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La direttiva 96/7 Cenni introdutt

DISCIPLINA NAZIONALE

1. La direttiva 96/7 Cenni introdutt

La figura del distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi è stata disciplinata come sappiamo dalla Direttiva 96/71/Ce del 16 dicembre 1996, che si inserisce nel quadro delle norme dettate dal Trattato delle Comunità europee in materia di prestazione di servizi (su cui si è discusso nel precedente capitolo). Infatti la base giuridica del provvedimento risiede negli artt. 47.2 e 66 Tce e non, come si potrebbe immaginare, nelle prestazioni sociali del Trattato.

In linea generale, la Direttiva tende al superamento delle incertezze e degli impedimenti “che possono compromettere l’applicazione della libera prestazione di servizi, aumentando la sicurezza giuridica e consentendo d’individuare le condizioni di lavoro applicabili ai lavoratori che a titolo temporaneo eseguono lavori in uno Stato membro diverso dallo Stato la cui legislazione disciplina il rapporto di lavoro”177.

Da ciò si evince che la Direttiva costituisce uno dei capisaldi di quel programma europeo che è stato concepito al fine di dar vita ad un mercato integrato dei servizi, le cui implicazioni sociali richiedono le dovute risposte sul versante legislativo. Si è riscontrato che si è venuta a configurare una nuova

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forma di mobilità dei lavoratori, fortemente differente da quella dei lavoratori migranti regolata espressamente sia dagli atti del diritto derivato inerenti alla libera circolazione dei lavoratori che dal Trattato Ce178.

La libera prestazione di servizi determina situazioni di mobilità del lavoro e comporta, dunque, l’individuazione di soluzioni tecnico normative, volte a risolvere il problema dell’attuazione del diritto del lavoro di uno stato ospite, poiché quest’ultimo costituisce una barriera, di natura giuridica, per l’accesso e la circolazione di lavoratori di un altro stato dell’Unione Europea.

Da ciò si desume che la Direttiva mira a disciplinare i casi di circolazione del lavoro sotto forma di prestazione di servizi in ambito transnazionale, ambendo ad instaurare fra le imprese un regime di leale concorrenza in modo da assicurare una tendenziale parità di trattamento tra quelle che svolgono una prestazione di servizi transnazionale e quelle del paese ospitante179.

A tal proposito, la delineazione delle condizioni di lavoro, applicabili al soggetto distaccato, rappresenta il tentativo di addivenire ad un bilanciamento fra tutela del lavoro e libertà economiche, contemplando sia la necessità di scongiurare la sopravvenienza di pratiche di dumping sociale che potrebbero creare storture funzionali del mercato concorrenziale180, sia il concetto di sovranità territoriale sia, infine, il timore dei i paesi membri quando si mette in dubbio l’attuazione delle loro regole interne di diritto del lavoro.

La scelta di concentrarsi su uno piuttosto che su un altro dei profili su citati offre chiavi di interpretazione differenti ma non del tutto alternative fra loro. Una prima interpretazione, quella definita ufficiale, appare espressamente nei

considerando del provvedimento comunitario. Con riferimento ad essa, si

sottolinea che un mercato interno idoneo a garantire la libera circolazione di prestazioni di servizi e, più in specifico, il distacco di lavoratori in uno stato membro diverso da quello in cui abitualmente risultano impiegati, deve, in

primis, prevedere misure di garanzia per la tutela dei diritti del lavoratore e, in

seconda istanza, fondarsi sul principio di leale concorrenza181.

178

Cfr. Commissione Ce, L’applicazione della Direttiva 96/71/Ce, cit., p. 4.

179

P.DAVIES, Posted Workers: single markel orproredion of national labour, in Com. Mar. Law Rev., 1997, p. 573 ss.

180 V. G.ORLANDINI, La disciplina comunitaria, cit., p. 465.

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La predisposizione di standard di tutela per i prestatori di servizi è tesa ad evitare il configurarsi di pratiche di dumping sociale che generino distorsioni delle regole di un mercato concorrenziale182. Il legislatore comunitario, al fine di dar vita ad un mercato unico ed integrato, ha ritenuto fondamentale che imprese nazionali ed estere evitino di intraprendere competizioni fra loro sui mercati locali, poiché queste risulterebbero viziate dai diversi livelli di tutela previsti dalle rispettive normative lavoristiche.

