• Non ci sono risultati.

II. La tradizione manoscritta

II.2. La copia per passione

Per definire la copia per passione è necessario far riferimento a Vittore Branca il quale, già nel 1960, constatava che «la tradizione manoscritta delle opere del Boccaccio è caratterizzata da due fatti generali di ordine diverso: dai continui e imprevedibili interventi dell’autore, sensibilissimo alle più varie sollecitazioni culturali e spirituali; e dalla trasmissione operata, in massima parte, non da amanuensi di professione ma da copisti per passione» e, 86 proseguendo, che

accanto ai soliti centri di diffusione e trascrizione e di diffusione della cultura fiorentina del ‘300 (scrittoi e conventi: da quello nella casa stessa del Boccaccio e da quelli del Salutati e dello Zambeccari alle scuole di Santo Spirito e di Santa Maria Novella) si pongono con forza di propulsione inaspettata gli organi della nuova società finanziaria, cioè le compagnie più celebri, che attraverso i loro agenti fanno circolare le opere del Boccaccio (…). È tutta un’ampia legione di amanuensi irregolari e appassionati, che si strappano l’un l’altro gli originali, che li copiano per proprio piacere nelle pause dagli impegni civili o mercanteschi (…) che lontani dalla dolce terra di Toscana, per impegni di lavoro o per inesorabili condanne politiche, li trascrivono per consolazione propia e per passar maninconia».87

Le radici di tale fenomeno risalgono al XIII secolo, quando non è più necessario essere un chierico, un maestro, un notaio per poter trascrivere un testo, ma è sufficiente essere in grado di farlo. Certamente il grado di alfabetizzazione per procedere alla copia di un testo letterario volgare non può essere elementare, ma un libro

V.BRANCA, Copisti per passione… cit p. 69

86

Ibidem, p. 70

per uso personale o familiare non deve sottostare alle regole e al giudizio di un committente.

Per tracciare una linea guida di questo tipo di diffusione della produzione letteraria del Boccaccio si può far riferimento, ovviamente, alla tradizione del Decameron.

Alla metà del XIV secolo i tempi sono maturi per avere un nuovo pubblico di lettori costituito dalla nuova classe medio-borghese laica, artigiani mercanti e professionisti, dell’Italia centro- settentrionale. Questi lettori fanno della copia di un testo come il

Decameron, «epopea della borghesia mercantile in fortissima

ascesa» , una testimonianza tangibile della propria ascesa sociale, 88 delle proprie aspirazioni culturali. L’autoscrittura del testo, effettuata con la propria cultura grafica maturata in ambienti molto diversi da quelli fino a quel momento usuali per uno scriba, sottolinea la crescente voglia di indipendenza di questa emergente classe sociale dal mondo culturale legato tradizione monastica e ai più recenti centri universitari.

Certamente la pratica della copia per passione fu determinante per la diffusione del Decameron, in particolare per la sua prima diffusione (1376-1425), ma non maggioritario come ritenuto per molto tempo.89

Il più famoso copista per passione del capolavoro di Giovanni Boccaccio è certamente quel Francesco di Amaretto Mannelli, del

M. CURSI, Il Decameron… cit. p. 47.

88

Ibidem, pp 48 e pp. 140-142.

89

A questo proposito è interessante notare come nel suo già citato articolo su Ghinozzo Allegretti Giuseppina Fermetti lo definisca “copista per passione” retrodatando inoltre i codici dell’Acerba a lui attributi ad un periodo antecedente all’esilio. È stato ampiamente dimostrato con una attenta analisi paleografica e delle filigrane dei codici che questi manoscritti sono collocabili tra il secondo e il terzo decennio del XV secolo.

Cfr. G. FERMETTI, Un copista per passione…, cit. e M. CURSI, Ghinozzo di

quale avremo occasione di riparlare, che sottoscrive il codice 90 Pluteo 42.1 della Biblioteca Medicea Laurenziana . 91

Non tutti i copisti per passione, tuttavia, sono accurati e scrupolosi come Francesco di Amaretto Mannelli. La pratica di copia per alcuni di loro è legata a momenti particolari della vita, una infermità temporanea, un isolamento forzato dovuto a malattia, l’impossibilità di farsi carico di impegni civici, e molto spesso la scrittura è finalizzata al possedere un testo da poter leggere. È il piacere stesso della lettura a muoverli, non l’ambizione di possedere un codice di lusso o filologicamente corretto.

