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LA INTRINSECA ATTENDIBILITA’ DEI COLLABORATORI ESCUSSI

TEMI GENERALI

B) LA INTRINSECA ATTENDIBILITA’ DEI COLLABORATORI ESCUSSI

Una parte delle acquisizioni probatorie è costituita dalle deposizioni di alcuni collaboratori di giustizia, tutti già affiliati a Cosa Nostra. Di alcuni di essi sono state semplicemente acquisite brevi e circoscritte dichiarazioni rese in altri contesti processuali.

Limitandosi a citare quelli di maggiore importanza, si può ricordare che gli stessi si identificano in:

Salvatore CANCEMI, già capo del mandamento mafioso palermitano di Porta Nuova, che si è volontariamente costituito nel luglio del 1993 ed ha immediatamente iniziato a collaborare;

Ciro VARA, già appartenente, anche con posizione di vertice, alla cosca mafiosa di Vallelunga Pratameno, che, dopo un periodo di latitanza, si è costituito il 26 aprile 1996 e ha iniziato a collaborare con la giustizia dal 5 dicembre 2002;

Giovanni BRUSCA, già capo del mandamento mafioso di San Giuseppe Jato, che è stato arrestato il 20 maggio 1996 ed ha iniziato a collaborare con la giustizia poco dopo la cattura;

Antonino GIUFFRE’, già capo del mandamento mafioso di Caccamo, che è stato arrestato il 16 aprile 2002 ed ha iniziato a collaborare il 16 giugno 2002 mentre era sottoposto al regime carcerario previsto dall’art. 41-bis O.P., applicatogli dopo pochi giorni dalla cattura;

Angelo SIINO, notoriamente implicato nella gestione politico-mafiosa della assegnazione degli appalti pubblici, che è stato arrestato una prima volta il 10 luglio 1991 e, quindi, nel luglio del 1997 ed ha iniziato a collaboratore con la giustizia dal 1997;

Stefano LO VERSO, già appartenente alla cosca mafiosa di Ficarazzi, che è stato arrestato in una prima occasione il 31 gennaio 2005 e, quindi, nuovamente nel 2009 per espiare un residuo di pena. Ha iniziato a collaborare con la giustizia dal 9 febbraio 2011;

Gaspare MUTOLO, già appartenente alla cosca di Partanna Mondello, che ha iniziato a collaborare con la giustizia tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio;

Gaspare SPATUZZA, già appartenente alla cosca mafiosa palermitana di Brancaccio, che è stato arrestato il 2 luglio 1997 ed ha iniziato a collaborare con la giustizia Il 26 giugno del 2008.

E’ necessario soffermarsi brevemente sulla valutazione della intrinseca attendibilità dei predetti.

Al riguardo, deve reputarsi opportuno rifuggire dalla defatigante esplicitazione di generali regole di giudizio, scandita dalla ricca citazione di precedenti giurisprudenziali, che usualmente viene anteposta alla concreta analisi di un compendio probatorio costituito da chiamate in correità o in reità: la stessa rischia, infatti, di indirizzare l’interprete verso percorsi argomentativi astratti e stereotipati, allontanandolo dalla indispensabile valutazione della peculiarità del caso sottoposto alla sua attenzione.

Allo stesso modo, occorre riconoscere i limiti di una analisi generale della intrinseca attendibilità del singolo dichiarante: anche in questo caso, la usuale attribuzione – spesso erroneamente (cfr. Cass., Sez. VI, 24.6/8.8.2003, n. 34076, Sparla) fondata non sulla compiuta analisi dei concreti apporti in considerazione, ma su precedenti esperienze giudiziarie – di un elevato grado di attendibilità al dichiarante rischia di tradire la necessaria valutazione della fattispecie e dello specifico contributo conoscitivo.

Del resto, il pacifico riconoscimento della validità del criterio della valutazione frazionata della chiamata – alla stregua del quale la generale attendibilità della fonte non può escludere la falsità o la erroneità di una singola indicazione e, per converso, un giudizio non positivo sulla piena affidabilità del propalante non esclude la veridicità della singola indicazione – logicamente attenua la portata (per alcuni eventualmente preclusiva) della enfatizzata necessità della rigorosa indagine prodromica sulla personale affidabilità della chiamante (ripetuta, peraltro, in autorevoli arresti giurisprudenziali) ed inevitabilmente sposta l’attenzione sui riscontri esterni, che costituiscono il momento essenziale del giudizio e che sono, a ben vedere, le sole conferme espressamente richieste come indispensabili dall’art. 192, comma 3, c.p.p., che le riferisce non al dichiarante, ma alle dichiarazioni.

