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Capitolo 4 Discussione e prospettive

4.2 La risoluzione dei conflitti

Come già introdotto nel paragrafo 1.6, le strategie messe in atto per gestire i conflitti che inevitabilmente avvengono durante la vita sociale, sono una componente essenziale per la sopravvivenza della comunità in esame; sono infatti moltissimi gli studi che hanno riscontrato la presenza del meccanismo della riconciliazione o dei contatti triadici, e che si sono interrogati sulle loro funzioni. Nel nostro studio abbiamo analizzato separatamente i meccanismi della riconciliazione dei contatti triadici post-conflittuali.

4.2.1 La riconciliazione

Nonostante la riconciliazione sia un fenomeno ampiamente diffuso e dimostrato in numerosi taxa, sono riportati anche casi di popolazioni in cui non è stata rilevata la presenza di riconciliazione. Questo deriva dal fatto che non in tutte le situazioni può risultare effettivamente vantaggioso riconciliare.

Come già detto in precedenza, i comportamenti messi in atto derivano sempre da una valutazione costi/benefici, e una certa azione viene applicata solo nel momento in cui i pro superino i contro.

Può quindi succedere, come nei corvi studiati da Seed et al. (2007), che non sia presente il fenomeno della riconciliazione in quanto non avvengono mai conflitti fra i due membri di una coppia (i corvi formano coppie stabili all’interno di ampi stormi (Silk, 2007)), e quella con il partner sia considerata l’unica relazione di valore per la quale varrebbe la pena mettere in atto un comportamento riconciliatorio. Inoltre, è riportata la presenza di contatti triadici sollecitati da parte sia della vittima che dell’aggressore, e questo fatto confuta l’ipotesi che non fosse riscontrata la riconciliazione in quanto i corvi non fossero in grado di avere contatti affiliativi e/o non avessero meccanismi di gestione dei conflitti. A sostegno del fatto che quella con il partner sia l’unica relazione davvero importante in questa specie, i contatti triadici osservati si svolgono sempre fra i due soggetti di una coppia.

Esempio analogo è fornito da Kappeler (1993) che nel suo studio sui lemuri dalla coda ad anelli (Lemur catta) ha evidenziato che i conflitti avvenivano principalmente fra soggetti che si scambiavano pochi contatti affiliativi, e che non avevano relazioni di collaborazione, mentre i soggetti che si scambiavano più frequentemente contatti affiliativi raramente incorrevano in conflitti. Anche in questo caso, non venendo minacciate le relazioni di valore, non è necessaria la presenza di contatti riconciliatori post conflittuali.

Un’altra evenienza che può portare a non avere evidenza di riconciliazione fra i soggetti, è quando il gruppo che si sta osservando non è caratterizzato dalla presenza di relazioni di valore; ne è un esempio lo studio di Macdonald et al. (1987) su una colonia di gatti domestici: gli individui erano aggregati per la presenza di cibo a disposizione, ma non condividendo alcuna relazione valida, non avevano perdita di benefici a seguito di conflitti con altri individui.

Schaffner & Caine (2000) forniscono ancora un’altra spiegazione all’assenza di riconciliazione: che l’interazione aggressiva appena avvenuta non vada ad alterare la

relazione esistente tra i due opponenti. Nello studio svolto su quattro gruppi di tamarini dal ventre rosso (Saguinus labiatus) infatti, risultava che spesso il comportamento manifestato immediatamente prima del conflitto veniva ripreso appena terminato il conflitto, e questo supporta l’ipotesi che il conflitto non comporti alcun effetto sugli opponenti e sulla loro relazione. In questo caso però viene anche ipotizzato che data la grande tendenza di questi soggetti a cooperare, la tolleranza manifestata e le interazioni di supporto messe in atto dai soggetti siano sufficienti a conferire stabilità al gruppo, ed in un certo senso a sostituire gli atti riconciliatori.

