• Non ci sono risultati.

IV. Dal corpo biopolitico al corpo simulacro

2. La realtà integrale e la fine della rappresentazione

La condizione descritta da Baudrillard è quella di un mondo postmoderno e globalizzato in cui ha luogo la “scomparsa del reale”, una scomparsa che, in analogia con la fine del “mondo vero” di cui parla Nietzsche, porta anche alla sparizione del mondo dei segni, aprendo così la

17 Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, cit., p. 176.

18 Ivi, p. 184. Sulla dimensione immaginaria e simbolica in quanto capace di dar senso alla morte cfr. anche Durand, Le strutture antropologiche dell’immaginario, cit., pp. 434-435: “Abbiamo constatato che l’immaginario costituiva l’essenza dello spirito, cioè lo sforzo dell’essere per levare una speranza vivente contro il mondo oggettivo della morte. […] Giacché si è detto molto spesso, sotto differenti forme, che si vive e si scambia la propria vita, dando così un senso alla morte, non per cose, dimore e ricchezze, ma per opinioni, per il legame immaginario e segreto che lega e unisce il mondo e le cose nel cuore della coscienza; non solo si vive e si muore per idee, ma la morte degli uomini è assolta dalle immagini”. A un analogo superamento simbolico del-la morte allude anche Ernst Jünger pardel-lando del “passaggio al bosco” come luogo dell’Unheimliche, l’inquietante o perturbante. “In questa luce il bosco è la grande casa della morte, la sede del pericolo di annien-tamento. Il compito della guida spirituale è di condurvi per mano il discepolo per liberarlo dalla paura. Il bosco lo fa morire e risorgere simbolicamente”. In quanto luogo di una morte e risurrezione simbolica e iniziatica, il bosco racchiude l’“eccedenza del mondo” simboleggiata da ogni atto generativo, e in particolare dal sacrificio di Cristo, “fondatore supremo”: “Il granello di frumento, morendo, ha generato non numerosi, ma infiniti frutti. Si tocca qui quella eccedenza del mondo di cui ogni atto generativo è un simbolo temporale, oltre che un segno del-la vittoria sul tempo”. Cfr. E. Jünger, Trattato del ribelle, tr. it. Midel-lano 1990, pp. 73, 76-77.

via alla “realtà integrale”19. “Chiamo ‘Realtà Integrale’ il perpetrare sul mondo un progetto operazionale senza limiti: che tutto divenga reale, che tutto si faccia visibile e trasparente, che tutto sia ‘liberato’, che tutto si compia e che tutto abbia un senso (quando la specificità del senso è che non tutto possa averne)”20. La scomparsa della realtà, precisa Baudrillard, non si-gnifica che la realtà scompaia fisicamente, ma metafisicamente: quello che scompare è il prin-cipio capace di darle un senso e di introdurre una distanza o una trascendenza, cioè il princi-pio di rappresentazione. È questo l’effetto fondamentale prodotto dall’estensione dell’ambito del virtuale – video, schermo interattivo, multimedialità e Internet.

Nella sfera del Virtuale – del numerico, del computer, del calcolo integrale – nulla è rappresentabile. Non è una scena e non c’è né distanza né sguardo critico o estetico: è l’immersione totale e le innumerevoli immagini che ci vengono da questa sfera mediatica non appartengono all’ordine della rappresentazione ma a quello della codificazione e del consumo visivo. Quelle immagini non ci istruiscono, ci informano, ed è impossibile risalire da esse a una qualsiasi realtà sensibile. Neppure a quella del politico21.

