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Comportamento agonistico e dinamiche post conflittuali, con relazione al ciclo estrale nell’Asino dell’Amiata (Equus asinus)

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria

Comportamento agonistico e dinamiche post

conflittuali, con relazione al ciclo estrale nell’Asino

dell’Amiata (Equus asinus)

Candidata

Viviana Forti

Relatori

Dott. Paolo Baragli

Prof.ssa Elisabetta Palagi

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Riassunto ... 7

Abstract ... 8

Capitolo 1 - Introduzione e Scopo del lavoro ... 9

1.1 L’asino domestico (Equus asinus) ... 9

1.1.1 Tassonomia ... 9

1.1.2 Origini dell’asino domestico ... 10

1.1.3 L’asino dell’Amiata ... 11 1.1.4 Caratteristiche generali ... 11 1.2 Struttura sociale ... 12 1.3 La comunicazione ... 15 1.4 Comportamenti agonistici ... 16 1.4.1 La minaccia ... 17 1.4.2 Il conflitto ... 17

1.5 La gerarchia e le relazioni diadiche ... 18

1.6 La gestione dei conflitti ... 20

1.6.1 La riconciliazione ... 21

1.6.2 I contatti triadici ... 23

1.6.3 Effetto della fase estrale sui conflitti ... 26

1.7 Scopo del lavoro ... 27

Capitolo 2 - Materiali e metodi ... 31

2.1 Gruppo di studio ... 31

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2.3 Comportamenti osservati ... 35

2.3.1 Comportamenti affiliativi ... 35

2.3.2 Comportamenti aggressivi ... 38

2.4 Metodi di osservazione e Raccolta dati ... 40

2.4.1 Osservazioni Post-conflict e Match-control ... 40

2.4.2 Sampling all occurrences of some behaviour ... 41

2.4.3 Focal-animal sampling ... 47

2.4.4 Scan animal sampling ... 47

2.4.5 Campionamento ad libitum ... 51

2.5 Analisi del ciclo estrale dell’asino... 51

2.6 Analisi dati e statistica ... 54

2.6.1 Analisi delle aggressioni ... 54

2.6.2 Analisi della gerarchia ... 55

2.6.3 Valutazione della presenza di riconciliazione e dei contatti affiliativi triadici post conflittuali ... 56

2.6.4 Analisi dell’effetto della fase estrale sui comportamenti aggressivi ... 57

2.6.5 Influenza della qualità delle relazioni diadiche ... 58

2.6.6 Effetto dei contatti triadici sollecitati sui comportamenti aggressivi ... 60

Capitolo 3 - Risultati ... 61

3.1 Analisi delle aggressioni ... 61

3.2 Analisi della gerarchia ... 62

3.3 Valutazione della presenza di riconciliazione e dei contatti affiliativi triadici post conflittuali ... 64

3.4 Analisi dell’effetto della fase estrale sui comportamenti aggressivi ... 66

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3.6 Effetto dei contatti triadici sollecitati sui comportamenti aggressivi ... 71

Capitolo 4 - Discussione e prospettive ... 73

4.1 Le aggressioni e la gerarchia ... 74

4.2 La risoluzione dei conflitti ... 77

4.2.1 La riconciliazione ... 77

4.2.2 I contatti triadici ... 81

4.3 Effetti della fase estrale ... 84

4.4 Influenza della qualità delle relazioni ... 85

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Riassunto

Comportamento agonistico e dinamiche post conflittuali, con relazione al ciclo estrale nell’Asino dell’Amiata

La vita sociale negli animali implica inevitabilmente competizioni e conflitti di interesse. Per contrastare le forze che tenderebbero a disperdere il gruppo, sono utilizzate diverse strategie di risoluzione dei conflitti, che sono state ampiamente studiate nei primati, nei carnivori e in poche specie di uccelli. In questo studio ci siamo focalizzati sulle aggressioni e il comportamento post conflittuale in una specie domestica, l’asino. In particolare, sono state indagate la presenza di riconciliazione e dei contatti triadici, e gli effetti della fase estrale su questi comportamenti. Nove asine dell’Amiata sono state osservate tra luglio e novembre 2013, e 90 ore di riprese sono state analizzate tramite il metodo Post Conflict/Match Control. Sia la vittima che l’aggressore sono stati osservati per i 3 minuti successivi ad ogni evento agonistico. In questa finestra temporale abbiamo osservato i contatti affiliativi che avvenivano tra i precedenti aggressore e vittima (riconciliazione) e tra questi e un terzo soggetto (contatto triadico). Dalle analisi svolte è risultato che le aggressioni sono più frequentemente di tipo indeciso, nelle quali cioè non è possibile individuare un vincitore alla fine del conflitto; la gerarchia è risultata di tipo lineare e con una pendenza abbastanza ripida, che indica la società in esame come tendenzialmente “dispotica”. Altro argomento preso in considerazione è stato la gestione dei conflitti; benché non sia stata riscontrata la presenza di riconciliazione, abbiamo avuto l’evidenziazione di contatti triadici sollecitati, sia da parte dell’aggressore che della vittima, mentre anche i contatti triadici non sollecitati non sono risultati una strategia utilizzata. Infine, abbiamo collegato ad un’analisi prettamente etologica, basata sull’osservazione dei comportamenti manifestati, un dato fisiologico: la fase estrale dei soggetti. Ciò che è emerso è una tendenza di correlazione tra la gerarchia e il numero di conflitti osservati nella fase di estro, cioè i soggetti di rango elevato sono risultati iniziatori di un maggior numero di conflitti, mentre quelli di rango inferiore di uno minore. Siamo andati anche a valutare se i contatti triadici sollecitati da aggressore e vittima fossero guidati dalla qualità della relazione che i soggetti condividono; ciò che è emerso dall’analisi è che sia aggressore che vittima tendono a contattare soggetti con i quali hanno una relazione di buona qualità. Parole chiave: gerarchia dispotica; metodo Post-Conflict/Matched-Control; riconciliazione; contatti triadici sollecitati; fase estrale.

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Abstract

Agonistic behaviour and post-conflict dynamics, with relation to the estrous phase in the Amiata donkey

Animal social systems imply competition and conflict of interest. To cope with dispersal forces, group-living animals use several conflict resolution tactics, which have been deeply investigated in primates, carnivores and few species of birds. In this study we focus on aggression and post-conflict behaviour in a domesticated species, the donkey. In particular, this study aimed to evaluate the presence of reconciliation and third-party interactions, and the effects of the estrous phase on these phenomena. Nine Amiata donkeys. have been observed between July and November 2013, and 90 hrs of video recordings were analysed with the Post Conflict/Match Control method. Both victims and aggressors were followed for 3 minutes after each agonistic interaction. In the post-conflict time-window we observed the affiliative behaviours occurring between the former aggressor and the victim (reconciliation) and between the victim or the aggressor and a bystander (triadic contacts).

The analyses revealed that undecided conflicts were more frequent than decided conflicts, and that the hierarchy is linear and steep. Furthermore, we did not find the presence neither of reconciliation, nore of unsolicited triadic affiliation (a post-conflict contact spontaneously offered by a third subject to the victim or to the aggressor), we demonstrated the presence of triadic affiliation solicited by the victim and by the aggressor, which request comforting contact to other group members not involved in the conflict. Lastly, we have used also physiological data: the estrous phase of the subjects. We have found a correlation trend between the hierarchy and the number of conflicts seen during the oestrum: the high rank subjects show a higher number of conflicts, while the low rank subjects show a decrease in the number of conflicts. We have also evaluated if triadic solicited affiliations are driven by the relationship quality of the interacting subjects, and what emerged from the analysis is that both victim and aggressor tend to contact subjects with whom they share a high-quality relationship.

Keywords: steep dominance; Post-Conflict/Matched-Control method; reconciliation; solicited triadic contacts; estrous phase.

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Introduzione e Scopo del lavoro

1.1 L’asino domestico (Equus asinus)

1.1.1 Tassonomia

L’asino appartiene al phylum dei Cordata, classe Mammalia, ordine Perissodactyla, famiglia Equidae, genere Equus. Il genere Equus è l’unico presente all’interno della famiglia Equidae, ma non comprende esclusivamente i cavalli, ma anche appunto gli asini e le zebre.

Nel genere Equus ritroviamo quindi diverse specie ancora viventi: - Equus africanus: asino selvatico africano

- Equus somalicus: asino selvatico della Somalia - Equus asinus: asino domestico

- Equus hemionus: emione o asino selvatico asiatico; come sottospecie sono presenti anche il Kulan e l’Onagro (o emione persiano)

- Equus kiang: Kiang o emione tibetano

- Equus grevyi: zebra di Grevy o zebra imperiale - Equus caballus: cavallo domestico

- Equus quagga: zebra di pianura o delle steppe - Equus zebra: zebra di montagna.