Anche nel nostro caso non è stata riscontrata la presenza di riconciliazione all’interno del gruppo. Questo può essere collegato a quanto riscontrato da Schaffner & Caine (2000), ovvero che i conflitti osservati non causino un’alterazione nelle relazioni tra i soggetti. In questo caso però non c’è la presenza di altri contatti che possano in qualche modo svolgere una funzione sostitutiva della riconciliazione (come nei tamarini la presenza di molti atti collaborativi). Nel nostro caso è stata rilevata una prevalenza di conflitti indecisi, nei quali cioè non è evidente che l’aggressore abbia raggiunto il suo obiettivo; la vittima cioè spesso rimane esattamente dove era prima dell’aggressione, spesso restando in prossimità dell’aggressore, e continua a svolgere le attività che svolgeva in precedenza (alimentazione, riposo etc). Possiamo quindi ipotizzare che le aggressioni “quotidiane” non siano sufficienti da alterare la relazione già esistente tra i soggetti, e che questi quindi non abbiano bisogno di mettere in atto comportamenti affiliativi post conflittuali finalizzati a ristabilire la relazione così com’era prima del conflitto.

Un’altra ipotesi è che non siano stati considerati alcuni meccanismi riconciliatori, è che quindi il fenomeno risulti essere sottostimato. In particolare, è necessario svolgere una riflessione per quello che riguarda i rapporti di prossimità tra i soggetti. Nel nostro studio è stato deciso di non considerare la prossimità come contatto affiliativo, né per la riconciliazione né per i contatti triadici. Questa scelta è stata fatta a seguito di osservazioni preliminari in cui è risultato che gli animali tendevano a stare per la maggior parte del tempo in prossimità (meno di una body-lenght di distanza); da qui la decisione di non includerla nei comportamenti affiliativi, in quanto abbiamo ritenuto che avrebbe

potuto falsare i risultati ottenuti, elevando eccessivamente i valori basali dei contatti affiliativi. Infatti, sarebbe risultato in praticamente quasi ogni periodo di controllo (MC) la presenza di affiliazione, in quanto i soggetti tendono spesso a stare in prossimità. Diversi studi però riportano come la prossimità debba essere considerata come un contatto affiliativo. Van Dierendonck & Machteld (2006) riportano che nel cavallo i principali contatti affiliativi posti in atto per mantenere la coesione sociale del branco sono il grooming, il gioco e lo stare in prossimità. Oltre quindi a essere un indicatore di una buona relazione fra i soggetti (Roberts & Browning, 1998), la prossimità è stata considerata anche efficace per la riconciliazione tra i soggetti. Björnsdotter et al. (2000) nel loro lavoro su un gruppo di guereza (Colobus guereza), considerano come contatto affiliativo la ricerca attiva dell’altro soggetto e porsi in prossimità, senza necessità di contatto fisico fra i due; questo è riscontrato essere il più frequente comportamento usato durante la riconciliazione. Non viene però considerato come affiliativo il rimanere in prossimità a seguito del conflitto.

Un altro studio sul macaco di Giava (Cords, 1993) riporta come i soggetti per riconciliare manifestassero frequentemente delle vocalizzazioni mentre si trovano in prossimità; Cheney, Seyfarth, & Silk (1995) ipotizzano che l’atto riconciliatorio sia costituito essenzialmente dalla vocalizzazione, e che la prossimità sia condizione necessaria perché l’altro soggetto percepisca questo particolare tipo di debole vocalizzazione (grunts), ma che non ricopra alcuna funzione propria di riconciliazione.

