Mentre nel corso del 1954 si sta preparando quella che passerà alla storia come la prima mostra internazionale di disegno industriale in Italia, curata da Albini, De Carli, De Carlo, Mango, Menghi, Morello e Zanuso, coordinata da Nizzoli e allestita da Achille e Piergiacomo Castiglioni con numerosi pezzi della produzione mondiale, si verificano stimolanti iniziative che concorrono a decretare l’affermazione della cultura del design industriale nel nostro paese.
Nel 1953 Osvaldo Borsani, con il fratello Fulgenzio, fonda la Tecno, “il grande progetto a cui lavorerà tutta la vita per sviluppare la produzione di serie rispetto a quella su disegno. Le sue prime opere di industrial design sono la poltrona ad assetto variabile P40 (1953) e il divano D70 a seduta invertibile”62, quest’ultimo presentato alla “Mostra del mobile singolo” in Triennale e tra i segnalati del Compasso d’oro.
Nel 1954 nascono le aziende, operanti nel settore dell’arredamento, Zanotta e Elam, precedute poco tempo prima dall’Arflex, e si consolida l’attività di altre dinamiche realtà come Bernini e Cassina.
“Altra tessera del mosaico design è l’uscita nel giugno 1954 della rivista ‘Stile Industria’ diretta da Alberto Rosselli, fino al 1963 attenta osservatrice degli aspetti economici, commerciali, tecnologici del design. Con estrema chiarezza i prodotti vengono illustrati, smontati, o fotografati duranti le fasi produttive; particolare attenzione è dedicata ai settori dell’automobile, dell’elettrodomestico, della telefonia, dell’imballaggio. Per inciso, tra il 1952 e il 1953 Rosselli cura le esposizioni di ‘Arte ed estetica industriale’ alla Fiera campionaria.”63
Di fatto “Stile industria” è la prima rivista che si è occupata di design nel nostro paese e con “Pirelli”64 dell’ingegner Sinisgalli si focalizza su ogni aspetto del progetto.
62 http://www.tecnospa.com/it/azienda/architetti-e-designer/osvaldo-borsani (20/06/2014). 63 A. BASSI, R. RICCINI e C. COLOMBO, Op. cit. nota 1, p. 106.
64 G. LUPO, Sinisgalli e la rivista Pirelli in http://www.fondazionepirelli.org/ (20/06/2014): “Con l’azienda
Pirelli Leonardo Sinisgalli collabora appena dopo la fine della seconda guerra mondiale, in un periodo molto breve, compreso tra il 1948 e il 1952, in cui fonda e dirige l’omonimo bimestrale, in collaborazione con Giusep- pe Eugenio Luraghi, dirigente del settore pneumatici e animatore delle Edizioni della Meridiana. Tale esperienza dentro un ambito industriale che Sinisgalli stesso chiameraà ´regno del flessibileª, si inserisce in un contesto emblematico della storia italiana: quel fervido quindicennio che, all’insegna dell’ottimismo, avrebbe traghettato l’intera nazione dalla ricostruzione postbellica al miracolo economico degli anni Sessanta. [Ö]La seconda stagione milanese, breve ma intensa, [Ö] reca i segni del conflitto tipicamente novecentesco tra una cultura di tipo tradizionale e un’idea di modernitaà che, pur recando al suo interno contraddizioni e squilibri, si va sempre piuà affermando come istanza etica e modello di civiltaÃ. Nello spartiacque di metaà Novecento Sinisgalli sceglie la via della pubblicistica aziendale per presentare le sue dissertazioni sul rapporto tra uomini e macchine (L’operaio e la macchina), sui pericoli dell’alienazione industriale (Il lavoro e lo svago), sull’enigma tra le leggi della natura e l’intelligenza (La ruota), sul divario
Tornando alla Triennale del ’54, come si ha già avuto modo di scrivere, essa è caratterizzata da due temi programmatici, di cui uno è quello del rapporto tra l’arte e l’industria produttiva sviluppato in modo esplicito nella mostra di industrial design.
Gillo Dorfles esprime così, a distanza di tanti anni, la continuità-scontinuità tra la sezione di Belgioioso, Peressutti, Buzzi Ceriani e Huber del ’51 (“La forma dell’utile”) e la sua diretta discendente del ’54.
