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La contea aldobrandesca nel contesto politico generale

Si è finora considerata l’influenza di Siena e Orvieto sulla contea at- traverso il ricorso a semplici legami politici o a veri e propri interventi isti- tuzionali. Il controllo comunale, però, si affermò solo lentamente, nono- stante la forza economica e militare delle città. La sua legittimità, del re- sto, rimase a lungo incerta e solo nell’ultimo quarto del secolo l’orienta- mento sempre più netto dei due rami famigliari, rispettivamente verso Orvieto e Siena, rese quei legami stabili, anche se dalle forme ancora da precisare. Al contrario l’inserimento della contea nelle più ampie strutture politico-istituzionali che ancora nel XIII secolo governarono la Cristianità non fu mai in questione; problematica fu piuttosto la capacità di papato e impero di rendere efficace la propria legittima autorità.

Fin dalle origini gli Aldobrandeschi avevano legato i momenti di maggiore affermazione politica a uno stretto rapporto con l’autorità impe- riale, sebbene non mancassero periodi di resistenza a sovrani pure molto attivi in Tuscia. Anche le lunghe fasi di eclissi del potere imperiale o di ostilità tra conti e “autorità pubblica” non obliterarono mai la consapevo- lezza del legame preferenziale esistente con l’impero e della natura “pub- blica” dei poteri comtali. Persino nel mezzo secolo che vide in Tuscia la frantumazione dell’ordinamento pubblico e l’irraggiamento dei poteri si- gnorili (fenomeni maturati in una fase di travagliati rapporti con l’impe- ro), sopravvisse una coscienza delle peculiari caratteristiche famigliari, che consentì l’avvio del processo di costruzione della contea dopo la svol- ta del secolo.

Con tali premesse e data l’importanza non marginale che i legami con l’impero e l’appropriazione di simboli e modelli ideologici “pubblici” (si pensi per tutti al titolo di conti palatini) ebbero nello sviluppo della con- tea, è naturale che i rapporti con i sovrani vadano considerati in uno stu- dio sull’edificio costituzionale della contea. L’assunzione di movenze “pubbliche” costituì infatti di per sé un riconoscimento dell’autorità regia, né mancarono sotto i primi sovrani svevi fenomeni di ben più esplicita adesione. Perciò alla morte di Enrico VI, al momento cioè da cui si può far partire la nostra indagine, l’inserimento del principato nella struttura costi- tuzionale dell’impero non era certo in questione; essa anzi vi aveva trovato un suo preciso ruolo, che spettava però ai sovrani di riempire di contenuti, e tale capacità — come è noto— mancò loro per gran parte del secolo.

Più complessi sono invece i rapporti con Roma: anche i papi aveva- no antiche e formalmente ineccepibili ragioni di rivendicare l’alta signoria sulla contea: gran parte del suo territorio faceva infatti parte dell’area do-

1 Vd. Liber Censuum, I, n. 3, p. 8*, a. 1207 lug. 31, Ildebrandino VIII presta

l’omaggio ligio a Innocenzo III «pro castro Montis Alti, comitatu de Rosellis et aliis terris, quas tenebat ab eo, sicut apparet per privilegia Romane ecclesie»; cfr. supra pp. 219-20.

2 Ibid.

3 Per Montalto vd. supra p. 256; per l’enfiteusi vd. supra p. 265.

nata a san Pietro da Carlo Magno e Ludovico il Pio e persino di quella ef- fettivamente governata all’inizio del IX secolo. E infatti Ludovico II, crea- ta la complessa circoscrizione amministrativa affidata a Ildebrando II, la fece riconoscere da Benedetto III. Ma tale remota concessione non ebbe seguito nemmeno negli anni dei pontefici riformatori al cui schieramento aderirono gli Aldobrandeschi. Così Innocenzo III, allorché riallacciò — o meglio instaurò ex novo — un rapporto istituzionale con la contea, non poté rifarsi a nessuna puntuale concessione precedente, ma dovette ri- chiamarsi a generici «privilegia Romane ecclesie»1. Il vigore dei legami da

lui instaurati, la cura dei successori nel mantenerli vivi e, soprattutto, la maggior forza del papato rispetto all’impero nel XIII secolo in Toscana fecero però dell’autorità pontificia un elemento ben più concretamente presente. Il fatto poi che il ramo di Guglielmo, che intraprese il più con- seguente progetto “principesco”, fosse politicamente legato ai pontefici, rese più necessaria la loro legittimazione, rafforzandone così l’autorità.