Ne consegue che il solo effetto della previa valutazione della intrinseca affidabilità della fonte può essere quello di graduare ragionevolmente la pregnanza del, comunque necessario, riscontro, la cui efficienza probatoria dovrà essere tanto più marcata quanto meno persuasivo sarà stato il giudizio sulla intrinseca attendibilità della chiamata.

In conclusione, poche e chiare regole, attinte dalla legge e dalla ragionevolezza (si potrebbe dire dal buon senso), devono guidare chi si accinge ad esprimere un giudizio su fatti e responsabilità, la cui prova è affidata anche alle chiamate in correità o in reità: la indispensabile considerazione della peculiarità del caso concreto e la inderogabile necessità di riscontri, che dovranno essere tanto più efficienti quanto meno convincente sarà stato il giudizio sulla intrinseca attendibilità della indicazione accusatoria.

Posto ciò, il Tribunale non intende sottrarsi ad una, sia pure stringata, valutazione sulla generale affidabilità intrinseca dei propalanti, valutazione il cui esito può essere, di massima, positivo.

Accantonando per il momento la posizione del MUTOLO, del LO VERSO e del CANCEMI, per quanto riguarda i restanti collaboratori citati deve essere, innanzitutto, rimarcato come i predetti, con spiegazioni più o meno articolate, ma, ad avviso del Tribunale, sincere, abbiano congruamente giustificato la scelta collaborativa, adducendo ragioni che consentono di allontanare ogni sospetto di artificiosità e di strumentalità.

In particolare, il VARA, il BRUSCA, il GIUFFRE’ e lo SPATUZZA hanno addotto una profonda e travagliata riflessione sulla propria esperienza di vita criminale, dalla quale sono scaturiti ora il disgusto provocato da alcune vicende ed, in particolare, dalla tragica uccisione del piccolo DI MATTEO (VARA, che ha anche ricordato le sollecitazioni a collaborare pervenutegli dal figlio, studente universitario), ora risentimenti verso alcuni co-associati e sentimenti di rabbia o di indignazione verso se stesso indotti anche dal pensiero alla propria situazione familiare (BRUSCA), ora sentimenti di delusione per l’allontanamento di Cosa Nostra dai valori e dai principi del passato e la volontà di cambiare vita (GIUFFRE’), ora la dissociazione <da tutto

quel male che mi portavo dietro>, seguita dalla spinta finale data al percorso di ravvedimento dalla religione (SPATUZZA).

Più pragmatiche appaiono le ragioni rassegnate dal SIINO, soggetto che appare meno incline alla emotività, il quale ha lealmente messo a fondamento della decisione di collaborare la dura condanna che gli veniva prospettata (<<SIINO: sì, sì, praticamente quello che noi chiamiamo una collaborazione era un fatto ob torto collo, perché venivo minacciato, ma in maniera pesante, non minacciato con la pistola, né con atti di violenza, ma di avere sequestrato questo, di prendere... lo sa che cosa mi colpii, il fatto che sia De Donno che Mori, proprio qua, a Rebibbia, vennero e mi vennero a dire: “guarda che tu sarai condannato...”... - T: sì, questo lo ha già detto, a nove anni. - SIINO: ...“...a nove anni”. - T: sì, va bene. - SIINO: e allora dissi: “porca miseria, ma già è stabilito”. Questa è stata la cosa che mi ha convinto un po’ di più a collaborare.>>), ma anche le minacce e le aggressioni estorsive dirette contro lo stesso propalante e suoi familiari (<<T: ci sono state altre ragioni per cui si è deciso a fare questo salto? - SIINO: sì, io praticamente nel mentre venivo, in un certo senso, costretto dalle continue richieste di soldi, a me e ai miei familiari, da parte di Brusca, Brusca chiedeva sempre soldi, soldi, soldi, soldi, nello stesso tempo avevo appreso da un mio amico, che poi fu barbaramente assassinato, sto parlando di Geraci Salvatore, che poi venne ucciso...>>).

In secondo luogo, si può sottolineare che una positiva valutazione sulla intrinseca attendibilità dei propalanti è giustificata dalla significativa circostanza che nessun decisivo rilievo è stato mosso, al riguardo, dai difensori degli imputati, quantomeno nei confronti del SIINO, del GIUFFRE’, del VARA e dello SPATUZZA.

