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LA CONCLUSIONE DI UN'AVVENTURA

Nel documento Albert Camus (pagine 80-109)

L'avventura di Camus si è conclusa molto presto, e tragicamente: insieme all'editore e amico Michel Gallimard, una fredda mattina del gennaio 1960, fu vittima di un incidente d'auto. Il nostro autore aveva solo quarantasei anni, aveva ricevuto, grazie a L'étranger, il Premio Nobel per la Letteratura appena tre anni prima, ed era nel pieno della stesura de Le

premier homme, il suo celebre ultimo romanzo, rimasto per questo motivo

incompiuto.

Il pensiero di Camus era destinato ad una ulteriore evoluzione, che non tradì, come detto più volte, le premesse e le convinzioni di tutta la sua vita, ma che voleva chiudere quella che si potrebbe definire la definitiva dialettica camusiana, una seconda dialettica se si considera quella già esaminata tra oui e non, stavolta a tre termini: assurdo, rivolta, amore. E che, forse, si sarebbe sviluppata in una nuova poetica di Camus.

Quest'ultimo capitolo vuole dunque esaminare ciò che è venuto dopo

L'homme révolté, con particolare attenzione a scritti come Jonas ou l'arstiste au travail, Réflexions sur la guillotine, Discours de Suède e Le premier homme, unico scritto dell'ultimo ciclo.

4.1 Pensieri di un artista

Jonas ou l'artiste au travail è una delle sei novelle di L'exil et le royaume, unica raccolta di novelle di Camus e presente nella mente

anche se comparsa solo nel 1957. Tra le novelle, Jonas ou l'artiste au

travail ha un particolare significato perché, come a volte capita nella

scrittura di Camus, una parte della vita dell'autore si nasconde dietro il personaggio; in questo caso si tratta dell'essere artista, la vocazione che Jonas e Camus avevano in comune.

Jonas dunque è un artista, un pittore per la precisione, dotato di uno straordinario talento naturale per la propria arte, una stella fortunata, che, dipinto dopo dipinto, lo porta al successo. Tuttavia un uomo non vive solo di arte, per quanto possa desiderarlo: come Camus, Jonas decide di sposarsi e ha due bambini. La sua arte porta la famigliola a Parigi, dove Jonas raggiunge la massima fama come pittore, sollevato dall'impiccio delle faccende quotidiane dalla moglie Louise e dall'amico Rateau. Con la fama arrivarono le mostre, le visite degli ammiratori e gli impegni con gli allievi, e, catapultato in una società esigente di attenzioni e senza rendersene conto, Jonas toglieva di volta in volta quelle stesse attenzioni alla sua arte. Realizzata infine la consapevolezza dell'infelicità di un artista in quella condizione, Jonas decise di creare il proprio studio in un soppalco per poter dare tutto sé stesso alla propria creazione. Dopo giorni e giorni in cui, gradualmente, Jonas si estrania dal mondo, dai suoi ospiti, dall'amico Rateau e dalla sua stessa famiglia, finalmente soddisfatto della nuova tela, Jonas torna alla vita normale. Sul piccolo soppalco adibito a studio, Rateau trova la tela: è bianca, con una piccola parola scritta al suo centro. La parola è leggibile ma difficile da decifrare: potrebbe essere solitaire così come solidaire.

Jonas viveva la stessa crisi e lo stesso travaglio di Camus durante i primi anni Cinquanta, come nota lo studioso Roger Quillot: anche il nostro autore infatti sentiva il bisogno di riavvicinarsi alla propria arte, e di ripensare al proprio ruolo di scrittore e di artista nella società

contemporanea. Per questo egli viveva una costante tensione tra solitudine, che egli avrebbe desiderato per dedicarsi alla scrittura lontano dagli impegni collaterali, e solidarietà, che invece dovrebbe essere caratteristica dell'artista e portarlo naturalmente a ricercare la comunicazione con gli altri uomini.

