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LA FUNZIONE EURISTICA DEI CUSANIANI “ENIGMI SENSIBILI”

1. L’ icona Dei e l’esperimento dei monaci di Tegernsee

“Se si desse un volto presente nella propria immagine, il quale venisse moltiplicato da essa secondo la distanza o la vicinanza dalla stessa immagine che lo moltiplica – non intendo distanze locali, ma gradi di allontanamento dalla verità del volto [...] –, in queste immagini diverse, moltiplicate da un solo volto, appa- rirebbe, in modo diverso e molteplice, quel solo volto, in manie- ra inintelligibile, al di sopra di ogni capacità del senso e della mente”.

(De docta ignorantia II, 3)

Cusano, nel De visione Dei (1453), componimento dedicato ai monaci benedettini di Tegernsee – a cui, insieme allo scritto, aveva anche recapita- to un’icona Dei,1 la quale, nella sua assoluta fissità, aveva il potere di se-

guire “come un’ombra” lo sguardo di chiunque la contemplasse e di ac- compagnare i mutamenti di chi cammina con una continua, simultanea et

incontracta visio2 –, descrive le intelligenze come degli “specchi vivi”, che

1 CUSANO, nella lettera già cit. datata 14 settembre 1453 inviata ai monaci di Tegern-

see, espone succintamente l’ultimo capitolo del De mathematicis complementis, dedicato al concetto di Dio come absoluta visio. Egli, ispirandosi ad un dipinto del Santo Volto in suo possesso, che “allo stesso tempo vede tutte le cose e ciascuna di esse”, dichiara di voler far dipingere un’immagine siffatta, enigma sensibile della infinita visio divina, e di farla loro pervenire per facilitarne le riflessioni in- torno alla possibilità di giungere alla via mistica: “Et pictorem habeo, qui faciem similem studebit depingere”: ivi, p. 116. La meditazione sull’“imago simul omnia et singula videns”, così come la riproduzione annunciata dell’icona, preludono evidentemente al De visione Dei (opera conosciuta anche come il De icona) ed al

Complementum theologicum (1453).

2 M. DE CERTEAU sottolinea l’affinità di questo esperimento con la Legenda aurea

Sanctorum (Madrid, J. Garcia, 1688), in cui un giovane segretario (notarius) che

aveva resistito alle tentazioni del demonio grazie al segno della croce, viene ri- compensato da Dio nel renderlo partecipe di un evento sovrannaturale: in visita

hanno la facoltà di orientarsi liberamente verso il Pater luminum. Questi specchi mentali, in quanto liberi, possono collocarsi di fronte all’immagi- ne dell’onniveggente secondo il particolare “angolo prospettico” da loro assunto: infatti, se “il nostro occhio ha bisogno di muoversi per rivolgersi all’oggetto, ciò avviene perché la nostra vista vede mediante un angolo di determinata grandezza (per angulum quantum videt)” (ivi VIII, 30; 293). Questa prospettiva determinata, esprimendo sempre un angolo di una certa ampiezza, è dunque il modus intelligendi di ciascuna mente creata, assolu- tamente personale e irripetibile, e tuttavia rivelativo dell’essere nella sua interezza.

Le riflessioni di Cusano partono da un esperimento concreto che egli propone ai suddetti monaci, experimentalis praxis di cui egli giudica non esservi una più adatta, quale manuductio, per accedere in aenigmate alla visione senza veli di Dio:3 “Tenterò nel modo più semplice e più comune di

condurvi, mediante un esperimento, nella santissima tenebra (sanctissima

obscuritas); quando vi sarete giunti, avvertirete la presenza d’una luce

inaccessibile, e ciascuno di voi tenterà, nel modo come Dio glielo concede, di avvicinarsi sempre più ad essa e di pregustare, in un soavissimo assag- gio, la cena della felicità eterna” (De vis., ep. auct., 4; 261).

