e Joseph Anton Koch fra il 1818 e il 1824, quella di Ariosto ad opera di Julius Schnorr von Carolsfeld fra il 1822 e il 1827 e quella di Tasso che impegna Overbeck e Joseph Fuhrich per due anni a partire dal 1827. La precisazione, qualche riga addietro, riguardo il sottotesto filosofico, soprattutto schelegeliano, dei Nazareni non è casuale dato che il più antico testo romantico sulla pittura è il dialogo Die Gemëlde, edito nel 1799 nella rivista redatta dai fratelli Schlegel a Jena «Athenaeum»393. Lo scritto, ambientato nella pinacoteca di Dresda, si serve più volte di quella che si appresta a diventare un’operazione tipicamente romantica, la parafrasi poetica delle tele. Al fine di comprendere il lavoro dei Nazareni alla Villa Massimo, ancor più importante di ricordare che August Schlegel è lettore e traduttore della Commedia, è citare il dettame enunciato proprio dal maggiore dei due fratelli nel dialogo: “La poesia deve sempre esser guida alle arti figuranti, le quali debbono nei suoi confronti esercitare ufficio di interpreti”394. L’operazione promossa dai Nazareni è di estrema importanza perché permette agli intellettuali della penisola di venire a contatto e di far propria la più recente corrente europea di creazione di un pantheon degli uomini illustri. In Italia assurgono a tale empireo personaggi quali Dante, Petrarca, Leonardo, Michelangelo e soprattutto Tasso e Alfieri, gli unici che la classe intellettuale si permette, in forza di una particolare affezione per le vicende umane dei due autori, di chiamare per nome.

A proposito della figura dantesca. occorre soffermarsi per indagare le ragioni che, in seguito all’oblio nei due secoli precedenti, la riportano alla luce395. Se già in occasione della scoperta del presunto ritratto di Dante si è notato come l’interesse si concretizzi più fuori che entro i confini italiani, tale tendenza è anticipata dal fatto che i prodromi della ripresa dell’immaginario dantesco provengono dall’Inghilterra. La centralità della già citata opera illustrativa di Flaxman risiede non solo nella

393 R. ASSUNTO, Dante, i Nazareni e l’estetica protoromantica, in Dante e l’arte romantica, Rizzoli,

Milano, 1981, pp. 11-14.

394

A. G. SCHLEGEL, in «Athenaeum», II, 1799, p. 134. Si segnala la recente ristampa Athenaeum

(1798-1800), a c. di G. Cusatelli, E. Agazzi e D. Mazza, Milano, Sansoni, 2000.

395 E. QUERCI, Il culto di Dante nell’Ottocento, in Dante vittorioso. Il mito di Dante nell’Ottocento,

completezza rappresentativa, fino ad allora infatti gli artisti si erano limitati a riprodurre singoli episodi e non le tre cantiche nella loro interezza, ma soprattutto nell’originalità di un tratto che mantiene una limpida coerenza compositiva. Il commento di Jacques-Louis David, “fera faire de tableaux”396 esemplifica senza sminuire il ruolo cardine dell’incisione e delle edizioni illustrate, nella diffusione di scene d’ispirazione letteraria che diventano, grazie al meccanismo ripetitivo, un repertorio di veri e propri topoi figurativi. Sulla spinta del successo riscosso dall’edizione di Flaxman, anche in Italia, all’interno della rivalutazione romantica di quel periodo ‘oscuro’ che è stato il Medioevo, si riconsiderano l’opera e la biografia dantesca. Ad onor di cronaca, nel Settecento, due grandi come Gianbattista Vico e Vittorio Alfieri si erano accostati alla Commedia, il primo prefigurando quella concezione dell’opera d’arte come prodotto della fantasia generatrice del genio che sarà assimilata dalla cultura romantica, il secondo, guardando alla travagliata ma integerrima personalità dantesca, getta le basi per il mito dell’uomo nobile perché non sottomesso ad alcun potere se non a quello della sincerità. In una prima fase, l’attenzione si focalizza su Dante in quanto uomo e, anche nella lettura della