Camus continuò così il ragionamento, iniziato nei due saggi precedenti, circa la natura specifica dell'artista: se nel Mythe de Sisyphe egli tende di più all'egoismo solitario, nell'Homme révolté l'artista si riscopre creatore e precursore dell'uomo in rivolta, e per sua stessa definizione non può vivere del tutto isolato ma deve avere una parte importante il rapporto con gli altri esseri umani.

Una risposta più completa e soddisfacente viene, in quello stesso 1957, dai due celebri interventi tenuti da Camus in occasione del conferimento del Premio Nobel riuniti in Discours de Suède, chiamati così perché la cerimonia si tiene ogni anno in Svezia, a Stoccolma; il primo è datato 10 dicembre 1957, e fu pronunciato dall'autore al Municipio di Stoccolma, dove ogni anno si tiene il ricevimento per il conferimento del prestigioso premio: è consuetudine che il vincitore del Nobel per la Letteratura tenga un discorso durante la cerimonia. Il secondo intervento fu alla Conferenza all'Università di Uppsala, il 14 dicembre dello stesso anno, e ha preso il titolo di L'artiste et son temps.

Come detto sopra, per il Camus maturo l'artista è l'anticamera dell'uomo in rivolta, in quanto l'azione di entrambi segue la stessa dialettica, e perciò essa è un mezzo che avvicina gli uomini tra di loro, e soprattutto è creatrice; e questa sua caratteristica è fortemente sentita anche dal nostro autore:

placé cet art au-dessous de tout. [...] L'art n'est pas à mes yeux une réjouissance solitaire. Il est un moyen de d'émouvir le plus grand nombre d'hommes en leur offrant une image privilégiée des souffrances et des joies communes. Il oblige donc l'artiste à ne pas s'isoler75:

come si vede, il focus è ancora una volta sulla comunicazione, il principale e più importante fine dell'arte, e fa dell'artista stesso un solidaire per definizione. Ciò a maggior ragione è vero per lo scrittore. Il ruolo dello

scrittore, dice Camus, è quello di una persona sensibile al silenzioso grido

di disperazione degli ultimi, di quelli che subiscono la storia, i soli a cui egli risponde. Per Camus infatti lo scrittore non può e non deve schierarsi dalla parte del tiranno, per il quale non accetterà di uscire dalla propria solitudine, ma vorrà contribuire a far echeggiare la voce di chi, al contrario, lotta quotidianamente per la libertà contro quello stesso tiranno e le sue menzogne, e a favore della libertà e della verità.

Sembra nuovamente sottintesa, nel testo di questa conferenza, la tesi camusiana sull'arte espressa nell'Homme révolté di un'azione artistica che è creatrice. Camus aggiunge adesso che, oltre a creare nuovi mondi nel modo che abbiamo già visto, l'arte è un potente mezzo di comunicazione perché unisce gli uomini facendo loro vedere, come la rivolta, le loro similitudini: che condividono gioie e dolori. Camus aveva questo grande idéal de la

communication universelle che coincide con la missione dell'artista di

creare, esprimere e comunicare a tutti gli uomini, con la sua arte, ciò che essi condividono. Infatti «pour parler de tous et à tous, il faut parler de ce que tous connaissent et de la réalité qui nous est commune. La mer, les pluies, le besoin, le désir, la lutte contre la mort, voilà ce qui nous réunit

75 Albert Camus, Discours de Suède, in Albert Camus, Essais, Introduction par R. Quilliot, Textes établis et annotés par R. Quilliot et L. Faucon, Gallimard, Paris, 1965, p. 1071.

tous»76. Audacia, coraggio, ricerca della verità e libertà saranno allora le

caratteristiche più importanti dell'artista: è interessante notare che Camus non si sofferma mai sul talento, dono naturale, ma sempre e solo sul potere dell'artista di smuovere le coscienze.

4.2 In difesa dei criminali

Réflexions sur la guillotine è un breve saggio scritto nel 1957, che va a

comporre, con Réflexions sur la pendaison di Arthur Koestler e La peine de

mort en France di Jean Bloch-Michel, le Réflexions sur la peine capitale;

questi tre testi vogliono argomentare a favore dell'abolizione della pena di morte in Europa e nel mondo. Camus, in particolare, analizza sia i motivi che hanno costruito e tengono in vita il falso mito dell'efficacia della pena di morte, che i motivi per cui essa è in realtà inadeguata allo scopo e anzi dannosa per la società e l'umanità.

