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Albert Camus

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento Civiltà e Forme del Sapere

Corso di Laurea Magistrale in Filosofia e Forme del Sapere

Tesi di Laurea

La rivolta contro l'assurdo:

Albert Camus e la condizione umana

CANDIDATA RELATORE

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Nobil natura è quella che a sollevar s'ardisce gli occhi mortali incontra al comun fato[…] tutti fra se confederati estima gli uomini, e tutti abbraccia con vero amor, porgendo valida e pronta ed aspettando aita negli alterni perigli e nelle angosce della guerra comune.

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Indice

Premessa p.5

1. ALBERT CAMUS: L’UOMO, IL PENSIERO, GLI SCRITTI p. 8

1.1 I tre “cicli”: l’evoluzione del pensiero di Camus p. 8 1.2 Le origini: l’Algeria p. 12 1.3 I generi letterari e il tragico p. 15 1.4 Conclusioni p. 16

2. LA RÉVOLTE ATTRAVERSO LE OPERE p. 17

2.1 Nazismo e Stalinismo: un po' di contesto storico p. 17 2.2 Lettres à un ami allemand e Ni victimes ni bourreaux p. 18 2.3 La peste p. 24 2.4 L'homme révolté p. 32 2.5 La rivolta a teatro p. 37 2.6 Conclusioni p. 43

3. IL SIGNIFICATO FILOSOFICO DI RÉVOLTE p. 45

3.1 Uomo in rivolta contro l'assurdo: il nichilismo p. 45 3.2 Un'impresa prometeica p. 55

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3.3 La giustizia p. 58 3.4 Il mestiere di uomo p. 64 3.5 L'arte, la creazione p. 68 3.6 Pensée de midi, pensée solaire p. 72 3.7 Conclusione p. 78

4. LA CONCLUSIONE DI UN'AVVENTURA p. 80

4.1 Pensieri di un artista p. 80 4.2 In difesa dei criminali p. 84 4.3 Primo uomo, ultima opera p. 88 4.4 Conclusioni p. 91

5. CONCLUSIONE p. 93

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Premessa

Il presente elaborato vuole analizzare la tematica della rivolta in Albert Camus e le specificità che le dà l'autore attraverso i testi più rappresentativi ad essa dedicati, tenendo conto del preciso contesto delle opere e degli avvenimenti politici, storici e sociali che hanno contribuito ad ispirarle. Il suo scopo è analizzare quella che per Camus era la condizione esistenziale dell'uomo ad uno stadio maturo del pensiero dell'autore, e come le sue considerazioni possano avere un'eco anche nell'animo dell'uomo contemporaneo.

Lo studio si divide in quattro capitoli, attraverso i quali si darà una visione organica e completa dei punti salienti della riflessione camusiana. Si farà particolare riferimento alle opere composte nel decennio compreso tra il 1942 e il 1952, le opere camusiane che maggiormente ruotano attorno al tema della rivolta, e si esamineranno gli esiti delle medesime negli scritti successivi. Una Conclusione permetterà di valutare i risultati cui pervenne Camus e la loro valenza filosofica.

Il Capitolo primo è introduttivo; sarà presentato l'autore per avere una visione generale della sua produzione e delle fasi del suo pensiero, i tre

Cicli: dell'assurdo, della rivolta, dell'amore; si farà riferimento soprattutto

ai temi ricorrenti che sono significativamente legati a quello della rivolta: l'amore per la vita e per la natura, l'importanza dell'Algeria e del Mediterraneo, l'abilità dell'autore di giocare con tre generi letterari differenti quali romanzi, saggio filosofico e opera teatrale.

Il Capitolo secondo si soffermerà sui quattro scritti del Ciclo della

rivolta: Les justes, L'état de siège, La peste, L'homme révolté; e sui due

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analizzeranno i motivi e le ispirazioni di questi testi, con particolare riferimento agli avvenimenti della seconda guerra mondiale, che hanno profondamente segnato Camus e la sua opera.

Il Capitolo terzo sarà il cuore dell'argomentazione circa la rivolta, attraverso i temi più importanti: come essa sia scaturita dall'assurdo e contro il nichilismo dei tempi moderni; come il mito e il personaggio di Prometeo siano modello per l'uomo in rivolta; come un ripensamento del rapporto tra giustizia e legalità sia sentito con urgenza; come a ciò sia legato il mestiere di uomo, e cosa intendesse Camus con tale espressione; come l'arte sia considerata dall'autore atto equivalente a quello della rivolta, perché entrambi sono creatori; come, infine, Camus concepisse il suo pensiero come pensée de midi. Saranno dunque ripresi i testi esaminati nel Capitolo secondo, e arricchiti con considerazioni relative ad altri testi, quali

Prométhée aux enfers e L'exil d'Hélène presenti in L'été.

Nel Capitolo quarto saranno esaminati gli scritti che vengono dopo quelli del Ciclo della rivolta, per capire la conclusione a cui pervenne Camus: l'amore tra gli esseri umani e la solidarietà sono infatti le soluzioni proposte dall'autore, ma esse sono visibili solo a chi prima ha sperimentato la rivolta. Si farà riferimento a scritti quali Discours de Suède, Réflexions

sur la guillotine, Le premier homme, per chiudere il cerchio iniziato con Noces e L'envers et l'endroit.

La Conclusione del saggio sottolineerà l'importanza, anche per l'uomo del XXI secolo, delle riflessioni di Camus sulla rivolta, sul suo significato esistenziale e storico, sul suo richiamare l'uomo all'amore e alla solidarietà verso i propri simili e su come essa sia schermo contro la minaccia mai estirpata del nichilismo assoluto che ha segnato la prima metà del XX secolo, per non generare nuovi totalitarismi.

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filosofo non si sentiva e preferiva definirsi artista, ma la cui voce merita certo di essere ascoltata anche dagli amanti della sapienza.

Si tornerà, in ultimo, a quei sentimenti che secondo Camus animano la rivolta, sentimenti a cui l'autore prestò estrema attenzione perché sono quelli degli uomini in carne ed ossa di cui lui amò scrivere, preferendo essi ad ogni astrazione.

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1. ALBERT CAMUS: L’UOMO, IL PENSIERO, GLI SCRITTI

Albert Camus nacque a Mondovi, odierna Dréan, da una famiglia molto povera. Visse una vita breve, intensa, ricca di viaggi, che mai una volta ha fatto venir meno il proprio impegno intellettuale. Morì precocemente, all’età di quarantasei anni, in un incidente d’auto, lasciando un’eredità intellettuale preziosa ancor oggi.

Questa, a grandi linee, la vita di Camus, il cui arco è compreso tra il 1913 e il 1960, caratterizzata dalle origini algerine, una straordinaria onestà intellettuale, un impegno sempre vivo a difesa dell’uomo e dell’umanità.

1.1 I tre “cicli”: l’evoluzione del pensiero di Camus

È lo stesso autore ad individuare, all’interno della propria opera, tre cicli, tre tappe di un percorso, o di una dialettica, che il lettore può seguire attraverso le sue opere. Non si tratta di una rigida divisione di argomenti; l’assurdo, la rivolta e l’amore sono sempre legati, sfumano l’uno nell’altro, prevalendo a momenti alterni, ma senza stravolgersi mai. La divisione proposta da Camus, infatti, segue grossomodo la cronologia delle opere, che inizialmente hanno bisogno di ragionare sull’assurdo, categoria ontologica che descrive la condizione umana e che Camus vedeva come punto di partenza della propria riflessione filosofica; che vogliono, in un secondo momento, toccare le conseguenze di questa condizione nell’uomo e nelle comunità umane, nella loro storia, fatta di rivolte e rivoluzioni; successivamente, e come culmine, approdano all’amore, all’equilibrio, alla giustizia.

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Al lettore attento, tuttavia, non sfugge una continuità e una fluidità di temi e argomenti; anche in ciò l’autore è sempre rimasto fedele a sé stesso, alla sua terra per usare un’espressione che gli era tanto cara, e che nel tempo ha per lo più affinato il suo pensiero, ma mai l’ha cambiato.

Cycle de l’absurde: comprende L'étranger, Le mythe de Sisyphe, Caligula e Le malentendu: è il ciclo dei grandi “eroi” dell’assurdo, tra cui

spiccano Meursault, protagonista del romanzo L’étranger, e Sisifo, nel trattato che porta il suo nome.

