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4. Dalla parte del lettore

4.1 La dimensione temporale dell’«Augenblick»

A partire dagli anni Novanta Strauß mostra uno spiccato interesse verso le teorie cosmogoniche e la ricerca scientifica sul caos. La sua attenzione è attratta principalmente dalle teorie dell’auto-organizzazione dei processi biologici elaborate, in diversi ambiti scientifici, in seguito alla scoperta che anche sistemi strettamente deterministici presentano un funzionamento controverso: in essi l’ordine sfocia sistematicamente in caos e rinasce auto-poieticamente da strutture caotiche.

Se nell’antica cosmogonia il caos è in sé invivibile e dà spazio al mondo solo nella forma della sua negazione, il pensiero moderno e le nuove teorie del caos aprono a una genealogia del caos stesso, individuata nel continuo alternarsi di genesi e caos. La produttività del caos trova una prima legittimazione nel pensiero del primo Romanticismo. Sia Friedrich Schlegel che Novalis, di fronte all’ordine fisso in filosofia, nella storia e nella politica, auspicano una mescolanza di caos e ordine, disposizione che impedirebbe di ricadere in qualsiasi forma di fissazione restaurativa, secondo un’istanza tipica della mitologia preromantica. Per i romantici, un sistema che non subisca permanentemente interruzioni caotiche è un sistema votato all’estinzione, un sistema in cui vita, pienezza e molteplicità non hanno alcuno spazio. Il decostruzionismo porta avanti il progetto romantico e individua in tutti i sistemi chiusi momenti che si sottraggono al controllo. Tuttavia il decostruzionismo non tematizza gli effetti del caos come l’altro del sistema, come semplice substrato dell’ordine o suo confine, bensì come costante minaccia, disturbo e sovversione.109 Una rivalutazione vitalistica degli effetti del caos è avanzata invece dalle teorie dei sistemi, dalle quali prendono spunto le riflessioni che scandiscono un testo pubblicato nel 1992, Beginnlosigkeit, nel quale Strauß non solo tematizza la natura vitale dei sistemi non lineari ma, attraverso l’accostamento casuale di passaggi narrativi e considerazioni di natura filosofica, teologica e scientifica, vuole riprodurre una indecifrabilità che si offre solo a un lettore che sia in grado, come ha correttamente messo in evidenza Gerd Bergfleth, «Strauß

109 Cfr. Winfried Menninghaus, La mitologia del caos nel romanticismo e nell’età moderna, in «Cultura Tedesca» 2/1994, pp. 7-18.

53 besser zu verstehen, als er sich selbst verstanden hat».110 La teoria sociologica dei sistemi integra l’imprevedibilità di principio degli eventi nel funzionamento del sistema, ancorandovi la sua capacità di diffondere informazioni, la sua flessibilità e la sua capacità di evolversi. In questo contesto di celebrazione del caos come incitamento vitale, Strauß introduce il termine «Emergenz». Tale concetto assume negli anni Novanta particolare centralità nelle sue riflessioni filosofiche ed estetiche. Per la prima volta lo ritroviamo nella postfazione alla traduzione tedesca del saggio di George Steiner Real Presences, occasione nella quale l’autore si serve di questo concetto per descrivere la portata dei rivolgimenti politici connessi alla caduta del muro di Berlino:

Wir haben Reiche stürzen sehen binnen weniger Wochen. Menschen, Orte, Gesinnungen und Doktrinen, von einem Tag auf den anderen aufgegeben, gewandelt, widerrufen. Das Unvorhersehbare hatte sich sein Recht verschafft und zerschnitt das scheinbar undurchdringliche Geflecht von Programmen und Prognosen, Gewöhnungen und Folgerichtigkeiten. […] Was geschah, besaß vielmehr etwas von jener Ereigniskraft, die man in den biologischen Wissenschaften mit dem Ausdruck »Emergenz« bezeichnet: etwas Neues, etwas, das sich aus bisheriger Erfahrung nicht ableiten ließ, trat plötzlich in Erscheinung und veränderte das »Systemganze«, in diesem Fall: die Welt. [DAW, p. 39]

