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La pena come strumento di contenimento sociale?

Chi scrive ritiene che in questa particolare analisi del ruolo dell’istituzione carceraria non debba però essere enfatizzata una lettura marxista che limiterebbe il fenomeno ad un legame strutturale tra consolidamento di un sistema di produzione post fordista ed una paradigma politico economico di matrice neoliberale, focalizzando l’attenzione sulla crescente precarizzazione del lavoro e su un’ intensificazione estrema dello sfruttamento nei confronti dei settori più marginali e dequalificati della forza lavoro.

Se è vero, come è stato acutamente notato29, che il problema non è di razza,

ma di classe, questa accezione deve essere impiegata nel senso più lato del termine, includendovi prima di tutto soggetti poveri.

Il carcere diviene quindi prima di tutto strumento di contenimento per una determinata classe di soggetti, ovvero di coloro che già sono esclusi in partenza dal contesto sociale ed in questo senso la sua funzione diviene quella di garantire la separazione tra una categoria di “indesiderabili”, percepiti come minaccia fisica e morale e la società metropolitana.

Il sistema penale va quindi a colmare le lacune ed i vuoti lasciati dal crollo del welfare nei paesi industrializzati occidentali e, per quanto riguarda la realtà statunitense, ad integrare e compensare il crollo del ghetto come dispositivo

29 L. Wacquant “Iperincarcerazione Neoliberismo e criminalizzazione della povertà negli Stati Uniti”,

Ombre Corte Editore, Verona, 2013 pg. 66; A. Borghini, Potere simbolico e immaginario sociale. Lo Stato

per il contenimento di una popolazione considerata deviante, pericolosa e superflua, sia sul piano economico che politico.

Quest’ultimo aspetto, ben visibile nella realtà statunitense, si sta affacciando, seppur con intensità differente da nazione a nazione, anche sul continente europeo, ove sempre di più assistiamo a fenomeni di ghettizzazione.

All’ interno delle città crescono differenziazioni economiche, si genera una polarizzazione sociale, che, anche senza voler richiamare alla mente la outcast

London di vittoriana memoria, permettono di individuare con nettezza i

potenziali protagonisti del regime carcerario.

In tale panorama il carcere diviene pertanto un efficace strumento di disciplina sociale, svolgendo un ruolo non solo e non tanto di risocializzazione, ma sempre più di reclusione di massa.

Si tratta evidentemente di un sistema che mira a contenere determinati gruppi sociali, una classe pericolosa, dai confini variegati, che al suo interno annovera diversi soggetti, dai marginali agli immigrati.

Abbiamo sopra accennato ad un raffronto tra la realtà statunitense ed il continente europeo ed alcune differenze nei cointesti sociali devono necessariamente essere messe in luce.

Prima di tutto la maggiore omogeneità delle città europee, sia dal punto di vista sociale che spaziale, poiché lo stato sociale ha evitato quelle profonde frammentazioni e divisioni che a lungo hanno contraddistinto le città americane.

È vero infatti che le città europee hanno saputo maggiormente stemperare i conflitti con politiche sociali che hanno tentato di smussare gli aspetti più eclatanti delle diseguaglianze, anche se negli ultimi decenni questa eredità è andata man mano perdendosi, con un processo involutivo che, a parere di chi scrive, sembra gettare prospettive non molto diverse da quelle delle città americane.

Le società urbane sono oggi sempre più attraversate da linee di frattura, che riguardano sia aspetti politici ed economici, ma anche più strettamente la questione demografica.

In un epoca in cui la popolazione europea invecchia e si assiste ad un calo delle nascite, il Continente si trova a dover far fronte a flussi migratori forse senza precedenti, trovandosi in una difficile fase di passaggio di cui ad oggi non è possibile definire la durata né ipotizzare quali assetti andranno a sedimentare.

Lo spettro di una “deriva americana”, in cui la questione sociale si profila come crescente divaricazione tra ricchezze ed opportunità, inclusione ed esclusione, con la palese incapacità delle amministrazioni a far fronte alle problematiche poste dai flussi migratori, dalla crisi economica mondiale, non sembra quindi un’ ipotesi destituita di fondamento e la storia delle banlieues

dei paesi d’oltralpe, dalle rivolte degli anni novanti ai tragici fatti di quest’anno appaiono un segnale inquietante.30

Come accennato nel precedente capitolo, possono essere individuate almeno due concezioni sociologiche che tentano di spiegare l’espansione del sistema penale.

Una prima concezione ritiene che la nuova punitività sia una forma culturale, in cui le attuali riconfigurazioni delle politiche criminali rappresentano l’esito del raggiungimento di uno stadio della società (variamente definita tarda modernità, postmodernità, società del rischio) e rispondono ad una crescente insicurezza criminale.

Altra impostazione è quella di ritenere che la svolta punitiva delle politiche pubbliche rientri in un progetto politico di risposta al crescente bisogno di risposta alla insicurezza sociale ed ai suoi effetti destabilizzanti nelle zone marginali spaziali e sociali.

In quest’ottica il declino del welfare e la simultanea espansione della prigione segnano il passaggio dalla gestione sociale alla gestione penale della marginalità urbana.

Sebbene le differenze tra le due impostazioni siano evidenti, mi sembra che entrambe abbiano il pregio di rifiutare la impostazioni criminologiche riduttivamente incentrate sulla coppia criminalità/ pena, riconducendo invece

30A. Petrillo “La città perduta, l’eclissi della dimensione urbana nel mondo contemporaneo” Ed Dedalo,

Bari, 2000, pg. 136 e ss; S. Ciappi, La nuova Punitività. Gestione dei conflitti e governo dell’insicurezza, Rubettino Editore, Soveria Mannelli, 2008, pgg 73 e ss

la questione della pena alle più ampie caratteristiche delle società contemporanee, con attenzione particolare verso la dimensione culturale della penalità.31

31L. Wacquant “Iperincarcerazione Neoliberismo e criminalizzazione della povertà negli Stati Uniti”,