Se il romanzo e le due opere teatrali mettono in scena l'assurdità dell'esistenza, è Il mito di Sisifo l'opera che esamina e approfondisce filosoficamente tale questione. Per questo esso si apre sulla domanda circa il senso della vita, e più precisamente se la vita valga o meno la pena di essere vissuta: è il problema filosofico del suicidio quello che il giovane Camus ritiene più pressante e attorno al quale ruota l’opera, perché l'autore ritiene che la sua risoluzione permetterà di comprendere meglio l'esistenza stessa dell'essere umano. L'absurde è perciò il punto di partenza della speculazione di Camus e del Mythe de Sisyphe, non quello di arrivo: quando l'uomo scopre, e può accadere a chiunque e in qualsiasi momento, che la propria esistenza è assurda, e prova così il sentimento di questa assurdità, il suicidio può essere una soluzione ad essa? Si può continuare a vivere, avendo preso piena coscienza dell'assurdità della vita stessa?

L'assurdo è definito da Camus come un divorzio tra l'uomo e l’universo, ed è precisamente nella relazione tra questi due termini che esso si definisce e si installa, non appartenendo propriamente a nessuno dei due; tra l'uomo, che ha bisogno di chiarezza e di risposte, e un mondo che è opaco e muto: così tra i due si crea una scissione, un divorzio di ciò che in

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come vuole il titolo dell’opera. Assurdo, sentimento di estraneità, di ignoranza, di inutilità, in un universo che appare all'uomo indecifrabile e non perfettamente conoscibile e che potrebbe portarlo a togliersi la vita... Questo è il ragionamento assurdo con cui Camus apre Il mito di Sisifo. Ma esso non rappresenta affatto la conclusione dell'opera, che invece si chiude con Sisifo felice: egli è davvero un homme absurde, uno specchio su cui possono riflettersi tutti gli altri esseri umani, i quali condividono con lui questa condizione, perché egli è perfettamente cosciente della gratuità della propria esistenza e delle proprie azioni. Condannato per l'eternità a spingere un masso fino alla cima di un monte, ancora e ancora, solo per vederlo sempre ricadere a valle, Sisifo, che disprezzò gli dèi e amò appassionatamente la vita, è superiore al proprio destino: «La lutte elle-même vers le sommets suffit à remplir un cœur d'homme»1.

È stato sottolineato come questa prima fase della riflessione camusiana sia in certa misura superata dai contenuti delle opere successive, in particolare come Il mito di Sisifo sarebbe stato corretto dalla più fine speculazione de L’uomo in rivolta. E tuttavia la tematica dell’assurdo non si esaurisce nelle quattro opere menzionate: troviamo un homme absurde anche in Clamence, protagonista del penultimo romanzo di Camus, La

chute, posteriore di circa un decennio rispetto agli scritti di questo primo

ciclo. Inoltre, come si vedrà nei prossimi capitoli, la condizione assurda della vita umana è il punto di partenza anche dell'analisi filosofica della

rivolta.

Cycle de la révolte: comprende La peste, L’homme révolté, Les justes, L’état de siège. Gli eroi sono stavolta Rieux, Tarrou, gli abitanti di Orano,

che giorno dopo giorno resistono alla terribile epidemia ne La peste; e il

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protagonista della pièce teatrale Les justes, ispirato al rivoluzionario russo Kaliayev, meurtrier délicat di cui si legge anche nell’Homme révolté. La rivolta è quindi per Camus un modo di affrontare l'assurdo dopo averlo tematizzato, di farlo agire nella propria vita: il cruccio di Camus è, adesso, spiegare come ciò sia possibile senza cadere nel nichilismo estremo di cui si legge nell’Uomo in rivolta, ma arrivando ad una dimensione comunitaria. Infatti con quest’opera Camus passa da una dimensione “solitaria” dell’essere umano a una dimensione “solidale”, collettiva e storica. Se il tema cardine del Mito di Sisifo era il problema del suicidio, quello dell’Uomo in rivolta è il problema dell’omicidio: è chiaro il passaggio dal rapporto dell'uomo con la propria esistenza a quello dell'uomo con l'esistenza degli altri uomini riuniti in società e immersi nella storia. L'eroe mitico a cui si fa riferimento adesso è Prometeo, uomo in rivolta per eccellenza, che ha in comune con Sisifo il fatto di essersi ribellato agli dèi.

La domanda fondamentale che percorre le opere di questo periodo è se sia possibile per l'uomo vivere nel nichilismo che risulta dalla scoperta della morte di Dio e del non senso della vita umana, di cui già aveva parlato Nietzsche. Per rispondere Camus ripercorre le tappe della manifestazione della rivolta e della rivoluzione lungo la storia, fino a dare un senso ai regimi totalitari che egli stesso vide nascere e perire, e condannandoli.

Cycle de l’amour: che comprende solo Le premier homme, romanzo

rimasto incompiuto a causa della scomparsa di Camus. L'amore è l'approdo al quale Camus voleva arrivare, l'antidoto alla cieca violenza tra esseri umani, il loro punto di unione.

Uno stadio intermedio tra gli ultimi due cicli è, secondo lo studioso Roger Quillot, quello formato da La chute, di cui si è già detto, e dalle novelle de L'exil et le royaume. Ancora una volta, dunque, le distinzioni che

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si possono rintracciare nell'opera di Camus si riconfermano non assolute e, anzi, liquide e mobili.

Fedeltà alla terra, riconciliazione col mondo e con gli uomini, ritrovare la misura e l'equità: Nemesi, dea della misura e della giustizia, assurge adesso a simbolo, l'ultimo che Camus ci indica come finale destinazione della morale degli uomini.

Un'altra caratteristica dell'opera di Camus è il suo umanismo, che rifiuta ogni forma di dogmatismo e di astrazione, soprattutto per ciò che concerne il problema di Dio e dell’esistenza del male e della sofferenza: si può parlare di un umanismo ateo, che va contro l'idea tradizionale di Dio, nata con il cristianesimo e che ha prevalso nella cultura occidentale. Infatti l'oggetto della sua ricerca rimase sempre l'uomo, il quale secondo Camus non deve cercare sé stesso e il proprio fondamento in un agente esterno e trascendente che, come Dio, non è e dimostrabile né verificabile, ma deve cercare tale fondamento in sé stesso e nella propria esperienza di essere umano, rinunciando alle risposte facili e rassicuranti ma frammentarie, menzognere, colpevoli di dividere gli esseri umani in tante fazioni sparse per il mondo.

1.2 Le origini: l’Algeria

Camus fu un intellettuale di lingua francese molto vicino alla cultura europea, che conosceva profondamente; ma le sue origini risiedono in Africa, e precisamente in Algeria. Lo scrittore ebbe sempre presente la patria, che riecheggia continuamente all’interno delle sue opere e del suo pensiero. Basti pensare che alcuni dei suoi romanzi sono ambientati proprio

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in Algeria: La mort heureuse, in parte, e L’étranger ad Algeri; La peste ad Orano; e Jacques Cormery, il “primo uomo”, nasce in una piccola città non lontana da Algeri. Anche nei saggi e nelle opere filosofiche si può percepire questo stretto legame di Camus con le proprie origini: già in Noces e L’été, ne L’envers et l’endroit, il lettore percepisce quel leitmotiv che non sarebbe mai svanito dalla letteratura camusiana, e che si ritrova nel Mythe de

Sisyphe e nell'Homme révolté. È la pensée de midi il fil rouge di questa

tematica: essa costituisce uno dei punti più alti della riflessone camusiana, e, si può intuire dal nome, è strettamente legata alle origini mediterranee dell'autore.

Attraverso questi testi evocativi ed estremamente pittoreschi, Camus offre al lettore scorci della vita e del paesaggio algerino, gli fa sentire i profumi, udire i rumori, calpestare il suolo e sentire il calore del suo sole e la freschezza del suo mare sulla pelle. Tutte le opere di Camus hanno dei momenti di toccante lirismo, quasi fossero dei poèmes en prose incastonati all'interno del ragionamento di un saggio o della narrazione di un romanzo.