8.2.a La chiesa di Roma

Abbiamo appena ricordato le origini dei diritti papali sulla contea e l’azione di Innocenzo III alla morte di Enrico VI. Egli affermò allora la propria sovranità e impose agli Aldobrandeschi un duplice impegno: dap- prima, forse nel 1198, Ildebrandino VIII giurò la fidelitas, preliminare al riconoscimento dell’omaggio ligio; poi nel 1207 prestò effettivamente tale omaggio, riconoscendo di tenere in feudo dal papa Montalto, il comitato di Roselle e altri imprecisati beni2. Innocenzo raccoglieva così, amplian-

dola e trasformandola qualitativamente, l’eredità di precedenti e più limi- tate concessioni: come l’infeudazione di Montalto a Ildebrandino VII (v.1160-86) e l’enfiteusi allo stesso conte dei beni maremmani del mona- stero delle Tre Fontane di Roma3. I legami instaurati dal pontefice erano

però del tutto innovativi, perché non miravano al trapasso di specifici di- ritti, ma all’affermazione di una generica autorità politica sulla contea. L’azione di Ottone IV ne causò un momentaneo ridimensionamento, ma finita questa esperienza, il controllo di Innocenzo dovette riaffermarsi, pur in assenza di manifestazioni clamorose: va infatti ricondotto agli ulti- mi anni del suo pontificato (o ai primi del successore) un giuramento di fedeltà di Ildebrandino IX, ricordato nella conferma al fratello Bonifacio.

4 Liber Censuum, I, n. 206, pp. 458-59, a. 1225 ago. 7: «Papatum Romanum et re-

galia beati Petri que Romana ecclesia habet et specialiter civitatem et comitatum Suganum cum castellis et villis et omnibus suis pertinentiis, civitatem et comitatum Rosellensem et Crossetanum cum villis et castellis et suis pertinentiis, districto, placito et cum omni datio- ne et reditu suo, et cum omnibus aliis terris, quas frater et pater suus comes Ildebrandinus a Romana curia tenuerunt, adiutor erit ad defendendum et retinendum». Il conte promise anche di non dividere il feudo.

5 Ibid.: «de predicto feudo et terris et rebus iamdictis per coppam argenteam inve-

stivit, precipiens eidem, ut se coram domino papa et suis fratribus ad prestandum homa- gium representet; excepto tamen castro Montis Alti, de quo eum non investivit».

6 RS, n. 735, pp. 325-26, a. 1227 set. 19. 7 Vd. supra p. 329.

8 Reg. Gregorii IX, n. 948, I, coll. 579-80, a. 1232 dic. 4, Guglielmo si era rifiutato

di obbedire al papa ed era stato perciò scomunicato, ma si era poi sottomesso al giudizio e ora era pronto a rifondere i danni.

Il potere papale sembra comunque essere rimasto solo formale, alme- no fino al 1225, quando Onorio III inviò a Sovana il suo cappellano Gia- cinto per avere una conferma del giuramento di fedeltà da parte di Bonifa- cio: il conte promise allora di ottemperare ai doveri del consilium et auxi-

lium e di difendere il papato e i beni che ne aveva in feudo, e cioè i comi-

tati di Roselle e Sovana con le pertinenze e i poteri giurisdizionali4. In

cambio, il cappellano lo investì formalmente del feudo, ad eccezione di Montalto5. La situazione era però ben diversa da quella del 1207, quando

Ildebrandino VIII era intervenuto al parlamento di Montefiascone, tenuto da Innocenzo III per riaffermare i diritti della chiesa, né è del resto noto se Bonifacio si recò mai a Roma a prestare a Onorio III l’omaggio promesso.

