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La Trilogia degli Scarrozzanti 1) Ambleto

1.1 L'evoluzione del tagico testoriano dopo il Ventre del teatro. Dal dolore personale alla sofferenza universale: la poesia e la critica d'arte come preludio all'Ambleto.

Successivamente al Ventre del Teatro, nel '69, venne pubblicata l'Erodiade, che è rappresentata in pubblico solamente più tardi, nel 1984, in un'altra edizione. Nel testo teatrale sono applicati alcuni principi enunciati nel saggio del '68. La caratteristica principale di questo dramma non è data solamente dall'espressione del travaglio interiore vissuto dalla protagonista, che consiste nell'incomprensione del mistero dell'Incarnazione di un dio ridottosi uomo per salvare il mondo dalla morte e della fede (che ha invece il Giovanni Battista verso di esso, che viene individuato come il nemico naturale di Erodiade, da cui però è paradossalmente attratta per la sua fiducia nel Cristo), ma sono la presenza del monologo, come unico mezzo stilistico per esprimere tale dissidio, e della figura singola e prepotente del protagonista a dispetto del deuteragonista, ad essere le innovazioni riportate da Testori. Ciononostante, con l'Erodiade, il drammaturgo non compie in toto la rivoluzione enunciata nel saggio, ma tenta di applicare in essa solo alcuni degli espedienti descritti nel Ventre del teatro, soprattutto per ciò che concerne lo stile (il monologo e la presenza massiccia del protagonista, come strumenti per poter raggiungere il nucleo del teatro nella sua essenza). Questa è la novità principale del testo teatrale del '69. Tuttavia non risulta essere rivoluzionario come la Trilogia degli Scarrozzanti con cui l'autore, insieme alla Compagnia Franco Parenti, inaugurerà un nuovo teatro, non solo di fatto (il Pier Lombardo), ma anche attraverso la realizzazione dell'obiettivo che si era prefissato nel Ventre del teatro. Infatti il tentativo di verbalizzazione dell'esistenza si concretizzerà nella formulazione di una nuova lingua che sarà finalizzata ad esprimere “le viscere” dei personaggi rappresentati, facendo emergere da essi la dialettica insormontabile che si trova nel nucleo del teatro e della vita stessa. Con la Trilogia, inoltre, l'autore cercherà, attraverso la tecnica metateatrale, di rendere l'opera drammatica al pari di un rito religioso a cui ognuno, dall'autore al lettore, è chiamato a partecipare. Infatti gli attori, e i personaggi da questi rappresentati, si rivolgeranno direttamente, rompendo la quarta parete, al pubblico, al regista e allo scenografo, svelando le tecniche da essi adottate, ed anche allo scrittore stesso, maledicendolo per la trama dolorosa da questi creata.

Prima di descrivere le caratteristiche della Trilogia, le cui opere verranno analizzate a partire da questo capitolo con l'Ambleto, e nei successivi con il Macbetto e l'Edipus, è necessario illustrare brevemente cosa accadde negli anni seguenti alla stesura del manifesto teatrale.

I cinque anni che separano la pubblicazione del Ventre dalla prima dell'Ambleto vedono Testori maggiormente impegnato nella poesia e nell'arte, eccezion fatta per l'Erodiade. Al fine di quanto verrà esposto, è importante prendere in considerazione la produzione poetica dell'autore, poiché nelle sue poesie è rispecchiato il dramma interiore vissuto dallo scrittore in quegli anni, soprattutto per quanto concerne la propria omosessualità (infatti le poesie sono dedicate al suo compagno, Alain Toubas) e il conseguente rapporto disarmonico con l'esistenza. Altro testo da prendere in considerazione relativamente alla Trilogia, e al tragico presente in essa, è Grünewald, la bestemmia

e il trionfo, pubblicato nell'Opera completa di Grünewald nel 1972.