Strettamente legato all'Algeria e alla pensée de midi è il tema della felicità, le bonheur, anch'esso sempre presente lungo l'intera produzione camusiana. Negli scritti giovanili tale tema è per lo più declinato come unione dell'uomo e della natura; ad uno stadio più maturo, dovremo invece vedere che Sisifo è heureux, e che l'uomo in rivolta cerca anch'egli la felicità su questo mondo e tra gli altri uomini. Eppure questa felicità inizia, nel pensiero di Camus, tra le strade di Algeri e le piante di assenzio, tra le rovine di Tipasa e il Mar Mediterraneo; è nel refrigerio delle sue acque che il giovane Camus sente l'unione di sé stesso come uomo e del mondo di cui fa parte. La celebre tematica dell'assurdo sarebbe partita, nel Mythe de

Sisyphe qualche anno dopo le opere giovanili, proprio dalla rottura di

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unione e un'altra armonia tra gli uomini nelle opere successive.

E tuttavia ogni medaglia ha un'altra faccia, e in Camus soprattutto non manca una mai risolta dialettica tra due poli: l'Algeria è anche calore, afa, arsura, «toute une plage vibrante de soleil [qui] se pressait derrière moi»2.

Basti ricordare la famosa scena sulla spiaggia, ne L'étranger, quando Meursault uccide l'Arabo: «Il m'a semblé que le ciel s'ouvrait sur toute son étendue pour laisser pleuvoir du feu. Tout mon etre s'est tendu et j'ai crispé ma main sur le revolver»3. L'opera camusiana si distingue, infatti, anche per

le forti esperienze sensoriali, non solo visive ma anche tattili e olfattive, che riesce a creare nel lettore: in quel momento siamo tutti Meursault sulla spiaggia, accecati dalla luce del sole, stremati e confusi dal calore di un giorno d'estate africano, non possiamo che sparare quattro colpi di pistola all'uomo che ci sta davanti.

Anche la morte trova spazio, precocemente, nel pensiero del giovane Camus: ne La mort heureuse e Le vent à Djémila soprattutto. E la morte è spesso associata alla malattia; come il protagonista del primissimo romanzo camusiano Patrice Mersault, Camus stesso soffrì tutta la vita di problemi ai polmoni causati dalla tubercolosi, e già in gioventù: per contro, dai suoi testi il lettore percepisce tutta la voglia di vivere dell'uomo, che tuttavia, data la propria condizione umana, non può esimersi dal ragionare sul termine del proprio vivere, sulla debolezza, la vecchiaia e la morte. Ma tale tematica si declina in diversi modi: non solo la propria morte, il suicidio analizzato nel Mythe de Sisyphe, ma anche l'omicidio, in La mort heureuse,

L'étranger e, soprattutto, L'homme révolté. Su tali temi si tornerà più

dettagliatamente nei prossimi capitoli.

2 Albert Camus, L'étranger, Gallimard, Paris, 2013, p. 91. 3 Ivi, pp. 92-93.

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1.3 I generi letterari e il tragico

I generi letterari prediletti da Camus sono tre: il saggio filosofico, il romanzo, e la pièce teatrale, quest'ultima con particolare riferimento alla tragedia; a questi si potrebbe affiancare la novella, sperimentata tuttavia nella sola opera L'exil et le royaume.

Camus è infatti un pensatore che si inscrive nella storia della letteratura francese, più che in quella della filosofia, e che tuttavia ha sviluppato un pensiero estremamente articolato e raffinato, apprezzabile anche da chi si interessa della storia del pensiero umano e filosofico. Albert Camus ebbe il privilegio di essere tra coloro che riescono ad armonizzare in sé arte e filosofia, e con risultati straordinari: dalle punte di lirismo presenti, come si è visto, nei saggi, alle riflessioni che percorrono i romanzi e le opere teatrali, tutte e tre le forme di espressione predilette dall'autore riescono a coniugare, seppur in modi diversi, le diverse dimensioni dell'universo interiore di Camus.

Particolare importanza ha, in Camus, il tragico: infatti, sebbene esso sia strettamente legato all'universo delle opere teatrali, si possono notare spunti filosofici affini con quanto l'autore esprime nei saggi, appunto. Illuminante a questo proposito è la lettura della Conférence prononcée à Athènes sur

l'avenir de la tragédie del 1955, in cui Camus analizza il concetto di

tragico, individua le epoche che sono riuscite a produrre delle vere tragedie, e non drammi, da cui esse vanno distinte perché

les forces qui s'affrontent dans la tragédie sont également légitimes, également armées en raison […] Le thème constant de la tragédie antique est ainsi la limite qu'il ne faut pas dépasser. De part e d'autre de cette limite se rencontrent des force également légitimes

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dans un affrontement vibrant et ininterrompu4.

Come si vedrà, Camus ha come trasposto le sue considerazioni in materia filosofica sul tema più specifico della tragedia.

1.4 Conclusioni

Camus fu un autore molto attento e sensibile agli eventi del proprio tempo, ma sempre fermo nelle sue convinzioni; credeva fermamente negli esseri umani e in un ideale di fratellanza che li accomunasse, persino e soprattutto nei momenti in cui essi erano più divisi; nostalgico per la sua Algeria, con uno spirito diviso tra Europa e Africa.

Artista, letterato, filosofo; attore e anche militante. Uomo, insomma, dalla personalità poliedrica e dai molteplici interessi, la cui riduzione ad un solo termine non renderebbe giustizia. Queste caratteristiche si esprimono appieno lungo l'arco della sua produzione letteraria e della vita di Camus.

4 Conférence prononcée à Athènes sur l'avenir de la tragédie in Albert Camus, Théatre, récits, nouvelles, Préface par Jean Grenier, Textes établis et annotés par Roger Quilliot,

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2. LA RÉVOLTE ATTRAVERSO LE OPERE

Queste pagine esamineranno più da vicino gli scritti del Cycle de la

révolte e quelli che gli sono più affini per contenuto e vicini per data di

composizione, tenendo conto del preciso contesto storico che ha influenzato il pensiero di Camus in quegli anni e che ha visto nascere tali scritti e dei loro rapporti reciproci.

2.1 Nazismo e Stalinismo: un po' di contesto storico

Come spiegato in precedenza, il Ciclo della rivolta comprende il romanzo La peste, il saggio L'homme révolté e i due spettacoli teatrali

L'état de siège e Les justes. Si tratta di testi scritti durante gli anni della

seconda guerra mondiale o in quelli immediatamente successivi, ma che raccolgono ed espongono tutta una serie di considerazioni e speculazioni maturate dall'autore durante gli anni Quaranta: L'état de siège è stato rappresentato per la prima volta nel 1948 e Les justes nel 1949, mentre La

peste fu pubblicato nel 1947 e, infine, L'Homme révolté nel 1951.

A queste quattro opere vanno aggiunti i saggi de L'été, scritti tra il 1939 e il 1953: del periodo in esame sono Prométhée aux enfers (1946) Petit

guide pour des villes sans passée (1947), L'exil d'Helene (1948), L'énigme

(1950), Retour à Tipasa (1952).

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nel 1942, le Lettres à un ami allemand, che saranno a breve esaminate, scritte tra il 1943 e il 1944, le due opere teatrali Caligula e Le malentendu rappresentate entrambe nel 1944, il romanzo La Chute apparso nel 1956 e la raccolta di novelle L'exil et le royaume nel 1957.

Si può insomma affermare che gran parte della migliore produzione di Camus sia nata proprio nell'intorno degli anni Quaranta, durante la guerra o subito dopo, quando l'autore ha sentito l'urgenza e il bisogno di continuare a riflettere sui recenti avvenimenti storici, di condannare la loro violenza e sottolineare certi limiti invalicabili della natura umana.

Inoltre nello stesso periodo si collocano alcuni importanti avvenimenti della vita, privata e pubblica, di Camus: sposò Francine Faure, sua seconda moglie, nel 1940, e nello stesso anno dovette lasciare l'Algeria per Parigi a causa alcune posizioni espresse su Le Soir républicain, facendovi tuttavia ritorno dopo un anno; si schierò a favore della Resistenza; assunse e abbandonò la direzione di Combat; si allontanò ulteriormente dalle posizioni di estrema sinistra e comuniste, soprattutto quelle che sostenevano l'URSS; incontrò Sartre, con il quale instaurò, almeno inizialmente, una sincera amicizia.

La storia di quegli anni aveva visto, in particolare, la nascita e il trionfo dei totalitarismi, caratterizzati da uno spiccato terrorisme d'état, come lo chiamò Camus, che, nelle analisi dell'autore, si esprime attraverso il terrore, irrazionale o razionale.

