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La funzione incentivante dell’esdebitazione

4. La ratio e la portata innovativa dell’esdebitazione

4.3 La funzione incentivante dell’esdebitazione

Altro obiettivo che si desume dalla disciplina complessiva è quello coerente con la qualificazione di beneficio, che è quella di premiare il fallito onesto, ma sfortunato e dunque di incentivare31 l’imprenditore assoggettabile a fallimento a tenere sia prima che durante la procedura una condotta irreprensibile tesa a salvaguardare le aspettative di soddisfacimento dei creditori. È evidente che la prospettiva dell’esdebitazione, dovrebbe indurre l’imprenditore fallibile a tenere,

30 Relazione illustrativa al D. Lgs. n. 5/2006.

31Non a caso la relazione illustrativa parla di” incentivante liberazione”, in quanto

tra i motivi che hanno spinto il legislatore ad introdurre la nuova procedura, vi è la volontà di creare un significativo incentivo al fallito a ricorrere alla procedura concorsuale, poiché essa può condurre ad un rilevante vantaggio; l’imprenditore è poi incentivato a collaborare attivamente con gli organi della procedura, poiché il beneficio può essere concesso solo a quei soggetti che si sono comportati in modo onesto e collaborativo.

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durante tutto l’iter della procedura una condotta onesta e collaborativa con gli organi della procedura e ad attivarsi proficuamente per la sua buona riuscita, con un beneficio indiretto anche per i creditori concorsuali. L’effetto premiale deve infatti essere contemperato con il corrispondente interesse dei creditori al massimo recupero dei crediti. Quindi, in sintesi, a fondamento dell’istituto stanno l’interesse privato alla temporaneità dei rapporti obbligatori, in vista di un possibile reinserimento del fallito nel mondo della produzione e del consumo e l’interesse pubblico a stimolare la correttezza dell’imprenditore- debitore nella gestione della sua impresa e la collaborazione dello stesso nello svolgimento della procedura concorsuale. Ne risulta, così, indirettamente tutelato anche l’interesse della collettività dei creditori alla migliore riuscita della stessa procedura32.

Per una parte minoritaria della dottrina l’esdebitazione non è accettabile, anzi pare più ragionevole la ratio che ha da sempre informato e giustificato le norme del diritto fallimentare italiano: liquidare velocemente la massa attiva al fine di soddisfare i creditori, in par condicio tra loro, per poi “spazzare” via dal mercato la c.d. “mela marcia”. Inoltre secondo la medesima dottrina, con detto istituto, non ci si interroga a sufficienza sull’enorme costo sociale che determinano norme contenenti misure premiali per chi sbaglia: a parte il fatto che costui, anche non dolosamente, potrebbe commettere nuovamente gli stessi errori che l’hanno portato al primo fallimento, danneggiando così, ancora una volta, un’infinità di soggetti di diritto; anche il grave danno arrecato alla certezza del diritto, alla fiducia nella Giustizia civile: si pensi al discredito per le stesse istituzioni pubbliche di fronte a tutti quei cittadini che adempiono le proprie obbligazioni regolarmente33.

32 E. Norelli, “L’esdebitazione del fallito”, cit. , 2.

33F.Fradeani, “L’esdebitazione del fallito: quale tutela per i creditori?”, Dir.Fall.,

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5. L’interazione tra la riabilitazione e l’esdebitazione: i

confini applicativi dei due istituti

L’ingresso dell’esdebitazione ha sollevato innumerevoli questioni che coinvolgono il piano della legittimità costituzionale, il piano della legislazione sostanziale e processuale e questioni di carattere intertemporale, problematiche che verranno ampiamente trattate nel prosieguo del lavoro. In particolare, è interessante rilevare l’interazione che si è creata tra il nuovo istituto e quello della riabilitazione, abrogato, quest’ultimo, con la riforma entrata in vigore il 16 Luglio 2006. Ci si chiedeva, in particolare, se vi fosse la possibilità di applicare la riabilitazione, anche dopo la sua abrogazione, per quelle procedure disciplinate dalla vecchia legge: si parlerebbe, in questo caso, di una sorta di ultrattività della riabilitazione. Ultrattività che sussisterebbe anche a causa di un difetto di coordinamento nel quale era incorso il legislatore fallimentare con la novella, laddove aveva espunto dall’ordinamento l’istituto della riabilitazione civile senza farsi carico delle norme che ancora lo prevedevano come condizione necessaria. In particolare, l’art. 24 T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari del casellario giudiziale ossia il D.P.R. n. 313/2002 secondo cui solo il soggetto che era riabilitato aveva il diritto alla non menzione della dichiarazione di fallimento nel certificato generale spedito su richiesta dell’interessato34 e l’art. 241 l. fall. che prevedeva quale effetto della riabilitazione l’estinzione del reato di bancarotta semplice35. Quindi

34 V. art. 24 T.U. : “Nel casellario generale sono riportate le iscrizioni esistenti nel

casellario giudiziale ad eccezione di quelle relative:…n) ai provvedimenti concernenti il fallimento, quando il fallito è stato riabilitato con sentenza definitiva.”