Per quanto riguarda la poesia, le raccolte composte dall'autore in questo periodo sono: L'amore, Per

Sempre, Alain, A te e Nel tuo sangue. E' importante considerare la lirica di Testori, dal momento

che in essa egli esprime e dà voce a ciò che dichiara essere il suo peccato originale, cioè la sua omosessualità, che non solo è stata motivo di sofferenza, ma ha anche determinato sia quello scontro, che, allo stesso tempo, comunione carnale e viscerale (e non mistico o spirituale), con il dio che sta dietro alle fila dell'esistenza (identificato con Cristo, e quindi anche con la religione cattolica, che taccia l'omofilia come peccato), come è possibile leggere nella raccolta Nel Tuo

Sangue. La diversità dell'autore sta alla base del suo dramma vitale, ossia quello di non poter

abbracciare totalmente la paternità; quindi, la tragedia che egli vive a causa di quello che indica come il suo peccato, il suo stigma e la sua croce, non è solamente fisica, data dall'impossibilità di generare biologicamente vita a causa della sua non eterosessualità, ma anche metafisica, in quanto percepisce la propria omosessualità come una disarmonia universale che lo conduce ad una sofferenza tale da considerare la propria esistenza come inutile, poiché incapace di rendere il proprio amore generativo e, perciò, completo. Nelle poesie, in conclusione, emerge il Testori più intimo e vulnerabile. Nella sua lirica è possibile, inoltre, scorgere il suo intrigo interiore, quel gorgo tragico che ogni autore di tragedie ha ed esprime (come ha affermato nell'intervista su «Sipario» di Marisa Rusconi). Egli manifesta quel dissidio cantando, nei versi, l'amore verso Alain, manifestando la gioia che prova in esso, ma anche l'atroce sofferenza che ne scaturisce. Le raccolte sono importanti anche per quanto concerne la vita dell'autore, non solo dal punto di vista psicologico (cioè interiore ed emotivo), ma anche autobiografico, in quanto, e soprattutto nelle poesie dedicate al ragazzo, sono riportati alcuni fatti rilevanti accaduti nella sua vita.

Essi sono: il trasferimento di Alain a Milano, il suicidio del padre che, secondo Testori, gli ha concesso di poter divenire genitore adottivo dell'amato, la convivenza con il gallerista, l'abbandono della dimora condivisa con Alain, la depressione e la crisi di fede. In questi anni l'autore toccherà l'apice della gioia, data dai successi delle mostre artistiche e dalla convivenza con il francese, ed il baratro della depressione, che lo raggiunse all'inizio degli anni settanta, dopo l'abbandono della casa

milanese dove viveva con l'amico e con il tentativo di suicidio dato dall'esaurimento nervoso74,

probabilmente determinato dalla melancolia che lo pervadeva. Riguardo questo episodio, Testori afferma che, oltre alla sorella e a suo cognato, che gli erano stati vicini in quel momento buio, anche Alain lo fosse stato, confermando così quel legame indissolubile filiale e fraterno che li legava. Infatti l'autore dichiara che, dopo quell'evento, l'amico era divenuto un vero e proprio membro della

famiglia75. Nell'Ambleto riporterà alcune sue esperienze autobiografiche, tra cui la natura del suo

rapporto con Alain, che si concretizzerà, come già affermato più volte, nel legame tra il “prenze” ed il Franzese (interpretato proprio dall'amico). Altro elemento biografico è presente nel carattere di Ambleto, che incarna il Testori più depresso e distruttivo di quel periodo (anche se ad essere eversori saranno tutti i personaggi testoriani, raffiguranti proprio quel momento buio passato da Testori in questi anni fino al '77); infatti il principe di Lomazzo agogna e desidera, con tutto se stesso, la morte, suicidandosi alla fine della vicenda. Rappresentando sulla scena questo atto, l'autore pare esaudire il proprio desiderio di auto-annientamento, frutto sia della sua visione della realtà, che del forte esaurimento nervoso che lo aveva preso proprio in quegli anni, mettendo in atto, nella tragedia, i propri intenti e angosce più profondi. Gli Scarrozzanti sono, inoltre, dei personaggi che si pongono contro l'esistenza, tentando disperatamente di avere un dialogo con Dio, che non è solamente turpiloquio e bestemmia, ma propriamente grido. Esso è quell'urlo con cui il teatro testoriano tenta di verbalizzare l'esistenza e che Testori esprime, personalmente, nelle sue poesie, le quali, per questo determinato aspetto, anticiperanno la Trilogia, dove l'autore renderà generale ed universale il suo intimo disagio. La sua produzione lirica riveste un ruolo fondamentale, non solo per quanto concerne i temi trattati o i riferimenti autobiografici, ma soprattutto per lo stile e la lingua adottati. Infatti essa anticipa il linguaggio basso degli Scarrozzanti, essendo semplice, scarna, diretta e trasparente, senza troppi fronzoli o figure retoriche (al contrario della poesia del tempo e al genere poetico cui siamo abituati).