Il pontificato di Gregorio IX vide un più coerente sforzo di controllo della contea, passato innanzitutto per il tentativo di porsi come istanza giurisdizionale in controversie legali. Lo mostra una lettera del 1237, che ricorda i provvedimenti minacciati contro i conti nella causa per il sacco di Grosseto del 1224, in quanto correi con i Senesi6. Si hanno poi gli atti con-

cernenti la causa celebrata nel 1229 dall’abate di Turri, giudice delegato di Gregorio, nelle discordie tra Siena e Aldobrandeschi per i danni dati dai conti e per alcuni loro debiti nei confronti di cittadini senesi7. Nel 1232 in-

fine il papa scrisse al castellano di Montefiascone per precisare i dettagli di una sentenza pronunciata contro Guglielmo nella causa intentatagli dall’abate delle Tre Fontane per l’invasione del castello di Strachilagi8. Per

affermare la competenza giurisdizionale sulla contea, Gregorio insistette in queste lettere sulla dipendenza vassallatica dei conti e sul loro obbligo di fedeltà, giungendo a ventilare la revoca del feudo, possibilità certo assai remota, ma che mostra l’evoluzione, almeno a livello teorico, verso una più

9 Vd. RS, n. 735 cit. nt. 6: Bonifacio e Guglielmo sono definiti «ecclesie Romane

fideles»; il papa ricorda inoltre «saepe proponi coram se, quod ipsi G(uilielmus) et B(oni- fatius) causam excidio Grossetane civitatis dederunt, Senenses cives ad eius exterminium inducentes, propter quod feudo eos privare posset, si rigorem vellet temptare».

10 Reg. Gregorii IX, n. 2027, a. 1234 lug. 26, ed. MGH, Epistulæ sæculi XIII, I, n.

590, pp. 478-79. Un ambasciatore fu Amator miles, forse il dominus Amadore de Crosseto, fra i giuranti per Bonifacio nel lodo del 1216, vd. CDO, n. 107, pp. 74-78, a.1216 ott. 22-29.

11 Vd. Reg. Gregorii, IX, n. 2094, a. 1234 set. 27, ed. MGH, Epistulæ sæculi XIII, I,

n. 597, pp. 484-85; e Reg. Gregorii IX, n. 2095, a. 1234 set. 27, ed. MGH, Epistulæ sæculi XIII, I, n. 598, p. 484 e Reg. Gregorii IX, n. 2096, I, col. 1131, a. 1234 set. 27, i due dove- vano far pressione sui comuni «ut ab iniuriis et molestiis dicti comitis nec non ab exactio- nibus faciendis in comitatu eiusdem sublata dilatione desistant».

12 Ibid., n. 3032, II, coll. 300-302, a. 1235 apr. 12 (ma intorno al 16 mag.); cfr. an-

che ibid., n. [3019], II, coll. 291-92, a. 1235 (apr.-ago.).

salda signoria papale9. Per valutare adeguatamente il livello del controllo

papale sulla contea, però, va considerato che a ricorrere al pontefice furo- no sempre le parti avverse, e non gli Aldobrandeschi; è poi significativa la difficoltà di Gregorio IX nel dar seguito alle sentenze o anche solo nel far presentare i conti: a farsi riconoscere cioè come autorità giudicante.

Questi atti mostrano, nel complesso, un’attitudine tutt’altro che po- sitiva del papa verso la famiglia, costantemente perseguita e renitente a ri- conoscerne l’autorità. Una netta svolta è costituita, nell’estate del 1234, dall’accordo tra Guglielmo e il papa. Il primo, per mezzo di due amba- sciatori, si dichiarò pronto a «militare in obsequium Romane ecclesie» e in cambio Gregorio IX risolse di premiarlo in quanto «in fidelitate ac de- votione sedis apostolice persistentem» e lo prese così «cum omnibus bo- nis suis sub protectione ac defensione (…) apostolice sedis»10. Nel set-

tembre successivo, lodando ‘multos labores’ ed ‘expensas’, cui si era sot- toposto Guglielmo per la chiesa, il papa confermò la propria protezione a lui, alla moglie Tommasa, ai figli e a tutto i loro beni. Fece poi seguire a tale generica promessa un’azione concreta: scrisse ai presuli di Pisa e di Viterbo affinché agissero nei confronti delle autorità comunali di Siena e Orvieto per farle desistere da molestie e indebite esazioni nella contea11.