È interessante soffermare l'attenzione su questo testo perché in esso Camus riprende, riafferma e rafforza alcune delle tesi già esaminate nell'Homme révolté, e anticipate ne L'étranger con le considerazioni di Meursault che è stato condannato alla pena capitale per aver ucciso l'Arabo sulla spiaggia: questo è infatti uno dei punti in cui il fil rouge che guida il pensiero di Camus è più evidente, in cui la continuità e unità di fondo del suo pensiero sono evidenti.

Camus, semplicemente, non poteva accettare qualcosa come la pena di morte. A prescindere dalle ragioni e dagli argomenti che l'intellettuale fornisce, fu l'uomo che rifiutò categoricamente che l'uccisione di un suo simile, sia pure colpevole, sia pure criminale, fosse accettata e praticata, e

addirittura chiamata “giustizia”: infatti Camus era profondamente convinto che

[i]l y a une solidarité de tous les hommes dans l'erreur et dans l'égarement […] et si la justice a un sens en ce monde, elle ne signifie rien d'autre que la reconnaissance de cette solidarité; elle ne peut, dans son essence même, se séparer de la compassion. La compassion, bien entendu, ne peut être ici que le sentiment d'une souffrance commune […] Elle n'exclut pas le châtiment, mais elle suspend la condamnation ultime77.

Camus in questo articolo dice infatti che nessun essere umano è senza colpe, che nessuno è interamente giusto, e almeno in questo tutti gli uomini sono uguali, dal più infimo dei criminali al più integerrimo dei giudici, e questo fatto già da solo basterebbe a mostrare che, in fin dei conti, tutti gli esseri umani dovrebbero esimersi da una condanna assoluta dei loro simili. Ma non è il solo punto che Camus sottolinea: egli aggiunge che c'è anche, e soprattutto, una souffrance commune su cui deve essere basata la compassione, la quale deve essere a sua volta vera base della giustizia umana. Stando così le cose, e Camus è certo di ciò, la solidarietà tra gli esseri umani, che non può non sorgere quando ci si renda conto tutti gli uomini soffrono e che tutti gli uomini dovrebbero alleviare le sofferenze dei propri simili, è l'appiglio più sicuro a cui dovrebbe agganciarsi la giustizia.

Ed è anche per questa solidarietà che la pena di morte non è mai commisurata al delitto commesso dal reo: perché oltre alle sofferenze che egli prova prima del giorno dell'esecuzione, che tra l'altro la vittima non ha dovuto patire, la società gli toglie ogni possibilità di redenzione futura, se si

tratta davvero di un colpevole, o di liberazione e riabilitazione se infine si scopre essere innocente.

Non solo il sentimento di fraternità e compassione che secondo Camus dovrebbe legare gli uomini già dovrebbe far sorgere orrore di fronte ad una pratica come quella della pena capitale, ma in più Camus ravvisa in essa un pericoloso vizio, una tendenza di cui l'uomo fa fatica a liberarsi: che è quella di uccidere

pour une société future divinisée elle aussi. Qui croit tout savoir imagine tout pouvoir. Des idoles temporelles, qui exigent una foi absolue, prononcent inlassablement des châtiments absolus. Et des religions sans transcendance tuent en masse des condamnés sans espérance78.

Persino dopo due guerre mondiali gli uomini continuano ad immaginare una futura società ideale, complice l'idea di progresso umano, tecnologico e scientifico ancora forte e presente nell'immaginario collettivo; e di conseguenza a tentare di dare una giustificazione alla pena capitale come l'unico modo sia di vendicare la vittima, che di far pagare al reo un debito con la società, che infine di liberare la stessa dagli elementi disturbanti, i criminali ritenuti irrecuperabili.