35V. art. 241 l.fall.: “La riabilitazione civile del fallito fa cessare estingue il reato di

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frequenti erano le istanze di riabilitazione, anche successive alla sua abrogazione, strumentali ad ottenere i due benefici summenzionati. Inoltre, ci si chiedeva, nella vigenza della nuova normativa, quale fosse la sorte delle incapacità personali derivanti al fallito dalla dichiarazione di fallimento, dal momento che l’esdebitazione non riguardava tale aspetto. Tali incapacità (di cui ho parlato ampiamente innanzi), previste dal codice civile e dalle leggi speciali e collegate, in alcuni casi, alla permanenza dell’iscrizione nel registro dei falliti, in altri casi alla mera qualità di fallito, in altri casi ancora all’insussistenza, a causa del fallimento, di taluni requisiti, come la buona condotta e il pieno godimento dei diritti civili, dei diritti civili e politici, nel testo anteriore alla riforma, ai sensi degli artt. 50 e 142 l. fall., perduravano oltre la chiusura della procedura concorsuale e potevano essere rimosse esclusivamente facendo ricorso alla riabilitazione. Con l’abrogazione di quest’ultima, non sono state immediatamente introdotte norme sul riacquisto delle capacità da parte dell’ex fallito e conseguentemente egli aveva grandi difficoltà nel richiedere l’iscrizione al registro delle imprese per l’inizio di nuova attività commerciale, non avendo alcun documento che dichiarasse il riacquisto delle capacità, cioè la riabilitazione. Incontrava, quindi, ostacoli nel momento in cui intendeva porre in essere istanze o attività che presupponevano il pieno esercizio dei diritti civili, o la buona condotta, o ancora, la cancellazione dal registro dei falliti.

5.1 Problemi di diritto intertemporale

Quanto al primo aspetto citato, ossia la questione di carattere intertemporale: l’iniziale mancata emanazione di norme di diritto transitorio, che disciplinassero in dettaglio gli effetti operativi

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dell’applicazione dell’esdebitazione stava, in effetti, comportando notevoli problematiche quanto alla disciplina applicabile ai soggetti falliti la cui procedura era stata chiusa prima dell’entrata in vigore della riforma o era ancora pendente a tale data. Per cui era chiaro che essa si applicava direttamente ai fallimenti dichiarati dopo il 16 Luglio 2006. Mentre più incerta era la sorte dei procedimenti aperti prima di tale data, fossero essi ancora pendenti o meno: per essi vi era l’art 150 del Decreto in cui si legge “i ricorsi per dichiarazione di fallimento e

le domande di concordato fallimentare depositate prima dell’entrata in vigore del presente decreto, nonché le procedure di fallimento e di concordato fallimentare pendenti alla stessa data, sono definiti secondo la legge anteriore”, da ciò si deduceva che ad essi si sarebbe dovuta applicare la disciplina fallimentare ante riforma (compresa la riabilitazione). Ma la disposizione non risultava dirimente. Da una parte, seguendo una lettura formale dell’art. 150, poteva sostenersi che l’istituto di nuovo conio si applicasse anche alle procedure fallimentari disciplinate dalla vecchia legge, in quanto l’operatività di quest’ultima si fermava alla chiusura del fallimento; dall’altra poteva ritenersi al contrario, che l’esebitazione e la riabilitazione, basate come erano, in gran parte, su valutazioni attinenti al corso e all’esito della procedura, fossero inscindibilmente connesse alla disciplina applicabile ad essa. Quest’ultima soluzione appariva preferibile. La liberazione dai debiti residui, infatti, poteva trovare applicazione solamente con riferimento ai fallimenti regolati dalla nuova legge; non a quelli disciplinati ancora dal R.D. n.267/1942 perché i requisiti per godere di tale beneficio richiamavano integralmente la nuova normativa ed erano incompatibili con la precedente legge fallimentare: si pensi ai comportamenti collaborativi richiesti al fallito, quale,ad esempio, la consegna della corrispondenza inerente ai rapporti compresi nel fallimento (corrispondenza che, precedentemente, era direttamente consegnata dalle poste al curatore), ovvero la condizione