Questa situazione, con la scomparsa della distinzione tra l’apparenza, l’immagine, la rappre-sentazione, da una parte, e la realtà, dall’altra, è quella di un mondo privo di distanza e tra-scendenza, che costituisce il rovesciamento della “società dello spettacolo”. Qui non è il reale ad aver ceduto ai simulacri e allo spettacolo e all’artificio, ma il contrario: “Oggi occorre ro-vesciare la formula: abbiamo perduto il segno e l’artificio a vantaggio del reale assoluto. Ab-biamo perduto insieme lo spettacolo, l’alienazione, la distanza, la trascendenza, l’astrazione – tutto ciò che ancora ci separava dall’avvento della Realtà Integrale, da una realizzazione del mondo immediata senza appello”22. È questa l’epoca di una “violenza fatta all’immagine”, da un Occidente che, ad onta della presenza diffusa di immagini e di “idoli”, resta iconoclasta in quanto distrugge le immagini attraverso il senso, “sovraccaricandole di significato”23. È il mondo della “visibilità integrale” dei reality show, dove il reale viene forzato nell’“orbita del

19 J. Baudrillard, Il Patto di lucidità o l’intelligenza del Male, cit., p. 19, 57: “Abbiamo abolito il mondo rea-le. Che mondo rimane allora? Il mondo dei segni? Nient’affatto. Con il mondo reale abbiamo soppresso anche quello del segno. È l’uccisione del segno che apre la via alla Realtà Integrale”.

20 Ivi, p. 11.

21 Ivi, p. 65.

22 Ivi, p. 57.

23 Ivi, p. 78. Il paradosso di un Occidente che ha creato le tecniche di produzione, riproduzione e trasmissione delle immagini e che, al tempo stesso, ha prodotto una filosofia razionalistica che distrugge le immagini, o alme-no ne diffida, viene evidenziato anche da G. Durand, L’immaginario. Scienza e filosofia dell’immagine, tr it. Como 1996, p. 8. Durand sottolinea anche i rischi di anestetizzazione della creatività immaginaria – e di livella-mento dei valori – insiti nell’“esplosione video” che caratterizza il mondo contemporaneo (cfr. ivi, pp. 73-75).

visivo”, e dove la rappresentazione diventa esibizione; il mondo di una totale trasparenza pri-va di trascendenza, la cui cifra è l’oscenità, dove “osceno è tutto ciò che è inutilmente visibile, senza necessità, senza desiderio e senza effetto. Ciò che usurpa lo spazio tanto raro e prezioso delle apparenze”24.

Questa situazione di trasparenza generalizzata, che tende a porre fine alla dimensione del segreto, viene caratterizzata da Baudrillard attraverso la categoria del transpolitico. Se l’era del politico è l’era dell’anomia – percorsa da fenomeni come crisi, violenza, follia e rivolu zione – l’era del transpolitico è quella dell’anomalia, ovvero dell’“aberrazione senza conse-guenza, contemporanea all’avvenimento senza conseguenza”25. In un ambito sociale sottopo-sto a processi di normalizzazione, ma in cui viene meno al tempo stesso la dimensione della legge, lo spazio della differenza si riduce all’anomalia, che però non incide criticamente sul sistema e coincide piuttosto con la figura del mutante. Queste caratteristiche si mostrano in un’ulteriore figura della corporeità contemporanea, l’obesità, espressione di quella che Bau-drillard chiama l’oscenità di un sistema e di una cultura. “È quando il corpo perde la sua rego-la e rego-la sua scena che raggiunge questa forma oscena dell’obesità. È quando il corpo sociale perde la sua regola, la sua scena e la sua posta che raggiunge anch’esso questa forma pura e oscena che ben conosciamo”; l’obesità incarna dunque “la forma informe, la morfologia a-morfa del sociale di oggi”26. Corpo pieno e indiviso, il corpo obeso sfugge alla divisione in sessi e non separa il corpo dal non corpo in quanto non è passato attraverso lo stadio dello specchio, che consente “di aprirsi alla scena dell’immaginario e della rappresentazione”, e con ciò alla “divisione interna”; il suo è dunque “un corpo senza immagine”27, che non può acce-dere a quella che Pierre Legendre, riferendosi a Lacan, chiama l’“alienazione costitutiva”28. Come il corpo dell’ostaggio, il corpo obeso è una figura dell’osceno che testimonia della crisi contemporanea di quella forma di sovranità che consiste nell’“esercizio dei simulacri”, nella “padronanza delle apparenze” e nella “comunanza collettiva dell’illusione e del segreto”: “Tutto ciò che dimentica questa scena e questa padronanza dell’illusione per dedicarsi alla

24 Baudrillard, Il Patto di lucidità o l’intelligenza del Male, cit., p. 80. Baudrillard sottolinea la differenza di questo mondo rispetto all’universo foucaultiano del panopticon: “È questo l’omicidio dell’immagine, in questa visibilità forzata, come fonte di potere e di controllo, al di là dello stesso ‘panopticon’: non si tratta più di rende-re le cose visibili a un occhio esterno, ma di rende-renderle trasparende-renti a se stesse. La forza di controllo è come interna-lizzata, e gli uomini non sono più vittime delle immagini: si trasformano in immagini essi stessi”.