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1.1.2 Origini dell’asino domestico

L’origine e la storia dell’asino domestico, come quelle del cavallo domestico, sono aspetti particolarmente interessanti in quanto la loro domesticazione segna, nella storia dell’uomo, un importante punto di svolta, in quanto permise all’uomo di non essere più principalmente sedentario, ma di cominciare a muoversi in modo più facile e quindi di iniziare a viaggiare (Beja-Pereira et al., 2004). I ritrovamenti archeologici ad oggi in nostro possesso hanno fatto ipotizzare che la domesticazione dell’asino, come quella del cavallo, sia avvenuta in Egitto, intorno a 5000 anni fa. Dall’analisi filogenetica di campioni provenienti da 52 paesi fra Europa, Asia e Africa, Beja-Pereira et al. (2004) hanno evidenziato la presenza di due gruppi divergenti da un punto di vista di DNA mitocondriale: il gruppo di specie asiatiche (E. hemionus e E. kiang), e quello di specie africane (E. africanus e E. somalicus); dalle analisi svolte è stato possibile escludere il gruppo di specie asiatiche come progenitore dell’attuale asino domestico, indicando quindi una discendenza dall’asino africano. Inoltre, lo sviluppo dell’asino domestico sarebbe avvenuto attraverso multiple domesticazioni nel continente africano, con la probabile presenza di almeno due diverse popolazioni selvatiche originali progenitrici. Infine, la divergenza ritrovata al livello genetico fa supporre una domesticazione più antica di quanto ipotizzato fino ad ora, ponendo la domesticazione intorno a 10 000 anni fa. Questa ipotesi è stata in parte supportata da Kimura et al. (2011), che hanno identificato nell’asino Nubiano selvatico (Equus africanus africanus) uno dei due progenitori dell’attuale asino domestico. L’asino selvatico somalo (Equus africanus somaliensis) e l’asino selvatico dell’Atlante (Equus africanus atlanticus), che erano stati ipotizzati come possibili candidati per il ruolo di “secondo progenitore”, data la localizzazione geografica nel continente africano, dimostrano però una divergenza genetica eccessiva dall’asino domestico attuale, per cui rimane ancora da definire l’identità del secondo punto di inizio della domesticazione. In questo caso la domesticazione dell’asino domestico torna a essere ipotizzata intorno ai 5000 anni fa, rendendola un evento più recente di quanto ipotizzato da Beja-Pereira et al. (2004).

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1.1.3 L’asino dell’Amiata

L’asino amiatino è una razza di asino piuttosto antica, evolutasi in Toscana, in modo particolare sul monte Amiata (province di Grosseto e Siena). La specie è stata dichiarata in via di estinzione dalla Commissione responsabile delle Biodiversità del Parlamento europeo (NL 215/90), dalla FAO nel 2000, e dal Monitoring Institute for Rare Breed and Seed in Europe nel 2001. Nel 2009 la Coldiretti ha registrato un aumento nell’allevamento degli asini, e la razza Amiatina è risultata la più allevata con 52 allevamenti e 984 capi in totale (Coldiretti, 2009).

I soggetti di questa razza presentano un manto molto caratteristico che li rende facilmente identificabili: il manto grigio presenta infatti una croce nera che decorre parallela alla colonna vertebrale e poi scende dal garrese alle spalle. Anche le orecchie presentano una bordatura più scura, e gli arti spesso risultano zebrati nella porzione distale. Solitamente l’altezza al garrese è di 120-140 cm, il corpo è asciutto e muscoloso e gli arti corti e forti.

L’utilizzo della razza è stato da sempre come animale da lavoro e da soma, ma negli ultimi anni sta venendo utilizzata anche per la produzione di latte e per l’onoterapia (pet therapy praticata utilizzando l’asino). Il latte d’asina è ottimo nella gestione delle intolleranze e delle allergie al più comune latte bovino in quanto risulta essere ricco di caseine e povero di lattoglobuline, un componente molto allergizzante.

1.1.4 Caratteristiche generali

L’asino presenta, rispetto al cavallo al quale viene spesso paragonato, svariate caratteristiche differenti. Da un punto di vista fisico risulta essere più resistente ai climi estremi, con un particolare adattamento ai climi più aridi. Inoltre è caratterizzato da una grande resistenza alla disidratazione (Woodward, 1979), in quanto gli animali possono permettersi di bere anche solo una volta al giorno (Aganga & Tsopito, 1998), o comunque di destinare solo una minima parte del tempo di una giornata ad abbeverarsi (Canacoo & Avornyo, 1998).

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L’asino presenta un miglior adattamento ad un’alimentazione povera di nutrienti anche rispetto ai ruminanti, che solitamente sono considerati i più efficienti utilizzatori dell’alimento (Izraely, Choshniak, Stevens, Demment, & Shkolnik, 1989): l’asino risulta più capace nella digestione della parete cellulare e nell’assorbimento dei componenti solubili dell’alimento (carboidrati solubili, proteine etc). Inoltre, il tempo di ritenzione è più breve, permettendo all’asino di alimentarsi più frequentemente, così da compensare la dieta di bassa qualità con un aumento della quantità di cibo ingerito. L’asino è un erbivoro non selettivo, e presenta labbra mobili e denti in grado di strappare anche la vegetazione più corta (Aganga & Tsopito, 1998), coì da potersi alimentare anche negli ambienti più aridi e aspri.

1.2 Struttura sociale

La struttura sociale dell’asino selvatico è stata studiata in modo approfondito e andando a confrontare diversi habitat molto differenti fra loro per caratteristiche ambientali e disponibilità delle risorse; questa differenziazione degli habitat è un’occasione quasi unica nel suo genere, e ha permesso di studiare la plasticità dell’organizzazione sociale di questo animale (Rudman, 1998).

Klingel (1975) è stato il primo a evidenziare due diversi tipi di organizzazione sociale negli equidi allo stato brado: il primo tipo (tipico del cavallo selvatico, delle zebre di pianura e di montagna) prevede una organizzazione sociale con gruppi stabili e non territoriali, costituiti da un maschio adulto e una o più femmine adulte con i loro puledri. Il secondo tipo di organizzazione sociale (tipico dell’asino selvatico e dell’asino africano selvatico, della zebra di Grevy e dell’emione) prevede invece la presenza di maschi territoriali che vivono isolati e che hanno il diritto di accoppiamento con le femmine che transitano attraverso il loro territorio; gli unici gruppi stabili in questo caso sono costituiti da una femmina e dalla sua prole.

Questa differente organizzazione è dovuta alla diversa disponibilità spaziale e temporale delle risorse, nonché dalla loro qualità, più che a differenze legate alla specie in esame;

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sono quindi questi aspetti ad influenzare la dimensione dei gruppi, la loro tendenza alla dispersione, le interazioni madre-puledro, gli accoppiamenti e l’organizzazione sociale. Queste differenze sono state riscontrate anche nell’analisi di varie popolazioni di asini selvatici. Una popolazione osservata abitava nella Death Valley in California (Moehlman, 1974), un’altra nell’Isola di Ossabaw in Georgia (William Don McCort, 1980), una terza nell’Isola di St. John, la più piccola delle Virgin Island negli Stati Uniti (Rudman, 1998); un altro gruppo di asini selvatici era localizzato nel deserto di Danakil, Etiopia (E.

africanus) e un altro era localizzato invece nel deserto di Karakum, Turkmenistan (E. hemionus) (Klingel, 1977). Infine, altri asini sono stati studiati sulle montagne Chemehuevi

in California (Woodward, 1979) e un’ultima popolazione è stata studiata sul Vulcano Alcedo, arcipelago delle Isole Galapagos, Ecuador (Moehlman et al. 1998).

Moehlman (1998b) è andata ad analizzare nello specifico le differenze di organizzazione sociale per Equus africanus in due ambienti molto dissimili fra loro: quello arido della Death Valley e quello più temperato dell’Isola di Ossabaw, le cui differenze sono riportate qui di seguito.