Questo esperimento, in primo luogo, consiste nel disporsi a semicerchio intorno all’immagine dell’onniveggente ai monaci inviata. Qui, è stato os- servato, “il semicerchio dei monaci, che sono ad un tempo spettatori e at- tori, come nella liturgia, obbedisce al primato del centro e della circonfe- renza”, ovvero del punto semplicissimo ed inesteso della fonte centrale d’irradiazione dell’immagine del divino (l’icona Dei, enigma sensibile dell’absoluta complicatio divina); immagine che, pur permanendo in sé stabile e immobile nella sua assoluta perfezione onnicomplicativa, si auto- esplica nel perimetro della circonferenza, partecipandosi variamente alla molteplicità varia dei punti d’osservazione su di essa assunti dai singoli monaci: in quanto enigma sensibile del divino, scrive Cusano, anche l’im- magine dell’onniveggente “in se manens, varie se ostendit” (ivi XV, 53; 325). In secondo luogo, avverte Cusano, quest’esperimento richiede da parte dei monaci di spostarsi da un punto all’altro dello spazio geometrico

alla chiesa di Santa Sofia, il magister si accorge che l’immagine di Cristo ha gli occhi fissi sul giovane; e che se egli si muove, il Volto santo pare seguirlo con il suo sguardo immobile: Nicolas de Cues: le secret d’un regard, in “Traverses”, n. 30-31 (marzo 1984), p. 74.

istituito dal centro, muovendosi in direzioni tra loro diverse secondo i quat- tro punti cardinali:

Ed ora, fratello contemplatore, avvicinati all’immagine di Dio e mettiti pri- ma ad oriente, poi a mezzogiorno, infine ad occidente. Poiché lo sguardo dell’immagine ti guarda in modo eguale dovunque tu ti metta, e non ti abban- dona dovunque tu vada, il tuo spirito speculativo ne sarà scosso e provocato, e dirai: Signore, in questa tua immagine ho l’intuizione della divina provviden- za, che avverto in una certa esperienza sensibile. Se non abbandoni me, che sono l’uomo più vile di tutti, non mancherai mai a nessuno. Ed invero sei pre- sente in tutti e in ciascuno, come a tutti e a ciascuno è presente l’essere, senza il quale non potrebbero esistere. E tu, essere assoluto di tutte le cose, sei pre- sente in ciascuno di tutti noi, come se tu non dovessi aver cura di nessun altro (De vis. IV, 13; 271).

In questo movimento di ‘traslazione perimetrale’, alcuni monaci s’in- contreranno così con i loro confratelli che si spostano sulla semicirconfe- renza in direzione a loro opposta. I “fratelli contemplatori”, giunti in pros- simità gli uni degli altri, per uscire dal loro ‘solipsismo gnoseologico’, si comunicheranno la loro personale esperienza circa il comportamento dello sguardo della figura cuncta videns. Ora, quest’esperienza, essendo identi- ca per tutti coloro che procedono in direzioni contrarie, li porrà in uno sta- to di comune stupore e di sconcerto: com’è infatti possibile, così si chiede necessariamente la ratio di ciascun singolo monaco, che ciò che resta im- mobile al centro della circonferenza possa seguire con lo sguardo i monaci che procedono in direzioni contrarie, e guardare simultaneamente sia gli uni sia gli altri, senza alcun discorso temporale e senza alcun movimento apparente dello sguardo?4

Prima di tutto, dunque, resterete meravigliati di come possa avvenire che il volto guardi, insieme, a tutti e a ciascuno (omnes et singulos simul respiciat). Chi sta ad oriente non riesce a capire, con la sua immaginazione, che lo sguar- do dell’immagine possa essere rivolto anche in altra direzione, cioè al tramon-

4 CUSANO, in questa indagine sperimentale volta all’affermazione della necessità in

Dio di uno sguardo non discorsivo, vale a dire intuitivo ed onnicomprensivo (si-

multanea sive circularis visio), sembra richiamarsi implicitamente alla proposi-

zione IX del Liber XXIV philosophorum, secondo cui “Dio è il solo presente di tutto ciò che appartiene al tempo”: “Il tutto vede intera la totalità delle parti con un solo colpo d’occhio (uno aspectu), mentre la parte non vede il tutto se non sot- to aspetti diversi e successivi. Per questo la divinità è la totalità degli aspetti suc- cessivi; onde per cui il suo sguardo (intuitus) è unico e non è ordinato in succes- sione (non consequenter factus)”: ivi, cit., p. 70.

to, ossia a meridione. Se poi il fratello che si era posto ad oriente si porterà ad occidente, vedrà quello sguardo fisso su di sé ad occidente, così come prima lo era ad oriente. E poiché sa che l’immagine è fissa ed immutata, si meraviglierà del mutamento avvenuto in uno sguardo che è immutabile (admirabitur muta-

tionem immutabilis visus) (ivi, praef., 5-6; 263).