Si può, poi, brevemente aggiungere che denominatore comune delle acquisite deposizioni, valido per tutte indistintamente (sì da non richiedere ripetizioni per ciascun singolo propalante), può essere individuato nelle seguenti caratteristiche:

--- la inesistenza di motivi personali (neppure dedotti) che possano anche solo lontanamente giustificare il sospetto di accuse maliziose o calunniose nei confronti degli imputati;

--- la sostanziale coerenza e la costanza delle indicazioni fornite, che sono state, di massima, conformi a quelle offerte in precedenti occasioni, come è dimostrato dalla rarità delle contestazioni. Salvo quanto tosto si osserverà per il BRUSCA, qualche approssimazione e qualche contraddizione delle indicazioni offerte non incidono in

modo determinante sulla intrinseca attendibilità dei propalanti, che hanno sovente deposto su fatti assai remoti.

Ciò precisato in termini generali, si deve, però, avvertire che il Tribunale impronterà le proprie valutazioni ad una prudente cautela, dovendo considerare che la delicata materia trattata ed il ruolo istituzionale degli imputati non consentono, in via astratta, di escludere che le indicazioni fornite siano state indotte dalla volontà di compiacere gli inquirenti in dipendenza della particolare importanza che alle stesse indicazioni sarebbe stata attribuita.

La notazione vale, in particolare, per il BRUSCA, ripetutamente esaminato dal Tribunale, nelle cui dichiarazioni si devono registrare aggiornamenti inediti, seguiti a una nuova inchiesta giudiziaria promossa nei suoi confronti, e svariate oscillazioni, concernenti indicazioni di notevole rilievo, che potrebbero essere state influenzate da improprie interferenze inquinanti, collegate a notizie di stampa relative a pregresse acquisizioni dibattimentali.

Data la peculiarità del processo, a tale aspetto si deve prestare particolare attenzione.

In ogni caso, ad avviso del Tribunale, quanto illustrato consente di ritenere un elevato grado di intrinseca attendibilità al VARA, al GIUFFRE’, al SIINO ed allo SPATUZZA e delle dichiarazioni dei medesimi, che possono, pertanto, legittimamente concorrere a formare il convincimento del giudice, fatto salvo il vaglio della specifica affidabilità delle singole indicazioni.

Quanto al BRUSCA, salvo l’eventuale, più rigoroso vaglio di specifiche sue dichiarazioni, al medesimo può non disconoscersi un sufficiente grado di attendibilità personale.

Alle, già esaustive, considerazioni esposte si può aggiungere che il riconoscimento, già statuito in precedenti sentenze definitive acquisite agli atti, della attenuante di cui all’art. 8 D.L. 152/1991 radica un ulteriore conforto della intrinseca attendibilità dei collaboratori VARA, BRUSCA e GIUFFRE’.

---Venendo al MUTOLO, può dirsi che, come da lui stesso ammesso, non sempre la sua risalente collaborazione con la giustizia è stata cristallina ed immune da affermazioni inesatte: il medesimo, al riguardo, ha parlato, in modo, peraltro, poco chiaro, di qualche forzatura alla quale aveva fatto ricorso per spingere altri co-associati alla collaborazione con la giustizia (<<PRESIDENTE: Quindi la risposta alla mia domanda qual è? E’ possibile che in qualche caso lei non è stata considerata attendibile qualche sua indicazione? - MUTOLO: Può essere sì signor Giudice io non è che... - PRESIDENTE: Può essere sì, ma lei perché dice può essere sì, se lo sa dice sì, se non lo sa dice non lo so. - MUTOLO: Ma guardi io penso parlando diciamo di 50 anni di mafia esatto, e in quel contesto quando io nasco a fare il collaboratore, che quello che mi interessava era di convincere altri collaboratori a collaborare, altri mafiosi a collaborare, io sicuramente mi sono trovato costretto a fare una forzatura nei confronti di qualche mafioso che dopo ha collaborato. - PRESIDENTE: Non ho capito che significa? - MUTOLO:

Signor Presidente io quando sono nato come... - PRESIDENTE: Scusi dobbiamo essere un poco più concisi, nel senso che lei ha accusato qualcuno ingiustamente per spingerlo a collaborare? Mi faccia capire che vuol dire... - MUTOLO: Io sapevo delle cose... signor Presidente io sapevo delle cose, li dicevo e magari non erano delle cose esatte, che dopo parlando altri collaboratori l'hanno specificato meglio. Però l'intenzione mia di dire una cosa per un'altra non c'è stata mai.>>).

Inoltre, malgrado la sua risalente collaborazione, alcune affermazioni rilevanti per l’oggetto del presente processo sono state rese dal MUTOLO solo di recente; non è, poi, mancata qualche contestazione.