Nella Death Valley i gruppi che si andavano a formare erano tendenzialmente instabili e comunque abbastanza rari, con un massimo di 5 soggetti. Le uniche unioni stabili riscontrate sono state osservate fra le femmine adulte e la prole. I maschi solitari difendevano ciascuno un proprio territorio, spesso in prossimità di risorse alimentari e idriche, con possibilità di sovrapposizione di territori di diversi maschi in prossimità della risorsa; quando le femmine in estro si trovano ad attraversare questi territori, il maschio dominante prova ad accoppiarsi con loro. I soggetti, in solitario o in gruppo, sono stati osservati muoversi molto di più rispetto ai soggetti osservati sull’Isola di Ossabaw, con anche una maggior percentuale del tempo giornaliero impiegato ad alimentarsi. La distanza media fra i soggetti era pari o superiore ai 10-15 metri. Questa bassa densità mantenuta dagli animali e una ridotta socialità sono da ascrivere alle scarse risorse disponibili sul territorio: infatti un territorio così povero di risorse non potrebbe essere sufficiente per più adulti se questi ne occupassero una porzione ridotta, motivo per cui è importante che la popolazione sia in grado di disperdersi sul territorio. La necessità di

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flessibilità per sopravvivere in un territorio così aspro seleziona contro legami sociali troppo forti e a favore di un sistema sociale più labile (Woodward, 1979).

Sull’Isola di Ossabaw invece era possibile osservare gruppi più stabili, composti da uno o due maschi adulti e da due a cinque femmine con la loro prole. Essendo gli animali già organizzati in gruppi stabili, gli accoppiamenti avvenivano all’interno del medesimo gruppo, con il maschio dominante quindi a difesa del proprio harem di femmine. Le distanze fra gli individui risultavano molto ridotte rispetto a quelle osservate nella Death Valley, con in media massimo 5-10 metri di distanza. Essendo le risorse abbondanti e distribuite sul territorio i soggetti avevano minor bisogno di spostarsi; inoltre l’alimento a disposizione era probabilmente più ricco di nutrienti (purtroppo non sono disponibili dati al riguardo), per cui i soggetti potevano destinare meno tempo ad alimentarsi. Quanto osservato nei restanti studi citati in precedenza può essere ricondotto a queste due situazioni appena descritte, essendo stata dimostrata anche in questi altri studi la correlazione tra organizzazione sociale e condizioni ambientali presenti. In caso di scarsa disponibilità di risorse infatti il comportamento dei soggetti è analogo a quelli della Death Valley; altrimenti in caso di risorse abbondanti e distribuite sul territorio l’organizzazione sociale osservata è ascrivibile a quella riportata per i soggetti dell’Isola di Ossabaw. Solamente nello studio di Moehlman et al. (1998) sul Vulcano Alcedo, nell’arcipelago delle Isole Galapagos è stata individuata un’organizzazione analoga a quella degli asini sull’Isola di Ossabaw; in tutti gli altri casi l’organizzazione è sovrapponibile a quella osservata nella Death Valley.

L’abilità dell’asino nell’adottare strategie sociali così diverse fra loro in risposta alle differenze condizioni ambientali ci aiuta a capire perché questa specie sia stata in grado di stabilirsi con successo in tutto il mondo (Rudman, 1998).

La loro capacità di adattamento è tale da costituire un rischio per l’ambiente stesso talvolta, il quale può non riuscire a sostenere una colonizzazione così imponente, con ripercussioni sia sulla flora che sulla fauna locali; questo è maggiormente vero se si tratta di ecosistemi aridi e se si tratta di aree dove l’asino è stato importato e non endemico, e

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dove può quindi causare una alterazione in un equilibrio già precario. (Death Valley U.S. National Park Service, 2018; Hamrick et al., 2005).

1.3 La comunicazione

Per comunicare tra loro gli asini utilizzano una combinazione di segnali olfattivi, visivi e vocali; nel nostro lavoro abbiamo considerato solo la componente visiva della comunicazione; infatti l’eccessiva lontananza impediva la registrazione dei suoni in modo chiaro così che fosse possibile analizzarli, e per studiare la comunicazione olfattiva sarebbe stato necessario procedere con dei prelievi sul campo. È stato comunque possibile osservare urinazione in sequenza fra i vari soggetti del gruppo: quando un’asina urinava in un punto, altre si avvicinavano e dopo aver fatto genital sniffing (vedi paragrafo 2.3.1 per una descrizione del comportamento) e aver annusato il punto di urinazione, urinavano a loro volta; talvolta è stato osservato anche il comportamento di flehmen da parte di alcuni soggetti. Questo è in contrasto con quanto riporta Moehlman (1998a), che riportava come le femmine non mostrassero urinazioni in sequenza, riportando solo fra i maschi questo tipo di comportamento e ricollegandolo a una questione di marcatura del territorio.

La comunicazione visiva ricopre un ruolo molto importante nella vita sociale di questi animali. La postura del corpo, la posizione specifica di collo, testa, orecchie, coda, le espressioni facciali, permettono di trasmettere molte informazioni agli altri soggetti. Come riporta Waring (2003) per il cavallo, i soggetti si trovano praticamente ogni giorno a emettere segnali che veicolano informazioni; le informazioni riguardano le intenzioni del soggetto, la sua attività attuale, lo stato sociale, le emozioni, le condizioni fisiologiche e così via. Nel momento in cui un altro soggetto è in grado di ricevere e comprendere queste informazioni, la comunicazione è avvenuta. Questo discorso è applicabile anche agli asini grazie alle osservazioni svolte da Moehlman (1998a), dove sono registrati i diversi comportamenti manifestati da una popolazione di asini selvatici nella Death Valley, California.

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La comunicazione visiva è particolarmente importante per i soggetti per distinguere un contesto aggressivo da uno rilassato, per comprendere cioè le intenzioni di un altro soggetto e distinguere un’interazione agonistica da una affiliativa.

L’elemento che primo fra tutti permette di discriminare queste due situazioni è la posizione delle orecchie: in un contesto agonistico infatti saranno presentate schiacciate caudalmente, con la testa spesso iperestesa sul collo e portata verso il terreno, con le orecchie quindi allineate con la linea del collo. Nel caso di un contesto rilassato o affiliativo le orecchie saranno portate invece più erette: rivolte in avanti e in posizione verticale denotano uno stato di allerta o di grande attenzione per qualcosa che sta accadendo o di eccitamento (arousal), mentre se portate leggermente laterali e oblique, denotano uno stato di relax dell’animale (McGreevy, 2012).

Anche la coda può fornire informazioni riguardo allo stato del soggetto. Solitamente cade verticalmente rispetto al terreno; se invece si presenta sollevata, sta a indicare uno stato di allerta, un contesto agonistico o uno stato di eccitamento nell’animale (arousal); nel caso in cui invece sia portata ventralmente al corpo dell’animale sta a indicare una situazione di estrema paura, sottomissione o dolore prolungato (McGreevy, 2012). La comunicazione può essere anche molto più sottile di così, in quanto in base alla posizione della testa sul collo, se è più estesa o più avvicinata al petto, permette di avere informazioni se l’animale ha intenzione di portare avanti un’aggressione anteriore o posteriore, se è più spaventato o in uno stato di arousal e così via.

1.4 Comportamenti agonistici

Le interazioni agonistiche sono componente imprescindibile della vita di gruppo, e comprendono una serie di moduli comportamentali quali l’allarme (vigilance), le minacce, i segnali di sottomissione, l’evitamento, il conflitto e la fuga. Dirette principalmente verso i conspecifici possono manifestarsi occasionalmente anche verso soggetti appartenenti ad altre specie.

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Un aumento della competizione si può avere per risorse limitate come cibo, partner sessuali e spazio, e la competizione porta a un aumento della probabilità di sfociare in un conflitto (Björnsdotter, Larsson, & Ljungberg, 2000).

1.4.1 La minaccia

La minaccia in generale consiste in un comportamento agonistico che serve a manifestare a un altro soggetto le proprie intenzioni aggressive, al fine di evitare un conflitto che potrebbe risultare costoso da un punto di vista di energie, e potrebbe esitare nel ferimento di uno o di entrambi i soggetti. Solitamente non presenta contatto fisico fra i soggetti. Gli asini, come il resto degli equidi, sono capaci di minacciare un altro soggetto sia con l’estremità anteriore che posteriore.

Sia la minaccia frontale che posteriore possono presentare una gradazione nell’intensità e nella postura, spaziando da un lento movimento della testa, allo schiacciamento delle orecchie, l’iperestensione della testa sul collo e una sua posizione verso il basso, con l’avvicinarsi verso l’altro soggetto passando dal passo al trotto o addirittura al galoppo, con la bocca che da chiusa può diventare aperta, con esposizione dei denti, fino al tentativo di morso. Le minacce posteriori possono anche queste spaziare da un semplice accenno a sollevare uno dei posteriori, allo sferrare realmente un calcio con uno o entrambi gli arti, anche se non è direzionato verso l’altro soggetto e quindi non arriva a colpirlo (Moehlman, 1998a).

1.4.2 Il conflitto

Quando invece si arriva ad avere un conflitto significa che i soggetti non sono riusciti a stabilire un nuovo equilibrio tramite altri meccanismi, ed uno scontro si rende quindi inevitabile. In questo caso è quasi sempre presente un contatto fisico fra i soggetti, con morsi, calci e spintoni.

