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LA LEGGE DI PLANCK E LA FISICA QUANTISTICA

Nel documento TRASMISSIONE DEL CALORE (pagine 184-190)

Discretizzazione, soluzione definita “a pezzi”, continuità e congruenza sui bordi 9.2 LA FLUIDODINAMICA COMPUTAZIONALE (CFD)

10.4 IL CORPO NERO

10.4.1 LA LEGGE DI PLANCK E LA FISICA QUANTISTICA

La Legge di Planck riveste un’importanza storica fondamentale perché con essa ha inizio la

Fisica Quantistica che la rivoluzionato la Fisica moderna. Un breve cenno storico consentirà di

apprezzare tale importanza.

Alla fine dell’ottocento si discuteva molto sulle proprietà radiative di un corpo particolare inizialmente assunto come sorgente di riferimento per la misura della resa luminosa delle varie sorgenti allora disponibili, la lampade elettriche e le lampade a gas.

Varie relazioni erano state proposte, ad esempio la relazione di Wien o quella di Rayleigh -

Jeans, ma nessuna di queste poteva spiegare la reale distribuzione dell’emissione radiativa rilevata

sperimentalmente da Rubens e Kurlbaum presentate ad ottobre del 1900.

Figura 106: Distribuzione del corpo nero e della Legge di Wien

28 Può essere interessante osservare che la E oT4

é stata derivata da Boltzmann verso la metà del secolo scorso e cioè molto prima che Planck pubblicasse la sua legge di emissione del corpo nero. In effetti Boltzmann ricavò la sua relazione solo con considerazioni termodinamiche senza ancora conoscere nulla sulla teoria quantistica di Planck.

Figura 107: Distribuzione del corpo nero e della Legge di Rayleigh - Jeans

M. Planck, allora professore di Fisica Teorica presso l’Università di Berlino, era un cultore di

Termodinamica ed aveva compiuto studi approfonditi sull’entropia a seguito delle pubblicazioni di

Clausius. Egli aveva ben compreso l’importanza del secondo principio ed era fortemente

interessato al comportamento radiativo del corpo nero perché esso aveva mostrato un comportamento indipendente dal materiale con cui era costruità la cavità ma dipendente solo dalla temperatura raggiunta. Questo comportamento gli era sembrato tipico di una legge fisica

universale e pertanto aveva posto la sua attenzione per trovarne una spiegazione teorica.

Avuta la curva sperimentale della distribuzione spettrale della cavità radiativa Planck si mise al lavoro per determinare una legge capace di adattarsi alla curva sperimentale. Il primo sforzo fu trovare una legge matematica che rispettasse la curva di distribuzione reale apportando opportune correzioni alle due leggi di Wien e di Rayleigh – Jeans.

Planck trovò la legge di emissione del corpo nero ma non seppe inizialmente spiegarsene il significato. Il suo primo sforzo fu di intervenire sulle espressioni di Wien e di Rayleigh – Jeans per ottenere una distribuzione radiativa che si sovrapponesse a quella sperimentale di Rubens e

Kurlbaum. Ci riuscì perfettamente!

Subito dopo la sua anima di Fisico Teorico ebbe il sopravvento: doveva trovare una giustificazione teorica alla formula trovata. L’idea principale da cui partire per la dimostrazione fisica fu quella dell’entropia della cavità e di studiare la distribuzione della densità di entropia e non di energia radiativa.

Quando si fa ricerca di frontiera ci si muove al buio verso una meta ignota. Avere un’idea è come avere una torcia che illumina il percorso. Planck ebbe l’idea giusta, per fortuna, e questo determinò anche il suo successo. Quell’idea scaturiva dalla sua preparazione accademica che era particolarmente rivolta alla Termodinamica.

La dimostrazione classica di Planck è stata poi superata dalla dimostrazione di Einstein basata sula relatività speciale. E’ tuttavia interessante rivedere il percorso seguito da Planck sia per l’aspetto speculativo sia perché fu proprio questo percorso che ha portato alla formulazione della

teoria dei quanta che tanto ha cambiato la Fisica moderna.

Per fare questo, storicamente ci si riferiva alla radiazione contenuta in una cavità, in

emessa), come se fosse un gas. Alle singole particelle materiali viene sostituito il campo elettromagnetico oscillante delle onde (stazionarie) riflesse fra le pareti, considerate a tutte le possibili frequenze (che in una cavità di lunghezza finitasono 2

2 n n c n L     .