Il codice 1071 della Biblioteca Riccardiana di Firenze è dichiaratamente un esempio di copia per passione. Alla carta 25r la sottoscrizione: qui finiscie la chomedia delle ninfe fiorentine ordinata e

composta per lo eccellentissimo poeta giovanni boccaccio da ciertaldo di firenze scritto per mano di me girolamo Morelli per la moria del 1449 per mio piaciere.

La moria del 1449 citata dal copista è l’epidemia di peste che dal 1448 e il 1451 interessò in particolare le città di Milano Torino Venezia Firenze e Roma, parte della pandemia che imperversò in Italia e in Europa tra il 1347 e il 1844.92

Di Girolamo Morelli sappiamo che nacque a Firenze il 19 gennaio del 1428 da Matteo di Morello e Lena di Lorenzo Lenzi. La famiglia era piuttosto ricca e saldamente affermata ai vertici della

cfr. infra a proposito della Questione Claricio.

90

Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Pluteo 40.1 c. 172v Qui finiscie

91

ladecima (et)ultima giornata delllibro chiamato Decameron cognominato principe galeotto. Scripto p(er)me francesco damaretto mannelli dì XIII dagosto 1384. Deo sit laus (et)gloria i(n)ecternu(m) adhonore(m) egregie simacuspinis (et) be(n)eplacitu(m) (et)mandatum

C.GEDDES DA FILICAIA, M.GEDDES DA FILICAIA, Peste. Il flagello di Dio fra

92

Repubblica. Lo zio del padre Matteo fu quel Giovanni di Pagolo autore del celebre libro di Ricordi conservati autografi nell’attuale Magliabechiano II IV 52 della Biblioteca Nazionale di Firenze. 93

Girolamo probabilmente seguì in un primo momento le orme del padre presso l’Arte della Seta e già prima dei trent’anni iniziò il

cursus honorum degli incarichi civici, prima con ruoli secondari nel

1453-54 e poi con uffici maggiori quali i ruoli di priore nel 1459 e 1471, membro degli Otto di Guardia nel 1464 e 1470 e come ufficiale del Monte nel 1472-73. A coronamento di questa brillante carriera politica c’è l’ufficio del Gonfaloniere di Giustizia tenuto nel 1476. Fu poi ambasciatore presso il ducato di Milano nel 1478. Nel 1480 il suo nome compare tra i primi trenta membri della balia, la commissione istituita per formare il nuovo consiglio dei Settanta, magistratura creata dai Medici decisiva per il passaggio di potere tra la Repubblica e la nascente Signoria. La stessa balia nominò gli Otto di Pratica, incarico di durata semestrale per la sicurezza dello Stato. Morelli fu scelto tra i primi otto cittadini, ma non ebbe modo di assumere l’incarico. Morirà a Firenze il 22 agosto del 1480.

Il rapporto con la famiglia Medici fu stretto e costante nella vita di Girolamo Morelli, forse per questo la sua carriera politica fu così brillante e prestigiosa. Il padre Matteo curò attentamente le relazioni con la cerchia di Cosimo il Vecchio tanto che in quel 1449, anno della sottoscrizione del nostro codice, si ritrovò ad essere padrino di battesimo del neonato Lorenzo di Piero.

Fu Girolamo uno strettissimo collaboratore del Magnifico, sia per questioni personali e che pubbliche. Si conservano presso

G MORELLI, Ricordi, ed. critica a cura di V. Branca, Firenze Le Monnier 1956.

93

Nella parte del testo relativa ai modi di educare ed istruire i figli Giovanni Morelli dimostra una buona conoscenza delle opere di Boccaccio. Branca segnala inoltre che la descrizione del Mugello, luogo di provenienza della famiglia, è chiaramente di ispirazione boccacciana.

l’Archivio di Stato di Firenze, nel Fondo Mediceo Avanti il Principato, due lettere autografe di Girolamo a Lorenzo, datate 14 agosto 1469 e 18 ottobre 1474. Anche in queste missive, come nel 94 codice della Comedia delle Ninfe, la scrittura è una corsiva mercantesca, regolare e di piccolo modulo nella corrispondenza, meno accurata nella Comedia.

