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La Psicosi Depressiva

Nel documento Università degli Studi dell Aquila (pagine 33-41)

3 Patologie neuropsichiatriche

3.1 La Psicosi Depressiva

La depressione è una patologia psichiatrica, caratterizzata da episodi di sofferenza emo-tiva, profonda tristezza, ridotta quantità di energia psichica e perdita di interesse nelle co-muni attività piacevoli. Le persone che soffrono di tale condizione sperimentano uno stato di desolazione, smarrimento e sviluppano pensieri profondamente negativi circa sé stessi, il proprio futuro e coloro che li circondano. È una malattia invalidante, che coinvolge la sfera affettivo-relazionale e cognitiva, comportando un disadattamento alla vita familiare, al la-voro, allo studio, alle abitudini alimentari, al sonno. La depressione fa parte dell’insieme dei disturbi dell’umore, tra i quali ricordiamo il bipolarismo. Tutte queste malattie derivano da una serie di circuiti cerebrali chiamati loop cortico-striatali, che possono essere manipolati con uno specifico tipo di stimolazione elettrica per portare sollievo ai pazienti. I circuiti ce-rebrali collegano la corteccia sulla superficie del cervello a una regione interna, evolutiva-mente vecchia e profonda, chiamata striato. Secondo gli scienziati questo sistema va in “di-storsione” in persone con disturbi psichiatrici, implicando rigidità e pensiero bloccato da circoli viziosi, causando una condizione di sofferenza nel controllo del comportamento. La cura che si tenta di trovare consiste in un metodo che sia in grado di fermare tali circoli viziosi, comportandone il bloccaggio o la definitiva rottura.

La depressione pertanto causa un’alterazione neurofisiologica su diverse zone cerebrali.

Il cervello di un soggetto depresso è molto meno “attivo” di quello di un soggetto sano. Pos-siamo osservare questa discrepanza in Figura 3.1, dove sono riportate le immagini Positron Emission Tomography (PET) di due cervelli, rispettivamente propri di un soggetto patologico e di uno non patologico.

Figura 3.1 - Scansione PET: differenze nei livelli di ossigeno, glucosio e irrora-zione sanguigna tra soggetto normale e depresso

La depressione trova le sue cause, oltre che in situazioni di disagio indotte da eventi trau-matici nella vita sociale quali lutti, disgrazie o eventi negativi, in fattori genetici e/o biologici che comportano alterazioni a livello neurotrasmettitoriale, ormonale e nel sistema immuni-tario (Stopani, 2018).

Ad esempio, con la variazione della trasmissione degli impulsi nervosi, saranno variabili l’iniziativa del soggetto, il sonno e le interazioni con gli altri. Dei circa 30 neurotrasmettitori che sono stati identificati, i ricercatori ne hanno evidenziati tre che potrebbero avere rela-zioni con lo sviluppo della depressione: la serotonina, la noradrenalina e la dopamina. Si ritiene, infatti, che la psicosi depressiva sia provocata proprio dalla diminuzione della sintesi cerebrale di questi neurotrasmettitori.

Nella Figura 3.2 sono riportate le relazioni tra serotonina, noradrenalina e dopamina e i diversi umori umani.

Figura 3.2 – I mediatori chimici coinvolti nella depressione:

relazione tra neurotrasmettitori e umore 3.1.1 Conseguenze della Depressione e Trattamenti

Numerosi studi hanno confermato che la depressione non correttamente individuata e curata, con il passare degli anni, comporta mutamenti cerebrali evidenti. Per questo motivo è stata accostata a patologie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson.

Assimilando la depressione ad una “infiammazione” cerebrale e studiandone le evolu-zioni attraverso la tecnologia di visualizzazione del cervello PET, gli studiosi hanno osservato un netto aumento della infiammazione in un arco decennale di sofferenze per depressione e la cosa porta a ritenere la malattia non statica, ma progressiva.

I tre trattamenti tradizionali per la depressione sono la psicoterapia, la somministrazione di psicofarmaci e la sollecitazione elettrica del cervello.