La distribuzione delle energie cinetiche delle particelle in un gas in equilibrio locale a temperatura T assume la distribuzione di Boltzmann (si ricordi che è Skln ( )P ), secondo la quale la probabilità di uno stato di energia E (entro un intervallo dE) è:

 

0 E kT E kT e P E dE dE e dE

Applicata alla radiazione elettromagnetica dentro la cavità, questa formula dà la probabilità che ciascuna delle onde stazionarie sopra descritte abbia un contenuto di energia E; il numero delle specifiche frequenze, moltiplicato per le possibili direzioni di polarizzazione (due), corrisponde ai gradi di libertà termodinamici.

Il valore medio di energia immagazzinato dentro ogni lunghezza d'onda si calcola di conseguenza: 0 0 E kT E kT E e dE E e dE

Svolgendo i calcoli si ha:

EkT

che è il classico risultato per l'energia media contenuta in due gradi di libertà, valido per la teoria cinetica dei gas.

Applicato alla radiazione in una cavità conduce subito, come è noto, al paradosso chiamato

catastrofe ultravioletta: siccome i gradi li libertà corrispondono alle possibili frequenze, e non

erano noti motivi per cui queste dovessero avere un limite superiore, l'energia totale ottenuta sommando un numero infinito di valori medi costanti kT è infinita. L'attributo ultravioletta è dovuto al fatto che sono le frequenze più alte quelle responsabili del valore di fuga.

Il problema, nella sua sconcertante semplicità, rimase aperto per molti anni senza che si avessero idee riguardo a possibili soluzioni. La via d'uscita venne trovata da Planck, e fu un semplice artificio algebrico.

Per illustrarlo mostriamo brevemente per esteso i passaggi della vecchia soluzione degli integrali: 0 1 ( ) ln ln 1 1 ( ) ( ) E kT E kT E kT E E kT kT e dE Ee dE kT e dE kT e dE e dE kT kT          

 

L'artificio usato da Max Planck è stato semplicemente la sostituzione dell'integrale con una sommatoria discreta: E kT kT e dE e

A cui segue:

1 1 E kT kT e e  

(è stata usata la formula per sommare i termini delle serie geometriche:

1 0 1 1 N N n x x x   

).

Con questo valore si ha:

1/ )

ln 1 1 1 kT kT kT kT e E e kT e e         

Alla quantità costante  venne attribuito un valore roporzionale alla frequenza :

h

  

dove h è la costante di Planck. Questa relazione fondamentale fornisce, inoltre, una formula per la distribuzione statistica dell'energia dei quanti.

Adesso il valore dell'energia media che compete al grado di libertà non è più una costante, ma decresce all'aumentare della frequenza della radiazione che la contiene, permettendo di avere un valore finito dell'energia totale.

In altre parole, l’energia totale degli N oscillatori identici e indistinguibili di Planck è data da

Mh, ove M è un numero intero. Pertanto l’espressione dell’entropia ci porta a concludere che

l’energia si distribuisce tra oscillatori in pacchetti discreti ognuno dei quali vale h e da questo deriva il concetto di quantizzazione. Questa posizione, resa obbligata per verificare la curva

sperimentale, e pertanto fu una scoperta casuale non una posizione culturale e sientifica convinta.

Precisiamo che all'epoca non esisteva nessuna giustificazione teorica per questa scelta di discretizzazione. Essa semplicemente permetteva di risolvere il problema in modo elementare, lasciando inalterato il modello, e riproduceva esattamente i dati sperimentali.

Lo stesso Planck era molto perplesso al riguardo. I fisici familiarizzarono poco a poco con l'idea di quanto di energia; la teoria divenne certezza con la spiegazione dell'effetto fotoelettrico, da parte di Einstein, e poi la comprensione teorica del funzionamento dell'atomo tramite la meccanica quantistica esplose.

La legge di Planck permetteva di risolvere due conseguenze paradossali della fisica classica: lo spettro di radiazione del corpo nero e il collasso degli elettroni nel nucleo atomico.

All'epoca si credeva che una massa irradiasse la stessa quantità di energia su tutto lo spettro di frequenze: ciò voleva dire che l'energia irradiata era indipendente dalla frequenza e, potendo la frequenza aumentare all'infinito, implicava che un corpo avesse un'energia infinita da irradiare.

La teoria dei quanti introduceva una relazione fra frequenza ed energia, e mostrava che

particelle identiche se vibrano a frequenze diverse possiedono una quantità minima di energia diversa.

Secondo la relatività generale, la massa si converte in energia e irradia una certa quantità in varie forme come onde luminose e calore. Questa proprietà comporterebbe una graduale perdita di energia da parte della materia e una graduale tendenza degli elettroni a collassare nel nucleo dell'atomo.