Infatti, sostiene l'autore,

[l]es doctrines de l'évolution et les idées de sélection qui les accompagnent ont érigé en but dernier l'avenir de la société. Les utopies politiques qui se sont greffées sur ces doctrines ont placé, à la fin des temps, un âge d'or qui justifiait d'avance toutes les entreprises. La société s'est habituée à légitimer ce qui pouvait servir son avenir et

à user par conséquent du châtiment suprême de manière absolue79.

Proprio come Camus afferma nell'Homme révolté, questa è stata l'essenza dei totalitarismi e in generale di ogni utopia politica: un porre nel futuro la società perfetta e cercare di modificare il presente in suo favore, anche uccidendo gli individui che non si inscrivono bene in essa. La giustificazione sarebbe nella stessa società perfetta che verrà, un circolo vizioso che si autoalimenta così: se gli uomini avranno un bene superiore, è giustificabile anche uccidere il proprio simile che invece allontana gli altri da questo stesso fine. Camus, dunque, ravvisa questo schema anche dopo la fine della seconda guerra mondiale e la caduta del nazismo, nella vita di tutti i giorni: gli uomini continuano a sognare una società futura in cui essi saranno perfettamente felici, e in cui ogni elemento disturbante sia eliminato. Questo elemento è il criminale, che quindi è legittimo estirpare definitivamente uccidendolo.

Camus, con grande spirito di osservazione e ammirabile coerenza, condanna questo atteggiamento esattamente come aveva condannato quello dei nazisti. Che si uccida un innocente, e sappiamo già che risonanza abbia questo evento nell'animo di Camus, o un criminale, non cambia il fatto che si stia uccidendo un altro uomo: per questo, infine, la pena di morte va rigettata in ogni sua declinazione.

Mi sembra possibile dunque affermare che questo testo si inscrive perfettamente nello spirito che anima anche i testi precedenti, in particolar modo La peste e L'homme révolté, senza tuttavia escludere L'étranger e, scritto ancor precedente ad esso, L'envers et l'endroit. Camus continua con

Réflexions sur la guillotine a schierarsi contro ogni forma di violenza, e, a

suo modo di vedere, la pena capitale è una violenza contro l'uomo e la sua dignità; a sottolineare l'orrore della morte e quindi e a schierarsi a favore della compassione e della solidarietà tra gli uomini che nascono da esso.

4.3 Primo uomo, ultima opera

Le premier homme è il romanzo autobiografico di Camus in cui l'autore

intendeva riassumere e riflettere sulle vicende e gli affetti della propria vita, e ciò che essi significarono agli occhi del bambino e poi dell'uomo che ne è stato protagonista. Con questo romanzo Camus era convinto di iniziare davvero la propria “opera”, perché in esso l'autore avrebbe dovuto metter tutto sé stesso, sarebbe dovuto essere il suo maximum, lo scritto più completo e personale di Camus, che in esso si nasconde dietro il nome di Jacques Cormery, protagonista della vicenda in cui questa volta l'autore si identifica praticamente del tutto e che, per la prima volta, parla direttamente al lettore di sé stesso.

Il titolo è dovuto ad un episodio preciso del romanzo: quando Jacques trova la tomba del padre, mai conosciuto perché morto nella Grande Guerra quando Jacques aveva appena un anno, il protagonista scopre che, al momento della morte, egli era più giovane del figlio che è andato a visitare la sua tomba: questo fa di Jacques il primo uomo.

Tra le molteplici sfaccettature del romanzo, che è uno scritto fondamentale se si vuol comprendere meglio la psicologia di Camus e se si vuol provare ad immaginare la direzione che Camus avrebbe voluto imporre da quel momento in poi alla sua opera, ho trovato di particolare interesse una ripresa del lirismo “naturale” tipico del primo Camus, che