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che non si sia beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta. Questa opinione è stata largamente seguita nelle prime interpretazioni giurisprudenziali che sulla scorta dell’alternatività tra i due istituti, hanno negato l’applicabilità dell’esdebitazione nei fallimenti dichiarati nella vigenza della precedente disciplina36. Per cui ci si chiedeva quale fosse la sorte degli ex falliti, la cui dichiarazione di fallimento fosse anteriore all’entrata in vigore della novella: potevano e/o dovevano essi richiedere ancora il beneficio della riabilitazione, anche se abrogato? Più in particolare, poteva essere consentito all’ex fallito di ottenere un provvedimento che eliminasse le proprie incapacità derivanti dal fallimento o meglio derivanti dall’iscrizione nel registro dei falliti, ancorché questo fosse stato soppresso a partire dal 16/01/2006 con il D.Lgs. n.5/2006? 37 Diverse sono state le soluzioni approntate dai vari Tribunali. Secondo una prima interpretazione l’entrata in vigore della nuova legge fallimentare avrebbe comportato una sorta di riabilitazione automatica ed indifferenziata per tutti i falliti ante riforma, una riabilitazione di diritto, da intendersi come riacquisto della piena capacità anche personale connessa alla chiusura della procedura fallimentare. Inoltre l’abrogazione dell’art.50 l.fall. avrebbe determinato il venir meno della giuridica esistenza del pubblico registro dei falliti, con la conseguenza che l’ex fallito non avrebbe interesse a chiedere la cancellazione dal registro medesimo in quanto, le incapacità generate dalla sentenza dichiarativa di fallimento e collegate a tale iscrizione dovevano ritenersi automaticamente cessate con la chiusura del fallimento. In linea con questa interpretazione si è sostenuto in dottrina che i procedimenti di riabilitazione pendenti alla

36 Solo con il D. lgs. 2007, n. 169, verrà estesa l’applicazione dell’esdebitazione

anche alle procedure di fallimento già pendenti alla data di entrata in vigore del D.lgs. 2006, per cui il problema dell’applicazione della riabilitazione si poneva solo per le procedure già chiuse a tale data (per le quali non si aveva esdebitazione)

37Con riferimento all’abrogazione del registro dei falliti vi è un’eccezione: il decreto

prevedeva la immediata entrata in vigore, quindi già dal gennaio 2006 e non l’attesa di sei mesi come per le altre disposizioni del medesimo decreto.

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data del 16 Gennaio 2006 potevano e dovevano essere definiti nel merito sino al 16 Luglio dello stesso anno; mentre dal 16 Luglio i procedimenti pendenti dovevano essere dichiarati improcedibili, quelli attivati successivamente a tale data dovevano essere dichiarati irricevibili. Si sono registrate, così, pronunce che hanno disposto la cancellazione del nominativo del ricorrente dal registro dei falliti e dichiarato la cessazione delle incapacità, precisando che non occorreva istanza di riabilitazione, in quanto questa si produceva ex

lege con il decreto di chiusura del fallimento. Altre pronunce, ritenendo che il venir meno dell’istituto della riabilitazione comportasse per tutti gli iscritti nel registro dei falliti una sorta di riabilitazione ex lege, hanno disposto l’immediata cancellazione dal registro di tutti i nominativi iscritti. Diversa è stata la soluzione adottata dalla giurisprudenza del Tribunale di Trani, il quale aveva rigettato le istanze di riabilitazione e di cancellazione dal registro, atteso che la riabilitazione e il pubblico registro dei falliti sono stati eliminati dall’ordinamento giuridico e che la prima operava automaticamente a seguito della chiusura del fallimento. Il Tribunale sosteneva che gli effetti da collegare alla chiusura del fallimento sono identici a quelli derivanti dalla riabilitazione in base alla vecchia normativa, neanche applicabile ai fallimenti regolati dalla legge pre- riforma(le abrogazioni-sostituzioni non permettono di riconoscere esistenza-rilevanza a disposizioni abrogate). Vi era poi un altro orientamento che,pur ammettendo l’istanza di riabilitazione per le procedure pendenti alla data del 16 Luglio 2006, riteneva che l’ex fallito potesse invocare tale beneficio ai soli e limitati fini residuati dopo l’abrogazione del suddetto pubblico registro. Secondo questa impostazione l’interesse del soggetto veniva individuato nella necessità di evitare un effetto penalizzante derivante dall’omessa pronuncia: quello di non poter usufruire del beneficio previsto dall’art. 241 l.fall. che individuava nella riabilitazione civile una causa di