Max Planck, come già detto, inizialmente non si rese conto dell’importanza enorme che

aveva la legge  h. Questa sconvolse la Fisica Classica derivata de Newton e Lagrange e segnava il passaggio fra la Fisica deterministica di Lagrange a quella probabilistica e quantistica della Fisica moderna.

Planck cercò per tutta la vita di riportare la sua scoperta nell’ambito della Fisica classica. Egli

sentiva quasi un senso di colpa per avere rotto un equilibrio ritenuto perfetto e in effetti le teorie di meccanica tradizionale portavano a concetti di reversibilità e di simmetria.

Una conseguenza ancora più forte sull’evoluzione della Fisica quantistica si ebbe con il

Principio di Indeterminazione di Heisemberg (enuciato nel 1927) che stabilisce i limiti nella

conoscenza e nella misurazione dei valori di grandezze fisiche coniugate o, nelle formulazioni più recenti e generali, incompatibili in un sistema fisico.

Nella forma più nota, questo principio viene espresso dalla relazione:

2

h E p

  

fra l'incertezza sulla posizione x e quella sulla quantità di moto p di una particella, con h costante di Planck. Il principio d'indeterminazione nella sua forma più generale di indeterminismo

quantico resta un principio d'assoluta generalità che, al pari del principio di relatività, risulta

fondamento importante della fisica moderna.

Ma cosa dice questo principio di tanto rivoluzionario? Per rispondere a questa domanda in modo semplice ed esauriente bisogna fare un salto indietro di qualche secolo e spendere qualche parola su come Newton intendeva il moto dei corpi.

Nella visione del moto di Netwon, denominata meccanica classica, era sempre possibile conoscere simultaneamente la posizione e la velocità di un corpo (in tal caso, si dice che le due quantità sono determinate) ed anzi, una volta che queste due quantità osservabili fossero note, il moto dell'oggetto in questione era perfettamente determinato; detto in modo più semplice, si poteva prevedere per qualunque istante di tempo dove lo avremmo trovato (Lagrange).

Il principio di indeterminazione (o di Heisenberg) ha infranto per sempre questo sogno, stabilendo che non si possono mai conoscere contemporaneamente la posizione e la velocità di una particella: se ne conosciamo la posizione (cioè essa è determinata) non possiamo conoscerne la velocità (cioè essa è indeterminata) e, viceversa, se ne conosciamo la velocità non possiamo conoscerne la posizione.

Se noi assumiamo che la meccanica quantistica ci dia una descrizione completa e corretta della realtà, il suddetto principio di infeterminazione ha delle implicazioni concettuali veramente straordinarie e rivoluzionarie. In quest’ottica infatti, l'indeterminazione non può essere assunta come una carenza della nostra teoria, ma al contrario essa è intrinseca alla natura stessa della particella. In altre parole, quando una particella ha una ben definita posizione, essa non può avere “realmente” anche una velocità.

Il mondo atomico, alla luce di questo principio, diventa allora qualcosa di estremamente misterioso, un mondo in cui certe proprietà delle particelle perdono la loro concretezza, la propria oggettività: finché noi non effettuiamo una misura di velocità sul corpo considerato, la natura rimane per così dire “sospesa” in un mondo fatto solo di potenzialità, ed è soltanto il processo di misura che rende oggettivo, nel senso di reale, il valore della velocità.

A questo punto però cominciano i problemi legati al processo di misura: l'indeterminazione non solo cancella la realtà oggettiva delle particelle, ma ha pure la qualità di essere in un certo senso “contagiosa” con tutto ciò che interagisce con essa.

Facciamo un esempio per chiarire meglio questo punto. Consideriamo una particella di cui conosciamo la posizione e quindi, per quanto detto sopra, indefinita nella sua velocità (nel senso che non esiste ancora una sua velocità) e poniamoci quindi l'obiettivo di misurare la velocità con uno strumento di misura dotato di un indice (immaginiamo questo strumento con una scala graduata simile ad un contachilometri).

Il problema ora è che lo strumento di misura è un oggetto macroscopico risultante dall'insieme di un numero enorme di particelle microscopiche e quindi quando esso entra in interazione con la particella “infetta” dalla indeterminazione esso non può fare altro che subire questo contagio. Se la meccanica quantistica è corretta, allora essa ci dice inequivocabilmente che anche l'indice macroscopico dello strumento deve finire in uno stato di potenzialità sospesa in cui esso, per così dire, non ha ancora scelto una posizione ben precisa.