Questa “liturgia matematica”, fondata nello spazio a semicerchio istitu- ito dal centro rappresentato dall’icona Dei, osserva M. De Certeau, sostitu- isce, ai fini di una considerazione eminentemente metafisico-teologica, la liturgia tradizionale “con una disposizione geometrica, e soprattutto sosti- tuisce l’altare e la bibbia con un dipinto”.5 Ora, la descrizione di questo

spazio geometrico – in cui ogni monaco fa innanzitutto la propria persona- le esperienza dello sguardo dell’immagine dell’onniveggente, per poi in- contrarsi con ciascun altro monaco e mettere in atto, per così dire, una vera e propria Auseinandersetzung tra il proprio punto di vista e quello altrui –, è difatti per Cusano uno schema simbolico atto a mettere in luce i modi del- la partecipazione dello stesso splendore dell’unica forma essendi: quella forma semplicissima e infinita che, nell’alterità varia del molteplice, non può essere accolta che variamente (come attestano i diversi punti di vista dei monaci situati idealmente sulla semicirconferenza), la sua inesauribile autoprofusione variando “secondo la varietà delle contrazioni” che sono proprie della creatura (ex varietate contractionis). Ora, questi modi, pro- prio perché ciascuno di essi è “altro rispetto ad ogni altro” – e, difatti, la vi- sta di ciascun monaco, a causa del suo potere visivo contratto, “mentre guarda ad una cosa, non può guardare ad un’altra, o, in modo assoluto, a tutte le cose” (ivi I, 10-1; 267) –, costituiscono nel loro insieme un solo or- ganismo unitario in cui operano simultaneamente ‘identità e differenza’, organismo che ha la propria condizione di possibilità nell’unità assoluta del principio creativo e onniveggente che in essi originariamente s’irradia e profonde.6 Il rapporto bipolare tra l’icona Dei e i diversi monaci contem-

5 M. DE CERTEAU, op. cit., p. 78.

6 DIONIGI AREOPAGITA non ha avuto bisogno di sostituire alla vera liturgia religiosa

una simile liturgia matematica. Nell’Ecclesiatica hierarchia (III, 3), l’esempio del rito dell’incensazione, per cui “il vescovo procede con il profumo dell’incenso dal divino altare fino alle parti estreme del tempio, e [...] di nuovo vi ritorna per com- piere la cerimonia”, gli è stato sufficiente per descrivere i diversi gradi di parteci- pazione dell’essere all’unità in se stessa impartecipabile ed inattingibile (e lo schema soggiacente a questa cerimonia, interpretata neoplatonicamente da Dioni- gi, potrebbe esser stato il modello su cui Cusano ha esemplato l’esperimento dell’icona Dei): “La Beatitudine tearchica, se anche avanza con la divina bontà verso la comunione di coloro che partecipano alle sue cose sacre, non esce dal suo

planti, afferma Beierwaltes, “in modo particolarmente efficace, rende [così] possibile chiarire come il vedere creativo di Dio ‘colga’ e ponga, in uno stesso atto di costituzione, ad un tempo tutto insieme, come totalità, e ogni singolo come esistente individualmente (individuell-Seiendes), essen- do da quest’atto, in quanto fondamento che dona l’esistenza, presentificato e ‘conservato’ nell’essere”.7

Quella vista, che è sciolta da ogni contrazione, abbraccia insieme ed in una sola volta tutti i modi del vedere e ciascuno singolarmente, come la loro misu- ra adeguatissima e il loro esemplare verissimo. La vista contratta non può sta- re senza la vista assoluta. E questa abbraccia in sé tutti i modi del vedere (omnes videndi modos), li abbraccia tutti tanto ciascuno singolarmente, e pur rimane del tutto sciolta da ogni loro varietà. Tutti i modi contratti del vedere stanno nella vista assoluta (in absoluto visu) in maniera incontratta. Ogni con- trazione, infatti, sta nell’assoluto, poiché la visione assoluta è contrazione del- le contrazioni (contractio contractionum). Essa è contrazione incontraibile (in-

contrahibilis contractio). Tale contrazione semplicissima coincide dunque con

l’assoluto. Perciò la visione assoluta sta in ogni vista (in omni visu est), poiché ogni visione contratta esiste in virtù di essa e senza di essa non può esistere af- fatto (ivi I, 11; 267-9).