2.2 Lettres à un ami allemand e Ni victimes ni bourreaux

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ad un immaginario amico tedesco, scritti durante gli anni della seconda guerra mondiale, quando il Nazismo impestava l'Europa con la sua scia di sangue insieme a tanti altri regimi dello stesso tipo, primo fra tutti l'URSS di Stalin; sono datati tra luglio 1943 e luglio 1944, quindi subito posteriori al Mythe de Sisyphe. La loro prima pubblicazione come opera unitaria risale al 1945, presso l'editore Gallimard naturalmente, quindi appena dopo la fine della guerra; tuttavia, se l'evento che ha visto nascere le Lettres era ormai terminato, se rischiavano di essere anacronistiche, esse rimanevano agli occhi di Camus un appello agli Europei liberi contro la violenza e un ammonimento a evitare di ricadere nello stesso nichilismo senza uscita, giacché il germe di un regime come quello nazista avrebbe potuto nuovamente attecchire, quando il terreno fosse stato nuovamente fertile per esso; l'Europa, e il mondo, non ne erano ancora guariti: basti ad esempio pensare alle dittature nella Penisola Iberica, molto più longeve di quella fascista e nazista.

È in tali testi che Camus mostra di prendere coscienza della dimensione comunitaria in cui vive l'uomo, e di come essa non possa essere ignorata, ma anzi debba essere affrontata filosoficamente. Camus uscì così dal solipsismo espresso nei primi saggi in occasione dell'esperienza traumatica della guerra, prese coscienza di sé stesso come Europeo ma soprattutto come uomo in mezzo agli altri uomini: una strada che da quel momento in poi non avrebbe più lasciato. Camus, inoltre, nella Préface à l'édition

italienne, precisava che «Ce sont deux attitudes que j'oppose, non deux

nations»5: si nota una grande insistenza, sia in questa Préface sia nelle

lettere, sull'impossibilità di comunicazione tra le due attitudini in esame, perché esse hanno visioni del mondo opposte, che derivano dall'opposto modo di affrontare l'assurdo; è, questa, una dualità che percorre tutte e

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quattro le Lettere, che vogliono riflettere sulle rispettive posizioni dei nazisti e degli europei liberi, sulle rispettive motivazioni, sulle ragioni della certa vittoria dei secondi suoi primi. Non, dunque, Nazioni contrapposte, non Francia contro Germania; grazie a questi tesi il lettore assiste per la prima volta, senza saperlo, alla contrapposizione della rivolta autentica e solidale all'assurdo contro la rivolta non autentica, egoista, distruttiva, nichilista.

Le Lettres, allora, rimangono per Camus «un document de la lutte contre la violence»6, che indaga, attraverso un dialogo immaginario con un

tedesco espresso in forma di discorso indiretto, le ragioni e le motivazioni del pensiero nazista, ma anche quelle per cui questo pensiero e il regime su esso costruito fossero inesorabilmente destinati allo scacco; soprattutto l'autore si mostra anche molto critico nei confronti di sé stesso e degli oppositori ai regimi totalitari, che inizialmente non erano riusciti a contrattaccarli efficacemente, che per molto tempo sembravano sconfitti da questo nemico pericoloso, che non hanno subito preso coscienza di sé e della propria libertà.

Attraverso le quattro Lettere, infatti, il lettore segue lo svolgimento di un ragionamento che culmina nella presa di coscienza definitiva della differenza che l'autore avverte tra sé stesso, tra la gente come lui, nous

autres Européens libres, e i nazisti, vous autres nazis. Non si tratta di una

differenza di posizioni politiche, non è la sinistra in conflitto con la destra, come sarà ancor più chiaro ne L'homme révolté, ma è lo scontro di due concezioni del mondo e dell'uomo che sono strutturalmente inconciliabili: in nuce c'è già la futura distinzione tra rivolta e rivoluzione, la prima autentica e la seconda inautentica; nel lessico di Camus, la prima solidaire e la seconda solitaire.

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Ma non solo: Camus insisteva su una certa fedeltà dell'uomo a sé stesso di cui, affermava, i nazisti mancherebbero: essi infatti sognavano una sorta di “Superuomo” nato da una pesante distorsione di quello descritto da Nietzsche, erano convinti di incarnarlo essi stessi, si arrogavano il diritto di escludere, a loro piacimento, certi uomini da questa definizione che avevano loro stessi inventato; ecco quindi la violenza perpetrata ai danni di chi non rientrasse nella concezione di umanità dei nazisti, retrocessi a subumani, indegni di vivere perché pericolosi per i veri esseri umani; si badi bene: lo stesso può essere detto del regime staliniano.

All'opposto, non c'era nulla, nella visione di Camus, che allontanasse maggiormente l'uomo da sé stesso, che lo rendesse altrettanto infedele alla propria natura: «Pour avoir dédaigné cette fidélité à l'homme, c'est vous qui, par milliers, allez mourir solitaires. Maintenant, je puis vous dire adieu»7. Nessun regime dittatoriale o totalitario può dirsi fedele all'uomo: in

questo sta la loro sconfitta già da principio, Camus ne è profondamente convinto.

Per i nazisti tutto si sarebbe potuto sacrificare per la Patria, era quello il solo modo di amarla veramente, e per questo fine ogni mezzo sarebbe stato lecito. Camus, già dalla prima lettera, affermava con forza che, al contrario, esistono «des moyens qui ne s'excusent pas. Et je voudrais aimer mon pays tout en aimant la justice»8: il bisogno di giustizia era urgente, perché

l'Europa era sprofondata nell'ingiustizia. «Nous luttons [...] pour cette plus faible nuance encore qui sépare le faux du vrai et l'homme que nous espérons des dieux lâches que vous révérez»9: “noi” abbiamo preferito il

7 Ivi, p. 82. 8 Ivi, p. 19. 9 Ivi, p. 29.

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disordine, la temporanea sconfitta, il sacrificio per la libertà e per i nostri ideali, all'ingiustizia. E poi, per l'essere umano e per la sua umanità: è questo, più di tutti, che non può essere sacrificato, è questo il confine che non andrebbe superato, «[c]'est l'évidence humaine que nous avons à préserver […] Si rien n'avait de sens, vous seriez dans le vrai. Mais il y a quelque chose qui garde du sens»10: con queste parole Camus si riallaccia

agli scritti precedenti, e anche in questo caso anticipa qualcosa dei successivi.

Si nota, in tutte e quattro le lettere, la grande fiducia di Camus nello spirito genuino degli Europei liberi contro chi voglia opprimerli e far deragliare il loro cammino millenario di intelligenza, cultura e civiltà, nella loro capacità di «affirmer la justice pour lutter contre l'injustice éternelle, créer du bonheur pour protester contre l'univers du malheur»11.

Ni vitctimes ni bourreaux invece è un articolo scritto nel 1946 in cui,

nuovamente, Camus riassume e riflette sui medesimi avvenimenti storici e politici, ossia la seconda guerra mondiale e i regimi nazista e fascista, dopo la loro fine ma con le ferite che hanno provocato ancora aperte e sanguinanti; in esso l'autore mette in luce molti dei temi che compariranno nei successivi scritti del secondo Cycle. Questo articolo è dunque molto importante per comprendere meglio l'evoluzione del pensiero di Camus; esso è, insieme alle Lettres à un ami allemand e a Promethée aux enfers (composto in quello stesso 1946, e di cui si vedrà più avanti) con cui ha grande affinità, una cerniera tra il Cycle de l'absurde e quello de la révolte.

Oltre ciò, Camus inizia ad abbozzare le proprie soluzioni contro il pericolo totalitario: sebbene egli non si soffermi affatto sul concetto di

10 Ivi, pp. 39-40. 11 Ivi, p. 72.

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“rivolta”, preferendo invece analizzare quello di “rivoluzione”, per il quale l'autore sente il bisogno di chiarire il significato, si nota subito come la riflessione di Camus fosse già passata dal problema del suicidio a quello dell'omicidio, e come quest'ultimo sollevi la questione che, come vedremo, avrà la sua massima espressione nel romanzo La peste per bocca di Tarrou, uno dei suoi protagonisti: chi non vuole aderire alle violenze del XX secolo, siècle de la peur lo accusa Camus, e vuole quindi esimersi dall'uccidere i suoi simili, chiunque essi siano e qualunque cosa facciano, dovrà comunque fare i conti con il dover accettare che altri uomini commettano omicidi, quindi essere in qualche misura complice degli stessi. Lo stesso deve dirsi della rivoluzione, aggiunge l'autore, soprattutto perché ormai tutte le nazioni e tutti gli uomini sono legati, le notizie arrivano da ogni luogo: “oggi” ogni eventi riguarda tutti, così una prossima rivoluzione non potrà che essere “internazionale” ed estendersi ben oltre i confini entro cui è nata.

