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5. Schändung Nach dem Titus Andronicus von Shakespeare

5.2 Schändung e Titus Andronicus: neutralizzazione e dissonanza

5.2.2 La minaccia del doppio

Nella seconda scena di Schändung, le dramatis personae vengono fuori dalla realtà inscenata dal sogno del giovane Lukas, restando all’interno dello spazio dell’accadimento drammatico. Tamora, Tito, Lavinia, Saturnino e la regista, impersonata dalla stessa attrice che ricoprirà il ruolo di interprete di Lavinia a seguito della violenza, discutono sulle intenzioni della messa in scena. La regista afferma il suo sgomento dinanzi all’opera di Shakespeare:

DIE REGISSEURIN: Ich stand von einem Tag zum anderen – leer und totenbleich vor diesem Stück.

Ich hätte mich darüber hinwegsetzen können, mit ein paar sicheren Tricks, wie ich das früher manchmal getan habe, wenn ich in der Klemme steckte oder mir die Puste ausging. Aber jetzt war es auf einmal, als stünde ich gelähmt in einem Dom, einer mittelalterlichen Kathedrale, und jeder einzelne Baustein verwirrte mich mit seiner Schönheit, aber ich hatte den Sinn für die Macht des ganzen Bauwerks verloren. Das Werk sprach zu mir in einer Sprache, die ich nicht verstand, und ich konnte keine Antwort geben, indem ich’s inszenierte. [SCH, p. 45]

L’opera di Shakespeare, con la maestosità di una cattedrale medioevale nella quale ogni singola pietra emana una bellezza imbarazzante, parla alla regista una lingua non più comprensibile e alla quale la donna, nel tentativo di metterla in scena, non può trovare alcuna risposta. Le succitate parole della regista anticipano quelle che Tito pronuncerà di fronte a sua figlia Lavinia in seguito alla violenza e alla mutilazione; egli, rappresentante del vecchio ordine, non può assolutamente permettersi di comprendere sua figlia, di imparare la sua lingua:

TITUS Ihr Röcheln entzifferte ich wie Portugiesisch. Mein ganzes Kind mit Mienen, Lauten, Gesten erlernte ich wie eine Fremdsprache, wäre ich nur nicht zu alt für dieses neue Alphabet. [SCH, p. 65]

Strauß apporta una modifica sostanziale al teso shakespeariano: nel Titus Andronicus Tito, che ha convocato Marco, Lavinia e il ragazzo, figlio di Lucio, dice:

111 Hark, Markus, what she says;

I can interpret all her martyr’d signs:

[…] Speechless complaint, I will learn thy thought: In thy dumb action, will I be as perfect

As begging hermits in their holy prayers. [TA, p. 132]

In Shakespeare, dunque, nonostante Lavinia sia stata vittima di violenza e le sia stata mutilata la lingua, non vi è alcun cenno di cedimento da parte di Tito circa la sua volontà di interpretare i nuovi mezzi di espressione elaborati da sua figlia per svelare la verità a riguardo della violenza. C’è da chiedersi, pertanto, cosa vuole comunicare Strauß attraverso questa variazione. Perché il Tito di Strauß non può più comprendere Lavinia? Perché Lavinia non è in grado di elaborare un nuovo linguaggio? Lavinia ha bisogno di un’interprete, Monika, la quale crea spesso dubbi circa la verità della sua interprezione. Monika, o la regista, è percepita da Tito come «Unbekannte, Fremde»; egli si interroga sistematicamente sulla veridicità delle sua parole. La donna, umiliata al ruolo di «Schatten», «Tragemund», rivendica una propria identità di regista, la propria autorialità. La regista, dunque, deve interpretare Shakespeare; Monica, impersonata non a caso dalla stessa attrice, deve interpretare Lavinia. Chi è veramente Lavinia?

Nelle pagine introduttive del quaderno di sala, si legge:

Lavinia tauchte auf, der erste weibliche Feuerteufel, den das Land bisher kannte, und er drohte es mit einer Brandspur «durchzukreuzen», wie die Zeitungen in üblicher Übertreibung schreiben. Lavinia nannte sie sich selbst in etlichen Bekennerschreiben. Sie beging ihre Verbrechen im Namen und im Kostüm der geschändeten Tochter des Titus Andronicus. Zu ihren Brandstiften-Gängen stüplte sie über den Unterarm eine goldene Prothese der Verstümmelung. Auf den Unterbauch setzte sie eine rote Prothese der Schändung, einen kupfernen Flammenbusch. Sie band ihre Zunge ab, gurgelte und stammelte wie eine Zungenlose, wenn sie zurückkam von ihrer „Reinigung“. Ich hörte noch das dumpfe Geröll und Geröchel, das aus ihrem Mund quoll, ein schauriges Radebrechen. Eines Tages stand sie frühmorgens am Straßenrand, ich könnte weit zurückblicken auf ihre Lohe…die reine Flamme. [SCH, introd.].

Lavinia non è una figura reale, ella indossa una maschera e agisce in suo nome. Lavinia è una fantasia, allegoria dell’essenza sublime della poesia e del mito. Lavinia è allegoria dell’orrore e della violenza arcaici, «das lichte Entsetzen», è quella potenza tragica che

112 si sottrae a ogni tentativo di armonizzazione, di sublimazione mediale, e dunque anche alla sua messa in scena critica, la tragedia. Lavinia costituisce una minaccia per Monica, la regista, la quale, al pari di Lorenz in Schlußchor, tenta di riprodurre scenicamente l’esperienza sublime, quel sentimento di impotenza che l’ha colpita nell’incontro con l’opera di Shakespeare, e lo desidera a tal punto da assicurarsi il ruolo da protagonista accanto alla figura più emblematica del testo shakespeariano, Lavinia. La donna contravviene così al veto interpretativo che ha fatto vacillare il suo narcisismo, cercando di dar voce al silenzio ineffabile che si cela in Lavinia, esperienza che la allontanerà definitivamente dalla “reale presenza” dell’intuizione:

Titus Pius Andronicus. Der fromme General – der Unmensch der Familie.

Eine geringfügige Mutation in Gewebe der bekannten Tragödie, und ein anderes Spiel entsteht – von Riten, Recht und Rache.

Lavinia e il suo doppio Monica costituiscono l’emblema di questo dramma straussiano, nel quale l’autore vuole condurre una riflessione sulla commistione dialettica di imitazione e autenticità, attraverso la problematizzazione del processo di scrittura e di messa in scena di una dimensione tragica che resta puro tentativo di scongiurare l’horror vacui attraverso la fantasia del giovane Lukas.

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