Negli ultimi anni hanno avuto grande successo la stimolazione magnetica transcranica (TMS) o la stimolazione cerebrale profonda (DBS). Questo tipo di trattamento è pensato ad

integrazione delle terapie farmacologiche, potenziandone i risultati, o come sostituto della terapia elettroconvulsiva per i pazienti particolarmente resistenti agli psicofarmaci.

Questo tipo di trattamento è pensato come integrante le terapie farmacologiche o come sostituto della terapia elettroconvulsiva per i pazienti particolarmente resistenti ai soli tratta-menti con psicofarmaci. Grazie al supporto della TMS, molte terapie farmacologiche risul-tano accelerate nei loro risultati. Per quanto riguarda, invece, proprio i farmaci di cui ci si serve per contrastare la depressione, marchiamo il fatto che il loro scopo sia quello di au-mentare la disponibilità di noradrenalina e serotonina ai terminali nervosi cerebrali del pa-ziente malato. Questi trasmettitori accrescono il senso di benessere del soggetto, inducendo sentimenti di felicità e soddisfazione, e garantendo l’equilibrio psicomotorio (Guyton & Hall, 2017). Non sempre l’esclusivo trattamento con farmaci garantisce la guarigione dell’affetto da depressione, infatti tale tipo di cura è efficace solo per circa il 70% dei pazienti.

3.1.2 il Morbo di Alzheimer

La malattia di Alzheimer è una patologia neurodegenerativa, progressiva ed irreversibile, che colpisce il cervello. Nell'anziano, rappresenta la più comune forma di demenza, intesa come una progressiva perdita delle funzioni cognitive ed influisce, infatti, sulle capacità di una persona di portare a termine le più semplici attività quotidiane, andando a colpire aree cerebrali che controllano funzioni come la memoria, il pensiero, la parola.

Il declino progressivo delle funzioni intellettive porta, nel malato di Alzheimer, ad un conseguente peggioramento della vita di relazione, dovuto alla perdita di controllo delle pro-prie reazioni comportamentali ed emotive. Negli stadi finali della malattia sopraggiunge la perdita dell'autonomia.

Attualmente non vi è ancora una cura definitiva per questa malattia, tutti i farmaci dispo-nibili sono solamente in grado di rallentarne il decorso, quindi di permettere al malato di conservare più a lungo le funzioni cognitive.

Ad oggi, 24,2 milioni di persone sono colpite da demenza e ogni anno si contano 4,6 milioni di nuovi casi: il 70% di questi è attribuibile ad Alzheimer. L'incidenza aumenta con l'età e - a causa dell'invecchiamento della popolazione nei Paesi più sviluppati e dell'aumento dell'aspettativa di vita in quelli emergenti - il morbo di Alzheimer sta diventando un pro-blema crescente in tutto il mondo.

Fattori di rischio significativi sono l'età, il corredo genetico, la storia medica, lo stile di vita

Figura 3.3. Lesioni provocate dal Morbo di Alzheimer

Sezione coronale di encefalo: differenze tra encefalo normale ed encefalo af-fetto da AD

A livello macroscopico si può osservare nel morbo di Alzheimer un grado variabile di atrofia (riduzione della massa dei tessuti od organi) corticale, caratterizzata da ingrandimento dei solchi parietali, più accentuato nei lobi frontali, temporali e parietali.

Il morbo di Alzheimer, inoltre, presenta anche alterazioni microscopiche, conosciute come placche senili extracellulari e ammassi neurofibrillari intracellulari.

Nel morbo risulta alterato l’equilibrio dei neurotrasmettitori, sostanze che veicolano le informazioni fra i neuroni, attraverso la trasmissione sinaptica.

Le alterazioni dei sistemi neurotrasmettitoriali e del meccanismo di trasduzione del se-gnale nel cervello di individui colpiti da morbo di Alzheimer, sono molto complesse. Uno dei sistemi che risulta alterato, riguarda il sistema di segnalazione colinergico6, che vede coinvolto il neurotrasmettitore acetilcolina7. È stato infatti dimostrato che individui colpiti da morbo di Alzheimer presentano una ridotta trasmissione colinergica a livello della cor-teccia e dell'ippocampo, importanti aree cerebrali deputate a fenomeni quali apprendimento e memoria.