Peraltro, come anticipato, è stata prospettata una seconda interpretazione in virtù della quale la fissazione di standard di tutela del lavoratore per le imprese operanti nel contesto comunitario deriverebbe dalla volontà di alcuni paesi dell’Unione Europea di salvaguardare dalla concorrenza straniera i propri mercati interni ed i rispettivi ordinamenti lavoristici. Più in particolare, parte della dottrina asserisce che sono gli stati ospitanti i prestatori di servizi a godere dei benefici stabiliti dalla disciplina della Direttiva e che quest’ultima, pertanto, persegue il fine di riaffermare gli interessi statuali a discapito di quelli sopranazionali

Non risulta corretto schierarsi totalmente con l’uno o con l’altro degli orientamenti interpretativi appena illustrati per due ordini di ragioni. Anzitutto, poiché la scelta di una delle due tesi dipende dalle modalità di applicazione del provvedimento comunitario negli ordinamenti dei diversi paesi membri e dal coordinamento delle disposizioni dello stesso con la dottrina degli ostacoli, su cui ci si soffermerà in seguito. In secondo luogo, poiché il dualismo fra liberismo e protezionismo riscontrabile nella Direttiva appartiene al dna della medesima.

In virtù di tali considerazioni, si ritiene comunque che la modalità più consona per verificare se essa raggiunga i suoi obbiettivi è quella di valutarne la declinazione nel singolo caso concreto183. In linea generale, le posizioni su descritte mettono in luce che la Direttiva «si muove lungo la via stretta della difficile conciliazione tra le esigenze della libertà di prestazione dei servizi e la necessità di garantire quantomeno il rispetto del nucleo dei principi

182

Cfr. M.A.MOREAU, Le detachement des travailleurs, cit., p. 896.

183

Cfr. C.BARNARD, Ec Emploiment law, cit., p. 288; S.GIUBBONI, Diritti sociali e mercato, Bologna, 2000, p. 120.

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fondamentali del diritto del lavoro del paese destinatario del medesimo»184.

Quest’ultima, In considerazione dei suoi contenuti, è espressamente finalizzata a “definire un nucleo di norme vincolanti ai fini della protezione minima cui deve attenersi nel paese ospite il datore di lavoro che distacca un dipendente a svolgere un lavoro a carattere temporaneo nel territorio di uno

Stato membro dove vengono prestati i servizi”185.

Essa, nello statuire il c.d. nocciolo duro delle tutele od hard core, appare anomala rispetto alle altre Direttive comunitarie sia perché, nell’affrontare il problema di diritto internazionale privato consistente nella delineazione delle norme di conflitto, finisce per rientrare fra le fonti integrative delle

disposizioni della Convenzione di Roma186 sia poiché non può essere reputata

uno strumento di hard law europeo per l’armonizzazione dei diritti nazionali. La Direttiva, dovendo coniugare la tutela dei lavoratori con l’interstatualità della circolazione degli stessi, “does not try to harmonize the rules of the Member States

categorized as mandatory. It merely identifies those employment conditions which the guest undertaking must respect”187. Il riferimento alle norme imperative di protezione minima, vigenti nel paese ospite, rappresenta il principio cardine a cui detto coordinamento si ispira.

A fronte delle considerazioni sin ora espresse, si può sostenere che la regolazione del fenomeno della circolazione di lavoratori in ambito comunitario tracciata dalla Direttiva, movendo dal modello host state control, tende a soddisfare esigenze di marca protezionistica dei paesi dell’UE.

Tale posizione non indica però che il legislatore dell’Unione intenda disattendere l’impostazione della giurisprudenza comunitaria, in quanto egli continua ad attenersi alla ratio secondo cui i principi della direttiva non debbono discostarsi ma aderire a quelli del Trattato.

In conclusione, la giurisprudenza della Corte ha aperto il dibattito circa l’opportunità di riformare la Direttiva sul distacco, alla luce delle insoddisfacenti, se non addirittura oscure, reazioni degli Stati membri in fase di trasposizione. Sono dunque in discussione sia le fonti di trasposizione della

184 V. S.GIUBBONI, Diritti sociali e mercato, cit., pp. 116-117.

185

Cfr. G.ORLANDINI, La disciplina comunitaria, cit., p. 466.

186 V. Cap. 1, Par. 3.

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Direttiva188, sia la Direttiva medesima, tornata sotto i riflettori a seguito delle recenti azioni spontanee di protesta, indette da lavoratori inglesi contro lavoratori italiani distaccati nell’ambito di una libera prestazione di servizi189.

Quest’ultimo caso potrebbe assumere ulteriori valenze politiche ed istituzionali, se divenisse il simbolo di una contrapposizione fra istituzioni comunitarie, divise circa le misure da adottare per ottenere un più equilibrato rapporto fra libertà economiche e diritti sociali.

Non resta che cogliere, al momento, l’invito diplomaticamente rivolto agli Stati membri dalla Commissione, affinché si lavori sul piano interpretativo della Direttiva, piuttosto che sul piano assai più incerto della sua riforma190.

2. Le tre ipotesi di distacco previste: raffronti con appalto di