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estinzione del delitto di bancarotta semplice. Il perdurante interesse dell’ex fallito alla pronuncia, veniva individuato, secondo un altro orientamento, anche nella non menzione della dichiarazione di fallimento nella certificazione rilasciata dal casellario giudiziale38. Secondo un’altra interpretazione la riabilitazione ex lege non era del tutto condivisa: si era affermato che l’abrogazione del registro dei falliti non aveva effetto retroattivo ed il procedimento per la riabilitazione civile continuava a trovare applicazione nei confronti dei soggetti già dichiarati falliti alla data del 16 gennaio 2006 (con la conseguenza che le incapacità personali che colpivano il fallito con l’iscrizione nel registro sarebbero sopravvissute fino a quando la detta iscrizione non fosse venuta meno in applicazione della riabilitazione). Altri Tribunali, avevano cercato di ridimensionare la tesi di una riabilitazione automatica, puntualizzando che l’abrogazione del pubblico registro dei falliti non ha riabilitato tutti i falliti, quanto piuttosto ha fatto venir meno, indipendentemente dalla riabilitazione, gli effetti che derivavano dalla iscrizione nel pubblico registro dei falliti. Pertanto a fronte di questo variegato panorama interpretativo, in cui si alternavano sentenze che dichiaravano sempre l’inammissibilità della riabilitazione e sentenze che la applicavano per i “vecchi” fallimenti, è stato emanato il D.Lgs. 2007 n.169, cd. “Decreto Correttivo”, con il quale l’art. 120 l.fall. (che anche dopo la novella del 2006 prevedeva che la chiusura del fallimento ripristinasse solo la capacità di gestire il patrimonio) prevede, ora, la cessazione delle incapacità del fallito anche con riguardo alle “conseguenti incapacità

personali”. Quindi il detto articolo consacra in modo definitivo l’interpretazione che gran parte della giurisprudenza ha posto a

38In questo senso ricordiamo una sentenza del Tribunale fallimentare di Roma, la

quale ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di riabilitazione per abrogazione della normativa, ma ha ordinato la cancellazione della iscrizione relativa al fallimento del ricorrente dal Casellario Giudiziale, quindi ha implicitamente accolto la domanda, essendo essa stata considerata come richiesta di ordinare al casellario di cancellare le medesime iscrizioni.

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fondamento delle sue decisioni, quella secondo cui alla chiusura di fallimento consegue una riabilitazione di diritto: si passa, dunque, da una riabilitazione formale, condizionata ad riabilitazione sostanziale automatica. L’art. 22 del Decreto correttivo, però, dispone che le sue previsioni “si applicano ai procedimenti per dichiarazione di

fallimento pendenti alla data della sua entrata in vigore, nonché alle procedure concorsuali e di concordato fallimentare aperte successivamente alla sua entrata in vigore”, per cui per i fallimenti aperti dopo il 16 Luglio 2006 e per le procedure pendenti alla stessa data, ma chiusi prima dell’entrata in vigore della nuova normativa, dovrebbero trovare applicazione rispettivamente il decreto legislativo 5/2006 nella versione originale e la legge anteriore. È tornato così il caos interpretativo: ci si chiedeva come potessero essere superate le incapacità personali, vista l’assenza di una disciplina normativa in questo senso, per quei procedimenti non soggetti alla regolamentazione integrativa. A risolvere la questione è intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n. 39 del 2008 che si è pronunciata sulla possibilità di applicare la riabilitazione civile agli ex falliti la cui procedura sia stata chiusa prima dell’entrata in vigore della riforma organica, dichiarando l’illegittimità costituzionale degli artt. 50 e 142 l.fall. ante riforma, nella parte in cui stabilivano che le incapacità personali derivanti al fallito dalla dichiarazione di fallimento perdurassero oltre la chiusura della procedura concorsuale. Appare alquanto singolare che la Corte sia stata costretta ad intervenire per sancire l’illegittimità di norme che il legislatore ordinario ha già cancellato (ma solo per il futuro) dal nostro ordinamento. Quindi con essa gli artt. 50 e 142 sono in ogni caso definitivamente eliminati dal sistema italiano per il passato, il presente e il futuro. La sentenza fa leva sulle molteplici condanne che la Corte di Strasburgo ha emesso, ritenendo che “la legge fallimentare italiana