Contro chi, dunque, lo tacciava di credere in una utopia sognando un mondo dove l'omicidio per lo meno non sia legittimato, un mondo che smetta di pensare che assuefarsi alla violenza sia normale e si risvegli dal suo torpore, Camus rispose, per mezzo di questo articolo, che chi segue le

astrazioni dei vari regimi che vogliono indicare il migliore dei mondi

possibili alla fine di un progresso a cui può essere sacrificata qualunque cosa, anche la vita umana, commette lo stesso peccato, anche se per un'utopia molto diversa: si noti bene che qui “astrazione” è uno dei termini ricorrenti in Camus, il quale dice esplicitamente in questo scritto che egli la identifica con il concetto di ideologia.

Ed è precisamente contro ogni ideologia che Camus si schierò, invitando tutti gli uomini, non più e non solo gli europei, ad un cambiamento di rotta, per non ricadere negli stessi errori degli anni appena

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trascorsi: «[i]l s'agit, en somme, de définir les conditions d'une pensée politique modeste, c'est-à-dire délivrée de tout messianisme, et débarrassée de la nostalgie du paradis terrestre»12.

Ma soprattutto, Camus invitava gli uomini a sconfiggere la paura che li confinava in un pericolo silenzio e con esso in una impotente solitudine, perché questo atteggiamento ha già favorito gli orrori da cui il mondo era uscito solo un anno prima; per contro, l'autore avrebbe offerto esempi di vero e proprio eroismo nel romanzo La peste e nelle due opere teatrali degli anni successivi.

2.3 La peste

Il secondo romanzo pubblicato da Camus, ma terzo in ordine di composizione, è La peste. È possibile dare più letture del romanzo: quella letterale della vicenda narrata, quella allegorica della peste come malattia che devasta una città analoga al totalitarismo come malattia d'Europa, quella filosofica del più toccante e riuscito mostrarsi della révolte negli scritti di Camus; essa, infatti, è «la più compiuta e la più alta espressione del suo messaggio solidaristico»13, secondo lo studioso Stelio Zeppi.

Torna l'Algeria, con la secca e opaca Orano, dove, come Camus sottolinea già dal primo capitolo, tutto è prosciugato dal sole, la primavera è artificiale e persino morire è difficile. Orano è una città sulla costa algerina, seconda per importanza solo alla capitale Algeri, ma la descrizione che ne fa Camus è molto diversa rispetto a quelle a cui aveva

12 Albert Camus, Essais, Introduction par R. Quilliot, Textes établis et annotés par R. Quilliot et L. Faucon, Gallimard, Paris, 1965, p. 335.

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abituato il lettore con gli scritti precedenti: si tratta, ne La peste, di una città brutta, arida, senza fiori, che gira le spalle al mare, su cui tuttavia si affaccia; ne deriva, sostiene il narratore, che gli abitanti sono sbrigativi, poco riflessivi, quasi rozzi, perché vivono in tale clima secco. La storia si svolge interamente ad Orano, nell'anno “194.”: una malattia inaspettata sconvolge le vite monotone degli oranesi, costringendoli a riconsiderare le proprie abitudini e ciò in cui fino a quel momento avevano creduto, ciò che per loro era normale. Il lettore vede la storia dal punto di vista privilegiato del narratore Bernard Rieux, noto medico all'interno della città, caratterizzato da spiccate intelligenza e sensibilità, con alcuni intermezzi dei taccuini di Jean Tarrou, che offrono uno spaccato delle banalità delle abitudini degli oranesi con sagacia ed umorismo. Si tratta essenzialmente del racconto dei mesi in cui la città è stata malata di peste, e la sua popolazione veniva di settimana in settimana decimata; sono descritte le misure straordinarie prese dalla debole amministrazione della città per tentare almeno di arginare il problema, e degli enormi sforzi di uno stanco Rieux e dei suoi amici e compagni di sventure per aiutare i malati, anche a costo della propria vita. Un particolare focus è dato da alcuni capitoli sulla situazione generale di tutti i cittadini: le loro preoccupazioni, le loro frustrazioni, debolezze, nostalgie per il mondo esterno, la loro disperazione e infine anche le loro speranze; si nota una particolare dimensione corale di una parte del romanzo, che in verità è condivisa anche dai personaggi più caratterizzati come Rieux e Tarrou.

Il primo topo morto, che rappresenta la prima manifestazione della malattia, sembra un fatto isolato, uno scherzo fatto da qualche ragazzaccio al concierge del palazzo dove abita Rieux; nei giorni successivi i sempre più numerosi cadaveri di diversi altri roditori vengono buttati nell'immondizia, ma è ancora “l'affaire du concierge”; nei giorni ancora

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successivi è necessario raccogliere i topi morti per le strade ogni mattina, e la notte si sentono i loro lamenti agonizzanti. La prima vittima della peste è proprio l'inserviente del palazzo dove abita il protagonista, il vecchio Michel: quello è il punto di non ritorno, Orano è impestata ed è necessario agire di conseguenza. Vinte le ultime resistenze ed incredulità, presa coscienza della tragica situazione, chiusi nella propria città, gli oranesi si trovano tutti insieme ad affrontare la peste: tutti sono condannati, in questa grottesca “democrazia” dove non c'è distinzione tra chi la peste colpisce, tutti devono rispondere all'appello della vita e della giustizia, che reclamano la propria parte nei cuori di questi uomini.

Torna il tema della malattia, già presente in diverse opere camusiane e che anche in questo scritto ha una fortissima valenza allegorica: la peste ad Orano è come il nazismo in Europa. L'anno in cui si svolge la vicenda, lasciato volutamente indefinito, è compreso nella quarta decade nel Novecento: un chiaro riferimento al quinquennio 1940-1945. Il corpo del moribondo è dilaniato dalla peste, infuocato dalla febbre che essa provoca, e la mente è annebbiata, l'intero essere del malato è sofferenza e agonia: forse Camus vedeva così l'Europa e la Francia, a cui comunque sentiva di appartenere, impestate dal nazismo, il cui simbolo sono i campi di concentramento come i bubboni della peste, il corpo è febbricitante a causa dei numerosi bombardamenti, e la mente è annebbiata dalla volontà di potenza e dalla sete di potere dei gerarchi nazisti e di Hitler. Ma i riferimenti all'universo nazista sono anche altri, e su molteplici piani; ad esempio, «[l]es lecteurs ont remarqué l'allusion insistante que le narrateur de La Peste fait à l'univers concentrationnaire […] [l]es camps, dans La

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Peste, sont des «camps d'isolement»»14, che separano le famiglie, in cui chi

entra è sicuro di essere condannato; o anche il fatto che «[l]'administration a fait incinérer les morts de la peste quand quand le cimetières ont été saturés. Elle a mis en place des convois de tramways. Il est à noter que leur évocation se fait dans un contexte saturé de tout un lexique politico-administratif»15. Il tema dunque è molto più politico che medico: dopo le

Lettres à un ami allemand, e finita la guerra con la sconfitta dell'Asse

Roma-Berlino-Tokyo, Camus non smette di ragionare sugli avvenimenti traumatici degli anni subito precedenti, e di dare una risposta solidaire.

La caratteristica principale del romanzo sono, tuttavia, i personaggi iconici che vediamo in scena.

Bernard Rieux, il protagonista, è subito descritto come «un homme lassé du monde où il vivait, ayant pourtant le goût de ses semblables et décidé à refuser, pour sa part, l'injustice et les concessions»16; in poche

righe Camus ha già riassunto alla perfezione le caratteristiche e le motivazioni di Rieux, il quale è un personaggio piuttosto statico: non assistiamo ad un cambiamento in lui, è praticamente la stessa persona all'inizio e alla fine del romanzo, persino dopo l'esperienza traumatica della peste. Ha un unico ideale, che è quello di lavorare per i suoi simili, per gli uomini, e vi rimane sempre fedele, nonostante le sofferenze a cui assiste quotidianamente e nonostante la morte della moglie e dell'amico Tarrou (quest'ultima sembra, forse, l'evento che smuove qualcosa in lui). Rieux è un vero uomo in rivolta, che vive questa rivolta contro la sofferenza umana nel quotidiano e vuole, ostinatamente, porvi rimedio con tutti i mezzi che

14 Jeanyves Guérin, Albert Camus: littérature et politique, Champion, Paris, 2003, p. 176. 15 Ivi, p. 177.

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ha a disposizione: per questo motivo egli è uno dei portavoce del pensiero dell'autore, il quale ha simbolicamente scelto la professione di colui che cura le malattie, cioè il medico, per il protagonista della vicenda.