È questo il primo riconoscimento esplicito papale della contea aldobran- desca come realtà istituzionale, senza richiamarsi agli ormai vetusti quadri di governo carolingi o senza riferimenti volutamente generici al patrimo- nio del conte; questo fatto e il concreto impegno del pontefice in sua dife- sa mostrano il saldarsi dei legami tra le parti. Lo conferma del resto la pa- ce del 1235 tra Gregorio IX e il senatore Angelo Malabranca, rappresen- tante del comune di Roma, nella quale Guglielmo è ricordato fra gli «adiutores et fautores Ecclesie»12.

13 Vd. ASSi, dipl., ARif, a. 1235 feb. 9 (= 1236), reg. CIACCI, II, n. 372; e Reg. Gre-

gorii IX, n. 3394, II, coll. 511-12, a. 1236 dic. 10.

14 Ibid., n. 5138, a. 1240 apr. 23, ed. MGH, Epistulæ sæculi XIII, I, n. 772, pp. 671-

72: «et si eadem ecclesia Romana cum hostibus suis ad pacem redire contigerit, te ac ho- mines comitatus tui Ildebrandisci ad Romanam ecclesiam pertinentis pacis expertes nulla- tenus relinquemus».

15 Oltre che nel passo citato a nt. 14, la contea è ricordata nella formula di accogli-

mento sotto la protezione: «Et ut hoc melius et efficacius affectu exequi valeas et effec- tum, tuam, T(homasie) uxoris et filiorum tuorum personas in fidelitate ac devotione sedis apostolice persistentes cum integritate comitatus Ildebrandisci ac omnibus aliis bonis tuis de fratrum nostrorum consilio sub beati Petri et nostra protectione suscipimus et presentis scripti patrocinio communimus»; cfr. infra p. 407 e nt. 27.

16 Vd. Reg. Innocentii IV, n. 306, ed. MGH, Epistulæ sæculi XIII, II, n. 43, p. 34, a.

1243 dic. 11, lettera a Guglielmo per stabilire «ut ex eo quod censum ipsum per huiusmo- di tempus discordie non solvisti, iuri tuo non preiudiceret in futurum, nec illum durante ipsa discordia, nisi ad manus tuas dicta terra redierit, solvere tenearis»; e Reg. Innocentii IV, n. 393, a. 1244 gen. 16, ed. MGH, Epistulæ sæculi XIII, II, n. 48, pp. 37-38, i vescovi ordinino ai loro diocesani «ne aliquod castrum seu redditus comitatus Ildibrandisci a Prin- cipe seu nuntiis vel vicariis eius titulo pignoris recipiant pro aliqua pecunie quantitate».

Da allora in poi si moltiplicano gli interventi pontifici contro le inge- renze e le azioni militari senesi, volte a riaffermare i termini del patto del 122113. Nell’aprile 1240, di fronte al profilarsi di un’invasione della con-

tea da parte di Federico II, Gregorio IX rinnovò la promessa di protezio- ne, insistendo su temi come la ‘constantia animi’ e la ‘magnanimitas’, virtù che Guglielmo avrebbe dovuto in futuro mostrare; garantì inoltre che non avrebbe trascurato i diritti di Guglielmo e degli «homines comitatus eius Ildebrandisci», ove fosse venuto a patti con l’imperatore14. Notevole è qui

la prima menzione del «comitatus Ildebrandiscus» dopo quasi mezzo se- colo di stretti legami15. A nulla valsero le parole del papa, se non quanto

all’invito alla costanza e alla pazienza; di lì a poco, infatti, la contea era nelle mani degli imperiali e a Guglielmo non rimase che l’esilio.