6 Colinergico: In medicina, che fa riferimento al meccanismo d’azione dell’acetilcolina, mediatore chimico che si libera a livello delle terminazioni di molte fibre nervose e che stimola particolari recettori cellulari in organi ghiandolari o a struttura muscolare liscia.

7 La molecola della acetilcolina è uno dei neurotrasmettitori più importanti. È responsabile della trasmissione nervosa sia a livello di sistema nervoso centrale sia di sistema nervoso periferico nell'uomo. Nel corso della storia dell'uomo è stata il primo neurotrasmettitore ad essere scoperto.

È stato dimostrato che la stimolazione magnetica transcranica giova ai pazienti affetti da Malattia di Alzheimer per contrastare la perdita di memoria. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica NeuroImage, ha rilevato un miglioramento del 20 percento della memoria in pazienti trattati con sedute di stimolazione del cervello attraverso questa metodica.

Volendo stimolare la funzione della memoria, i ricercatori dell’IRCCS Santa Lucia sono andati ad agire su una particolare rete neurale, il default mode network, che è un’area collocata in una posizione centrale e relativamente profonda del cervello altamente connessa con l’ip-pocampo, altra regione da sempre sotto forte osservazione quando si parla di malattia di Alzheimer e problemi di memoria”. Il default mode network influenza inoltre la nostra con-sapevolezza dell’ambiente e della situazione in cui ci troviamo in un determinato momento.

Accanto allo studio dei sui effetti neuroriabilitativi, il gruppo di ricerca dell’IRCCS Santa Lucia si sta concentrando sull’utilizzo della TMS come biomarcatore dell’Alzheimer, ovvero come strumento per rilevare in modo precoce segnali della malattia. Le due metodiche oggi più diffuse per la diagnosi sono il prelievo del liquido cerebrospinale mediante ricovero e puntura lombare oppure l’esame con PET ma le stesse sono costose o invasive. La TMS si pone anche come valida alternativa diagnostica a basso costo attraverso l’invio di impulsi al cervello in modo isolato e puntuale è possibile ottenere i livelli di connettività cerebrale della persona in base a precise informazioni neurofisiologiche e quindi rilevare scostamenti dalle funzioni cerebrali di un soggetto sano.

3.1.3 Disturbo post-traumatico da stress (PTSD)

Il disturbo post-traumatico da stress (PTSD) è un disturbo d'ansia invalidante caratteriz-zato da sintomi quali pensieri intrusivi, ipervigilanza, flashback, incubi, disturbi del sonno, intorpidimento emotivo, che si può sviluppare in seguito all'esposizione ad un evento stres-sante e traumatico. Tale disturbo è difficile da trattare e i suoi sintomi risultano persistenti e comportano difficoltà sociali, lavorative e interpersonali. Diversi studi con tecniche di neu-roimmagine funzionale riportano un aumento del flusso di sangue o del metabolismo nelle strutture corticali frontali, paralimbiche e limbiche dell'emisfero destro quando viene rievo-cato l'evento associato con i sintomi (Shin & Rauch, 2004). La stimolazione magnetica trans-cranica ripetitiva a bassa frequenza apporta effetti benefici normalizzando la iperattività me-tabolica frontale e paralimbica.

I pazienti tollerano bene la stimolazione senza particolari effetti collaterali. Dopo un sin-golo trattamento con TMS a bassa frequenza, i pazienti affetti da PTSD riportano grandi miglioramenti nei sintomi centrali del disturbo, sebbene transitori.

