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1974 – 1979 Cooperazione e tension

4.1 Italia: politica, investimenti e contrast

4.1.3 La guerra del pesce

Nel 1976 l’avvenimento più importante nelle relazioni tra Italia e Libia aveva riguardato la Fiat. In quell’anno però iniziavano anche una serie di articoli che riguardavano alcune tensioni tra i due Stati e che rientravano in quella che veniva definita guerra del pesce: il governo libico procedeva a frequenti sequestri di imbarcazioni di Mazara del Vallo, prima flotta peschereccia italiana, che pescavano in acque internazionali ma che il paese nordafricano riteneva sue acque territoriali. Non tutti i sequestri venivano seguiti dalla stampa italiana, lo si capisce in seguito anche notando i nomi dei pescherecci che a volte compaiono per la prima volta a conclusione della vicenda; ma notando la quantità di scritti, attori coinvolti che non erano solo i pescatori e azioni diplomatiche svolte si può capire quanto importante fosse stato il fenomeno che verrà sinteticamente riassunto in un articolo, quello del 22 aprile 1979.

Si veniva a sapere a metà luglio del 1976 che dodici369 membri dell'equipaggio della motopesca d'altura “Provvidenza Gangitano”, catturato due mesi prima da una motovedetta libica, erano stati processati e condannati ad otto mesi di reclusione ognuno dal tribunale di Tripoli. La notizia era stata data a Mazara del Vallo dai parenti dei marittimi incarcerati e dal segretario della Film-Cgil locale in una conferenza stampa. «Per noi è come se fossero morti, io di mio marito non so più niente da quando, un giorno, all'alba, mi salutò con i bambini e se ne andò a bordo» diceva una moglie. Dopo la cattura di unità siciliane i governi arabi delle opposte sponde del Canale di Sicilia — Tunisia, Libia e Algeria — avevano tenuto una linea di condotta pressoché univoca: le motovedette scortavano i natanti sequestrati e i loro equipaggi nei più vicini porti dei loro Paesi, quasi subito i pescatori venivano rilasciati ed erano trattenuti soltanto i comandanti e i pescherecci fino al pagamento di sostanziose cauzioni, ma questa volta le autorità libiche avevano deciso di condannare l'equipaggio. Armatori e sindacalisti respingevano le accuse di pirateria loro rivolte dai Paesi arabi sul Canale di Sicilia: «Se qualche volta avvengono sconfinamenti — si sosteneva a Mazara — la colpa è dei governi arabi che hanno esteso smisuratamente le acque territoriali». In questa situazione, qualche armatore rimediava iscrivendo le sue unità ai compartimenti marittimi arabi.

Si parlava di una conferenza stampa370 e di una raccolta di fondi in città per permettere ai familiari dei marittimi condannati di andare a Roma, al ministero degli Esteri, per cercare di

368 La Stampa, “L'azionista libico soddisfatto della Fiat”, 22 aprile 1978

369 Stampa Sera, “Mazara del Vallo: 12 pescatori condannati in Libia a otto mesi”, 19 luglio 1976 370 Stampa Sera, “La guerra del pesce nel Mediterraneo”, 19 luglio 1976

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convincere le autorità competenti a intervenire direttamente sul colonnello Gheddafi. Si veniva a sapere che avevano chiesto la grazia371 a Gheddafi, ad agosto372 l’avevano ottenuta e il peschereccio tornava a Mazara del Vallo.

Un anno dopo, nel porto siciliano, si approvava in una riunione un documento sottoscritto da armatori, capitani e motoristi373 che mirava ad ottenere dal governo della Libia il rilascio del motopesca d'altura “Nuova Aretusa” e dei suoi undici uomini (dodici secondo l’articolo dell’8 luglio di seguito) di equipaggio sequestrato da una motovedetta libica. Dall'indomani del fermo si trovava a Tripoli e l'ambasciatore Aldo Marotta aveva chiesto al presidente Gheddafi di far rilasciare uno dei marinai. Dopo un mese il peschereccio era atteso a Mazara del Vallo374 e si apprendeva che era stato sequestrato il 27 maggio nel Canale di Sicilia dai militari di una motovedetta della Libia. I pescatori siciliani erano stati processati e assolti dall'imputazione di aver sconfinato nelle acque territoriali libiche e di aver pescato fraudolentemente.

