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IV. Dal corpo biopolitico al corpo simulacro

1. Potere, sopravvivenza e scambio simbolico

Quando parla di biopolitica e di determinazione biologica della vita, Foucault non intende fondare la politica su un’antropologia di tipo naturalistico. Egli non concepisce infatti la po-polazione solo in senso biologico, ma la considera un dato dipendente da diverse variabili, che ne fanno un’entità accessibile al mutamento. Se, da una parte, la popolazione è identificabile con la “specie umana”, dall’altra essa coincide con “ciò che si chiama pubblico”, ciò che nel XVIII secolo significa “la popolazione considerata dal lato delle sue opinioni, dei suoi modi di fare, dei suoi comportamenti, delle sue abitudini, dei suoi timori, dei suoi pregiudizi, delle sue esigenze, insomma tutto ciò che si presta all’opera dell’educazione, delle campagne di convincimento ecc.”1. Se dunque, per un verso, la popolazione non è solo bios, per l’altro il modello biopolitico non mira a una norma derivante da un modello di natura umana, ma a una

fitness. Esso è dunque retto da una ratio utilitaristica basata sul concetto di valore, che qui

di-venta il valore della sopravvivenza intesa come incremento della potenza vitale2.

In quanto è definito dal tentativo di gestire la vita delimitandola dalla morte, il tipo di pote-re descritto da Foucault come biopotepote-re sembra implicapote-re quell’esclusione “dei morti e della morte” dalla vita e dalla società che secondo Baudrillard si trova “alla base stessa della ‘ra-zionalità’ della nostra cultura”3. Per Baudrillard su questa esclusione fondamentale si fondano una serie di successive segregazioni che hanno portato a circoscrivere all’ambito dell’inumano prima “la natura inanimata, gli animali, le razze inferiori”, e poi via via “i pove-ri, i sottosviluppati, i subnormali, i pervertiti, i transessuali, gli intellettuali, le donne”, trac-ciando così il confine tra normalità e anormalità: “Quintessenza della normalità: al limite, tut-te le ‘catut-tegorie’ saranno escluse, segregatut-te, proscrittut-te, in una società finalmentut-te universale, in

1 Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit., p. 66.

2 Cfr. Bazzicalupo, Biopolitica, cit., pp. 55-56.

cui il normale e l’universale saranno infine confusi sotto il segno dell’umano”4. L’esclusione della morte colpisce, in particolare, il mondo contemporaneo: “al giorno d’oggi – scrive Bau-drillard – non è normale essere morti, e questo è un fatto nuovo. Essere morti è un’anomalia impensabile”5. Il fatto che la “funzione-morte” non possa trovare posto nella razionalità di una società moderrna, il fatto che si sia interrotto lo scambio simbolico tra i vivi e i morti, produce però, secondo la “legge fondamentale dell’obbligazione simbolica”, l’effetto di un rovesciamento e porta la vita che ha espulso da sé la morte a diventare mera sopravvivenza:

Contro l’illusione insensata dei vivi di volersi a esclusione dei morti, contro l’illusone di ridurre la vita a un plusvalore assoluto sopprimendone la morte, la logica indistruttibile dello scambio simbolico ristabili-sce l’equivalenza della vita e della morte – nella fatalità indifferente della sopravvivenza. Rimossa la morte nella sopravvivenza – la vita stessa non è allora, secondo un ben noto riflusso, che una sopravvi-venza determinata dalla morte6.

In America, Baudrillard ha individuato nella sempre crescente concentrazione sul corpo – che nella figura del jogger7, nella “dietetica collettiva” e nel “controllo ecologico” assume i tratti di una nuova ascesi, di una “mortificazione dei corpi e dei piaceri”8 – una delle forme princi-pali di questa tendenza della vita a diventare mera sopravvivenza:

4

Ivi, p. 138.