Aureli (2002) definisce il conflitto come una situazione che deriva dall’agire degli individui per raggiungere obiettivi incompatibili fra loro; a causa di questo contrasto gli individui si comportano in modo differente dal loro solito comportamento in condizioni normali.

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Per un elenco dei pattern specifici manifestati in questi due contesti (minaccia e conflitto) e per una loro descrizione, vedi il paragrafo 2.3.2.

1.5 La gerarchia e le relazioni diadiche

La gerarchia all’interno dei gruppi sociali è un argomento che è stato lungamente studiato, da quando Schjelderup-Ebbe (1922) introdusse per primo il concetto di “ordine di beccata” si sono succedute diverse definizioni per gerarchia. La dominanza è stata definita come aggressività (Wilson, 1975), come una caratteristica che esprime il rango (Baenninger, 1981), come ordine di priorità di accesso alle risorse (Wilson, 1975). Il concetto di “ordine di beccata”, che comprende l’idea di interazioni agonistiche unidirezionali è stato integrato considerando diversi tipi di interazioni agonistiche e rendendolo meno specie-specifico (Carlos Drews, 1993). Il dibattito continua anche riguardo alla origine ecologica delle gerarchie, se esistono società unicamente egalitarie o despotiche, e il perché di queste differenze.

Come riportato anche da Weeks (2000), il dominante è spesso considerato beneficiario di molti vantaggi dovuti al suo stato sociale. I soggetti dominanti infatti di solito hanno un accesso prioritario al cibo e all’acqua, nonché agli accoppiamenti. Nonostante ciò la vita del dominante presenta anche degli svantaggi: infatti spesso presentano livelli più elevati di ormoni dello stress, e questo potrebbe portare a un accorciamento della durata della vita dei soggetti più in alto nella gerarchia.

Nell’asino non sono stati svolti ad oggi studi specifici che andassero a indagare la presenza di una gerarchia nelle popolazioni ferali, ma questa carenza è ascrivibile al fatto che, come detto nel paragrafo 1.2, la maggior parte delle popolazioni ferali di asini studiate non presentavano un’organizzazione sociale in gruppi, all’interno dei quali sarebbe possibile riscontrare una gerarchia dei soggetti, ma la popolazione risultava dispersa sul territorio, con maschi isolati e le femmine in compagnia solo della prole. Le uniche eccezioni sono i piccoli e stabili gruppi che sono stati osservati sull’Isola di Ossabaw e sul Vulcano Alcedo, nell’arcipelago delle Isole Galapagos, per i quali però non è stata svolta alcuna analisi della gerarchia eventualmente presente.

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Fra gli animali più vicini all’asino, per quanto la struttura sociale sia profondamente diversa allo stato brado, sono stati svolti diversi studi sulla gerarchia nei gruppi nel cavallo (Weeks et al., 2000). In questa specie infatti, a differenza dell’asino, gli animali in natura si organizzano in gruppi con uno stallone dominante e diverse femmine, che vanno a costituirne l’harem; possono essere presenti altri maschi subordinati nel gruppo, ma solitamente sono organizzati in gruppi “satelliti” indipendenti costituiti da soli maschi. Premesso ciò, è stato ampiamente dimostrato che nei cavalli selvatici, all’interno di gruppi costituiti anche solo da due individui, si sviluppa e si mantiene una relazione di dominanza fra i soggetti (Weeks et al., 2000). Per l’ordine gerarchico nel cavallo sono state ipotizzate diverse correlazioni, con l’età, il rango della madre al momento dello svezzamento o la dimensione corporea ad esempio, ma nessuna di queste per ora è universalmente riconosciuta in tutti gli studi svolti sull’argomento; si ipotizza che possa essere coinvolta una combinazione di influenza genetica e ambientale nella determinazione del rango di un soggetto (Weeks et al., 2000).

La gerarchia può presentare diversi tipi di organizzazione, alcune più lineari e dotate della “proprietà transitiva”, dove se A è dominante su B, e B è dominate su C, allora A è dominante su C, mentre altre organizzazioni gerarchiche presentano una struttura circolare, dove cioè si può avere una situazione in cui il soggetto A è dominante su B, B è dominante su C, ma C è dominante su A. In questo secondo caso non risulta possibile associare ai soggetti un ordinamento univoco, dal soggetto più alto nell’ordine gerarchico all’ultimo, in quanto la dominanza dipende dalla diade in esame.

Sebbene la possibilità che la cattività possa influenzare la struttura gerarchica sia stata spesso menzionata, Shizuka & McDonald (2015) in un lavoro di metanalisi su 85 specie, hanno dimostrato che l’organizzazione gerarchica delle specie non varia in relazione allo stato di cattività. Nello stesso studio hanno mostrato come altri due fattori possano influenzare la struttura della gerarchia di un gruppo: la proporzione di diadi che interagiscono, e la frequenza di interazione degli individui di rango superiore, cioè il comportamento di alcuni individui chiave per il gruppo.

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Assume in questo modo maggiore rilevanza andare a indagare nello specifico le relazioni diadiche tra i soggetti, le quali costituiscono l’unità base della rete di interazioni che si va a creare all’interno di un gruppo. Nel cavallo sono stati svolti numerosi studi riguardo alla struttura sociale di gruppi stabili di soggetti in condizioni naturali, e tutti riportano l’importanza dei legami diadici presenti soprattutto fra le femmine del branco, che garantiscono il mantenimento della stabilità all’interno del gruppo (Heitor, do Mar Oom, & Vicente, 2006). Per valutare la qualità della relazione sono spesso considerati fattori quali la condivisione di contatti affiliativi e lo stare in prossimità dei soggetti: maggiore è la tendenza a manifestare questi due comportamenti, migliore è la qualità della relazione. Anche nell’asino è riportata la tendenza dei soggetti a formare legami diadici forti e duraturi (Murray, Byrne, & D’Eath, 2013), anche se ad oggi non sono stati svolti studi più approfonditi al riguardo.

Sebbene la presenza di legami diadici e quindi di una gerarchia abbiano una funzione di prevenire i conflitti all’interno del gruppo, strategie per la gestione dei conflitti sono comunque necessarie per quei casi in cui si arrivi comunque ad un conflitto.

1.6 La gestione dei conflitti

La vita di gruppo presenta numerosi vantaggi, sia per animali prede che predatori; in particolare, la vita di gruppo permette di mettere in atto anche una sincronizzazione dei comportamenti, che porta ad esempio a una riduzione della pressione predatoria sulla prole in quanto l’attività di sorveglianza è incrementata, e migliora l’efficacia delle strategie anti-predatorie (Duranton & Gaunet, 2016). Insieme a questi vantaggi però, la vita in gruppo comporta anche dei costi, in quanto i soggetti si trovano a competere gli uni con gli altri per le risorse e per le possibilità di accoppiamento. Per contrastare le conseguenze dei conflitti ed evitare di disperdere i pro della vita di gruppo, sono state sviluppate diverse strategie per mantenere la pace nel gruppo (Leone & Palagi, 2010). Fra queste tattiche per contrastare le forze che porterebbero a una dispersione degli individui del gruppo abbiamo i contatti affiliativi post conflittuali quali la riconciliazione e i contatti triadici.

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Oltre a questi meccanismi comportamentali atti a ripagare i danni causati dall’aggressione ve ne sono altri che hanno come scopo l’evitamento dello scontro: ad esempio regolando l’accesso alle risorse in base all’ordine gerarchico; anche comportamenti affiliativi (ad esempio i contatti sessuali o grooming nei primati (de Waal, 2006)), sono usati per ridurre lo stato di arousal in presenza di cibo e limitare così la competizione. Anche comportamenti come la sottomissione sono segnali usati per prevenire l’insorgere di un conflitto.

1.6.1 La riconciliazione

Con riconciliazione, così come la definirono de Waal & van Roosmalen (1979), si intende la tendenza dei due avversari in un conflitto a contattarsi e iniziare un contatto affiliativo dopo poco tempo dalla fine del conflitto avvenuto. Quando si utilizza il termine “riconciliazione”, si include inevitabilmente anche la funzione del contatto affiliativo post conflittuale come atto consolatorio, con quindi come conseguenza la riduzione dei livelli di stress dei soggetti coinvolti, per quanto questa funzione in alcune specie ancora non sia stata dimostrata; sarebbe quindi più opportuno parlare di “interazione affiliativa post conflittuale tra aggressore e vittima” (“post conflict opponent affiliative interactions”,

POAs) (Lazzaroni, Marshall-Pescini, & Cafazzo, 2017).