A questo punto però c'è qualcosa che non torna: ognuno di noi sa benissimo (e se non lo sa per esperienza diretta lo può comunque immaginare in base ad un minimo di buon senso) che quando si fa una misura con uno strumento, il suo indice assume sempre una posizione ben precisa; ciò tuttavia è in netta contraddizione con quanto previsto dalla meccanica quantistica quando cerca di descrivere l'interazione oggetto – strumento di misura.

Come uscire allora da questo apparente paradosso?

Una possibile risposta a questo tipo di problema venne fornita dal genio di von Neumann dopo che ebbe sottoposto la questione della misura alla sua penetrante capacità di analisi. Egli si accorse infatti che considerare “processo di misura” la sola interazione fra la micro particella e lo strumento di misura era sbagliato, o quantomeno incompleto, poiché di fatto ci si dimenticava proprio della cosa più importante che contraddistingue una misura, cioè la componente umana; egli era solito sottolineare questo fatto ricorrendo alla sua celebre frase: “l'esperienza non ci

permette mai di affermare che una quantità fisica ha un definito valore, ma soltanto che una quantità fisica ha un definito valore per un osservatore”.

Alla luce di questo, von Neumann si spinse allora a riconsiderare il processo di misura, comprendendo oltre all'interazione particella – strumento di misura, anche l'interazione

strumento – sperimentatore.

Cosa possiede però lo sperimentatore di così diverso dallo strumento di misura tale da essere determinante per far concludere il processo di misura e non ricadere nel paradosso sopra menzionato? Lo sperimentatore, sostiene von Neumann, oltre a possedere un corpo, possiede prima di tutto una coscienza che non appartiene alla dimensione materiale ed è proprio questo elemento extra-fisico la soluzione rivoluzionaria al problema della misura. Cerchiamo però di capire meglio il perché descrivendo adesso in modo più preciso il processo di misura.

Riconsideriamo allora la nostra particella in uno stato indeterminato rispetto alla sua velocità e mettiamola in interazione con lo strumento di misura; abbiamo già sottolineato che l'esito necessario (secondo le regole della meccanica quantistica) di questo processo è che ci troviamo in una situazione ancora più complessa, poiché ora anche il nostro strumento ha l’indice in uno stato indeterminato, in cui nessuno dei valori possibili può dirsi essere ancora registrato.

Cosa succede allora quando la coscienza dello sperimentatore guarda l'indice dello strumento? Secondo von Neumann quando essa interagisce con lo strumento, ovvero lo guarda, ha il potere di spezzare la “catena” dell'indeterminazione per il semplice fatto che essa, non appartenendo al mondo della materia e dell'energia, ne può violare le leggi (e quindi non è contagiabile dal principio di Heisenberg) e ciò ha come effetto di dare “realtà” sia alla posizione dell'indice dello strumento, sia alla velocità della particella considerata.

In quest’ottica quindi tutto il mondo materiale, sia quello microscopico che quello “famigliare” macroscopico, sarebbe sempre sospeso in una sorta di limbo di possibilità che per diventare attuali e determinate necessitano della presenza dell'Uomo, anzi, per essere precisi, della coscienza dell'Uomo.

Per la suddetta ragione, questo tipo di soluzione al problema della misura, proposta inizialmente da von Neumann, e in seguito appoggiata da London, Bauer e Wigner è stata vista nella storia del pensiero scientifico come una “seconda rivoluzione copernicana” in cui l'uomo è ritornato al centro dell'universo ed è il perno su cui si fonda tutta la realtà.

Questa posizione innovativa e rivoluzionaria era talmente dirompente nel pensiero scientifico e nell’Epistemologia del tempo che anche un grandissimo genio quale Einstein aveva difficoltà ad accettarla. Celebre è la sua frase, detta al suo collaboratore durante una passeggiata nei viali di Princeton: "Veramente lei è convinto che la luna esiste solo se la si

guarda?"

.

Discutere su questo affascinante argomento va fuori dagli scopi di questo volume ma il Lettore può trarre spunto da quanto sopra detto per le proprie riflessioni filosofiche ed epistemologiche. In fondo spesso il nostro modo di pensare é dettato dall’abitudine a farlo secondo gli insegnamenti ricevuti e non ci rendiamo conto di quanta conoscenza e coscienza siano insiti in ogni passaggio.

Purtroppo la tendenza a banalizzare la realtà ci porta a non vedere ciò che è sotto i nostri occhi, ci porta a non sorprenderci più di quanto accade!

Nel documento TRASMISSIONE DEL CALORE (pagine 184-190)

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