Non disponendo di elementi che possano supportare una compiuta valutazione, il Tribunale, riservandosi di vagliare la affidabilità delle singole indicazioni del MUTOLO che riterrà rilevanti, non ritiene che possa, in termini generali, riconoscersi al medesimo un elevato grado di attendibilità.

---Una analisi più approfondita va dedicata a Stefano LO VERSO, la cui collaborazione con la giustizia è più recente nel tempo, sicché la sua intrinseca attendibilità non ha avuto modo di essere, come quella degli altri, ripetutamente verificata.

Il LO VERSO, invero, ha dichiarato di essere stato arrestato il 31 gennaio 2005 dopo l’operazione denominata “Grande Mandamento” e di essersi, durante la successiva carcerazione, progressivamente avvicinato alla religione, maturando sentimenti di pentimento. Scarcerato, aveva condotto una vita ritirata, dissociandosi dai precedenti contatti, così come aveva fatto dopo un ulteriore periodo di carcerazione decorso dal 2009. La sopravvenuta applicazione di una severa misura di prevenzione lo aveva, infine, indotto ad iniziare a collaborare con la giustizia.

Aveva, quindi, chiesto di parlare con il Sostituto Procuratore della Repubblica di Palermo, dr. Antonino DI MATTEO, il solo di cui si fidava, perché il medesimo era titolare del presente processo ed egli aveva raccolto alcune confidenze del PROVENZANO (del quale aveva per un certo periodo - dal 2003 al 2004 - curato la latitanza, rimanendo con lui a stretto contatto): aveva, pertanto, incontrato il dr. DI MATTEO il 14 gennaio 2011 ed il 9 febbraio successivo aveva iniziato la sua collaborazione con la giustizia (<<LO VERSO: […] Prima non è vero che io ho parlato con i carabinieri perché io il primo contatto l’ho avuto direttamente con il P.M. dottore Di Matteo, e sono stato io a cercare il dottore Di Matteo, perché io diffidavo da tutti e continuo a diffidare tuttora da tutti perché ho paura, tanto che dove sono, che sono sempre sorvegliato, io sono controllato e chi mi controlla diventa incontrollabile, altrimenti non saremmo noi qua a fare questo processo. Io diffido di tutti. Ho parlato con il dottore Di Matteo perché sapendo che lui aveva questo processo nelle mani, forse l’unica persona che non mi poteva mai tradire. L’ho incontrato il 14 gennaio, il 9 febbraio ho iniziato a collaborare, e devo dire da quel giorno sono rinato perché non ho paura, la mia paura era prima di parlare, dal momento in cui uno parla la paura decade, perché chi non parla ogni giorno e’ un uomo morto. Si devo morire, ma non ci penso che devo morire, la morte non la penso perché possono uccidere il mio corpo, i miei pensieri non li ucciderà mai nessuno.>>; <<P.M.:

Spieghi anche perché lei ha chiesto proprio di parlare con quel magistrato, proprio con il dottore Di Matteo, visto che ha fatto il nome, perché? - LO VERSO: Io ho detto che ho voluto incontrare il dottore Di Matteo perché il dottore Di Matteo seguiva questo processo della mancata cattura di Bernardo Provenzano, e io avendo avuto tutte le confidenze del Provenzano, avendo avuto tutto, per paura io ho parlato solo con Di Matteo, perché Di Matteo era l’unica persona che...

perché anche dall’interno della Procura poteva uscire qualche talpa e poteva succedere di tutto. Ho spiegato tutta la situazione, tutto quello che sapevo. Ho raccontato al signor Di Matteo

le mie vicende vissute, ho raccontato al dottore Di Matteo le vicende raccontate, e io come testimone devo dire sia le vicende vissute, a questa Corte, sia le vicende raccontante, poi sarà la Corte ha valutare.>>).