Di fatto, lo spazio d’esperienza visiva reso possibile dall’imago cuncta

videns, dal punto di vista della ratio ‘frazionato logicamente’ e aperto alla

molteplice differenziazione di tutti i punti di vista di volta in volta possibi- li nell’orizzonte del proprio campo visivo (da essa attraversato in vario modo e secondo molteplici ‘direttrici’, conformemente alla discorsività del suo potere conoscitivo limitato e contratto), in ultimo, così scrive K. Flasch, dà origine al “gioco degli opposti (das Spiel der Gegensätze), che ricondu- ce a unità i punti fissi posti dalla ragione a partire da cui rapportarsi all’og-

stato e dalla sua sede immobile, conforme alla sua natura, e a tutti coloro che si uniformano a Dio risplende proporzionalmente, rimanendo in se stessa veramen- te, senza allontanarsi affatto dalla sua propria identità. Così pure il divino sacra- mento della riunione, benché abbia un suo principio divino e semplice nonché rac- colto in sé, si moltiplica per amore verso gli uomini e procede sin alla sacra varietà dei simboli divini, ma uniformemente da questi simboli divini ritorna di nuovo alla propria unità e unifica quelli che in modo sacro vengono condotti ad esso. Nella stessa maniera conforme a Dio, il divino vescovo, se rivolge con la bontà la scienza divina della sua gerarchia verso i sudditi, usando le moltitudini dei sacri simboli occulti, di nuovo poi, trovandosi libero e sciolto da ogni realtà in- feriore, ritorna al proprio principio senza alcuna perdita [...]”: in PG, vol. III, col. 430A; trad. it. cit., pp. 176-7.

getto [della visione]: questo era lo stupore che Cusano, metodicamente, cercava di suscitare [...]. In tal modo, la ragione, al cospetto di quell’unità assoluta che non ammette differenze temporali e punti di vista diversi, fal- lisce. Essa giunge qui alle soglie dell’intelletto: il pensiero, che fino ad al- lora, in quanto ratio, nella percezione visiva si era preoccupato di stabilire punti fissi all’interno della relazione tra soggetto e oggetto della visione, ora scopre che in se stesso, ad esempio, la coppia di opposti della filosofia greca costituita da stasis e kinesis giunge alla propria conciliazione [...]. Il pensiero, allora, fa in se medesimo esperienza della coincidenza dei con- traddittori, e con ciò si comprende, in quanto intelletto, come il fondamen- to della ragione e della struttura razionale del mondo sensibile”.8

L’esperimento cusaniano, dunque, conduce in ultimo a un risultato filoso- fico che diviene in una certa misura pensabile soltanto ammettendo la coin-

cidentia oppositorum: un’unità intellettiva che a sua volta postula, come

emerge esplicitamente dal testo più sotto riportato, un concomitante atto di

fede, in cui è necessario ‘credere’ a ciò che per la ragione è un vero e proprio absurdum e una contraddizione in termini.9 Il pensiero del singolo monaco,

difatti, progredendo nelle sue riflessioni oltre ogni concetto razionale, scopre in ultimo che soltanto con la fede ciò che è in se stesso impensabile e tenebra per la ragione, ed è dunque per essa occasione di sbalordimento e di stupore, 8 K. FLASCH, Nicolaus von Cues, vom Sehen Gottes, in “Micrologus” (1997), n. 5,

cit., p.115. La visione assoluta di Dio, continua Flasch, in quanto unità di tutte le possibili apprensioni particolari dell’icona Dei, è oppositio oppositionis, contrac-

tio contractionis, capace di assorbire in sé tutte le umane prospettazioni (sempre

quantitative e succedentesi temporalmente) della verità unica ed inalterabile: essa, allora, in quanto coincidenza non soltanto di proprietà contrarie, bensì anche di determinazioni razionali assolutamente contraddittorie, “è il fondamento degli opposti che si sottrae ad ogni opposizione; questa visione, inoltre, in quanto cau- sa e fondamento [della realtà contratta], è anche opposizione, così com’è anche contrazione, senza peraltro soccombere ad esse [...]: questo è il punto veramente antiaristotelico ed antiscolastico dell’intera analisi” di Cusano, che si presenta come “una riproposizione della teologia mistica di Dionigi Areopagita; di una te- ologia, dunque, che prova a pensare Dio minus velate che revelate. Questa teolo- gia, a ben vedere, sarebbe stata sempre disponibile, se non fosse stata fraintesa a causa del predominio invalso presso i commentatori delle distinzioni razionali a discapito della comprensione intellettiva – il che vale, in particolar modo, per Al- berto e Tommaso”: ivi, p. 116.