Le condizioni di base necessarie per poter parlare di riconciliazione in una specie sono state definite da de Waal & Yoshihara (1983):

- il riconoscimento individuale

- una buona memoria, in modo da poter ricordare con chi sia avvenuto il conflitto - la tendenza a riconciliare.

Le prime due caratteristiche sono state dimostrate in diverse specie, compreso l’asino (Murray et al., 2013), mentre la terza sembra essere più legata all’indole sociale della specie che alle sue capacità cognitive.

La riconciliazione è stata studiata in numerose specie, molte delle quali appartengono al mondo dei primati (Aureli et al., 2002), ma recentemente l‘interesse si è spostato anche verso altri taxa: ad esempio il lupo artico (Canis lupus arctos, Lazzaroni et al., 2017), il corvo (Corvus frugilegus, Fraser & Bugnyar, 2011; Seed, Clayton, & Emery, 2007; Silk,

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2007), il cane (Canis familiaris, Cools, Van Hout, & Nelissen, 2008), i delfini (Tursiops

truncates, Weaver, 2003), la iena (Crocuta Crocuta, Wahaj, Guse, & Holekamp, 2001), la

capra domestica (Capra hircus, Schino, 1998), il cavallo (Equus caballus, Cozzi, Sighieri, Gazzano, Nicol, & Baragli, 2010), i wallaby (Macropus rufogriseus, Cordoni & Norscia, 2014), il lupo (Canis lupus, Cordoni & Palagi, 2008).

Sono state formulate diverse ipotesi riguardo alla funzione della riconciliazione, e ogni ipotesi è andata a focalizzarsi su un diverso aspetto chiave:

- Relationship Repair Hypothesis: l’obiettivo della riconciliazione è andare a riparare i possibili danni causati dal conflitto alla relazione fra i due soggetti. In questo caso sono considerate relazioni buone, per le quali valga la pena investire, solo quelle fra soggetti imparentati fra loro (Kinship Hypothesis: Aureli, 1997; De Waal & Aureli, 1996), o dove i soggetti compongono una diade (Friendship Hypothesis: De Waal & Yoshihara, 1983) - Valuable Relationship Hypothesis: l’obiettivo è sempre quello di andare a risolvere ipotetici danni, ma le relazioni per cui questo viene fatto sono solo quelle considerate di valore da parte dell’animale. Si intendono quindi le relazioni con soggetti la cui cooperazione è fondamentale (ad esempio per la caccia), oppure soggetti di livello gerarchico superiore, o partner sessuali; la riconciliazione è un investimento sociale fatto per ottenere benefici futuri (ad esempio il supporto agonistico) (Cords & Aureli, 1993; van Schaik & Aureli, 2000)

- Uncertainty Reduction Hypothesis: l’obiettivo è ridurre i livelli di stress causati dal conflitto che ha portato insicurezza nella relazione (Aureli & van Schaik, 1991b)

- Integrated Hypothesis: questa ipotesi va a considerare tutti i vari aspetti citati in precedenza; infatti, a seguito di un conflitto, sia aggressore che vittima potranno provare uno stato di ansia per le alterazioni possibili nella loro relazione, nonché per il rischio del rinnovarsi di un attacco. Lo stress provato dovrebbe motivare i soggetti a mettere in atto strategie per risolvere i danni arrecati alla relazione tramite il conflitto. Poiché si attendono livelli di stress più elevati a seguito di un conflitto tra soggetti con una relazione di buona qualità in quanto la perdita potrebbe essere di maggiore entità, la tendenza a riconciliare tra questi soggetti dovrebbe risultare superiore alla media (Aureli, 1997)

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I comportamenti riconciliatori possono essere interpretati anche come segnali che permettono alla vittima di capire se il conflitto sia o meno giunto a termine, le intenzioni dell’aggressore e se sia possibile o meno ripristinare il rapporto con l’aggressore (Silk, 2002). La riconciliazione comunque non avviene dopo ogni conflitto, con percentuali che cambiano in base alla specie (Aureli et al., 2002), e questo fatto è singolare dati gli enormi benefici derivanti dalla riconciliazione, sia dal punto di vista della vittima che dell’aggressore. Bisogna però ricordare che la riconciliazione comporta anche dei rischi, soprattutto per la vittima: avvicinarsi infatti ad un animale da cui si è appena stati aggrediti, potrebbe portare a un ripetersi dell’aggressione (Aureli & van Schaik, 1991b); oppure una bassa frequenza riconciliatoria potrebbe essere spiegata dal fatto che i conflitti non vanno realmente ad alterare la qualità della relazione, e non c’è quindi alcun danno da riparare (Aureli et al., 2002).

1.6.2 I contatti triadici

Con contatto triadico si intende il contatto affiliativo tra uno dei due opponenti di un conflitto (aggressore e vittima) e un terzo soggetto non coinvolto nel conflitto (Cords, 1997; de Waal & van Roosmalen, 1979); questo fenomeno ha ricevuto rispetto alla riconciliazione molte meno attenzioni, tanto che i primi studi sistematici al riguardo sono degli anni ’90. I contatti triadici possono essere sollecitati, cioè quando sono l’aggressore o la vittima a contattare un terzo soggetto, oppure non sollecitati quando il terzo soggetto di sua sponte va a contattare l’aggressore o la vittima. I contatti triadici sono considerati come aventi intrinsecamente due funzioni: quella di appeasement (traducibile come “pacificazione”) e quella di consolation (traducibile come “consolazione”). Con la prima si fa riferimento alla riduzione del rischio di rinnovate aggressioni, mentre con la seconda si intende l’attenuazione di una condizione di stress che si viene a creare a seguito di un conflitto. Quando si parla di appeasement si intendono quindi quelle azioni rivolte nei confronti dell’aggressore, così da ridurre le probabilità di essere la vittima di una nuova aggressione, anche se non costituisce in sé necessariamente un meccanismo di gestione dei conflitti (Das, 2000; Fernando Colmenares & Kate Arnold, 2000).

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Nei primi studi sul fenomeno i contatti affiliativi con terzi soggetti erano definiti come “atti consolatori”, andando anche in questo caso, come per la riconciliazione, a sottintendere la funzione del comportamento come riduttore dello stress; non essendo però ancora stata dimostrata questa funzione in tutti gli animali, è più corretto parlare di “contatti triadici post conflittuali”. Infatti, per parlare di “consolazione” si dovrebbe riuscire a dimostrare che il contatto affiliativo di un terzo soggetto verso l’aggressore o la vittima sia guidato dall’empatia che il terzo soggetto prova verso un altro soggetto, cioè che sia in grado di percepirne lo stato di ansia e, una volta compreso, sia in grado di elaborare una strategia per risolverlo; inoltre è necessario che un terzo soggetto sia in grado di comprendere i diversi ruoli (aggressore e vittima) dei due soggetti coinvolti nel precedente conflitto (Schino, Geminiani, Rosati, & Aureli, 2004).

Va ricordato che anche nel caso dei contatti triadici, la decisione su mettere o meno in atto questo comportamento, viene presa sulla base di una valutazione del rapporto costi-benefici associati. Come anche la riconciliazione, i contatti triadici sono stati ipotizzati avere funzione di riduzione dello stress negli opponenti (Das, 2000), per quanto altri studi non abbiano riscontrato questo effetto. Nei casi in cui però questo effetto calmante è stato dimostrato, è stato ipotizzato che quindi i contatti triadici possano almeno parzialmente andare a svolgere una funzione sostitutiva della riconciliazione. È anche stato ipotizzato che i contatti triadici abbiano la funzione di rinforzare la gerarchia esistente (Das, 1998): andare a contattare l’aggressore costituirebbe cioè un segnale di approvazione da parte di un terzo soggetto verso l’aggressore, andando quindi a rinsaldare la relazione esistente tra i due. Purtroppo, ad oggi sono pochi i lavori che hanno indagato la funzione svolta da questo comportamento sociale, a differenza che nella riconciliazione, dove molteplici indagini sono state svolte con lo scopo di indagarne la funzione.

I contatti triadici, ampliando il numero di soggetti che possono coinvolgere, presentano più combinazioni possibili. Ad esempio, è stato osservato che i contatti affiliativi venivano rivolti verso soggetti parenti del soggetto con cui si è avuto un conflitto, e che questo era sufficiente a riportare a livelli basali la probabilità che l’aggressore tornasse ad aggredire la vittima (Das, 2000). Questo è stato riportato soprattutto per specie

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dispotiche, che presentando una rigida gerarchia, presentano raramente contatti da parte della vittima verso l’aggressore, che solitamente è superiore per rango gerarchico; per la vittima l’andare a contattare i parenti dell’aggressore può quindi costituire una valida alternativa alla riconciliazione (Aureli & van Schaik, 1991a).