La costante attività del conte contro Federico II portò a ripetuti in- terventi del nuovo papa in difesa dei suoi diritti: dapprima, nel 1243, In- nocenzo IV ordinò che il mancato pagamento — a causa dell’occupazione imperiale — del censo dovuto da Guglielmo alle Tre Fontane non ne pre- giudicasse i diritti; scrisse poi nel 1244 ai vescovi di Firenze e Siena per- ché vietassero, pena la scomunica, a mercanti e abitanti delle proprie dio- cesi di accettare redditi o castelli della contea a garanzia di prestiti conces- si all’imperatore o a suoi ufficiali16. Anche l’impegno papale a non accor-

darsi con Federico II senza salvaguardare i diritti del conte non rimase lettera morta: una clausola del progetto di pace del marzo 1244 prevedeva infatti la restituzione a Guglielmo delle terre che aveva in feudo dalla

17 Vd. Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, 2: inde ab a. MCXCVIII

usque ad a. MCCLXII (1893), (ed.) L. WEILAND, rist. anast. Hannover 1963 («MGH, Le-

ges», IV/2), n. 246, pp. 334-37, a. 1244 mar. (28), n. 14 (cfr. infra p. 406); e Reg. Innocen- tii IV, n. 1573, ed. THEINER, Codex, I, n. 214, p. 121, a. [1245 ott.]: alla richiesta di Gu-

glielmo «dominus vero papa respondit comiti memorato, quod ius suum super dicto ca- stro et aliis, que ab ecclesia Romana tenebat, nolebat eidem comiti auferre».

18 Vd. Liber Censuum, I, n. 3 cit. nt. 1 per la distinzione; e Die Register Innozenz’

III., 2, n. 274, pp. 533-34, a. [1198-1200; 1198?] e Liber Censuum, I, n. 206 cit. nt. 4 per gli obblighi derivanti dalla fidelitas.

19 In ibid., I, n. 3 cit. nt. 1 il solo «ligium homagium» è direttamente prestato, succes-

sivamente alla fidelitas, «pro castro Montis Alti, comitatu de Rosellis et aliis terris». Va però notato che nelle altre due investiture, pur in assenza del ligium homagium, i beni sono ugual- mente confermati: la concessione feudale dipende quindi dal giuramento di fidelitas.

20 Reg. Innocentii IV, n. 1573 cit. nt. 17.

Chiesa, mentre il destino del resto dei suoi beni sarebbe stato deciso da un collegio arbitrale. L’anno successivo, poi, in seguito al recupero da par- te delle truppe pontificie di Montalto, al conte fu restituito il castello17.

Prima di considerare la situazione creatasi alla morte di Federico II, con il prevalere dello schieramento guelfo, ci si deve soffermare sull’evolu- zione del rapporto tra papato e Aldobrandeschi nella prima metà del XIII secolo, ripercorrendo le formule di protezione e di “formale concessione” dei beni famigliari. Costituisce un ostacolo a un’indagine simile il mutare della tipologia delle fonti sui rapporti tra le parti: mentre le più antiche so- no atti di investitura contestuali alla prestazione del giuramento di fedeltà, quelle successive sono lettere, concernenti la promessa di protezione o la conferma dei diritti famigliari. Emerge però un elemento di continuità, costituito dalla fidelitas che, nella sua ricchezza di sfumature semantiche, è sempre rammentata come tratto caratterizzante del rapporto. Essa è dap- prima distinta dal ligium homagium e sembra consistere in un impegno vassallatico tradizionale di tipo “debole”, che comporta il divieto di parte- cipare a congiure o attività militari contro il signore, l’obbligo di prestargli il consilium e di evitarne, per quanto possibile, i danni18. L’omaggio ligio,

invece, a quanto risulta dall’atto del 1207, l’unico in cui esso sia precisato, è più strettamente legato alla concessione feudale; sembra inoltre avere va- lenza più ampia, dato che comporta una partecipazione attiva alla difesa non solo dei beni concessi, ma di tutto il patrimonio del signore19. Una si-

mile distinzione scompare in seguito, così come il termine homagium/ho-

minium; lo conferma l’atto più simile a una registrazione di investitura, e

cioè la richiesta di Guglielmo, nel 1245, che gli fosse reso Montalto, per il quale era pronto a «fidelitatis facere sacramentum sicut anticessores sui et ipse consueverunt facere et fecerunt»20. Nel secondo quarto del XIII se-

21 Per il primo valore vd. Reg. Gregorii IX, n. 2027 cit. nt. 10, ibid., n. 2094 cit. nt.

11, ibid., n. 5138 cit. nt. 14; cfr. anche i più tardi Reg. Innocentii IV, n. 5521, a. 1152 gen. 9, ed. MGH, Epistulæ sæculi XIII, III, n. 129, p. 110 e ASVat, AA, Arm. I-XVIII, n. 3618, a. 1261 dic. 18 (copia del 18 mar. 1641).