In uno studio più recente viene investigato il ruolo dell'utilizzo di frequenze maggiori di stimolazione (Boggio, et al., 2010), analizzano l'effetto di rTMS a 20 Hz sulla corteccia pre-frontale dorsolaterale destra o su quella sinistra utilizzando una bobina a figura di otto. Per misurare i sintomi da PTSD si utilizzano scale di valutazione quali la PTSD Checklist, la Treatment Outcome PTSD, la Hamilton Anxiety Rating Scale e la Hamilton Depression Rating Scale. In aggiunta viene condotta una serie di test neuropsicologici per verificare eventuali effetti dannosi sulla cognizione. Attraverso l'analisi dei valori della PTSD Checklist, si osserva che sia la rTMS destra che quella sinistra inducono una significativa riduzione nei sintomi.

Nei test cognitivi infine, i gruppi sottoposti a rTMS attiva incrementano notevolmente le performance. Lo studio dimostra quindi che la stimolazione sia della corteccia prefrontale dorso laterale destra che di quella sinistra ha effetti benefici sui sintomi del disordine post-traumatico da stress. Il dato più interessante è che la stimolazione destra si associa a miglio-ramenti più marcati in confronto a quella sinistra, che tuttavia risulta più efficace nell'ambito della depressione.

3.1.4 TMS in ambito operatorio

In ambito operatorio invece, la TMS può essere anche utilizzata nella valutazione preo-peratoria di specifiche aree cerebrali e per il monitoraggio intraoperatorio delle funzioni cor-ticospinali nel tratto motorio, allo scopo di facilitare le procedure chirurgiche.

Durante il planning preoperatorio, è necessario qualche volta, al fine di minimizzare il rischio di deficit post operatori, identificare l’emisfero linguistico dominante, localizzare l’area del linguaggio o l’area motoria che potrebbe essersi spostata a causa della compres-sione dovuta a lesioni intracraniche o intracerebrali. L’imaging funzionale (risonanza ma-gnetica) potrebbe essere utile in questo caso; tuttavia, tale tecnica può solamente fornire delle immagini delle aree cerebrali associate a un determinato comportamento, non riuscendo però a stabilirne una relazione causale. La combinazione tra la MRI e la TMS può fornire questa informazione.

3.1.5 Applicazione congiunta con altre metodiche

La TMS può essere utilizzata in concomitanza con altri strumenti al fine di integrare le risposte ed ottenere informazioni più approfondite riguardo l’area di interesse.

Per ottenere informazioni funzionali viene generalmente associata a: Risonanza magne-tica per immagini (MRI), tomografia a emissione di positroni (PET) ed elettroencefalografia (EEG). Queste tecniche di imaging funzionale possono essere applicate prima, durante o dopo la TMS.

L’applicazione di tali tecniche previa stimolazione, permette di identificare, con preci-sione, le zone che dovranno poi essere investite con i campi indotti dalla bobina, e, di conse-guenza, saranno di supporto per determinare il corretto posizionamento della strumenta-zione per TMS. La contemporanea applicastrumenta-zione delle due tecniche, invece, permette di de-terminare gli effetti della TMS in tempo reale, mentre, l’applicazione postuma, consente di valutare gli effetti a lungo termine che la stimolazione ha avuto sull’area cerebrale studiata.

Tra le cooperazioni citate, è bene spendere qualche parola in merito alla combinazione TMS+EEG. L’elettroencefalogramma mostra l’effettiva attività neuronale e permette di di-stinguere fenomeni facilitatori ed inibitori. L’unione di queste due tecniche fornisce un’ot-tima risoluzione temporale, dell’ordine dei millisecondi, con conseguenti informazioni simul-tanee sull’attività cerebrale della regione sottostante. Questa combinazione viene spesso im-piegata per il calcolo del periodo silente. Nonostante i numerosi benefici apportati della si-nergia delle tecniche si presenta il rischio di creare artefatti che risulteranno, poi, ulterior-mente evidenziati dai necessari amplificatori di segnale, fondamentali per rilevare i deboli segnali EEG dell’ordine di qualche centinaio di μV.

La combinazione TMS+fMRI garantisce, invece, un’elevata risoluzione spaziale e forni-sce informazioni circa le dinamiche neuronali

Nel documento Università degli Studi dell Aquila (pagine 33-41)

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