Commedia, ci si concentra sui passi che lasciano intravedere la personalità

dell’autore più che su altri di più elevato spessore filosofico. Della vicenda biografica sono due i lati maggiormente messi in risalto, il primo è quello della sorte sfortunata, che lo accomuna ad altri ‘eroi’ romantici, il secondo è quello della nobiltà d’animo e di pensiero, presto tramutato in un prefiguramento dell’affermazione delle virtù tipiche italiane. Con il tempo Dante si aggiunge a Petrarca, Ariosto e Tasso nel canone letterario ottocentesco, rimediando alla tarda inclusione con l’assurgere in breve tempo ad apice di tutto il gruppo. Sull’onda dell’entusiasmo per i personaggi della Commedia autori quali Silvio Pellico e Bartolomeo Sestini ne scelgono figure rappresentative e dedicano ad esse un’intera opera, rispettivamente la tragedia

Francesca da Rimini nel 1815 e il poemetto in ottave La Pia. Leggenda romantica

del 1822. Queste operazioni, per quanto contribuiscano alla fortuna del soggetto dantesco, non hanno tuttavia la consistenza per usurpare la forza centripeta del poema che costringe ogni artista a doversi seriamente misurare con la complessità dei versi che intende raffigurare. A questo proposito è emblematico il caso di un

396 J. L. DAVID, citato in F. SALVADORI, Dante. La Divina Commedia illustrata da Flaxman,

ancor giovane Eugène Delacroix che per dipingere La barca di Dante, presentata al

Salon nel 1822, la prima tela nella quale Dante si impone come soggetto centrale, si

impegna a tradurre alcuni passi della Commedia al fine di penetrarne il significato. Oltre a quest’ultima e principale motivazione, non si può non notare, però, il vigoroso gesto di sfida dell’artista che, ingaggiando un duello tutto intellettuale sul campo del poeta, ripropone la secolare sfida fra le arti. Il recupero di notorietà di Dante in Francia inizia con la traduzione dell’Inferno edita da Rivarol nel 1783 e si rafforza anche grazie alla pubblicazione di trattati quali l’Histoire des républiques

italiennes du moyen âge dell’economista, storico e letterato ginevrino Jean-Charles-

Léonard Sismonde de Sismondi, l’Histoire littéraire d’Italie di Pierre-Louis Ginguené e De la Littérature du Midi d’Europe ancora di Sismondi, pubblicati fra il 1807 e il 1819. Ginevrina come Sismondi è Madame de Staël che, in seguito al viaggio in Italia compiuto nel 1804, compone e pubblica il romanzo Corinne ou

l’Italie dove elabora una concezione dell’arte indirizzata alla definizione dell’identità

nazionale. Al momento di ricevere la corona laureata sul Campidoglio, Corinna improvvisa una composizione con l’accompagnamento della lira rivolgendosi proprio all’Alighieri.

Pensate con orgoglio ai secoli che videro la rinascita delle arti. Dante, l’Omero de tempi moderni, poeta sacro dei nostri misteri religiosi, eroe del pensiero, immerse il suo genio nello Stige per approdare all’inferno. E la sua anima raggiunse la profondità degli abissi che descrisse. L’Italia del tempo della sua potenza rivive tutta intera in Dante. Mosso dallo spirito repubblicano, guerriero e poeta, soffia la fiamma dell’azione tra i morti, e le ombre sono più vive dei viventi di oggi.397

L’esortazione ad attingere alle glorie passate per costruire quelle presenti si ritrova in scritti foscoliani quali i coevi Sepolcri e Dell’origine e dell’ufficio della letteratura dove l’intellettuale incoraggia i connazionali a inchinarsi sulle tombe dei vari Dante, Machiavelli, Galileo e Tasso. Leopardi affida il suo messaggio alle canzoni Ad

Angelo Mai e Sopra il monumento di Dante398. Nella prima il poeta loda Mai per

397 M. De STAËL, Corinna o l’Italia, Mondadori, Milano, 2010, p. 42. 398 G. LEOPARDI, Le poesie, Livorno, Franc. Vigo editore, 1869, pp. 11-24.

aver, grazie alla sua scoperta del De Re publica di Cicerone, risvegliato gli italiani dal vile torpore e tesse una genealogia della poesia italiana dall’Alighieri all’Alfieri.

