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La nozione di commitment

Université de Tours & CNRS, LLL, UMR

2. La nozione di commitment

2.1 La nozione di commitment usata negli approcci tradizionali alla modalità

Gli approcci cognitivo-funzionali tradizionali alla modalità fondano le nozioni stesse di modalità epistemica e di evidenzialità sulla nozione di commitment. Esaminiamo per esempio queste tre citazioni, tratte da opere che costituiscono un riferimento per gli studi sulla modalità in generale, per la modalità epistemica e l’evidenzialità in particolare:

Any utterance in which the speaker explicitly qualifies his commitment to the truth of the proposition expressed by the sentence he utters…is an epistemically modal, or modalized, utterance. (Lyons, 1977: 797)

The term “epistemic” should apply not simply to modal systems that basically involve the notions of possibility and necessity, but to any modal system that indicates the degree of commitment by the speaker to what he says. In particular, it should include evidentials such as “hearsay” or “report”…or the evidence of the senses. Palmer (1986: 51)

Epistemic forms establish a position of…commitment with respect to the propositional content of the clause. (Verstraete, 2001: 1523)

Queste citazioni mostrano che la nozione di commitment alla quale gli approcci cognitivo-funzionali fanno riferimento è descritta come un atteggiamento con alcune caratteristiche precise : (i) un atteggiamento privato, (ii) statico, (iii) independente dal discorso.

(i) Lyons e Palmer parlano esplicitamente di commitment del parlante, “speaker’s commitment”, al singolare. Non c’è spazio nella loro concezione per l’idea che il commitment possa essere condiviso tra i partecipanti a un discorso.

(ii) Lyons and Palmer parlano DEL commitment del parlante, “THE speaker’s commitment” del suo unico commitment, mentre Verstraete parla di UNA posizione di commitment, “A…position of commitment”. In tutti i casi, il commitment è visto come un atteggiamento unico che non cambia nel discorso.

(iii) Lyons e Palmer affermano che le forme modali indicano “indicate” o qualificano “qualify” il commitment del parlante. In questa prospettiva il commitment è visto come un atteggiamento che preesiste al discorso e che è semplicemente descritto nel discorso, aziché essere costruito attraverso il discorso.

Questo approccio al commitment implica che quella che chiamiamo oggi epistemicità è stata tradizionalemente vista come una categoria solipsistica, statica e descrittiva: l’epistemicità è vista, infatti, in questi approcci come la categoria che serve semplicemente a descrivere (anziché costruire) l’atteggiamento statico (anziché dinamico) di un singolo parlante (anziché l’insieme dei partecipanti alla conversazione) rispetto alla verità dei contenuti proposizionali del discorso – ma citiamo i lavori più recenti di Simon-Vandenbergen e Aijmer (2007), Mithun (2012), Rossari (2012), Kärkkäinen (2012), Traugott (2012), per eccezioni importanti.

Già a partire dai nostri primi tentativi di sviluppare uno schema di annotazione per l’epistemicità, ci siamo resi conto che questa definizione di epistemicità non ci avrebbe permesso di dare conto di una serie di costruzioni particolarmente frequenti nei dialoghi che contribuiscono a esprimere una valutazione dello statuto di verità di un contenuto proposizionale, e che per questo sarebbero da annoverare tra le costruzioni epistemico- evidenziali. Esaminiamo gli esempi da (1) a (3):

(1) D: per cui uno ripete le stesse cose no ? C: è vero3

(2) C: ma secondo me li’ c'e' molto l’istinto materno represso eh? A: lei? C: ah E: dici? A: non mi sembrava

(3) C: Oreste Del Buono sta facendo sti racconti in tv A: ah sì? dove su? C: credo

rai uno non lo so

Questi esempi sfidano rispettivamente l’approccio solipsistico, descrittivo e statico all’epistemicità. L’esempio (1) mostra che il commitment non è un atteggiamento privato, ma piuttosto, un atteggiamento che i parlanti tendono a condividere con gli altri: i segnali discorsivi no? e è vero , per esempio, sono usati dai parlanti rispettivamente per sollecitare presso l’interlocutore una valutazione della verità del contenuto proposizionale e per accettare la valutazione fornita dall’interlocutore. L’esempio (2) mostra che il commitment non è una attitudine pre-esistente che il discorso si limita a descrivere: i parlanti giungono alla fine di questo scambio ad un accordo sull’improbabilità della verità del contenuto proposizionale: “c’è lì molto istinto materno represso”. Questo commitment comune non esisteva prima che il discorso avvenisse, ma è stato creato attraverso il discorso: esso costituisce infatti il risultato della negoziazione epistemica avvenuta tra i parlanti. L’esempio (3) mostra che il commitment può cambiare nel discorso: mentre il parlante C considera in un primo momento probabile (credo) che i racconti di cui si parla siano trasmessi da Rai Uno, dicendo non lo so, cambia la sua valutazione dello statuto di verità del contenuto proposizionale, attribuendo una minor probabilità alla sua verità.

2.2 La nozione di commitment nello studio della modalità epistemica

Per descrivere la totalità delle costruzioni epistemiche che ricorrono nei dialoghi, abbiamo ritenuto opportuno ritornare alla nozione di commitment che era stata originariamente proposta da Hamblin, rivistandola però nel quadro della semantica dinamica, interazionale, comunitaria (Ginzburg 2012).