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sviluppare le relazioni col mondo esteriore”. La Consulta ha affermato, in particolare, che “a causa della natura automatica

dell’iscrizione del nome del fallito nel registro e dell’assenza di una valutazione e di un controllo giurisdizionali sull’applicazione delle incapacità discendenti dalla suddetta iscrizione e del lasso di tempo previsto per ottenere la riabilitazione, l’ingerenza prevista dall’art 50 l.fall. nel diritto al rispetto della vita privata dei ricorrenti non è necessaria in una società democratica”, ritenendo così che la norma violasse anche l’art 3 Cost. in quanto “le disposizione censurate

stabiliscono in modo indifferenziato incapacità che si protraggono oltre la chiusura della procedura, poiché prevedono generali incapacità personali in modo automatico e, quindi, indipendenti dalle specifiche cause del dissesto o dalla responsabilità del soggetto agente, stabilendo che esse permanessero anche dopo il fallimento, senza correlarsi alla protezione di interessi meritevoli di tutela”. Ne risulta: in primo luogo che la chiusura del fallimento determina la cessazione automatica delle incapacità per tutti i falliti, a prescindere dalla data di apertura della procedura; in secondo luogo che dal primo gennaio 2006 nessuna iscrizione o cancellazione potrà essere fatta sul registro dei falliti che non sarà neppure più consultabile, essendo venuto meno anche fisicamente, e nessuna pronuncia di riabilitazione potrà più essere emessa, essendo questa stata espunta definitivamente dal nostro ordinamento giuridico; in terzo luogo che il nuovo regime delle incapacità del fallito trova applicazione immediata nei confronti di coloro che sono stati dichiarati falliti non solo dopo il 1° gennaio 2008, ma anche prima. Anche la Suprema Corte (sentenza n. 4630 del 26/02/2009) ha affermato il principio secondo cui le incapacità personali derivanti dal fallimento vengono meno automaticamente al momento stesso della sua chiusura.

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5.2 Problemi applicativi: il mancato coordinamento

dell’abrogazione della riabilitazione con l’art. 24 T.U.

313/2002 e con l’art. 241 l.fall.

Nonostante l’integrazione del decreto correttivo e la sentenza della Corte Costituzionale, qualcuno ancora ammetteva la possibilità di richiedere la riabilitazione ovvero riconosceva l’esistenza di un interesse per il fallito a conseguire una sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti personali per motivi diversi: quali l’ottenimento del beneficio della non menzione della dichiarazione di fallimento nel certificato del casellario giudiziale e l’estinzione del reato di bancarotta semplice, entrambi benefici che conseguono, ancora oggi in base alla normativa vigente, alla sentenza di riabilitazione, normativa che non è stata appunto coordinata con l’abrogazione dell’istituto della riabilitazione. In realtà, il “Correttivo”ha provveduto ad espungere ex art. 21, a decorrere dalla data di entrata in vigore del predetto decreto, alcune norme del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, recante “Testo unico delle disposizioni

legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti”, che prevedevano l’iscrizione nel casellario giudiziale delle notizie relative alle procedure concorsuali.39 Tali abrogazioni ai sensi dell’art. 22 del decreto correttivo si applicherebbero solo alle procedure concorsuali pendenti alla data del 1° gennaio 2008, nonché a quelle aperte successivamente ad essa.

39 In particolare è stato soppresso l’art 3 lett q) secondo cui sono ascrivibili nel

casellario giudiziario i provvedimenti che dichiarano fallito l’imprenditore, quelli di omologazione del concordato fallimentare, quelli di chiusura del fallimento e quelli di riabilitazione del fallito; è soppresso l’art. 5 lett. i) secondo cui sono eliminate le iscrizioni nel casellario giudiziale relative ai provvedimenti giudiziari coi quali l’imprenditore è dichiarato fallito ed è stato chiuso il fallimento, purché il fallimento sia stato revocato con sentenza definitiva; soppressi sono anche gli artt. 24 lett n) e 26 lett b) che dispongono la non menzione nei certificati generali e civili richiesti dall’interessato delle iscrizioni di fallimento per i quali sia intervenuta sentenza definitiva di riabilitazione.

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Risulta, dunque, evidente il mancato coordinamento tra il D.P.R. e la riforma del diritto fallimentare, con la conseguenza che sarebbero ancora vigenti le iscrizioni nel casellario giudiziale delle sentenze dichiarative di fallimenti chiusi anteriormente al 1° gennaio 2008 e che queste ultime iscrizioni non sarebbero neppure eliminabili con lo strumento della riabilitazione civile, che non può essere più azionato.

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