Sopra il monumento di Dante prende spunto dalla pubblicazione di un manifesto

attraverso il quale si comunica la decisione di erigere suddetto monumento in Firenze e condivide l’esortazione patriottica della prima. Come si è detto, all’inizio sono soprattutto le vicende biografiche dantesche ad interessare gli intellettuali romantici, alcuni dei quali, come Foscolo e Mazzini, contribuiscono a rendere il tema dell’esilio, dai due particolarmente sentito visto il comune destino, uno dei più fortunati nell’immaginario dantesco. Mazzini, che intitola uno dei suoi primi scritti

Dell’amor patrio di Dante, contribuisce anche a creare il mito di Dante come padre

del nascente stato italiano, tanto che nella prefazione ai quattro volumi del commento alla Divina Commedia, completati dopo che Foscolo li aveva lasciati incompiuti, scrive:

La Patria si è incarnata in Dante. La grande anima sua ha presentito, più di cinque secoli addietro e tra le zuffe impotenti di guelfi e ghibellini, l’Italia: l’Italia iniziatrice perenne d’unità religiosa e sociale all’Europa, l’Italia angiolo di civiltà alle nazioni, l’Italia come l’avremo un giorno.399

Passando anche attraverso altri interventi mazziniani, fra cui Dante, pubblicato sull’«Apostolato popolare» nel 1841, si configura un’interpretazione dantesca di stampo prettamente civile la cui primogenitura spetta, però, a Foscolo come dimostrano, ancora a fine secolo, le parole di Francesco Ricifari: “Promosse il Foscolo un grande avanzamento negli studi danteschi, ritraendo della figura dell’Alighieri il lato più ignorato e insieme più importante: cercò in Dante non solamente il poeta o il padre della lingua, ma il cittadino, il riformatore, l’apostolo religioso, il profeta civile della nazione”400. La summa della lettura risorgimentale dantesca, non priva di distorsioni, la si trova espressa però in Mazzini.

399

G. MAZZINI, Un Italiano, prefazione a La Commedia di Dante Alighieri, illustrata da Ugo

Foscolo, Pietro Rolandi, Londra, 1842, vol. I, p. 15.

400 F. RICIFARI, Concetto dell’arte e della critica letteraria nella mente di Giuseppe Mazzini,

In ogni città d’Italia, il primo nome che vi s’affaccia allo sguardo, appena v’arrestate davanti all’invetriata d’un libraio, il primo ritratto che v’affascina l’occhio ogni qual volta voi guardate per entro a una bottega di stampe, è quello di Dante. Chi fu l’uomo, il cui nome è fidato alle memorie di tutto un popolo? […] Nessuno forse sa che ei fu grande sovra tutti i grandi Italiani, perché amò sovra tutti la Patria, e l’adorò destinata a cose più grandi che non spettano a tutti gli altri paesi.401

L’interpretazione mazziniana è giustificata dalla convinzione che l’arte debba essere una “manifestazione eminentemente sociale, un elemento di sviluppo collettivo, inseparabile dall’azione di tutti gli altri, che formano insieme a questa il fondamento di vita una e comune, in cui l’Artista attinge, rendendosene conto o no, la sua missione, la sua nozione dello scopo da perseguire e nei simboli nei quali incarna quel che Dio gli ispira riguardo al modo di raggiungerlo: l’individuo non vi apparisce se non come un potente riepilogatore, come il traduttore accurato di una lingua sacra che più tardi diventerà la lingua di tutti” 402. Tale definizione supera l’obbiettivo didascalico o imitativo e mira piuttosto a uno sociale e civile, come opposizione a quella art pur l’art, fine a se stessa, che, nella deificazione della forma, impoverisce le istanze sottese alla creazione artistica. Con l’approssimarsi della prima guerra d’indipendenza, la figura morale dell’Alighieri viene utilizzata per veicolare messaggi politici e civili libertari. A questo punto si staglia imponente una questione di ingombrante rilevanza, quella della scelta, da parte dell’artista, dell’episodio da raffigurare. Essendo la biografia dantesca infinitamente meno ricca di spunti, e comunque cristallizzata in due o tre eventi ripetutamente proposti, la difficoltà si avverte soprattutto quando il bacino iconografico è quello della Commedia.