L’interesse di Strauß nei confronti delle teorie scientifiche non è certo legato al loro potenziale esplicativo, bensì alla produttività dei modelli da esse forniti e applicabili in campo letterario.111 Le teorie del caos in questo senso si rivelano le più adatte alla descrizione dell’emergenza dell’«Augenblick», inteso da Strauß come il tempo del rivelarsi di una dimensione che trascende la realtà fenomenica e che, di conseguenza, si sottrae anche a una temporalità concepita come progressione regolare e continua. Un accadimento emergente è un accadimento che non si lascia desumere razionalmente, non può essere ideato e si oppone a ogni forma di determinismo, di calcolo e di prevedibilità. La modalità temporale in cui si manifesta l’emergenza dell’«Augenblick» è quella dello scontro tra tempo e eternità. L’eternità costituisce per Strauß il luogo naturale dell’intuizione; al tempo, invece, appartiene il tentativo di tradurre questa intuizione in parole:

110 Gert Bergfleth, Die statische Welt und die Technik. Überlegungen zur >Beginnlosigkeit< von Botho

Strauß, in «Der Pfahl. Jahrbuch aus dem Niemandsland zwischen Kunst und Wissenschaft» 6/1992, pp.

250-271, qui p. 263.

111 La caduta del muro di Berlino è infatti compresa come testimonianza dell’idea di accadimento emergente e, come si vedrà in seguito, si inserisce nell’ambito della critica rivolta dall’autore

54 Und wenn das Werk beendet wäre, so läge das Beschriebene in einem verlorenen Zeitraum, weder der Vergangenheit noch der Gegenwart angehörend, nur die Methode des Gewärtigens selbst, die absolute Nicht-Erinnerung wäre dann für alle Zeiten in die Welt gesetzt. [BL, p. 77]

Nel dizionario di Jakob und Wilhelm Grimm si legge a proposito del verbo «Gewärtigen»:

gewärtigen ist, wenn auch einzelne verwendungen einen umfassenderen gebrauch erschlieszen lassen, doch im wesentlichen auf die parallele mit exspectare beschränkt.112

Strauß non solo recupera il verbo in questa accezione, collocando il soggetto dell’intuizione in una dimensione temporale che nasce dalla sintesi del «Jetzt/Jetzt nicht mehr/jetzt noch nicht» [BL, p.77] ma si spinge oltre, definendo le caratteristiche del soggetto predisposto a questo tipo di esperienza. Come messo in evidenza da Herbert Grieshop113, l’autore riprende un topos tradizionale della letteratura, riservando questa facoltà a individui ingenui o con una limitata predisposizione alla riflessione, poiché immersi in quella evanescenza di cui gode, per esempio, il bambino «bevor ihm Zeit, Ding, Gesicht, geschieden sind» [BL, p. 45] o il folle il quale, «immer wieder von vorne an[fängt], ein hohes, wimmriges Kichern abzulassen, als wär’s das leise Dauergelächter der Ewigkeit, dem er als Medium sich überl[äß]t» [BL, p. 106].

Er selbst hielt sich an das Wort >gewärtigen<, das dem Gebrauch nach soviel wie >gefasst sein auf< bedeutet, jedenfalls etwas zwischen >erwarten< und >vergegenwärtigen<, eine besondere Form der Präsenz, eigentlich die Aura vor dem Ereignis, die oft nur ein Mensch mit spezieller Witterung und krankhafter Schwäche wahrzunehmen gezwungen wird. [BL, p 128].

Nel «Gewärtigen» si manifesta per Strauß una percezione del tempo che riserva in sé

112 Jakob Grimm, Wilhelm Grimm, Deutsches Wörterbuch, vol. IV, dtv, München 1984. [Rist. Ed. Orig.]. A proposito dell’uso di questo verbo in Strauß cfr. anche Herbert Grieshop, Rhetorik des Augenblicks.