Non stupisce questa differenza: per la distanza ventennale tra i due documenti, influenzata inoltre dalla permanenza in ambienti cancellereschi di Girolamo, e per la diversa destinazione.

Il primo, la Comedia, un’opera letteraria copiata per mio piaciere da un giovane poco più che ventenne, il secondo, la corrispondenza con il Magnifico, una lettera indirizzata all’uomo più potente di Firenze affinché lo aiuti a combinare il matrimonio di una figlia. Tuttavia elementi di contatto sono la G capitale della firma della missiva e della sottoscrizione del codice, le aste lunghe e dritte sotto e sopra il rigo delle lettere p e s, la h cancelleresca.

Il Magliabechiano VI 103 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze è un altro esempio dichiarato di questa tipologia di copia, alla carta 137r il copista infatti sottoscrive il codice nel modo seguente: Hoc opus est Michaelis filiis d(omi)ni Petri de Mapheis quod

manu sua scripsit et co(m)pletum fuit die mercurij decimo me(n)sis aprilis 1465.

Di mano del copista sono anche le rubriche. Probabilmente la decorazione fu affidata ad un professionista nonostante sia limitata all’iniziale P alla carta 1r decorata con motivi geometrici in inchiostro rosso e alle iniziali di capitolo e componimento filigranate sempre in inchiostro rosso.

Firenze, Archivio di Stato, Mediceo Avanti il Principato 20 (516r) e 5 (823r).

Datato 1400, quindi da inserire nel novero dei codici più antichi della Comedia, è l’Ashburnaham 1346 della Biblioteca Medicea Laurenziana copiato a Siena da un tal Lorenzo da San Gemignano che lascia una sottoscrizione alla c 87v Scriptus (et) expletus per me

Laurentiu(s) de sancto gemignano i(n) siniga. die XV Martij. M.cccc° AMEN.

È un manoscritto cartaceo di fascicolazione regolare decorato solo nella carta incipitaria ma per il quale era previsto un apparato decorativo lungo tutto il testo. Alla c 3v il copista verga questo sonetto:

O tu che pigli in presto esto libretto ben che non sia d’una gran valuta ma quando avrai la storia veduta credo che ti parrà assai perfetto Per che ti prego quando l’arai letto tu mal rimandi che cosa dovuta E la tua mente fa che sia arguta di rimandarmel com’el pisli netto Ancora ti prego ch’el tucto mel guardi da ciascheduno che mal mel governj e la rimanda fa che non sia tardi e sopra tucto fa che li quadernj Lassi ordinati come devo(n) stare si ch’altra volta t’el possi riprestare.

Il codice fu quindi copiato per uso personale, ma anche per essere condiviso con altri. Come un buon bibliotecario il copista rammenta che, nonostante il codice non sia di gran valore, va restituito integro e nei tempi previsti affinchè possa essere dato in prestito di nuovo.

La decorazione del codice, che si diceva limitata alla carta incipitaria, fu probabilmente realizzata dal copista stesso, come

indicherebbe il verbo expletus. Alcuni aspetti della miniatura 95 fanno pensare che non fosse un miniatore di professione, la stesura del colore manca di chiaroscuro e risulta piatta e uniforme, nonostante la carta sia un supporto meno indicato per la miniatura rispetto alla membrana. L’immagine del Boccaccio, tuttavia, è tutt’altro che trascurabile come tipologia a questa altezza cronologica. L’autore è ritratto di profilo, particolare che riporta all’immagine del codice II II 38 della Biblioteca Nazionale di Firenze, il Filostrato Rondinelli.

L’appartenenza della decorazione di questo codice all’ambiente privato senese è confermata dalla similarità di altri codici coevi quali Siena Archivio di Stato D 153 che contiene una Cronica di Giovanni di Bindino illustrata con dei disegni a penna di mano dei figli dell’autore databili al 1415/1420.96

Per uso personale non esclusivo è anche il codice Riccardiano 1051 databile alla metà del secolo XV. La decorazione di questo manoscritto è molto più sobria del precedente, limitata ad iniziali filigranate con racemature a contrasto. Alla c Iv una nota di possesso recita q(u)esto libro è di giovanni d’antonio minerbetti ed è

titolato ninfale d’amore benché sotto vi si contenga chi lo lege lo riguardi e rendalo presto in charità di dio / tochò a me piero minerbetti nelle divise.