25 J. Baudrillard, Le strategie fatali, tr. it. Milano 2011.

26

Ivi, p. 33.

27 Ivi, p. 35.

28 Legendre, Della società come testo, cit. Cfr J. Lacan, Lo stadio dello specchio come formatore della

semplice ipotesi e alla padronanza del reale cade nell’osceno. Il modo di apparizione dell’illusione è la scena, il modo di apparizione del reale è l’osceno29. Il corpo obeso costitui-sce dunque una metafora indicativa di un mondo in cui, alla fine di una costitui-scena pubblica che è essenzialmente spazio dell’apparenza e dell’illusione, del segreto e del cerimoniale30, corri-sponde una dilatazione del sociale, che non ha più un carattere mitico e trascendente, ma di-venta “una socialità patetica della vicinanza e del contatto […], della protesi e della rassicura-zione”, un corpo materno avvolgente e protettivo, “una gigantesca azienda di maternità tera-peutica”31. Questo spazio sociale è caratterizzato da una “estroversione totale dei comporta-menti nella dimensione operativa” e da una totale trasparenza della comunicazione, in cui vengono meno il silenzio e il segreto, la distanza che rende possibile lo sguardo e la seduzione e in cui i volti sono nudi, privi “di maschere, di segni, di cerimoniale” che siano in grado di proteggere l’individuo. È questo lo spazio in cui ha luogo lo “sprofondamento della scena po-litica” tramite “sovrarappresentazione”: “Perché una cosa abbia un senso, ci vuole una scena, e perché ci sia una scena, ci vuole un’illusione, un minimo di illusione, di movimento imma-ginario, di sfida al reale […]. Senza questa dimensione propriamente estetica, mitica, ludica, non c’è nemmeno scena del politico, in cui qualcosa possa essere un evento”32. La fine dell’economia politica del segno e della simulazione nell’età del Virtuale, ovvero della Realtà Integrale, che è anche fine dello spazio rappresentativo, porta con sé anche la fine dell’ordine politico basato sulla rappresentanza.

Ci troviamo ormai di fronte all’esercizio di una potenza allo stato puro, incurante di sovranità e rappre-sentanza, alla Realtà Integrale di una potenza negativa. Finché trae la propria sovranità dalla rappresen-tanza, finché esiste una ragione politica, il potere può trovare un equilibrio – in ogni caso, può essere combattuto e contestato. Ma il venir meno di questa sovranità lascia spazio a un potere sfrenato, senza contropartita, feroce – di una ferocia non più naturale, ma tecnica33.

29

Baudrillard, Le strategie fatali, cit., p. 57.

30 Sullo spazio pubblico come spazio dell’apparenza cfr. Arendt, Vita activa, cit., p. 146 ss. In La vita della

mente (tr. it. Bologna 1987, p. 101) la Arendt si riferisce a Adolf Portmann, che aveva visto nella

“autorappre-sentazione” o “autoesibizione” (Selbstdarstellung) una qualità fondamentale del vivente. “Non potrebbe essere che le apparenze non siano al servizio del processo vitale ma, viceversa, che il processo vitale sia al servizio del-le apparenze? Dal momento che viviamo in un mondo che appare, non è molto più plausibidel-le che ciò che è ridel-le- rile-vante e significativo in questo nostro mondo debba essere situato proprio alla superficie?”. Sul rapporto tra scena pubblica e cerimoniale cfr. H. Plessner, I limiti della comunità. Per una critica del radicalismo sociale, tr. it. Roma-Bari 2001, p. 71 ss.

31 Baudrillard, Le strategie fatali, cit., p. 63.

32 Ivi, p. 73.