Ad oggi non sono presenti studi né nel cavallo, né tantomeno nell’asino, sull’utilizzo di vocalizzazioni come segnali per favorire la riconciliazione. Un recente studio di Scopa, Palagi, Sighieri, & Baragli (2018) ha evidenziato l’utilizzo di vocalizzazioni a seguito di evento stressante, aventi la funzione di ridurre lo stato di arousal del soggetto, ma l’utilizzo di vocalizzazioni non è ad oggi stato mai studiato in contesti post-conflittuali. Da alcune osservazioni del gruppo in esame, è stato possibile riscontrare il tentativo da parte di uno degli opponenti di riavvicinarsi all’altro; questi casi non sono stati considerati validi per la riconciliazione in quanto il soggetto contattato non ha accettato in alcuni casi il contatto affiliativo messo in atto, in altri casi il semplice entrare in prossimità, che

ha portato ad un rinnovato comportamento aggressivo (spesso semplici minacce con ear

back e gaze), e conseguentemente il soggetto iniziatore dell’azione si è nuovamente

allontanato. Possiamo quindi ipotizzare che la semplice prossimità possa essere considerata come riconciliatoria, ma che possa non valere come contatto affiliativo al di fuori di un conflitto. Cioè se in condizioni di tranquillità due soggetti si trovano in prossimità, questa non è da considerarsi come un comportamento affiliativo, ma come semplice indicatore della qualità della relazione che intercorre tra i soggetti. Ma se ci si trova in un contesto post-conflittuale, il fatto che la vittima o l’aggressore decida di tornare in prossimità dell’opponente, e che questo accetti la presenza dell’altro, potrebbe essere indicativo di un valore aggiunto della prossimità, cioè che questa possa effettivamente costituire un comportamento riconciliatorio.

Diversamente, per quei conflitti in cui i soggetti non si allontanano a seguito di un conflitto, il rimanere in prossimità non è da considerarsi un comportamento riconciliatorio.

Inoltre, un’altra motivazione per l’assenza di riconciliazione è che in società dispotiche, con una gerarchia ripida, è molto rischioso per la vittima avvicinarsi all’aggressore. Infatti in questi gruppi, la vittima solitamente è gerarchicamente inferiore all’aggressore, e quindi difficilmente potrà riavvicinarsi a lui.

4.2.2 I contatti triadici

Fino ad ora abbiamo analizzato esclusivamente gli eventi che avvengono a seguito di un conflitto all’interno della coppia aggressore-vittima. Essendo però quello che stiamo analizzando un gruppo di nove animali, non si deve dimenticare la presenza di anche altri soggetti, che risultano influenzati dal conflitto avvenuto. Infatti, a seguito di un’aggressione aumenta la probabilità che altre si susseguano, comprendendo non solo i precedenti opponenti (Aureli & van Schaik, 1991b), ma coinvolgendo anche altri soggetti del gruppo. Rientra quindi negli interessi di tutti i soggetti del gruppo riuscire a far sì che il conflitto si risolva.

Ciò che è stato evidenziato nel nostro studio, è la presenza di contatti triadici sollecitati, iniziati cioè dall’aggressore e della vittima e rivolti verso soggetti terzi del gruppo.

Possiamo quindi ipotizzare che, sebbene i conflitti non alterino profondamente la relazione tra i soggetti e non necessitino quindi di riconciliazione (vedi paragrafo precedente), causino comunque nel soggetto una condizione di ansia, che lo porti a richiedere un contatto affiliativo con un soggetto terzo del gruppo. Purtroppo non sono stati registrati dati che ci permettano di indicare che anche nell’asino a seguito di un conflitto ci sia un aumento dei livelli di stress, come ci potrebbero indicare la Heart Rate

Variability (Gehrke, Baldwin, & Schiltz, 2011; von Borell et al., 2007) e l’aumento di

comportamenti self-directed con funzione calmante come lo snore e il vacuum chewing (Scopa et al., 2018), oppure come lo scratching (Baker & Aureli, 1997; Castles & Whiten, 1998). Nel cavallo non è ancora stato dimostrato l’utilizzo dello scratching per ridurre lo stato di

arousal, ma Thorbergson, Nielsen, Beaulieu, & Doyle (2016) hanno evidenziato come lo scratching svolto al livello del garrese faciliti nel cavallo la manifestazione di

comportamenti legati all’ambito del relax (come ad esempio portare le orecchie in posizione neutrale rivolte verso l’esterno, oppure l’emissione di suoni come lo snort). Sebbene quindi l’ipotesi che i contatti triadici sollecitati messi in atto dalla vittima e dall’aggressore abbiano effettivamente la funzione di ridurne i livelli di stress resti ancora da dimostrare nell’asino, la manifestazione di questi comportamenti resta un rilievo oggettivo all’interno del gruppo.