nelle opere dei primi due Cicli si è espresso solo a tratti, e che esplode nuovamente con tutta la sua energia e vitalità, soprattutto in rapporto a Jacques, che racconta tutto il suo mondo interiore, e ad un altro personaggio: lo zio Ernest, o Étienne. Infatti, e come sempre in Camus, il lirismo si mescola con un certo sensismo: nasce dalle sensazioni, positive, che prova il corpo, soprattutto nei momenti in cui è in un ambiente naturale, lontano dalla città. Inoltre nella figura dello zio Ernest, e in parte in quella della madre di Jacques, si fondono due temi fondamentali dell'opera di Camus, che in un certo modo si giustificano a vicenda: quello della centralità delle sensazioni che abbiamo appena visto, e quello della malattia. Essi sono adesso collegati perché sorella e fratello hanno una problematica simile: sono praticamente sordi, e ciò rende le loro interazioni con gli altri esseri umani molto diverse rispetto a chi non ha la stessa caratteristica; soprattutto la madre sembra essere limitata da ciò, mentre Ernest riesce, in modo molto personale ma efficace, ad interagire con gli altri, sia con amici che anche con le donne. E lo stesso Ernest è molto legato alle proprie sensazioni interne, che comunica all'esterno in modo immediato ed ingenuo, non possedendo che un linguaggio verbale molto limitato, e dalle quali, ci racconta Jacques, trae un appagamento genuino e sincero.

Jacques racconta di essere molto legato allo zio, e delle attività che spesso svolgevano insieme, come la caccia o la gita al mare, quest'ultima frequente scena nei romanzi di Camus: ad esempio vediamo Jacques, immerso nell'acqua e aggrappato allo zio,

fasciné par cette solitude où ils se trouvaient, entre le ciel et la mer, également vastes, et, quand il se retournait, la plage lui paraissait comme une ligne invisible, une peur acide le prenait eu ventre et il imaginait avec un début de panique les profondeurs immenses et

obscures sous lui où il coulerait comme une pierre si seulement son oncle le lâchait80.

Anche la concezione di Dio e della religione è sottomessa alle medesime esigenze di una famiglia molto povera, che deve pensare a sopravvivere giorno dopo giorno e non ha un'idea ben chiara della effettiva dottrina cristiana, ma solo del suo aspetto esteriore e cerimonioso, che porta la famiglia a far fare la prima comunione a Jacques e al fratello maggiore, ma le fa ignorare i dogmi e le questioni più problematiche e speculativamente raffinate, avvolgendo i misteri cristiani in una nube di vaghezza ed indefinitezza. Soprattutto, la povertà della famiglia Cormery/Camus che determina la necessità presente come quella assolutamente più urgente, intorno a cui gira tutto il resto e da cui il resto può essere eclissato; per loro, poveri

citoyens théoriques d'une nation imprécise [la France] où la neige couvrait les toits alors qu'eux-mêmes grandissaient sous un soleil fixe et sauvage […] enfants ignorés et ignorants de Dieu enfin, incapables de concevoir la vie future tant la vie présente leur paraissait inépuisable chaque jour sous la protection des divinités indifférentes du soleil, de la mer ou de la misère81.

Da questi passi appare evidente come Camus voglia riprendere una poetica che sembrava aver lasciato dietro di sé dopo L'envers et l'endroit e

Noces, a parte quale sprazzo presente soprattutto in L'été, e soprattutto

sembra voler parlare nuovamente, e questa volta in modo completo e quasi analitico, della fonte principale della sua ispirazione, a cui tutto il suo

80 Albert Camus, Le premier homme, Gallimard, Paris, 1994, p. 97. 81 Ivi, p. 192.

pensiero irresistibilmente si riconduce: la sua povera infanzia in Algeria. Non a caso il romanzo è dedicato alla madre, Catherine Sintès.

Quest'ultimo romanzo, insomma, aveva un significato molto profondo per Camus, ormai giunto ad uno stadio più che maturo del proprio pensiero: egli dovette ripensare alla propria vita e alle proprie opere con una consapevolezza tutta nuova, maturata nel corso di quasi cinque decenni di vita e peripezie. Camus sembra, con Le premier homme, voler tornare alle origini, all'Algeria, alle acque del suo mare e al lirismo che esso esprime. Quella di Jacques Cromery è una storia d'amore, di compassione, di pietà, di ricordi e di ricerca instancabile di umanità e della propria identità, così come quella di Camus.

4.4 Conclusioni

Quella della révolte è dunque una fase decisiva nel pensiero di Camus,

Nel documento Albert Camus (pagine 80-109)

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