“Nel 1951 la mostra intitolata ‘Forma dell’utile’ sembrava indicare che scopo del design era combinare utilità e bellezza e che la funzionalità era il primo requisito del disegno industriale. Oggi quel concetto è superato, ma è stato importante che allora si sottolineasse il ruolo della funzionalità perché si faceva una barriera fra oggetto prodotto industrialmente e oggetto artigianale, soprattutto dopo le Biennali di Monza, dedicate all’artigianato e alle arti decorative. Ma è la Triennale del 1954 a essere il punto di svolta più significativo per il problema del disegno industriale. Non dimentichiamo che a quel tempo molti non sapevano neppure che cosa fosse il disegno industriale. Persino alcune delle industrie che producevano oggetti di disegno industriale non ne avevano un’idea chiara. Lo scopo di questa Triennale, con la mostra internazionale sull’industrial design, era anche quello di far capire cosa ci fosse dietro la parola “design”. Allora non si diceva ancora “design”, ma disegno industriale, perché non pareva giusto usare una parola inglese.”65
Quindi partendo dall’assunto che questa mostra vuole rivelare qualcosa di più rispetto al solo prodotto dell’industria in esposizione, si cerca di ricostruirne brevemente la genesi e gli sviluppi.
In una riunione della Commissione dell’ID del 27 gennaio ‘5466 si ipotizza di chiamare “Industrial Design” la sezione omonima unita a quelle del mobile singolo, dello standard e del particolare d’architettura.
Questa informazione è illuminante per comprendere innanzitutto che la mostra di Albini, De Carli, Menghi, Morello, Zanuso e gli altri non era l’unica che trattava il nodo della forma all’interno della produzione industriale e che la X Triennale, trattando di industrial design in più occasioni, è un’edizione che dichiara affatto timidamente la strada che sta imboccando. Altro dato che da questa proposta si ricava è che l’ industrial design è inteso
tra produzione artigianale e standard (L’intelligenza eà la mano?). E in questo programma si indovina il motivo della vasta fortuna incontrata dalle riviste da lui fondate, a cominciare da ´Pirelliª appunto, che fa da prologa alla successiva ´Civiltaà delle Macchineª, fondata a Roma nel 1953.î
come un “gran calderone”, per usare un’espressione di Gillo Dorfles, dove rientra “l’impaginazione” della vita di oggi67 che comprende l’urbanistica quanto l’architettura quanto la grafica ecc…
In un successivo appuntamento della commissione, il 1° febbraio ’54, Morello spiega che la mostra di cui si occupa “consterà di pochi oggetti, dovrà essere un’impostazione statistica, perché il pubblico, entrando in questa sezione, dovrà accorgersi che si tratta di una mostra di disegno”.68
In una relazione dettagliata di otto giorni dopo, vengono messe nero su bianco i contenuti delle tre sottosezioni:
“1°) Presentazione ed esame analitico degli oggetti scelti durante la preparazione tra i più significativi della produzione mondiale.
2°) Raccolta e presentazione dei dati statistici riguardanti i fatti economici e tecnici relativi all’Industrial Design, ottenuti attraverso una inchiesta presso le industrie che, nel mondo, risultano più qualificate nel campo.
3°) Le scuole di Industrial Design atte alla preparazione del designer.”69
Inoltre, nel medesimo documento vengono segnalate le categorie di pubblico a cui ci si vuole rivolgere: industriali, tecnici, artisti e il grande pubblico.
Per ognuna di queste categorie di utenza si spiega a quale aspetto della mostra risulterà più interessata e a cosa invece bisogna stimolarla ad interessarsi.
Chi produce, industriali e tecnici a loro servizio, probabilmente pone attenzione all’aspetto tecnico ed economico dell’ID (sviluppato nella sottosezione 2) ma i secondi devono essere sensibilizzati anche al dato estetico. Il popolo dei creativi guarda normalmente la forma quindi deve essere sollecitato ad interessarsi alla tecnica. Per quanto riguarda invece il visitatore generico, tramite l’esposizione, questi deve comprendere la grande possibilità di scelta che ha sul mercato.
In sostanza, nella relazione è dichiarato, sempre su base ipotetica perché nulla è ancora iniziato, che solo le prime tre fasce di pubblico si dovrebbero attardare sull’analisi dell’oggetto sebbene anche agli altri, più attratti dall’esposizione vera e propria, vengano messi nelle condizioni di giudicare “attraverso una precisa esemplificazione della funzione della forma degli oggetti stessi”.
66 Archivio storico della Triennale di Milano, X Triennale, numero unità 91.39, “Verbali di riunione della
commissione”.
67 G. DORFLES, Design: percorsi e trascorsi, Milano, Lupetti, 2010, p. 100.
68 Archivio storico della Triennale di Milano, X Triennale, numero unità 91.39, “Verbali di riunione della