Rappresentante di un'altra posizione, quella cristiano-cattolico, è Père Paneloux, gesuita molto famoso nella cittadina di Orano; viene presentato come un uomo energico e appassionato, fervente nella fede e impegnato per adempiere alla sua vocazione di uomo di chiesa. Così, quando è invitato a tenere una predica ai fedeli, esordisce con: «Mes frères, vous êtes dans le malheur, mes frères vous l'avez mérité»17. Paneloux in questa prima predica

affronta il tema della peste dal punto di vista del credente della religione cristiana: gli uomini hanno peccato, e per questo motivo Dio ha inviato loro la terribile epidemia; se fossero stati innocenti e pii, come conviene ad un buon cristiano, non sarebbero certo incorsi nella punizione divina. In quest'ottica, dunque, la peste sarebbe indirizzata contro i peccatori: ne emerge l'immagine di un Dio esigente e geloso degli uomini, simile al Dio del Vecchio Testamento, e Orano sarebbe la “ville du péché” che merita il terribile flagello, come Sodoma e Gomorra, come Caino. Ma al contempo, sostiene Paneloux, proprio la peste è anche segno della misericordia divina, propria essa mostra la via della verità agli uomini... È esattamente il contrario di ciò che, come sappiamo, è il pensiero di Camus, ed è una concezione che, anzi, egli condanna profondamente.

Dopo aver assistito alla morte di un bambino, un innocente, come gli ricorda Rieux, Paneloux cambia, parzialmente, atteggiamento. Naturalmente egli era già entrato nella formazioni sanitarie organizzate da Tarrou e Rieux, ma se prima di quel giorno funesto era riuscito a mantenere una encomiabile calma, da quel momento in poi si può leggere una grande

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tensione sul suo volto e tra le sue parole. Decide di tenere una seconda predica, e invita Rieux, dopo la loro discussione in merito. Anche il prete sembra, in parte, capire le ragioni di Rieux e dei suoi amici, sembra avvicinarsi al mondo degli uomini, essere solidaire con loro: forse è proprio questa nuova consapevolezza il motivo della sua improvvisa inquietudine. Continua ad affermare quanto detto nella precedente predica, certo; ma ora afferma anche di sentire in sé più carità verso gli uomini: quindi sebbene sostenga questa crudele prova sia comunque qualcosa di cui il buon cristiano avrebbe potuto e dovuto beneficiare, sempre il credente deve essere cosciente che esistono delle cose che sarebbero rimaste inesplicabili e che riguardavano solo la fede. La peste, secondo la nuova predica di Paneloux, è per l'appunto un fatto inspiegabile, voluto da Dio per i suoi piani superiori, ma di cui l'uomo non può capire il senso. A volte, infatti, è facile capire il significato del male, altre volte no. Ed è quest'ultimo il caso della sofferenza dei bambini: qual è il suo senso? Gli esseri umano non potranno mai comprenderlo. Si assiste dunque ad un cambio parziale di atteggiamento tra la prima e la seconda predica del parroco di Orano. Egli costituisce inoltre un curioso “caso dubbio”: Paneloux è morto o no di peste? Rieux non riesce a capirlo.

Jean Tarrou è un personaggio molto interessante, probabilmente il più complesso e approfondito che si trovi tra le pagine del romanzo (ben più del protagonista). È colui che per primo ha l'idea di “formazioni sanitarie volontarie”, e che subito coinvolge Rieux; i suoi diari sono parte integrante della narrazione, come già detto. Inoltre è il personaggio con cui il protagonista interagisce più spesso, e tra i due si instaura una forte amicizia, che segnerà profondamente il medico di Orano, anche dopo la morte di Tarrou.

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che non ha mai dimenticato il suo grande amore, «était le représentant réel de cette vertu tranquille qui animait les formations sanitaires. Il avait dit oui sans hésitation...»18: egli è infatti il primo a guarire dalla peste!

Rambert, infine, è forse il personaggio più simile all'autore, il quale comunque non si identifica totalmente con nessuno di loro; Rambert è un giornalista francese capitato ad Orano per scrivere alcuni articoli, e che vi rimane bloccato dallo scoppiare dell'epidemia; fa di tutto per scappare (illegalmente) dalla città blindata, non sentendosi parte integrante di essa, e non riconoscendosi nei suoi abitanti: la peste non è affar suo, sostiene inizialmente. Tuttavia, nonostante le sue comprensibili ragioni, alla fine, appena prima di partire, decide di rimanere e aiutare gli altri personaggi tra le file delle formazioni sanitarie: «... mais il peut y avoir de la honte à être heureux tout seul […] Rien au monde vaut qu'on se détourne de ce qu'on aime. Et pourtant je m'en détourne, moi aussi, sans que je puisse savoir pourquoi»19.

La storia si divide in cinque parti; è proprio nell'ultima che la peste finalmente perde terreno: torna la speranza dopo mesi di monotona ostinazione: «On peut dire d'ailleurs qu'à partir du moment où le plus infime espoir devint possible pour la population, le règne effectif de la peste fut terminé»20. Camus ha parlato spesso della speranza, o della sua

mancanza, durante la narrazione: chi spera di non vedere i propri cari morire, chi spera di poter riabbracciare qualcuno che è rimasto fuori da Orano e da cui è per questo motivo diviso, chi, dopo mesi di epidemia, è rassegnato alla nuova vita e ha accettato la quotidianità della malattia.

18 Ivi, p. 126. 19 Ivi, pp. 190-191. 20 Ivi, p. 245.

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Un certo eroismo, infine, emerge dalle pagine di questo romanzo, ed è il messaggio che vuole trasmette Camus: non l'eroismo di un “superuomo” che è più potente dei comuni uomini e che è diverso da essi, ma quello degli esseri umani in quanto tali, tanto come singoli che come umanità unita:

Et Tarrou, et Rieux, et leurs amis pouvaient répondre ceci ou cela, mais la conclusion était toujours ce qu'ils savaient: il fallait lutter de telle ou telle façon et ne pas se mettre en genoux. Toute la question était d'empêcher le plus d'hommes possible de mourir et de connaître la séparation définitive. Il n'y avait pour cela qu'un seul moyen qui était de combattre la peste. Cette vérité n'était pas admirable, elle n'était que conséquente21.

Per Camus, combattere la peste non è un atto eccezionale: è semplicemente ciò che un essere umano fa davanti all'assurdità della condizione che si trova a vivere, è una conseguenza del suo stesso essere umano. Soprattutto perché, conclude il narratore, la malattia non è stata eradicata definitivamente: come sottolinea lo studioso Jeanyves Guérin, «[l]e titre fait sens: La Peste, non pas Une Peste. La lutte contre le fléau est à recommencer sans cesse»22. Ed è proprio così che si conclude l'opera: con

un Rieux stanco, conscio del fatto che il morbo si sia solo assopito, che prima o poi si risveglierà, che gli abitanti di Orano avranno nuovamente bisogno di unire le proprie forze contro la peste.

21 Ivi, pp. 125-126.

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2.4 L'homme révolté

Eccoci allo scritto filosofico camusiano sulla rivolta per eccellenza: l'Uomo in rivolta, saggio che supera, senza negare, Il mito di Sisifo, dando una prima risposta all'assurdo: la solidarietà, la pensée de midi, l'amore. Infatti anche L'homme révolté ha come punto di partenza l'assurdo; tutto inizia con quel raisonnement absurde del saggio precedente, che ora ha bisogno di fare un ulteriore passo: Camus dice infatti che è impossibile mantenersi nell'assurdo, date le innegabili contraddizioni che da esso derivano. Ecco in che senso L'homme révolté supera, come già sottolineato, il Mythe de Sisyphe: questa opera «costituisce un vero e proprio rinnegamento dell'assurdismo affermato nel Mythe e negli altri scritti»23,

sente la necessità di superarlo, dopo averlo posto.