5 Ivi, p. 139.

6 Ivi, p. 140.

7 J. Baudrillard, America, tr. it. Milano 2000, p. 49: “Decisamente, i jogger sono gli autentici santi degli Ul-timi Giorni e i protagonisti di un’Apocalisse morbida. Niente evoca maggiormente la fine del mondo di un uomo che corre solo su una spiaggia, avviluppato nelle armonie che ha in cuffia, murato nel sacrificio solitario della sua energia, […] non attende che di esaurire l’energia di un corpo inutile ai suoi stessi occhi. I disperati di un tempo si suicidavano nuotando al largo fino all’esaurimento delle forze, il jogger si suicida correndo su e giù lungo la spiaggia”. A questo tipo di corpo corrisponde il cuore inteso in senso meccanicistico che, nel XVII se-colo, costituiva l’oggetto delle ricerche anatomiche di William Harvey. Secondo James Hillman si tratta qui di un “cuore-orologio”, regolato da una logica funzionalistica e da tenere in forma facendo jogging, un cuore non più abitato da calore, amore, capacità di emanare forme immaginative e sensibilità alla bellezza. Notevole il pa-rallelismo del seguente brano di Hillman con la precedente descrizione di Baudrillard: “Il cuore di Harvey, già morto – la ‘fitness’ al posto della vitalità –, crea esso stesso la desolazione in cui fa jogging, reso sordo dal para-orecchi di lana, reso cieco dal sudore dello sforzo di accrescere l’aspettativa di vita: zombi che creano il deserto con quel loro correre e correre, senza un posto a cui arrivare”. Cfr. J. Hillman, Il pensiero del cuore, tr. it. in Id.,

L’anima del mondo e il pensiero del cuore, Milano 2002, pp. 62, 105. Sull’importanza delle ricerche di Harvey

per la questione del corpo politico cfr. Cavarero, Corpo in figure. Filosofia e politica della corporeità, cit., p. 195 ss.

Il miraggio del corpo è ovunque straordinario. È il solo oggetto sul quale concentrarsi, non già come fonte di piacere, ma come oggetto di smodate attenzioni, nella continua ossessione della decadenza e della cat-tiva prestazione, segno e anticipazione della morte, alla quale nessuno sa più dare altro senso se non quel-lo della sua perpetua prevenzione. […] Perché il corpo che si pone il problema della propria esistenza è già quasi morto, e il culto che attualmente gli si dedica, metà yogico, metà estatico, è una preoccupazione funebre9.

Al tempo stesso, nella società dei simulacri e della diffusione onnipervasiva degli schermi10, il corpo è un corpo perennemente visualizzato su uno “schermo di controllo”, dove la visualiz-zazione, lungi dal creare “la distanza e la magia dello specchio”, ha la funzione di renderlo autoreferenziale e “innestato su se stesso”:

Ovunque, la visualizzazione non serve che a questo: schermo di rifrazione estatica che non ha più niente dell’immagine, della scena o della teatralità tradizionale, che non serve affatto a giocare o a contemplarsi, ma a essere innestato su se stesso. Senza questo allacciamento circolare, senza questo circuito breve e i-stantaneo che un cervello, un oggetto, un evento, un discorso creano innestandosi su se stessi, senza que-sta visualizzazione perpetua, niente oggi ha senso. La fase video ha sostituito la fase dello specchio11.

L’emergere della sopravvivenza costituisce per Baudrillard l’operazione fondamentale della nascita del potere, poiché istituisce simultaneamente un’“interdizione della morte” e l’“istanza che vigila su questa interdizione: il potere”.

Spezzare l’unione dei morti e dei vivi, infrangere lo scambio della vita e della morte, districare la vita dal-la morte, e colpire d’interdetto dal-la morte e i morti, ecco il primissimo punto d’emergenza del controllo so-ciale. Il potere è possibile solo se la morte non è più in libertà, solo se i morti sono posti sotto sorveglian-za. In attesa della futura reclusione della vita intera. Questa è la Legge fondamentale, e il potere è il guar-diano delle porte di questa Legge12.

Se l’istituzione della morte è un fatto sociale e culturale, è nel XVI secolo che nasce la figura moderna della morte, slegata da ogni condivisione comunitaria e simbolica e assegnata, come la merce nel mondo capitalistico, alla solitudine dell’individuo. È questa la caratteristica

9 Ivi, p. 46.

10 Cfr. J. Baudrillard, Simulacri e impostura. Bestie, Beaubourg, apparenze e altri oggetti, tr. it. Bologna 1980.

11

Baudrillard, America, cit., p. 48.