La presenza dei contatti triadici sollecitati non va però a modificare la probabilità che un nuovo conflitto si sussegua ad uno già avvenuto; infatti non è stata riscontrata alcuna differenza nella percentuale di conflitti seguiti da una rinnovata aggressione, sia che aggressore o vittima andassero a contattare un terzo soggetto del gruppo, che non lo facessero. È riportato che i contatti triadici potrebbero andare a svolgere una funzione sostitutiva della riconciliazione, quando ad esempio la gerarchia risulti essere troppo ripida perché una vittima possa riavvicinarsi all’aggressore, e l’aggressore non abbia vantaggi dal riconciliare con la vittima. Nonostante anche il nostro sia un caso in cui la gerarchia risulti essere abbastanza ripida, i contatti triadici sollecitati non sembrano andare a modificare le condizioni post-conflittuali; questo può essere giustificato con il fatto che, come già discusso, le aggressioni non abbiano particolari effetti sull’equilibrio del gruppo, non andando a modificare i rapporti fra i soggetti. In quest’ottica non vi è

bisogno di comportamenti affiliativi post-conflittuali per risolvere situazioni di tensione nel gruppo, ed anche nel caso in cui siano manifestati, non hanno effetto sul comportamento dei soggetti.

Non vi è stata invece evidenza di contatti triadici non sollecitati, cioè rivolti da soggetti terzi che spontaneamente contattano la vittima o l’aggressore. Questo riscontro può essere motivato in diversi modi. Prima di tutto, non è stato dimostrato che nell’asino sia presente la capacità di provare empatia per altri soggetti, prerequisito necessario perché un soggetto possa comprendere lo stato emotivo dell’altro e possa elaborare una strategia per supportarlo. Inoltre, non è detto che i soggetti a seguito di un conflitto provino effettivamente una condizione di stress, come potrebbe far supporre il maggior numero di conflitti indecisi e l’assenza di riconciliazione; nonostante ciò la presenza di contatti triadici sollecitati (vedi sopra) fa supporre che almeno dopo alcuni conflitti, i soggetti presentino una condizione di stress che li porta a ricercare contatti affiliativi con altri membri del gruppo. È inoltre possibile che data la rigida gerarchia riscontrata, soggetti terzi decidano che sia troppo rischioso cercare di contattare sia l’aggressore che la vittima del conflitto appena avvenuto. Secondo Aureli, Das, Verleur, & van Hooff (1994) infatti, i soggetti del gruppo dovrebbero tendere a evitare le vittime di un conflitto appena avvenuto, dato che queste sono spesso l’obiettivo di aggressioni rinnovate (Aureli & van Schaik, 1991b), che potrebbero andare a coinvolgere anche un terzo soggetto che decidesse di avvicinarsi a una vittima. Anche avvicinarsi all’aggressore costituisce un rischio, dato che quel soggetto ha appena manifestato un comportamento aggressivo verso un altro soggetto del gruppo.

Gli studi svolti fino ad ora hanno riguardato più frequentemente i contatti riconciliatori, mentre i contatti triadici stanno solo recentemente ottenendo maggiori attenzioni (Call et al., 2002; Cozzi et al., 2010; Palagi & Cordoni, 2009; Seed et al., 2007), anche se uno studio approfondito sulle loro possibili funzioni deve essere ancora svolto in modo sistematico.

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