Studien zu Thomas Bernhard, Heiner Müller, Peter Handke und Botho Strauß, Königshausen und

Neumann, Würzburg 1998, p. 189ss., e ancora, Nadja Thomas, „Der Aufstand gegen die sekundäre

Welt“. Botho Staruß und die „Konservative Revolution“, Könighausen & Neumann, Würzburg 2004, p.

214ss.

55 «das ganz Andere»114, nella forma di una percezione che precede il riconoscimento e che si consuma nell’istante dell’esperienza esulando da qualsiasi tentativo di presa di coscienza:

Das Bewußtsein will sich etwas merkbar machen und überzieht ein gestaltloses oder ein gestaltoffenes Ding mit schnellen, festen Umrissen. Das Gewärtigen hingegen, das allein dem Vergessen zuliefert, beläßt es bei dem Gespür für das vorereignishafte diffuse Geschehen, für die unfertige Gestalt. Für Nebel und Wolken in allen Erscheinungen, den festen wie den flüchtigen. [BL, p. 129s.]

4.1.1 L’opera d’arte come immagine di lotta

Alle physikalischen Gesetze bedürfen des Beobachters, der sie formuliert. Ein Universum, das den Menschen nicht hervorgebracht hätte, könnte nicht existieren. Es wäre Chaos geblieben, universales Allerlei. […] Unser Gehirn besitzt keinen unmittelbaren Zugang zur Welt. Es ist vollkommen auf sich selbst bezogen. […] Erkennen hat nicht mit Gegenständen zu tun, es ist effektives Handeln, rastloses Erschaffen. Was wir als bewußte Wahrnehmung empfinden, ist in Wahrheit die Fokuseinstellung des Gehirns auf eigene, in einem bestimmten Augenblick besonders stimulierte interne Prozesse. […] Kognition ist alles, die Welt nur ein Etwas. [BL, pp. 10ss.]

La retorica dell’«Augenblick», da sempre presente nell’opera di Strauß, assume un ruolo centrale a partire dagli anni Novanta. La dominanza della metaforica legata all’«Augenblick» si lega, in questi anni, a una più intensa riflessione sul ruolo del lettore/ ricevente nel processo di creazione di un’opera d’arte. Il suo approccio ai modelli forniti dalle teorie costruttiviste costituisce il punto di partenza di un processo che lo porterà a rivedere alcuni presupposti che avevano caratterizzato la sua precedente produzione letteraria. Se infatti, in una prima fase, le sue riflessioni si limitavano a constatare la produttività e la necessità di un’arte di natura allegorica, tesa a scardinare il classico rapporto di subordinazione dell’oggetto nei confronti del soggetto della conoscenza, ora le sue riflessioni si spingono oltre e, in particolare, in quello spazio di indeterminatezza costituito dall’asimmetria tra l’incompiutezza dei fenomeni e l’esperienza percettiva degli stessi. Questo intento induce a inquadrare l’«Augen-blick»

114 Botho Strauß, Niemand Anderes, Hanser, München 19872, da questo momento indicato con la sigla NA.

56 principalmente come «erkennendes Auge»115, al quale è affidato il compito di “creare” una realtà frutto dello scambio di sguardi tra opera e ricevente. Tale realtà illusoria risponde alla necessità di creare un rapporto di familiarità con ciò che si dà a vedere e che si rivela in tutta la sua estraneità in un colpo d’occhio, ma che è destinato a essere riassorbito con la stessa prontezza nella dimenticanza:

Travestie der Offenbarung: Licht des Vergessens. [BL, p. 73]

Attribuendo il carattere di contraffazione alla rivelazione dell’incontro con l’opera, Strauß mette in risalto l’incapacità della parola di esaurire l’oggetto. Gli aspetti essenziali di quest’ultimo non possono cioè trovare posto in una creazione che, come nel genere del travestimento, porta con sé il costante correttivo del riso e di una verità altra, «più contraddittoria e pluridiscorsiva»116 della singola percezione e in grado di illuminare, solo per un istante, lo spazio di una inesauribile dimenticanza. Nella fulmineità di questo incontro, all’opera è data la possibilità di mostrarsi nella sua alterità, nel suo margine non razionalizzabile e dunque non traducibile in parole. Nella dimenticanza in cui si vanifica l’Altro e nel desiderio di un rinnovato incontro, Strauß individua la vitalità e il potenziale creativo di questa esperienza. In Beginnlosigkeit l’autore associa questa riflessione estetica alla domanda sull’origine del mondo:

Nichts beginnt, alles schwebt und weilt. Stady state. Raubt man Gott den Anfang, so bekräftigt man doch nur sein Immerdar! Ewigkeit als das einzige metaphernlose Absolutum. Nicht umbennenbar. Weder durch Das Nichts noch durch Das All. Nicht im Anfang schuf Gott den Anfang, sondern irgendwann. Oder er schuf nie: er ließ geschehen. Er hinderte nicht. [BL, p. 9]

Strauß cerca di eludere il problema legato alla reminiscenza di un originario atto creatore e dunque alla comprensione metafisica dell’Altro facendo ricorso alle teorie del caos e dello “stato stazionario” elaborata da Fred Hoyle, modelli scientifici che estinguono l’idea della genesi del mondo e che, di conseguenza, forniscono gli

115

Questa categoria ermeneutica la riprendo da uno studio di Hans Holländer nel quale lo storico dell’arte, partendo dalla comprensione kirkegaardiana dell’«Augenblick», descrive questo concetto come fenomeno prospettico, ovvero come metafora di una determinata forma di percezione e conoscenza che affida all’atto conoscitivo dello sguardo il compito di realizzare contemporaneamente le strutture spaziali e temporali dell’opera. Cfr. Hans Holländer, Augenblick und Zeitpunkt, in Augenblick und Zeitpunkt.

Studien zur Zeitstruktur und Zeitmetaphorik in Kunst und Wissenschaften, a cura di C. W. Thomsen, H.

Holländer, Wiss. Buchges., Darmstadt 1984, pp. 7-21.

57 strumenti di pensiero necessari a prendere congedo dal mito dell’origine [«Mythos von Anfang und Ursprung» BL, p. 38s]. L’accostamento dei due poli opposti del confronto con l’Altro, ovvero la scienza e la metafisica, concerne fondamentalmente la riflessione sull’irriducibilità del potenziale del materiale letterario, nel confronto con il quale il lettore è chiamato a intraprendere un percorso che, con Strauß, si può definire come la lotta di Giacobbe con l’angelo, una lotta con idee che strangolano, che sconfinano l’ambito di pertinenza della ragione e lasciano dietro di sé una sorta di divieto di significazione:

Jakobs Kampf mit dem Engel […] der Kampf mit den würgenden Ideen, mit irgend etwas Überlebensgroßem […] Du sollst nicht geschichtlich rechnen. Du sollst diesen einen Kampf für ausweglos und immerdar ansehen. Du trittst ein in seine nackte Buchstäblichkeit, in sein Einfürallemal. [BL, p. 51]

La natura vitale di questa lotta è specificata in Paare, Passanten come propria dell’opera d’arte la quale, in tal senso, deve scaturire dalla tensione di una lotta senza sosta e deve nutrirsi di questo conflitto al fine di sottrarsi all’assopimento dell’esperienza dell’Altro che, per Strauß, è anche e soprattutto esperienza di comprensione e accoglienza.

L’autore designa l’opera d’arte come unico luogo in cui possa ancora realizzarsi questa presenza, la cui natura incuriosisce il lettore sistematicamente tradito da un discorso sull’Altro che si dispiega in molteplici direzioni, addentrandosi nei diversi ambiti che tradizionalmente si sono confrontati con questo tema. L’Altro è il Divino [«Gott»], ma è anche orrore [«Entsetzen» BL, p. 129], è un assoluto temporale [«Erster und Ganzes» DE, p. 9], è rivelazione mistica, ecc.. Nel confronto con l’opera di Strauß ci si rende però conto che la domanda relativa all’essenza di questo Altro non è forse fondamentale quanto la funzione a cui essa adempie nel restare priva di risposta, segnando quel confine dell’esperienza in cui sono coinvolti il produttore e il ricevente di un’opera.

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