12 Baudrillard, Lo scambio simbolico la morte, cit., p. 142. Cfr. anche quanto afferma al riguardo Elias Ca-netti in Massa e potere (tr. it. in E. CaCa-netti, Opere 1932-1973, Milano 1990, p. 1249: “L’istante del sopravvivere è l’istante della potenza”.

trale dell’economia politica: di voler abolire la morte mediante l’accumulazione del valore e del tempo come valore, ma entrando in questo modo in una impasse insolubile, poiché “il tempo dell’accumulazione è quello della morte” – e in questo l’economia politica è solidale con il comunismo, che a sua volta “mira all’abolizione della morte, secondo il medesimo fan-tasma di progresso e di liberazione, secondo il medesimo schema fantastico d’un’eternità d’accumulazione e di forze produttive”13. Infatti, la caratteristica fondamentale di un sistema economico che tende alla crescita quantitativa illimitata, e che in questo modo proietta l’eternità nell’infinito del tempo, è di conoscere solo l’irreversibilità della crescita e non più “la reversibilità dello scambio/dono”14. Sottraendo la morte alla vita, l’economia politica ha portato a vivere la vita come “positività” e “accumulazione”, e a intendere la morte come “scadenza”, mettendo fuori gioco “l’ambivalenza della vita e della morte” e la “reversibilità simbolica della morte”. Ma allora la istituzione dell’intreccio, dell’ambivalenza e della re-versibilità simbolica tra vita e morte, “la vita restituita alla morte”15, diventa l’operazione stessa del simbolico, consistente nella restituzione alla vita della sua ombra16.

Contro la rappresentazione che vede nell’una il termine dell’altra, bisogna cercare di vedere l’indeterminatezza radicale della vita e della morte, e l’impossibilità di autonomizzarle nell’ordine simbo-lico. La morte non è una scadenza, è una sfumatura della vita – oppure la vita è una sfumatura della mor-te. Ma la nostra idea moderna della morte è governata da un sistema di rappresentazione del tutto diverso:

13 Baudrillard, Lo scambio simbolico la morte, cit., p. 161.

14 Ibid.. Parlando del dono come elemento centrale di una logica dello scambio simbolico contrapposta alla logica dell’utilitarismo economico, Baudrillard si riferisce alle analisi svolte da Marcel Mauss nel suo Saggio sul

dono, e riprese da Bataille nel saggio sulla sovranità e nella riflessione sulla dépense di energia come costitutiva

del dono.

15 Ivi, p. 143.

16 Già in Per la critica dell’economia politica del segno (tr. it. Milano 1974), Baudrillard aveva analizzato un’analoga liquidazione del lato d’ombra e dell’ambivalenza del corpo ridotto a segno dalla logica del feticismo della merce. Immesso nel circuito dello scambio e dei valori/segno, il corpo diventa “un’istanza gloriosa” e rap-presenta per ogni individuo “il santuario ideologico, il santuario della propria ‘alienazione’”, attorno a cui si re-staura “il Soggetto della proprieà privata”. La nudità, quale si presenta nella pubblicità, offre un esempio signifi-cativo di questo modo di funzionare dell’ideologico nella sua articolazione col semiologico. Questa nudità, che si pretende razionalista e progressista, in quanto aspira a svelare la verità del corpo, la sua ragione “naturale”, al di là degli abiti, dei tabù, della moda, passa in realtà accanto al corpo, e alla sua verità sessuale e simbolica, che non risiede “nell’evidenza ingenua del nudo, ma nella messa a nudo (vedi Bataille), poiché quest’ultima è l’equivalente simbolico di una messa a morte, e pertanto il vero itinerario di un desiderio sempre ambivalente, amore e morte contemporaneamente”. La nudità del corpo-segno è dunque quella di un corpo totalmente positi-vo, che esclude da sé ogni lato d’ombra e ogni ambivalenza, che liquida la funzione simbolica. Cfr. J. Baudril-lard, Per la critica dell’economia politica del segno, tr. it. Milano 1974, p. 95.

quello della macchina e del funzionamento Una macchina funziona o non funziona. Così la macchina bio-logica è morta o viva. L’ordine simbolico non conosce questa digitalità astratta17.

Nel mondo attuale è tuttavia venuto meno il circuito di scambio simbolico che, nelle società primitive, faceva sì che la morte fosse “data e ricevuta” e che dunque le dava senso. Con l’uscita dalla dimensione simbolica del dare e ricevere, la morte si è ridotta a un fatto naturale, è diventata una fatalità reale e impersonale inscritta nel corpo individuale. Si può anzi dire che il corpo cone entità oggettiva e biologica nasca solo in quanto il corpo diventa “simulacro bio-logico”, “luogo di reclusione della morte inscambiabile”, affidato alla sorveglianza della scienza. Ma proprio questo tentativo di esorcizzare la morte produce un effetto contrario, quello per cui “la biologia è circondata dalla morte, il corpo che essa rappresenta è circondato dalla morte, dalla quale nessun mito viene più a liberarla. Il mito, il rituale che potrebbe libe-rare il corpo da questa supremazia della scienza è perduto, o non è ancora stato trovato”18.