Come hanno mostrato de Brabanter e Dendale (2008), nella definizione originale proposta da Hamblin (1970), il commitment è caratterizzato non come un atteggiamento proposizionale, ma come un contenuto proposizionale. Hamblin chiama “commitment” ognuno dei contenuti che un parlante aggiunge al “deposito” di conoscenze che egli costruisce man mano che il discorso procede:

A speaker who is obliged to maintain consistency needs to keep a store of statements representing his previous commitments, and require of each new statement he makes that it may be added without inconsistency to this store. (Hamblin 1970).

Accettando di considerare il commitment come un contenuto proposizionale, il discorso può essere rappresentato come una successione di commitments. Questi commitments possono corrispondere ad asserzioni, ipotesi, assunti (cioè a oggetti semantici capaci di portare un valore di verità v. §5.1), così come ad altri tipi di giudizi,

3 Tutti gli esempi di questo articolo sono tratti dal Corpus VoLip Corpus (vedi §7 per i dettagli). Lo scope delle costruzioni epistemiche è sottolineato (vedi §5), mentre il marker è evidenziato in grassetto (§4).

che siano estetici o morali sulla qualità dello stato di cose rappresentato, oppure giudizi sull’opportunità, la desiderabilità che lo stato di cose rappresentato si realizzi. Questi diversi tipi di commitment realizzano, rispettivamente, discorsi epistemici (4), apprezzativi (5), assiologici (6), deontici (7), volitivi (8):

(4) Ho visto la porta della sua stanza chiusa, penso che stia dormendo(ItTenTen) (5) Penso che sia bellissimo che internet mi dia una possibilità del genere

(ItTenTen)

(6) Il pareggio penso che sia giusto ho visto una bella partita con due squadre che

si sono affrontate a viso aperto (ItTenTen)

(7) Penso che la politica debba partire dal territorio (ItTenTen)

(8) Io invece penso che vorrei leggere pagine come questa ogni giorno (ItTenTen)

Quando parliamo di commitment epistemico, indichiamo quindi, un qualunque contenuto proposizionale che contribuisca alla costruzione di un discorso epistemico, cioè un qualunque contenuto proposizionale che sia valutato in termini di valore di verità.

Per poter descrivere le particolarità della costruzione dei commitments epistemici nel dialogo, proponiamo di rivisitare la rappresentazione del discorso come deposito di commitments proposta da Hamblin, alla luce di rappresentazioni più recenti del discorso dialogico proposte dagli approcci comunitari (Stalnaker 1978), dinamici (Groenendijk & Stokhof, 1991) e interazionali (Ginzburg 2012) alla semantica.

Secondo Stalnaker 1978, il discorso non costituisce semplicemente un deposito di commitments prodotti da un singolo partecipante, piuttosto, i partecipanti alla conversazione costruiscono un insieme di commitments condivisi, che costituiscono il cosiddetto “common ground”. Ognuno di questi commitment è intrinsecamente dinamico, ha cioè il potenziale di cambiare il Common Ground (Groenendijk & Stokhof, 1991). Il Common Ground va quindi rappresentato come un insieme dinamico di commitments condivisi.

In questa prospettiva teorica, il discorso dialogico è visto come un processo: il processo di grounding, cioè il processo attraverso il quale i commitments entrano a fare parte del Common Ground (Clark & Brennan 1991). Come ha mostrato Ginzburg (2012: 8), il processo di grounding è un processo interattivo che coinvolge molti agenti con credenze e desideri ben distinti. Questo processo può incorrere in “malintesi, refutazioni, correzioni […] ed eventualmente in un successo” . Chiameremo quindi grounding epistemico il processo comunitario, dinamico e interazionale che permette di radicare, o di tentare di radicare, i commitment epistemici nel discorso.

2.3 Una nuova definizione di epistemicità

In questa prospettiva, possiamo definire come epistemica ogni costruzione che segnali in maniera esplicita il processo di costruzione di un grounding epistemico, cioè ogni costruzione che permetta di segnalare esplicitamente il processo di una valutazione condivisa del valore di verità dei contenuti proposizionali che compongono un discorso. Questa rivisitazione della nozione di epistemicità ha almeno due importanti conseguenze per l’identificazione delle costruzioni epistemiche.

Innanzitutto, possiamo considerare epistemica ogni costruzione che modifichi il valore di verità di un contenuto proposizionale indipendentemente dal fatto che essa serva a qualificarlo, come in (9) o a negoziarlo (chiedere verifica, confermare, ecc. v. §6.1.5 per una tipologia complete delle funzioni di negoziazione dialogica), come in (10) e (11):

(9) A: forse non non lo so non riesco a spiegamme

(10) a te Giovanna non ti piace l'aglio vero (11) A: gli fa comodo la situazione

G: ah certo

Inoltre, ritornando alla distinzione di Hamblin tra commitment epistemico e altri tipi di commitment, possiamo considerare la valutazione del valore di verità come un elemento cruciale per la definizione di epistemicità. Questo ci permette di evitare un errore che viene commesso spesso, e cioè quello di considerare “epistemiche” costruzioni modali che servono in realtà a valutare un commitment esteticamente o moralmente, oppure in termini di opportunità o desiderabilità.

Abbiamo visto per esempio che la semplice presenza del marker “penso” negli enunciati che vanno da (5) a (8) non basta a considerare le costruzioni che appaiono in quegli enunciati come costruzioni epistemiche, proprio per il fatto che esse non esprimono valutazioni sulla verità dei commitment che esprimono, ma altri tipi di valutazioni.