Questo per quello che riguarda il soggetto coinvolto nel precedente conflitto; ma anche il terzo soggetto deve poterne trarre dei benefici. Ad esempio, avere contatti affiliativi con l’aggressore può risultare vantaggioso in quanto riduce la probabilità di essere la vittima del successivo conflitto. Come detto sopra inoltre, questo discorso può estendersi a parenti, con i parenti dell’aggressore che possono presentare un aumento nel tasso di inizio di nuovi conflitti verso altri soggetti del gruppo (Silk, 1987). Per un soggetto del gruppo quindi, anche se esterno al precedente conflitto, risulta utile in ogni caso ridurre i livelli di tensione a seguito di un’aggressione, per evitare che i conflitti dilaghino, portando a una condizione di instabilità all’interno del gruppo (Das, 2000). A questi vantaggi si contrappongono anche numerosi rischi: infatti, a seguito di un conflitto, la vittima è più facilmente esposta a rinnovati attacchi da altri membri del gruppo (Aureli & van Schaik, 1991b), e quindi rivolgere un contatto affiliativo verso di lei potrebbe esporre il terzo soggetto a essere coinvolto anche lui in nuovo conflitto (Aureli, Das, Verleur, & van Hooff, 1994); questo vale anche se il contatto triadico viene rivolto verso l’aggressore, che a seguito di un conflitto può più facilmente iniziarne un altro. Infine, la vittima potrebbe diventare l’aggressore di un nuovo conflitto, attaccando altri membri del gruppo (Aureli & van Schaik, 1991a).

I contatti triadici non sollecitati sono stati documentati in diverse specie, fra cui gli scimpanzè e i bonobo (Pan troglodytes e Pan paniscus, (Arnold & Whiten, 2001; de Waal & van Roosmalen, 1979)), nei Gorilla (Gorilla gorilla gorilla, Palagi, Chiarugi, & Cordoni, 2008), ma anche in non primati come ad esempio nel cane (Canis familiaris, Cools et al., 2008), nella iena (Crocuta crocuta, Wahaj et al., 2001), nel corvo (Corvus frugilegus, Seed et al., 2007) e nel cavallo (Equus caballus, (Cozzi et al., 2010).

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1.6.3 Effetto della fase estrale sui conflitti

Gli ormoni ricoprono indubbiamente un ruolo molto importante nel regolare l’attività degli animali, ma non sono molti gli studi che prendono in esame la frequenza dei conflitti e la sua correlazione con il ciclo estrale degli animali. Gli ormoni influenzano l’attività agonistica in diversi modi: possono infatti andare ad agire direttamente sui circuiti nervosi che regolano determinati comportamenti, oppure possono alterare la percezione di alcuni stimoli, andando quindi a modificare la risposta agonistica (Albers, Huhman, & Meisel, 2002).

Essendo il nostro un gruppo di sole femmine prenderemo in considerazione solo la letteratura riguardante l’effetto degli ormoni ovarici, tralasciando gli effetti del testosterone.

Albers et al. (2002) nel loro lavoro prendono in considerazione come modello di studio il criceto siriano (Mesocricetus aurautus), una specie poliestrale stagionale in cui i livelli di progesterone ed estradiolo sono bassi durante il periodo dell’estro e all’inizio del diestro. L’estradiolo inizia a salire per primo, e raggiunge il picco durante la fase di proestro; il progesterone sale durante il proestro, in concomitanza del calo nei livelli di estradiolo, e raggiunge il suo picco sempre durante la fase di proestro ma dopo il picco di estradiolo. Le femmine sono recettive durante la fase di proestro. Il picco di conflitti si ha durante la fase di estro, quando sia estradiolo che progesterone presentano una bassa concentrazione ematica.

Oltre a indagare l’effetto degli ormoni sessuali, Albers et al. (2002) hanno dimostrato anche l’effetto della melatonina sulla frequenza dei conflitti. La melatonina è coinvolta nel ritmo sonno-veglia degli animali e ne influenza il ritmo circadiano; il rilascio della melatonina solitamente aumenta con l’aumentare delle ore di luce. È stato mostrato come un aumento nei livelli di melatonina sia responsabile di un aumento dei livelli di aggressività degli animali sottoposti a iniezioni di melatonina rispetto al gruppo di controllo. Il fotoperiodo lungo, con un aumento della secrezione di melatonina, sembra abbia come effetto una riduzione della sensibilità dei soggetti all’effetto di estradiolo e

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progesterone; la distribuzione dei conflitti presenta quindi anch’essa un ritmo circadiano sovrapponibile ai livelli di melatonina.

Infatti è stato dimostrato in più studi (Fraile, McEwen, & Pfaff, 1987a, 1988; Kohlert & Meisel, 2001a) come il progesterone in particolare svolga una funzione calmante nell’animale, riducendone i livelli di ansia (Mora, Dussaubat, & Díaz-Véliz, 1996) e di aggressività.

1.7 Scopo del lavoro

Il presente lavoro si prefigge diversi obiettivi: innanzitutto andare a indagare l’organizzazione sociale di una specie considerata gregaria come l’asino, valutare se esiste una gerarchia all’interno del gruppo e capirne la struttura.

È importante ricordare come in natura questa specie non sia mai stata indagata da un punto di vista di organizzazione gerarchica in quanto la maggior parte delle popolazioni selvatiche osservate non si presentavano con gli animali riuniti in gruppi, ma con soggetti che vivevano isolati e dispersi sul territorio, con le uniche aggregazioni stabili date dalle madri con la rispettiva prole. Questa dispersione sul territorio è da imputare alla scarsità delle risorse, e quindi alla necessità di non insistere in troppi soggetti sulla stessa porzione di terreno in quanto non sarebbe disponibile alimento sufficiente per tutti. Gli animali presi in considerazione in questo studio sono nove asine dell’Amiata, che vivendo in condizioni ambientali ottimali, con cibo e acqua sempre a disposizione, hanno creato un’organizzazione sociale analoga a quella riscontrata sull’Isola di Ossabaw. I nove animali infatti, nonostante abbiano a disposizione un paddock di 40x60 metri, tendono a stare sempre tutti ravvicinati, a meno di 3 metri di distanza gli uni dagli altri. L’abbondanza delle risorse presenti infatti, non rende necessaria la dispersione dei soggetti. Nonostante l’asino in condizioni di cattività sia noto per creare forti legami diadici (Murray et al., 2013; Wasilewski, 2003), ad oggi nessuno studio è stato svolto per indagare l’organizzazione sociale dell’asino domestico in condizioni di cattività.

Ulteriore scopo di questo lavoro è quello di andare a investigare la presenza di riconciliazione e contatti triadici post conflittuali. La vita all’interno del gruppo è da

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considerarsi un equilibrio dinamico tra comportamenti affiliativi, volti ad aumentare la coesione del gruppo, e comportamenti invece competitivi, che tenderebbero a farlo disperdere; avere a disposizione delle strategie post-conflittuali per risolvere i danni causati dai conflitti, che talvolta possono risultare inevitabili, è fondamentale per garantire la coesione stabile del gruppo. Oltre a valutarne la presenza si è cercato anche di valutarne l’effetto sulla probabilità che ad un’aggressione ne seguano di nuove dopo breve tempo; ciò che si vuole andare a indagare è cioè se un conflitto seguito da un contatto affiliativo presenta la stessa probabilità di essere seguito da un nuovo conflitto di uno al quale non è seguito alcun contatto affiliativo.

La condizione di cattività pone inevitabilmente delle limitazioni, prima fra tutte l’impossibilità degli animali di allontanarsi dal gruppo. Per quanto lo spazio a disposizione sia ampio, non è tale da permettere la creazione di due gruppi indipendenti fra loro. Inoltre, nel caso in cui un singolo soggetto si trovasse a volersi allontanare dal gruppo, non avrebbe la possibilità di associarsi ad altri animali, ma resterebbe isolato. La necessità quindi di dovere, in modo quasi obbligatorio, rimanere all’interno del gruppo, potrebbe influenzare positivamente la presenza di fenomeni di riappacificazione post conflittuale.

Uno studio svolto in cattività può però mettere in evidenza le potenzialità comportamentali di una specie. Infatti, se andiamo a definire il potenziale adattativo di una specie come la capacità che i singoli soggetti mostrano di adattare il proprio repertorio comportamentale e biologico ai cambiamenti dell’ambiente di vita, anche per cause artificiali, allora l’analisi di questo fenomeno può essere estesa anche alla condizione di cattività.