Peraltro, sollecitato dal P.M., che gli ha fatto notare come delle delicatissime confidenze del PROVENZANO, riguardanti, tra l’altro, rapporti del medesimo con esponenti dell’Arma dei Carabinieri, avesse parlato soltanto il 6 luglio 2011, dopo svariati mesi dall’inizio della collaborazione, il propalante ha giustificato tale ritardo sostenendo che “su questi argomenti si muore” e che inizialmente era stato suo intendimento parlarne soltanto “in aula”; ne aveva parlato successivamente ai P.M. di Caltanissetta (<<LO VERSO: Inizialmente io non ho parlato di politici e neanche di alcuni argomenti delicati, e non ne ho parlato perché toccando questi argomenti con l’esperienza degli argomenti raccontati del Provenzano... su questi argomenti si muore, per questo non ho mai parlato, ne ho parlato successivamente, addirittura non ne volevo parlare, ma ne volevo parlare in aula, ne ho parlato successivamente quando è venuto il dottore Luciani e il dottore Marino della Procura di Caltanissetta, in occasione che volevano sapere se Cosimo Vernengo fosse colpevole o innocente, quando io dissi Cosimo Vernengo mi ha sempre confermato in carcere che sia lui che suo cognato, Franco Urso, che sono innocenti. In quella occasione mi fecero delle domande sulle stragi e io dissi non posso stare zitto in silenzio delle conoscenze che ho avuto dal Provenzano, io devo riferire quello che so, e ho riferito tutto. Ma volevo riferire tutto in aula perché per paura e diffido sempre di tutti. Su certi argomenti si muore. Paura che devo dire oggi superata, perché si muore quando non si parla, dal momento che si parla non si muore più, tanto che Ilardo è morto prima di arrivare a parlare, perché se Ilardo avesse parlato Ilardo sarebbe ancora vivo.>>).

Rispondendo alle domande del Tribunale, il LO VERSO non ha risolto la discrasia fra le riferite, precise motivazioni della scelta, quale interlocutore, del solo dr. DI MATTEO e l’atteggiamento mantenuto per svariati mesi dopo l’inizio della collaborazione: se, infatti, avevano determinato la preferenza per il dr. DI MATTEO l’impegno professionale del medesimo nel presente processo, concernente la mancata cattura del PROVENZANO, e le confidenze che in merito erano state, a suo tempo, fatte al propalante dallo stesso PROVENZANO, appare chiaramente contraddittorio il fatto che il LO VERSO sia rimasto, proprio su tale punto, silenzioso ed abbia, anzi, negato, come tosto si dirà, di aver ricevuto rivelazioni riguardanti i

rapporti del boss corleonese con esponenti delle Forze dell’Ordine. Ed infatti, il propalante ha, con scarsa coerenza e pertinenza, risposto, in sostanza, che non intendeva parlare dei politici (<<PRESIDENTE: Questa è un’altra cosa che mi ha incuriosito, capisce, perché lei ha scelto di parlare con il dottore Di Matteo perché prestava ovviamente, e giustamente, pieno affidamento al dottore Di Matteo, e poi però su questa... perché faceva questo processo, e poi sulle cose che potevano rilevare su questo processo aspetta cinque mesi per parlargliene. - LO VERSO: Si, perché si parlava di politici, e i politici io non li volevo toccare. - PRESIDENTE: Ma qua non si parla di politici, qui si parla di esponenti dell’Arma. - LO VERSO: Ma degli esponenti dell’Arma noi il primo riferimento lo facciamo ai politici, quando loro mi chiedono delle stragi, poi da lì ho raccontato tutto, una volta che non potevo poi aspettare un altro interrogatorio, ho detto tutto poi.>>).

La Difesa, in sede di contro-esame, dopo aver ricevuto conferma che il LO VERSO aveva avuto sempre accesso ai mass media (e, dunque, anche alle notizie riguardanti il presente processo) anche nei periodi di detenzione (<<AVV. MILIO: E’ stato sottoposto al 41 bis durante la detenzione? - LO VERSO: No. – AVV. MILIO: Quindi aveva libero accesso a giornali, televisione e radio? - LO VERSO: Si.>>), ha chiesto al collaborante della provenienza dei suoi beni, ricevendo la seguente risposta, piuttosto inquietante:

<<AVV. MILIO: Se lei ha riferito ai Pubblici Ministeri di ritenere che tra questi beni che hanno sequestro al suoi nucleo familiare vi fossero anche beni di provenienza lecita perchp frutto del lavoro di sua moglie. - LO VERSO: Ma i miei beni sono tutti di provenienza lecita. – AVV. MILIO: Va bene, quindi lo ha riferito, la risposta è si - LO VERSO: Tutti di provenienza lecita perché è dimostrabile. – AVV. MILIO: Va bene. - LO VERSO: Non hanno nulla a che vedere con la mia collaborazione, perché la mia ricchezza è unica, quella di avere un posto nel regno dei cieli, quella è la mia ricchezza, non è altro. >>.

In seguito, il LO VERSO ha, in sostanza, incontrato sintomatiche difficoltà per spiegare congruamente la ragione per cui solo al sesto interrogatorio avesse per la

In seguito, il LO VERSO ha, in sostanza, incontrato sintomatiche difficoltà per spiegare congruamente la ragione per cui solo al sesto interrogatorio avesse per la

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