9 Anche a questo proposito, come ha rilevato R. HAUBST, Cusano tradisce una ten-

denza apologetica insita nel suo pensiero: “Egli, sforzandosi di scardinare le cate- gorie della ratio al fine di disporre l’intelletto a favore di un progresso nella pene- trazione conoscitiva dei misteri divini, si pone al servizio della fede”: Das Bild

des Einen und des Dreieinen Gott in der Welt nach Nikolaus von Kues, Treviri,

si può trasformare in vera possibilità conoscitiva e acquisto di luce per l’in- telletto, convertendo così l’intellectualis confusio in salda e stabile certezza, e lo sconcerto iniziale in possibile affermazione di verità. Il monaco che si muove in una determinata direzione, a ben vedere, non può comprendere ra- zionalmente come “lo sguardo dell’immagine si muova anche accompa- gnando un’altra persona, che cammini con un movimento contrario al pro- prio”, senza che il visus dell’onniveggente abbandoni, fosse anche solo per un istante, alcuno dei monaci contemplanti; egli, inoltre, si domanderà “in che modo quell’immagine si muova pur restando immobile” (quomodo im-

mobiliter moveatur) (ivi praef., 6; 265). Quando incontrerà il monaco proce-

dente in direzione a lui opposta, dunque,

gli chiederà se lo sguardo dell’immagine stia continuamente accompagnando- lo; e se si sentirà dire che lo sguardo sta muovendosi parimenti in direzione op- posta, dovrà credergli; e, se non gli prestasse fede, non riuscirebbe a capire come ciò sia possibile (et nisi crederet, non caperet hoc possibile). Così, solo perché glielo rivela chi glielo dice, egli saprà che lo sguardo del volto non ab- bandona tutti coloro che camminano, anche se in direzioni opposte. Avrà, dun- que, la prova che il volto immobile si muove simultaneamente tanto nella dire- zione orientale che in quella occidentale, tanto nella direzione settentrionale che in quella meridionale, tanto in direzione di un luogo quanto in direzione di tutti i luoghi insieme, e che esso guarda sia a un movimento che a tutti i movi- menti insieme (ibid.; il cors. è mio).

Ora, mentre il volto dipinto dell’icona Dei pare seguire come un’ombra lo sguardo di chiunque la osservi – sia che egli sia in moto da oriente a oc- cidente, sia che cammini in direzione opposta, sia che rimanga immobile nel suo originario punto di osservazione: “Se mi muovo pare che il suo sguardo si muova perché non mi abbandona; se, finché io mi muovo, un al- tro che guardi il volto è immobile, lo sguardo del volto non abbandona nep- pure lui, ma sta immobile con lui” (ivi IX, 34; 297); mentre dunque Dio pare vedere simultaneamente, con il suo “sguardo vero ed incontratto” (ve-

rus incontractus visus), omnia et singula (ivi I, 10; 267), facendo coincide-

re in sé quiete e movimento, un movimento determinato con quello che procede in direzione a esso opposto; ben diversamente lo sguardo umano, che è contratto dall’organo visivo corporeo ed è dunque collocato in un punto determinato dello spazio, sembra afferrare il volto divino (la facies

facierum, che è quella forza o principio “ex quo omnes facies id sunt quod

sunt”) (De vis. VII, 22) in una maniera individuale e singolarissima, che di- pende strettamente dall’angolo visivo dello sguardo (angulus oculi): “La nostra vista in uno di noi è più acuta che in un altro, e uno discerne appena le cose vicine, mentre un altro discerne cose più distanti, e c’è chi coglie

l’oggetto con lentezza, chi con più rapidità” (ibid.). In tal senso, ciò che io vedo di quel volto è altra cosa da quello che un altro è in grado di scorger- vi: non un altro volto – nel mondo intellettuale, afferma infatti Cusano, “non vi è che un solo oggetto dell’intelletto” (De fil. II, 43; 41m) –, bensì ogni singolo sguardo coglie quello stesso identico volto divino “secondo quel modo” ad esso proprio (ivi 45; 106s).10

Non c’è dunque simmetria e reciprocità tra lo sguardo umano e quello divino:11 io vedo l’icona soltanto in quel determinato modo che dipende dal

punto di osservazione che mi sono liberamente scelto, mentre l’onniveg- gente, il cui occhio è essenzialmente ubiquo (cuncta videns), è come se se- guisse dall’interno il movimento di ogni creatura, penetrando con il suo

sguardo essenziante nelle viscere dell’intera realtà: “Se la tua essenza pe-

netra tutte le cose, le penetra anche la tua vista, che è la tua stessa essenza. 10 In tal senso, come è stato osservato, “l’essere singolare manifesta, nel momento stesso in cui esso primariamente si rapporta a se stesso, il carattere peculiare del-

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