I pattern comportamentali che è stato possibile osservare nella nostra popolazione sono del tutto analoghi a quelli riportati in condizioni naturali (Moehlman, 1998a), con probabilmente una maggiore incidenza dei comportamenti affiliativi, ma questa discrepanza sarebbe comunque sempre ascrivibile alla diversa organizzazione sociale che è stato possibile osservare tra natura e cattività; negli studi svolti da Moehlman comunque, la descrizione dei comportamenti osservati è prettamente qualitativa, senza

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informazioni riguardo alla frequenza di manifestazione dei singoli pattern comportamentali, per cui non sono disponibili dati sulla frequenza di manifestazione dei comportamenti con cui confrontare i nostri dati.

Riguardo all’effetto della cattività su riconciliazione e contatti triadici, studi svolti sui primati dimostrano come la riconciliazione, presente sia in cattività che in natura, presenti frequenze analoghe nelle due condizioni (Aureli, Van Panthaleon Van Eck, & Veenema, 1995; de Waal & van Roosmalen, 1979). Possiamo quindi ritenere che la riconciliazione non sia semplicemente un artefatto della cattività, ma un fenomeno caratteristico della specie (Aureli et al., 2002).

La cattività presenta ovviamente anche numerosi vantaggi: permette di osservare gli animali costantemente e di avere delle riprese anche ravvicinate, che permettono di analizzare più precisamente le interazioni che avvengono all’interno del gruppo; inoltre permette di avere informazioni precise sui soggetti (sesso, età, legami di parentela) che non sarebbero altrettanto facilmente reperibili in condizioni naturali. Un’altra informazione che risulta difficilmente ottenibile in natura è ciò che riguarda la fase estrale dei soggetti; avendo a disposizione queste informazioni per i nostri soggetti in esame, siamo andati a indagarne l’effetto sui comportamenti aggressivi tra gli animali del gruppo. Infine, basandoci sui rapporti di prossimità dei soggetti siamo andati a identificare delle categorie di “qualità della relazione diadica”, e in base a queste categorie abbiamo analizzato la distribuzione dei contatti affiliativi post conflittuali, la distribuzione dei conflitti e la relazione con la distanza gerarchica dei soggetti.

In conclusione, ci prefiggiamo di investigare se:

- nel momento in cui sia presente un gruppo stabile di asini (Equus asinus), si crei una gerarchia, e nel caso di che natura sia questa organizzazione gerarchica

- i fenomeni di riconciliazione e dei contatti triadici post conflittuali siano presenti, e se abbiano qualche effetto sulla probabilità che avvenga una nuova aggressione

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- la qualità delle relazioni diadiche influenzi altri aspetti dei rapporti tra i soggetti, come i conflitti e i contatti affiliativi.

Con tali scopi è stato studiato un gruppo di asini, in quanto nessuno studio è mai stato svolto nell’asino sulla gestione dei conflitti; inoltre rispetto al cavallo, l’asino in cattività è più frequentemente allevato in gruppo, condizione necessaria per poter studiare questi fenomeni. La scelta dell’asino è stata dettata anche dal fatto che se la riconciliazione serve a risolvere i conflitti e riparare le relazioni danneggiate da questi, allora ci si aspetta di trovare la riconciliazione in quelle specie che formano gruppi stabili e coesi (Silk, Cheney, & Seyfarth, 1996). L’asino è considerato una specie in grado di formare forti legami diadici, tanto che se la diade viene poi separata sono riportati casi di soggetti che possono andare a sviluppare diverse patologie (Svendsen, Duncan, Hadrill, & Donkey Sanctuary (Salcombe Regis, 2008; Whiteheads, French, & Ikin, 1991). Vista la capacità di creare legami diadici così forti, si suppone che nel momento in cui i soggetti si trovino in gruppo, siano in grado di renderlo un gruppo stabile e coeso.

Oltre a ciò abbiamo ritenuto interessante andare a investigare una specie che presenta una struttura sociale così differente fra condizione di cattività e in natura, così da poter indagare la plasticità della specie nell’adattarsi a condizioni profondamente diverse fra loro.

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Materiali e metodi

2.1 Gruppo di studio

Lo studio ha come soggetto un gruppo stabile di nove asine ospitate presso l’Ospedali Didattico “Mario Modenato” del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa, con sede a San Piero a Grado (PI). Le asine, tutte di razza amiatina, sono presenti presso la struttura in quanto, a seguito della dichiarazione della razza come a rischio di estinzione, è stato deciso di creare un nucleo di ripopolazione all’interno del progetto di ricerca “Approccio multidisciplinare alla conservazione dell’Asino dell’Amiata: riproduzione, allevamento e genetica”, finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica, nell’ambito dei progetti PRIN, anno 2004. Il progetto di ricerca nasce dalla necessità di salvaguardare e conservare la biodiversità animale, ed in particolare, di valorizzare la variabilità genetica delle popolazioni autoctone, e da allora le asine sono state mantenute in un gruppo stabile con la nascita di numerosi puledri che sono stati trasferiti in altri punti di ricerca o destinati ad allevamenti per la produzione del latte d’asina.

Le asine al momento delle riprese erano di età compresa fra i 2 e gli 8 anni (5.1 ± 2.1) (Tabella 1), e presentano principalmente parentele di primo grado (Grafico 1). Gli animali sono da considerarsi adulti in quanto hanno tutti raggiunto la maturità sessuale e uno sviluppo somatico adeguato.

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Nome Data di nascita

Età

(anni) Madre Padre

Sorella da parte di madre

Sorella da parte di padre

1 Amanda 21/05/2011 2 Lauretta Pinuccio * Zoe - Zazà

2 Lauretta 27/04/2005 8 Orchidea Giustino Uva *

3 Tarantella 11/07/2007 6 Gaia Marco Mina - Zazà *

4 Gabriella 27/04/2006 7 La Bella Nando * *

5 Urca 08/06/2008 5 Emiliana Baffo * Uva - Mina

6 Zoe 13/03/2010 3 Mina Pinuccio * Zazà - Amanda

7 Mina 17/07/2006 7 Gaia Baffo Tarantella - Zazà Urca - Uva

8 Uva 21/05/2008 5 Orchidea Baffo Lauretta Mina - Urca

9 Zazzà 30/03/2010 3 Gaia Pinuccio Mina - Tarantella Amanda - Zoe

Tabella 1: Dati anagrafici dei soggetti in esame.

Grafico 1: Albero genealogico

Gli animali vivono in un recinto di circa 40x60 m nel quale è presente un’area protetta da una tettoia, con libero accesso all’acqua e fieno ad libitum; le aree per abbeverarsi e i punti di alimentazione, dove viene posto il fieno, sono due (Figura 1). Lo spazio a disposizione di ogni soggetto è da considerarsi adeguato, anche se l’ambiente non

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fornisce molti stimoli agli animali. I soggetti trascorrono all’interno di questo recinto la maggior parte del tempo (ore diurne e notturne), ad eccezione del tempo necessario per svolgere attività mediche, per le quali vengono trasferite in un altro recinto vicino all’Unità di Riproduzione dove sono presenti dei travagli. In questo luogo le asine vengono sottoposte a visita veterinaria per la valutazione dello stato riproduttivo degli animali (vedi paragrafo 2.5). I soggetti sono quindi abituati alla manipolazione da parte dell’uomo.

Figura 1: Ripresa del paddock dove sono stabulate le nove asine.

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2.2 Tecnica di registrazione dati

Le riprese sono state svolte tra Giugno e Novembre 2013 divise in 32 giornate per un totale di circa 200 ore di riprese. Le riprese sono state svolte da Lara Elena Deiana (studentessa del Corso di Laurea magistrale in Biologia del comportamento, Università degli studi di Firenze), con una telecamera posta su un cavalletto (Samsung, 65X INTELLI-ZOOM). Per garantire una buona visuale e allo stesso tempo non alterare il comportamento degli animali con la presenza dell’operatore, le riprese sono state svolte dal terrazzo dell’edificio antistante il recinto, posto al primo piano e a circa 50 m dal paddock delle asine in questione.

Le riprese sono state svolte in media per 6/7 ore al giorno, dal lunedì al venerdì dalle 09:30 alle 16:00 circa; talvolta alcuni soggetti venivano prelevati per svolgere la visita medica, ma a meno che non fosse prelevato l’intero gruppo le riprese sono state fatte proseguire senza interruzioni ma semplicemente annotando l’assenza momentanea di alcuni soggetti.