Uno schiavo che dice no: ecco la prima immagine del primo capitolo dell'opera: «Si confusément que soit, une prise de conscience naît du mouvement de révolte: la perception, soudain éclatante, qu'il y a dans l'homme quelque chose à quoi l'homme peut s'identifier»24. L'autore

afferma fin da subito che c'è un quelque chose che è proprio dell'uomo, che gli fornisce la sua identità di essere umano: esiste una nature humaine, dunque, come sostenevano gli antichi Greci, a cui Camus consapevolmente si rivolge; e la rivolta, sebbene parta da un movimento di rifiuto che nasce nel singolo uomo, finisce inevitabilmente per riguardare tutti gli uomini. La rivolta esige questa universalità, perché «[d]ans la révolte, l'homme se dépasse en autrui et, de ce point de vue, la solidarité humaine est

23 Stelio Zeppi, Camus: un uomo in rivolta, Nuova Accademia, Milano, 1965, p. 122. 24 Albert Camus, L'homme révolté, Gallimard, Paris, 1960, p. 26.

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métaphysique» 25.

L'opera distingue due tipi di rivolta: la révolte métaphysique e la révolte

historique. I Capitoli II e III, focalizzati l'uno sulla prima e l'altro sulla

seconda, e che occupano gran parte dell'opera, servono a Camus per fare un resoconto dei modi in cui di volta in volta la rivolta si è manifestata negli ultimi secoli.

Nel Capitolo II Camus fissa come punto di partenza cronologico della propria trattazione la fine del XVIII secolo, periodo nel quale, egli afferma, si affaccia nella “storia delle idee” la teorizzazione “coerente” della rivolta metafisica (sebbene i suoi modelli siano anteriori di molto a tale data) e da quel momento l'umanità stessa cambia, perché le conseguenze di tale teorizzazione sono visibili anche nel momento in cui l'autore scrive. Più nello specifico, Camus definisce così il primo tipo di rivolta individuato: la rivolta metafisica «est le mouvement par lequel un homme se dresse contre sa condition et la création tout entière. Elle est métaphysique parce qu'elle conteste les fins de l'homme et de la création»26. E subito si sofferma su

Prometeo, eroe “lucido” così come Eschilo lo descrive: per Camus questo è l'esempio lampante che anche gli Antichi sapevano che esiste una rivolta

metafisica, e Prometeo ne sarebbe l'incarnazione, modèle à l'insurrection27.

Così Camus parla anzitutto dei Greci, di Epicuro e Lucrezio.

Poste queste premesse, Camus fa un salto di diversi secoli e riparte dal Marchese de Sade e dai dandys; esaminando Dostoïevski e il suo Ivan Karamazov, Stirner, e dando ampio spazio a Nietzsche e il nichilismo, che torneranno più avanti nell'opera; finendo con Lautréamont, Rambaud e la

25 Ivi, p. 29. 26 Ivi, p. 39. 27 Ivi, p. 44.

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poésie révolté.

Nel Capitolo III l'attenzione si sposta sulla rivolta storica, e cronologicamente arriva fino al Novecento:

comme la révolte métaphysique voulait l'unité du monde, le mouvement révolutionnaire du XXᵉ sècle, arrivé aux conséquences les plus claires de sa logique, exige, les armes à la main, la totalité historique […] Mais la totalité est-elle unité? C'est la question à laquelle cet essai doit répondre28.

L'omicidio in particolare, anche nelle declinazioni di regicidio o

deicidio, è una caratteristica della quasi totalità delle rivoluzioni; la rivolta

storica inizia con i regicidi, uccide i sovrani, incarnazione del divino in terra, ma non, per il momento il principio divino ed eterno. È, più precisamente, con gli avvenimenti 1793 che, secondo Camus, inizia l'era della rivoluzione e finisce quella della rivolta: quello è infatti l'anno dell'esecuzione di Luigi XVI, in gennaio, e di Maria Antonietta, in ottobre. Non sarebbe corretto affermare che nessun re fosse stato ucciso prima di quella data: ma, sottolinea Camus, prima di allora il popolo aveva ucciso il proprio sovrano per porne un altro sul trono, con la speranza che fosse più giusto. Dopo il 1793 persino questo importante aspetto cambiò: la figura del re che è tale per volere divino, che è l'origine della sua legittimazione, crollò con quell'unico colpo di ghigliottina. E inoltre, aggiunge Camus, ciò fu possibile grazie alla pensée libertine, che ha messo Dio in questione, e con Dio il re, suo rappresentante in terra, e di conseguenza ha iniziato a ragionare sul problema della giustizia, che essi identificavano con

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l'uguaglianza.

Particolare interesse hanno i capitoli dedicati ai regni del Terrore. Camus ne indica allora tre modelli: quello del terrorisme individuel: con questa espressione Camus si riferisce soprattutto ai terroristi russi del XIX secolo e dell'inizio del XX secolo, tra cui i meurtriers délicats che incontreremo in una sua opera teatrale; quello del terrorisme d'état, ma irrazionale: fascismo e nazismo rientrano in questa categoria, ed è sottolineato come soprattutto Hitler fu un tiranno particolare, che non ha lasciato niente, il cui unico scopo era il successo per sé stesso, e il resto era solo distruzione senza creazione, uno dei massimi emblemi di quello che Camus chiama nichilismo assoluto:

La révolution nihiliste, qui s'est exprimée historiquement dans la réligion hitlérienne, n'a ainsi suscité qu'une rage démesurée de néant, qui a fini par se retourner contre elle-même. La négation, cette fois au moins et malgré Hegel, n'a pas été créatrice. Hitler présente le cas, unique peut-être dans l'histore, d'un tyran qui n'a rien laissé à son actif29;

infine quello del terrorisme d'état e razionale: si tratta del comunismo russo, lo scacco della profezia che Marx aveva pronunciato quasi un secolo prima:

Le communisme russe, au contraire, a pris en charge l'ambition métaphysique que cet essai décrit, l'édification après la mort de Dieu, d'une cité de l'homme enfin divinisé. Ce nom de révolution auquel

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l'aventure hitlérienne ne peut prétendre, le communisme russe la mérité […] comme but la révolution définitve et l'unification finale du monde30.

È proprio in queste pagine, dunque, che Camus parla della storia più recente, di fascismo, nazismo e stalinismo, e che affronta filosoficamente il problema della loro nascita e della loro esistenza.

Infine, nei Capitoli IV e V il focus si sposta sul ruolo dell'arte, della creazione artistica, e sulla pensée de midi.

In quest'opera, l'arte è vista come uno specchio in cui osservare la rivolta secondo la definizione che le dà Camus: «La création est exigence d'unité et refus du monde. Mais elle refuse le monde à cause de ce qui lui manque et au nom de ce que, parfois, il est»31. Soprattutto nel romanzo si

può assistere, dice Camus, ad una vera e propria creazione del mondo: è a partire dal mondo reale che l'artista lavora, ma non creando un nuovo ed inedito universo, bensì correggendo questo, in cui viviamo e che sperimentiamo, in qualche modo: ecco cos'è la vera creazione, un levare e conservare, un modificare ma senza distruggere, un sì e un no, una dialettica tra ciò che esiste già effettivamente e ciò che di nuovo ed inedito viene creato: oltrepassare il mondo per come è senza davvero lasciarlo. Un rifiuto che non è negazione assoluta, che costruisce qualcos'altro: arte che non è né può essere rifiuto totale, ma ha in essa una parte di consenso: «c'est ainsi qu'il (l'arstista) concurrence la création et qu'il triomphe,

30 Ivi, p. 232. 31 Ivi, p. 313.

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provisoirement, de la mort»32. Malinconia, nostalgia, bisogno metafisico.

2.5 La rivolta a teatro

Camus compose quattro opere teatrali originali, più una serie di adattamenti di romanzi famosi. Le quattro opere in questione sono:

Caligula e Le malentendu, i cui protagonisti sono degli hommes absurdes:

Caligola nell'opera omonima, e Martha e Jan nel Malentendu; e L'état de

siège e Les justes, in cui i protagonisti sono invece hommes révoltés: Diego

nella prima, Dora e Ivan nella seconda.

Contrariamente alle aspettative del pubblico, Camus non traspose La

peste in un'opera da rappresentare a teatro; sebbene, quindi, il soggetto sia

molto simile, la trama e i personaggi de L'état de siège differiscono molto da quelli del contemporaneo romanzo, e proprio per questo la pièce, rappresentata per la prima volta nel 1948, non ottenne il successo sperato. Tuttavia rimane il medesimo Leitmotiv principale, che è quello della lotta di una cittadina contro la malattia mortale che arriva all'improvviso e che, dopo aver mietuto vittime, se ne va, sconfitta, ad infettare altre città e altri uomini.