L’anno dopo, ad agosto, la guerra del pesce fu oggetto di un Consiglio dei ministri375. Il ministro degli Esteri Forlani riferiva sugli incidenti occorsi a pescherecci italiani fermati da unità della marina militare libica e sui passi compiuti a tutela dei marittimi fermati. Diceva che la rappresentanza diplomatica italiana in Libia si era attivata per assicurare ogni assistenza ai marittimi e per risolvere gli incidenti ma faceva presente, comunque, che un negoziato diretto Italia-Libia in materia di pesca era impossibile perché la materia riguardante i diritti di pesca era divenuta di competenza comunitaria. Non si escludevano possibilità di avviare altre forme di collaborazione. Delle vicende italo-libiche se ne era parlato anche al ministero della Marina mercantile dove il sottosegretario prospettava una serie di iniziative, tra cui un incontro con l'ambasciatore della Libia a Roma e un meeting organizzato dalla Regione Sicilia e dedicato ai problemi della pesca nel canale di Sicilia.

Il ministero degli Esteri italiano376 continuava con iniziative volte a risolvere la vicenda del rapimento di due marinai da parte di un sommergibile libico in servizio di sorveglianza pesca nel Canale di Sicilia. In particolar modo per accelerare l'iter burocratico dell'inchiesta che le autorità di Misurata avevano aperto a carico dell'armatore e del comandante della motopesca “Eschilo”. Il motopeschereccio era rientrato377 nel porto di Mazara del Vallo in quanto era improvvisamente ripartito e il comandante del sommergibile, date le caratteristiche del suo mezzo (lentissimo quando è in emersione e quindi impossibilitato a scortare il peschereccio fino a Tripoli) aveva dovuto accontentarsi di trattenere in ostaggio i due marinai «come testimonianza di ciò che era accaduto». Da Tripoli l'incaricato d'affari italiano rassicurava sullo stato di salute le famiglie dei due marittimi “detenuti in stato d'arresto per pesca senza autorizzazione nelle acque territoriali della Libia mentre altri dodici marinai, i componenti dell'equipaggio del “Palma Primo” erano in attesa del processo per la stessa imputazione. Continuavano a giungere notizie rassicuranti sui due pescatori catturati378.

371

La Stampa, “Chiedono grazia a Gheddafi i dodici marittimi del Provvidenza Gangitano”, 26 luglio 1976

372

La Stampa, “Tutta Mazara accoglie in porto pescatori graziati da Gheddafi”, 7 agosto 1976

373 La Stampa, “Una nave, da sette giorni è sequestrata in Libia”, 3 giugno 1977 374 La Stampa, “Libero il peschereccio sequestrato dai libici”, 8 luglio 1977 375

La Stampa, “Nessun negoziato diretto Italia-Libia”, 5 agosto 1978

376 La Stampa, “I marittimi di Mazara del Vallo rapiti dal sottomarino”, 2 agosto 1978

377 Stampa Sera, “Oltre ai 2 catturati (o abbandonati dal loro comandante) venerdì, ce ne sono 12 in attesa di giudizio”,

31 luglio 1978

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«Appena in superficie ci hanno sparato con i moschetti, ma non ci hanno colpiti perché eravamo piuttosto distanti», raccontavano quelli arrivati. Con una nota della Farnesina era stato precisato che il ministro degli Esteri libico aveva riferito all'incaricato d'affari italiano che il sommergibile «agiva come una normale unità navale incaricata di svolgere un'azione di sorveglianza solitamente affidata alle motovedette della guardia costiera». Si era intanto appreso (la notizia, dapprima tenuta segreta era contenuta nella nota diffusa dalla Farnesina) che un pescatore di Mazara del Vallo imbarcato sul “Palma Primo” era rimasto ferito nel Canale di Sicilia e che era stato ospitato e curato nella sede dell'ambasciata d'Italia a Tripoli. Dopo la sparatoria era stato sequestrato e scortato a Tripoli

Nell’aprile 1979, si sapeva che negli ultimi cinque anni da Tunisia e Libia erano stati sequestrati una sessantina di pescherecci italiani e almeno 650 pescatori erano stati, per giorni o per mesi, incarcerati. Nelle carceri libiche di Misurata c’erano ancora undici italiani379: nove pescatori dell'equipaggio della motobarca “Giacomo Rustico” e due capitani dei battelli “Tulipano” e “Prudenza”. I nove erano in arresto da un mese ed era rientrata a Roma da Tripoli una delegazione italiana guidata dal sottosegretario Santuz che era andata in Libia per discutere un accordo di cooperazione tra i due paesi in campo scientifico, economico, culturale. Al ministero degli Esteri riferivano che, nonostante non fosse materia di trattativa, il sottosegretario aveva affrontato anche il tema della pesca e da parte libica erano state fatte delle promesse generiche di interessamento. Se con la Tunisia era in vigore un accordo da tre anni in base al quale, dietro il versamento di due miliardi e mezzo di lire i tunisini concedevano 106 permessi di pesca ad altrettanti pescherecci, in Libia se ne occupava la magistratura e chi veniva sorpreso in acque libiche era tratto in arresto, sottoposto al codice penale e condannato a pene che potevano andare fino a due anni, diversamente da quello che accadeva qualche tempo prima quando bastava il versamento di una somma che poteva oscillare tra i 5 e i 30 milioni. Vi era quindi la proposta di una società mista che avrebbe dovuto avere un presidente libico, un vicepresidente italiano, quattro membri libici e tre italiani.