Mi pare che le due più essenziali mire di chi inventa un dipinto debbano consistere I. nella scelta del punto drammatico, 2. nell’arte d’imprimere al proprio soggetto lo spirito e l’impronta dei tempi in cui avvenne. […] Prima che l’azione si compia, quando l’azione sta per compiersi, un istante dopo ch’essa è compita. Il primo e l’ultimo momento d’ordinario riescono o freddi od oscuri, perché l’anima difficilmente può indovinare od immaginare il

401

G. MAZZINI, Dante, in Scritti editi ed inediti di Giuseppe Mazzini, Edizione nazionale degli scritti di Giuseppe Mazzini, Tip. Paolo Galeati, Imola,1919, vol. XXIX, pp. 3-4.

402 G. MAZZINI, Pittura storica, in P. BAROCCHI, Storia moderna dell’arte italiana, cit., pp. 303-

movimento o l’affetto che sta per originarsi, ovvero quello che avrà già cessato di essere. Pare dunque che tornerebbe molto più utile scegliere l’intermedio, siccome quello che non ha bisogno di certi commenti per essere inteso da tutti [..] Per altro quanto più non toccherebbe il sommo dell’arte quel pittore il quale sapesse presentarci con semplicità e chiarezza un’azione nel momento precedente o susseguente al suo compiersi? Lo spettatore allora si fa egli stesso poeta, e colla mente discorrendo tutte quelle circostanze del soggetto che è forzato ad indovinare, le allarga, le distende colla potenza dell’immaginazione, e ne risente nell’animo un’impressione molto più viva che se le vedesse da’ colori figurate.403

Il punto drammatico non è altro che la rielaborazione ottocentesca del ‘momento significativo’ di lessinghiana memoria.

Se l’artista non può cogliere mai della sempre mutevole natura che un unico momento, e il pittore in particolare non può cogliere quest’unico momento che da un unico punto di vista, e se tuttavia le loro opere sono fatte non solo per essere guardate ma osservate, ed osservate a lungo e ripetutamente, allora è certo che quel singolo momento e quell’unico punto di vista d’un singolo momento non verrà scelto mai abbastanza fecondo. Ma fecondo è solo ciò che lascia libero gioco all’immaginazione. Quanto più vediamo, tanto più dobbiamo di conseguenza pensare. […] Nulla costringe il poeta a concentrare il suo ritratto in un solo momento. Egli se vuole, prende ogni sua azione sin dall’origine e la conduce al suo esito attraverso ogni possibile sviluppo. Ognuno di questi sviluppi, che costerebbe all’artista un’opera a sé, al poeta costa un unico tratto; e se questo tratto, considerato in sé, fosse tale da offendere l’immaginazione dell’ascoltatore, pure esso sarà così preparato da ciò che è preceduto, oppure sarà così attenuato e compensato da ciò che segue, da perdere quest’unica impressione e fare nell’insieme l’effetto più riuscito nel mondo.404

Il nodo teorico è elaborato da Selvatico soprattutto in relazione ai quadri storici ma calza perfettamente anche per quelli di ispirazione letteraria anche perché in questo periodo i personaggi dei secondi si affiancano ai primi nell’espletare il ruolo dimostrativo. Niccolò Tommaseo, non pago di aver stilato un ‘manuale di istruzioni

403

P. E. SELVATICO, Il punto drammatico, in P. BAROCCHI, Storia moderna dell’arte italiana, cit., p. 318.

per l’autore di romanzi storici’405, progetta ad uso e consumo degli artisti una raccolta di temi iconografici fra i quali inserisce, ad esempio, l’incontro fra Cimabue e Giotto narrato da Vasari, la sventurata Pia de’ Tolomei cantata nella Commedia e le pene d’amore di Gaspara Stampa. Con il medesimo intento Selvatico idea una sorta di dizionario storico-morale diviso per tematiche nel quale incita gli artisti a preferire eventi pubblici o domestici degli illustri italiani del passato. Dalla raffigurazione di episodi biografici di Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso a quella di passi dei loro capolavori il passo è breve e apparentemente giustificato, tranne proprio per il rigoroso Selvatico, al quale non sfugge lo scarto morale fra persona storica e personaggio letterario. La dilatazione del repertorio illustrativo è irreversibile ma