Una importante differenza tra romanzo e pièce è che la Peste, nella seconda, non è solo la malattia, ma compare come personaggio che agisce ed interagisce con gli altri; si tratta dell'antagonista della vicenda, un despota che vuole conquistare la città e imporre la propria legislatura.

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Anche l'ambientazione si sposta, approdando in Europa: ne L'état de siège gli appestati sono gli abitanti di Cadice, in una Spagna oppressa dal regime franchista.

La storia si apre con un cattivo presagio: una cometa illumina, inaspettata e sinistra, il cielo notturno sopra Cadice. Gli abitanti si allarmano: il morbo è arrivato, e inizia a contare le sue vittime. Il governatore, che non ama gli stravolgimenti, cerca di contenere maldestramente la situazione, finché un nuovo attore entra in scena: è la Peste, che spodesta il governatore e diventa egli stesso il capo della cittadina, assieme alla propria Segretaria, che rappresenta la morte. Tuttavia, come nel romanzo La peste, anche in quest'opera non mancano focolai di resistenza alla malattia: è una giovane e innamorata coppia, Diego e Vittoria.

Anche in questo caso il regime della Peste, e stavolta fuor di metafora, rappresenta lo Stato totalitario: regime burocratico, centralizzato, violento, di cui la Peste stessa è il dittatore. Ancor più che ne La peste, il linguaggio è permeato di lessico che rimanda senza ombra di dubbio a quello dei regimi totalitari: la Peste parla di morti ordinate secondo una lista precisa, appuntata nel taccuino dell'infallibile Segretaria, di uffici e certificati, di società perfettamente organizzata, come una macchina, di obbedienza e colpevolezza degli innocenti, di lavoro inutile, di déportations e

concentrations. Anche l'organizzazione del nuovo governo della cittadina

contribuisce a ciò: la Segretaria rimarca spesso come il nuovo stato voglia ordinare e organizzare tutti i dettagli della vita sociale, e anche come lo Stato stesso diventi invasivo nei confronti del cittadino, fino ad invadere i rapporti più intimi, quelli della famiglia. È un regime che trasforma a proprio piacimento tutti gli innocenti in colpevoli. È un regime violento che non ammette opposizione. Che crea un nuovo linguaggio, e vuole eliminare

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certe parole (come “amour”), affinché non esista più comunicazione efficace tra le persone, che si sentiranno così più isolate e vulnerabili. Lo studioso Jeanyves Guérin sottolinea la vicinanza tematica di quest'opera ad un'altra, sua contemporanea: 1984 dello scrittore britannico George Orwell.

Diego è il protagonista principale della storia, ed è colui che, sacrificando la propria vita per salvare Victoria e tutti i concittadini, riesce a scacciare la Peste e la sua Segretaria: infatti chiede di essere ucciso al posto dell'amata, che era stata presa in ostaggio, e rifiuta la proposta ingannatrice della Peste di avere la possibilità di fuggire con Victoria in cambio dell'intera cittadina. Diego è un personaggio che possiede molti tratti già riscontrati nel protagonisti di altre opere camusiane: naturalmente ricorda in primo luogo Rieux, in quanto entrambi combattono con tenacia in prima linea contro la malattia, la stanchezza, e la paura, essendo animati da uno smisurato amore per i propri concittadini. Tuttavia la sua passione per la vita, l'iniziale sgomento e desiderio di lasciare la città impestata, e anche il fatto che abbia un'amante lo differenziano dal medico di Orano e avvicinano ad altri personaggi, come Tarrou e soprattutto Rambert. Ancora, Diego è un personaggio che cambia pensiero e atteggiamento diverse volte attraverso i tre atti della storia, contro Rieux che invece rimane sempre abbastanza coerente con sé stesso: se nella prima parte Diego è un ragazzo che vuole realizzare il proprio sogno romantico, nella seconda parte ha una grande paura, finché alla fine non prende coscienza delle proprie decisioni e per combattere il tiranno accetta la morte con fermezza e senza paura.

Victoria, protagonista femminile, è un altro esempio solidarietà contro la Peste, cioè il tiranno violento, perché rimane al fianco di Diego fino alla sua morte, per poi unirsi al coro delle altre donne della città. Victoria, al contrario di Diego, è mossa unicamente dall'amore che ha per lui, e si mostra molto più attaccata al suo ideale; tuttavia proprio questo stesso

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ideale le dà una fermezza di fronte alla minaccia di perdere la vita che l'amato, almeno inizialmente, non ha.

Importante è inoltre notare che, ancora una volta, Camus usò immagini naturali come simboli che nascondono un ulteriore significato. Come Orano, infatti, anche Cadice si affaccia sul mare; solo che quest'ultima non gli volta le spalle, anzi: il Coro invoca il mare, vorrebbe raggiungerlo per scappare dalla peste. Anche nel romanzo Rieux e Tarrou guardano da lontano il mare e la luna che vi si specchia, per poi decidere di scendere in spiaggia, e anche in quel caso l'avvinarsi al mare è in qualche modo catartico, l'unico evento che fa loro dimenticare, per un attimo, l'imperversare della malattia. Il mare, in Camus, è sempre simbolo di vita, di apertura, di via di scampo. Ne L'état de siège, poi, i cittadini si appellano ad un altro importante elemento naturale, che è il vento: simbolo di purificazione e libertà, perché la sua corsa può trascinare con sé la pestilenza, lontano, dove essa non può più uccidere, scuotendo quell'immobilità che la Peste impone. Infatti, come nel romanzo anche nella pièce i cittadini sono bloccati entro la città: la solitudine, l'impossibilità di comunicare con gli altri uomini che stanno fuori da quelle mura, un senso di impotenza sono condivisi dai cittadini di Orano e da quelli di Cadice. Allora il vento e il mare, la natura più prossima a queste due piccole città, sembrano l'unica speranza di libertà.

Come nella tragedia greca, infine, grande importanza ha il Coro, a cui Camus conferisce, per la prima volta, un ruolo molto particolare: esso mostra la dimensione comunitaria del dramma di Cadice; anzi, Camus ha inserito due cori, un Chœur generale e uno Chœur des Femmes. Il primo raccoglie i sentimenti che provano tutti gli abitanti della cittadina e dà loro uno solo e medesimo sfogo, e sottolinea i momenti più drammatici del racconto: perciò esso ha la medesima funzione che ne La peste avevano i

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capitoli dedicati specificamente a descrivere la situazione generale di Orano e i sentimenti condivisi dei suoi cittadini. Il Coro femminile invece offre un punto di vista privilegiato e più consapevole del medesimo dramma, ed è ad esso che Victoria si unisce dopo il sacrificio di Diego. Camus, come sempre, dà grande importanza ai moti di unione tra gli uomini. In entrambi i casi, inoltre, si vede come Camus non abbia, come nemmeno ne la La

peste, abbandonato i momenti di alto lirismo e l'ideale di unione con la

natura propri già di Noces e de L'envers et l'endroit:

LE CHŒUR

Ah Cadix, cité marine! Hier ancore, et par-dessus le détroit, le vent du désert, plus épais d'avoir passé sur les jardins africains, venait alanguir nos filles. Mais le vent est tombé, lui seul pouvait purifier la ville […] qu'il se passe quelque chose, que nous y sommes enfin et qu'il faut fuir, fuir sans tarder avant que les portes se referment sur notre malheur33.

Sebbene non sia opera che voglia essere strettamente fedele alle vicende storiche a cui si ispira, Les justes mette in scena gli assassini

delicati russi; e soprattutto mette in scena la contraddizione tra rivoluzione,

al cui ideale aderisce solo il personaggio di Stepan, e rivolta, il cui esemplare esempio sono i due protagonisti, Dora Doulebov e Ivan Kaliayev.

Nella Russia dei primi anni del Novecento, dunque ben prima della Rivoluzione di Ottobre, un gruppo di giovanissimi ribelli, socialisti

33 Albert Camus, L'état de siège, in Albert Camus, Théatre, récits, nouvelles, Préface par Jean Grenier, Textes établis et annotés par Roger Quilliot, Gallimard, Paris, 1962, p. 223.

Riferimenti

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5 Jacqueline Lévi-Valensi : Albert Camus où La naissance d’un romancier (1930-1942), Paris, Gallimard, 2006. 6 Paul Viallaneix, Le Premier Camus, suivi de Ecrits de jeunesse