Il mese dopo era sempre lontana la soluzione della delicata vertenza della pesca in acque internazionali al largo di Libia e Tunisia380. Dopo la condanna a due anni di reclusione ciascuno per i nove marittimi del motopeschereccio “Giacomo Rustico”, la stessa pena era stata inflitta dalla magistratura libica al capitano del “Prudenza”. A Mazara del Vallo la notizia era stata accolta con rabbia e costernazione. C’era stato un incontro al ministero degli Esteri, con la partecipazione di funzionari della Marina mercantile, rappresentanti di Federpesca e degli armatori. I mazaresi chiedevano la promozione di un accordo internazionale che vietava la carcerazione dei pescatori in presenza di infrazioni marittime e il pagamento di una multa, così come avveniva con la Tunisia anche se questo accordo stava per scadere. Restava il problema della definizione nel quadro CEE e su basi bilaterali invece si era prevista la missione di una delegazione italiana a Tripoli per discutere con le autorità del luogo la possibilità di creare delle cooperative miste italo-libiche per lo sfruttamento della pesca marittima. Dopo questi incontri i Ministeri ricevevano continue pressioni ma i mazaresi rimanevano delusi e a luglio veniva coinvolto il Presidente della Repubblica Pertini381 quando un telegramma del sindaco sollecitava un suo intervento umanitario. Il presidente dell'Associazione armatori ricordava che tre anni prima un gruppo di marittimi arrestati e

379 La Stampa, “Trattative con la Libia sul problema della pesca”, 22 aprile 1979

380 La Stampa, “Capitano di un motopeschereccio condannato a 2 anni dalla Libia”, 25 maggio 1979 381 La Stampa, “Chiedono l'intervento di Pertini 23 pescatori di Mazara del Vallo”, 5 luglio 1979

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condannati da tribunali libici erano stati liberati grazie a un atto di clemenza di Gheddafi e quella volta era stato il Presidente Leone a intervenire.

Finita l’estate erano avvenuti nel porto siciliano alcuni scontri382 tra forze dell'ordine e scioperanti della flotta peschereccia. Gruppi di dimostranti assaltavano gli uffici del Comune e delle due associazioni armatoriali e tra le motivazioni c’era il fatto che negli ultimi mesi le autorità marittime tunisine e libiche avevano intensificato la vigilanza nelle acque territoriali delle rispettive nazioni. Gli equipaggi chiedevano una più assidua sorveglianza italiana nel Canale sollecitando la liberazione dei mazaresi detenuti in Libia. C’era comunque, a fine ottobre, anche una buona notizia383: 12 pescatori e il capitano del peschereccio “Tulipano”, arrestati dai libici rispettivamente il 19 maggio e il 7 aprile sarebbero dovuti tornati in Italia insieme col ministro degli Esteri Malfatti. Si diceva che era il primo risultato della rapida missione a Tripoli del ministro italiano, missione da tempo programmata nel quadro degli incontri semestrali della Commissione mista di cooperazione italo-libica. Altri otto pescatori, già condannati da un tribunale tripolino, erano rientrati qualche giorno prima, erano stati graziati da Gheddafi ma in favore loro era intervenuto il Presidente Pertini. Con il gesto di Gheddafi «è stata rimossa una ragione di tensione», diceva Malfatti al ministro degli Esteri libico. Si diceva che il seme della cooperazione gettato da Aldo Moro cominciava a dare i suoi frutti. Ma di fatto non erano rientrati384 con l'aereo del ministero degli Esteri, non si conoscevano le ragioni e i particolari del rinvio ma si parlava di difficoltà tecnico-giuridiche per la liberazione dei prigionieri che sarebbe stata rinviata al massimo di una settimana. Il ministro degli Esteri libico aveva dato rassicurazioni in questo senso a Malfatti.

Sembrava comunque che non fosse cambiato niente quando il motopeschereccio “Nicola Lisma” veniva mitragliato385 da una motovedetta militare di nazionalità non accertata mentre stava pescando in acque internazionali, forse erano stati i libici visto il precedente del motopeschereccio “Cadore” che era stato bloccato il 9 aprile da una motovedetta libica a 30 miglia da Misurata. I libici, col pretesto del controllo dei documenti di pesca, facevano salire a bordo della motovedetta il capitano e quindi intimavano agli altri uomini dell'equipaggio di fare rotta verso la costa libica. I pescatori mazaresi avevano finto di obbedire alla intimazione ma poco dopo avevano invertito la rotta e il motopeschereccio era stato inseguito e mitragliato ma riusciva a sfuggire alla cattura. In quella occasione nessuno era rimasto ferito.