M.G. CIARDI DUPRÉ DAL POGGETTO, L’iconografia nei codici miniati

95

boccacciani dell’Italia centrale e meridionale in Boccaccio visualizzato. Narrare per parole e immagini nel Medioevo e nel Rinascimento vol. II a cura di V. Branca Torino

Einaudi 1999, pp. 3-52 : 42. Ibidem, p. 43.

Teresa de Robertis assegna alla mano di Giovanni di Antonio la copia del codice.97

Furono i Minerbetti una famiglia di notabili fiorentini che raggiunsero, durante il XVI secolo, il vescovado con Bernardo di Andrea di Messer Tommaso che fu anche canonico di Santa Maria del Fiore, amico e corrispondente del Vasari. Nel secolo precedente Giovanni, Nanni, e Piero Minerbetti, suo figlio, furono corrispondenti dei Medici e proprietari di un palazzo signorile in via de’ Tornabuoni affacciato su piazza di Santa Trinita. 98 Giovanni, in particolare, fu Gonfaloniere nel 1434, Piero nel 1469 e nel 1461 ambasciatore presso Sisto IV.99

La scrittura dell’unica missiva conservata di Giovanni di Antonio, datata 6 settembre 1425, è una mercantesca con alcuni tratti cancellereschi molto più accurata, come ci si aspetterebbe, della nota di possesso presente nel codice Riccardiano. Caratteristiche le lettere s e f con le aste lunghe ben sviluppate sotto e sopra il rigo e le b e le l corsive con occhielli chiusi. Troppo breve è invece la nota di possesso di mano di Piero di Giovanni per poter valutare un confronto con le scritture dei numerosi documenti presenti all’Archivio Mediceo Avanti il Principato.100

I manoscritti datati della Biblioteca Riccardiana di Firenze. II. Mss. 1001-1400, a

97

cura di Teresa De Robertis e Rosanna Miriello, Firenze, SISMEL – Edizioni del Galluzzo, 1999 (Manoscritti datati d’Italia, 3), p. 48 nr. 85, tav. CV.

Archivio Mediceo Avanti il Principato Filza 1 c110r (Giovanni di Antonio);

98

Filza 6 c282r; 10 c387r c389r c392r; 16 c168r (Piero di Giovanni).

La famiglia Minerbetti che acquistò il palazzo alla metà del XV secolo sembra di origine inglese, di un ramo secondario della famiglia di Thomas Becket. In fuga dall’Inghilterra dopo l’uccisione dell’Arcivescovo di Canterbury (1170) si stabilirono a Firenze.

cfr. G. MAFFEI, Via Tornabuoni, il salotto di Firenze, Loggia dei Lanzi editori, Firenze 1995.

cfr. Florentine Renaissance Resources. Online Tratte of Office Holders 1282-1532

99

http://cds.library.brown.edu/projects/tratte/ cfr. Precedente nota 98.

In scrittura mercantesca sono anche i codici II II 15 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Riccardiano 2223 e Vaticano Latino 4815, accomunati anche dalla taglia sempre maggiore di 500 mm (522, 515 e 509). La decorazione di questi codici, quando è presente, è sobria, limitata a iniziali filigranate con racemature a contrasto. Nessuna sottoscrizione è presente. Questi codici condividono anche l’impaginazione, scrittura a tutta pagina e 1 colonna, riscontrabile in tutti i manoscritti tranne il Riccardiano 2223 che presenta invece una impaginazione a due colonne. Due mani vergano questo manoscritto, la mano A in mercantesca cc 98r - 159vA e la mano B con forti influenze cancelleresche cc 159vB-160rA.

Infine, nel codice C 154 della Biblioteca Marucelliana di Firenze si riconoscono due mani, A e B, la prima delle quali (cc 1r-2v) copia il testo in antiqua con influenze mercantesche, chiara e di modulo costante, e la seconda (cc 3r-50v) in mercantesca. Avendo consultato il codice solo da microfilm non è stato possibile verificare l’ipotetica caduta delle prime due carte, le uniche copiate dalla mano A. Se così fosse con ogni probabilità la copia del testo è, in origine, da attribuirsi interamente alla mano B, che alla carta 50r corregge, rendendolo illeggibile, il nome di Niccolò di Bartolo del Buono e verga, al di sotto del colophon, una porzione di testo cifrata.

Documenti correlati