Essendo i soggetti tutti appartenenti alla medesima razza, non sono presenti evidenti differenze nel mantello o nelle dimensioni, ma delle leggere differenze nella conformazione (dimensione della testa, altezza al garrese, maggiore o minor peso) e nel manto (più o meno folto, più scuro o più chiaro) sono comunque riscontrabili; oltre a ciò, per favorire il riconoscimento dei soggetti anche a distanza, i soggetti venivano giornalmente contrassegnati con dei numeri sulla spalla e al livello dell’arto posteriore. L’apposizione del numero è sempre stata svolta con vernice zootecnica atossica; purtroppo la sua tenuta non si è rivelata essere sufficiente per permettere la lettura dei numeri per tutta la giornata a causa dell’abitudine dei soggetti a rotolarsi, e si è quindi reso necessario introdursi all’interno del paddock durante il periodo di ripresa per riscrivere i numeri. Questo è stato più necessario durante il mese di luglio, dove probabilmente anche la polvere presente contribuiva a rendere meno visibili i numeri, mentre si è rivelato essere meno importante nelle riprese svolte ad ottobre.

Le riprese sono state svolte cercando di comprendere il maggior numero possibile di animali, ma senza precludere la possibilità di riconoscerli utilizzando riprese a troppo

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ampio raggio e quindi più distanti. Le asine soggette dello studio tendono a stare spesso in gruppo, facilitando così le operazioni di ripresa; nel momento in cui il gruppo risultava diviso o le asine erano troppo disperse per comprenderle tutte in un’unica inquadratura, l’operatore ha proceduto con delle riprese alternate fra i vari soggetti, così che in media i soggetti compaiano in un numero analogo di ore (66.77 ± 2.23 ore per ciascun soggetto). Questo è un presupposto importante che ci permetterà di considerare i comportamenti osservati in termini di frequenza piuttosto che di tasso (Altmann, 1974): infatti, considerando che il tempo per cui ogni soggetto viene osservato è pressoché costante fra tutti gli individui, possiamo considerare il numero assoluto dei comportamenti osservati, mentre se il tempo di alcuni soggetti fosse significativamente diverso dalla media, il numero di comportamenti osservati dovrebbe essere rapportato sempre al tempo totale di osservazione per quel soggetto.

Lo studio si è focalizzato sulla raccolta dei comportamenti aggressivi e del periodo immediatamente seguente: nel momento in cui l’operatore registrava un comportamento di conflitto, da cercare di riprendere tutto il gruppo, passava a focalizzarsi sui soggetti in questione, cercando di seguirli per i tre minuti successivi all’aggressione.

2.3 Comportamenti osservati

I comportamenti oggetto di studio sono suddivisi in due categorie: i comportamenti affiliativi e quelli aggressivi. Segue una breve descrizione di ciascuno, definizioni utilizzate nel lavoro per categorizzare i comportamenti osservati. La decisione di prendere in considerazione questi comportamenti deriva in parte da quanto riportato dalla letteratura e in parte da quanto evidenziato durante le fasi inziali della raccolta dati.

2.3.1 Comportamenti affiliativi

Condizione comune di tutti questi comportamenti è la posizione delle orecchie del soggetto che si approccia ad un altro: le orecchie, perché si possa considerare un contatto come affiliativo, devono essere portate frontalmente o lateralmente.

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Le interazioni affiliative possono presentarsi con diversi pattern comportamentali: 1. (up) muzzle-body contact - (alto) contatto muso/testa-corpo: il soggetto pone

la sua testa sul dorso di un altro soggetto (dal collo alla groppa); questo contatto può durare pochi secondi o essere più prolungato nel tempo, e i soggetti possono restare fermi o muoversi insieme fino a diversi minuti

2. (down) muzzle- body contact- (basso) contatto muso/testa-corpo: il soggetto passa al di sotto del collo di un altro soggetto in modo che questo posi la testa sul suo dorso

3. genital sniffing - annusare i genitali: il soggetto annusa la regione genitale di un altro soggetto, approcciandolo dal fianco o posteriormente; spesso è presente anche una lieve pressione con il muso al livello della regione genitale da parte del soggetto che sta manifestando il comportamento (Moehlman, 1998a)

4. body sniffing - annusare il corpo: il soggetto annusa la superficie corporea di un altro soggetto senza che ci sia un contatto fisico

5. nasal sniffing - annusarsi naso-naso: il soggetto si avvicina con la testa ad un altro, con il punto di maggiore prossimità che è al livello della regione del naso, ma senza che ci sia un contatto

6. body contact - contatto: il soggetto si avvicina a un altro e stabilisce un contatto fisico tramite la testa o con il corpo, solitamente al livello della regione della spalla o del tronco

7. muzzle-muzzle contact - contatto muso-muso: il soggetto si avvicina ad un altro e stabilisce un contatto al livello della regione nasale

8. grooming: il soggetto si avvicina ad un altro, posizionandosi parallelo ad esso e con la testa nella direzione della coda dell’altro soggetto, in modo che entrambi abbiano accesso alla regione del collo dell’altro; segue quindi l’esplorazione con le labbra o con i denti della zona del collo dell’altro, con un reciproco grattarsi al livello cutaneo (Moehlman, 1998a)

9. follow - seguire: un soggetto ne segue un altro per almeno 10 secondi; non si individua una distanza minima da mantenere, è sufficiente che abbia la stessa direzione del soggetto che lo precede

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10. walk together - camminare affiancati: due soggetti camminano affiancati per almeno 10 secondi.

Questi ultimi tre comportamenti (grooming, follow e walk together) sono da considerarsi dei comportamenti stato, mentre tutti gli altri come comportamenti evento (Altmann, 1974). Alcuni esempi delle interazioni affiliative appena descritte sono illustrati nella Figura 3.

Figura 3: Alcuni esempi di comportamenti affiliativi; in alto a sinistra genital sniffing, in alto a

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2.3.2 Comportamenti aggressivi

Condizione comune di tutti questi comportamenti è la posizione delle orecchie del soggetto che si approccia ad un altro: le orecchie, perché si possa considerare un contesto agonistico, devono essere schiacciate caudalmente (ear back). Le interazioni aggressive possono presentarsi con diversi pattern comportamentali:

1. bite - morso: il soggetto si presenta con il collo esteso e la bocca aperta, ed arriva a chiuderla sul corpo di un altro soggetto (Lloyd, Martin, Bornett-Gauci, & Wilkinson, 2007; McDonnell & Haviland, 1995; Weeks et al., 2000)

2. attempt bite - tentativo di morso: il soggetto si presenta con il collo esteso e la bocca aperta, ma non arriva a chiuderla sul corpo di un altro soggetto (Heitor, Oom, & Vicente, 2006; McDonnell & Haviland, 1995; Weeks et al., 2000) 3. kick - calcio: il soggetto, rivolto con il posteriore verso un altro, sposta il peso

sugli arti anteriori e solleva uno o entrambi i posteriori da terra cercando di colpire un altro soggetto (Heitor, Oom, et al., 2006; Lloyd et al., 2007; McDonnell & Haviland, 1995; Weeks et al., 2000)

4. attempt kick - tentativo di calcio: il soggetto, rivolto con il posteriore verso un altro, sposta il peso sugli arti anteriori e accenna solamente ad alzare uno o entrambi i posteriori, a volte si ha semplicemente un sollevarsi della groppa senza avere distacco dei posteriori da terra; anche il semplice ruotarsi rapidamente con il posteriore verso un altro soggetto può essere considerata una minaccia di calcio (McDonnell & Haviland, 1995; Weeks et al., 2000)

5. stalk - inseguire: il soggetto ne insegue un altro spingendolo verso una direzione precisa tramite pressione del petto sul posteriore dell’altro soggetto (McDonnell & Haviland, 1995; Weeks et al., 2000)

6. attack - attaccare: repentino movimento di un soggetto verso un altro, può essere svolto al trotto o con una serie rapida di passi, solitamente svolta con il collo iperesteso e portato orizzontalmente (Lloyd et al., 2007; McDonnell & Haviland, 1995; Weeks et al., 2000)

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7. mild attack - attacco blando: rapido movimento della testa e del collo nella direzione di un altro soggetto, solitamente con l’effetto di un suo allontanamento, senza però che sia associato anche un movimento di tutto il corpo

8. gaze - guardare fissamente: il soggetto si rivolge verso un altro con un movimento lento della testa, il collo può essere portato orizzontalmente o meno, con come effetto spesso un allontanamento rapido del secondo soggetto.

Nel caso in cui i comportamenti sopra elencati si presentassero in modo reiterato si è aggiunto l’aggettivo “multiple” alla descrizione del pattern del conflitto.

Alcuni dei comportamenti appena descritti sono illustrati nella Figura 4.

Figura 4: Esempi di interazione agonistica; a sinistra ear back e gaze, a destra bite.

A seguito di un conflitto si sono registrati i seguenti comportamenti:

1. away - allontamento: uno dei due soggetti in esame (aggressore o vittima) si allontana con calma dal luogo del conflitto

2. flight - fuga: la vittima si allontana rapidamente dall’aggressore, o alla fine del conflitto, o anche come reazione di evitamento durante l’attacco da parte dell’aggressore.

Riferimenti

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