22 Vd. Die Register Innozenz’ III., 2, n. 274 cit. nt. 18 e Liber Censuum, I, n. 206 cit.

nt. 4; per lo più usato nella formula «Ego fidelis ero …». Cfr. anche RS, n. 735 cit. nt. 6, Bonifacio e Guglielmo sono incidentalmente detti «ecclesie Romane fideles».

23 Vd. Reg. Gregorii IX, n. 2096 cit. nt. 11, Guglielmo è «ecclesie Romane vassal-

lus»; e i più tardi Reg. Innocentii IV, n. 5521 cit. nt. 21 e ASVat, AA, Arm. I-XVIII, n. 3618, a. 1261 dic. 18, Guglielmo (e poi Ildebrandino XII) è «vassallus apostolice sedis, de- votus noster».

24 Constitutiones, 2, cit., n. 246 cit. nt. 17: «Terra comitis Willelmi, que tenetur ab

ecclesia restituetur; de alia terra compromittitur in imperatorem Constantinopolitanum, dominos Ottonem cardinalem et .. archiepiscopum Rothomagensem».

25 Vd. Reg. Gregorii IX, n. 2027 cit. nt. 10, «personam tuam in fidelitate ac devotione

sedis apostolice persistentem cum omnibus bonis tuis sub protectione ac defensione nostra et apostolice sedis recipimus speciali»; ibid., n. 2094 cit. nt. 11, «tuam, T(homasie) comitisse uxoris ac filiorum tuorum personas etc.»; ibid., n. 5138 cit. nt. 14, «tuam, T(homasie) uxoris

colo perciò la fidelitas degli Aldobrandeschi nei confronti del papa com- prese in sé sia il più generico valore di obbedienza politica, sia un più limi- tato e preciso significato feudale21. Nel primo caso l’espressione si presen-

ta per lo più in endiadi con il termine devotio, sostanzialmente equivalen- te, ma forse dotato di valenza morale più che legale. Una parabola simile a quella del sostantivo fidelitas visse naturalmente il corrispettivo aggettivo

fidelis, impiegato in alcuni dei primi atti22, ma presto sostituito dal più tec-

nico termine vassallus, affiancato o meno dal “morale” devotus23.

Va rilevato che, nonostante ben presto i beni della famiglia vengano complessivamente descritti come feudo, non si manca di riconoscere oc- casionalmente la più limitata portata delle effettive concessioni papali, di- stinguendole da quelle imperiali (e forse dai beni allodiali)24. Cionono-

stante, specialmente a partire da Gregorio IX, la forza del vincolo perso- nale tra conte (fidelis e devotus) e pontefice (che gli offre protectio e defen-

sio) è tale da far aggio sullo stesso elemento reale, costituito dalla conces-

sione beneficiaria, assumendo valenze schiettamente politiche. Il fenome- no va certamente correlato all’opzione di Guglielmo di ‘militare’ per la Chiesa, accollandosi i conseguenti pericoli. È in conseguenza di questa scelta, portata avanti con coerenza, che il rapporto personale si allarga gradualmente: nel luglio 1234 riguarda solo Guglielmo e il suo patrimo- nio; nel settembre si estende alla moglie e ai figli; nel 1240 si generalizza all’intera contea; e nel 1252, infine, al momento di una conferma delle precedenti concessioni, la fedeltà al papato si fa addirittura, retrospettiva- mente, caratteristica tipica della famiglia, sulla quale essa avrebbe costrui- to le proprie fortune25. Potere delle mutevoli sorti della politica sulla me-

et filiorum tuorum personas (…) cum integritate comitatus Ildebrandisci etc.»; e Reg. Inno- centii IV, n. 5521 cit. nt. 21 (ripreso testualmente nella conferma del 1261) nell’arenga.

26 In Liber Censuum, I, n. 3 cit. nt. 1 si fa riferimento (ma è probabilmente ricordo

solo generico) a «privilegia Romane ecclesie». In ibid., I, n. 206 cit. nt. 4 il confronto è più

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