74 L. Doninelli, Conversazioni con Testori: «Al principio degli anni Settanta ebbi un forte esaurimento nervoso, che mi precipitò sull'orlo del suicidio. Ero sul punto di finirla, non perchè fossi disperato, ma solo così, per effetto di questa malattia inspiegabile», p. 33.

75 Ivi: « […] mio cognato andò a prenderlo alla stazione, e da allora lui è uno della famiglia, così come io diventai uno della sua famiglia quando suo padre si uccise. Mi è difficile spiegare da dove possa nascere un impulso simile, se non ricorro a quella che mi pare l'unica parola adeguata: carità. Quella persona è entrata a far parte della mia famiglia a pieno titolo, non con l'ambiguità, l'ammiccamento, la “tolleranza” – con tutto il carico di indifferenza che questo termine contiene – di certe soluzioni permissive. E' diventato per i miei familiari come un figlio.» p. 34.

Questa, poi, introduce anche dei termini lessicali che sono ricorrenti nelle tre tragedie (sangue, carne, croce, morte, padre, figlio ecc.), e come, quella della Trilogia, ha come obiettivo quello di penetrare nelle “viscere” dell'autore, facendo riflettere anche nel lettore l'intrigo esistenziale privato di Testori e generale di ogni uomo.

Grünewald, la bestemmia e il trionfo è molto importante per l'arte drammatica testoriana. Sebbene

l'articolo sul pittore tedesco possa sembrare un saggio sull'arte, esso, in realtà, contiene la visione tragica che Testori ha del mondo, che si concretizza nella figura del Cristo di Grünewald, il quale incarna, soprattutto nel momento della crocifissione, lo scandalo di un'esistenza votata alla morte, che ha come elementi principali la sofferenza ed il dolore. Nell'intervista con Doninelli Testori afferma che Orazio Costa fu il primo a considerare il saggio su Grünewald un testo fondamentale per l'arte drammatica:

L.D. Scendiamo in profondità. Quand'è che la parola scritta diventa teatro? Questa, e non altra, mi sembra, infatti, la ragione per cui l'Amleto, criticato dai critici, rimane il più grande dei testi teatrali.

G.T. Posso tentare di rispondere a partire da un caso personale. Tempo fa, Orazio Costa mi disse che, fra i testi obbligatori che gli allievi dell'Accademia Drammatica dovevano portare agli esami, c'era il mio saggio su Grünewald. Faceva parte degli esercizi di pronuncia. E concluse: “Quello è teatro”. Ora, io non so se sia teatro. So, però, una cosa: che sempre, qualunque sia l'argomento trattato – saggio, romanzo o testo teatrale vero e proprio – , io sento che la parola che scrivo ha bisogno di essere detta, pronunciata. E' come se, messa così, sul libro, non avesse ancora detto tutto quel che ha da dire. Solo il teatro la libera completamente.76

Naturalmente il saggio non è solamente un libro di esercizi di pronuncia, oltre ad essere un articolo sull'arte grunewaldiana, ma in esso vengono presentati anche alcuni principi fondamentali per l'autore. Esso non è uno scritto specifico sul teatro, così come è stato Il Ventre del teatro, ma qui egli pone al centro la tragica duplicità dell'esistenza, in cui è presente quella dialettica

insormontabile che il Cristo bestemmiatore e trionfatore della Crocifissione dell'Altare di Isenheim77

raffigura. Testori afferma che l'artista tedesco ha voluto rappresentare, analogamente a lui, lo scandalo dell'essere. Infatti questa è la componente principale del teatro testoriano, tanto che il tentativo di verbalizzazione, che si pone l'autore, non è altro che la messa in atto dello scandalo stesso, che viene così definito nella prima parte dell'articolo su Grünewald:

L'atto insormontabile e furente, il precipizio verso il centro dell'essere, verso il suo nucleo verso la quantità di vero pre-coscienziale e irreversibile; lo scandalo (ecco, forse, la parola che più propriamente è adibita a designare tale gesto), lo scandalo, dicevo dell'intera storia delle immagini (e delle forme) s'è perpetrato una volta per tutte e resta quindi contenuto tutto e per sempre nel magro catalogo che s'è andato radunando attorno alla persona (rimasta, per altro, quasi giustamente e vendicativamente, enigmatica anche per quanto concerne la certezza delle notizie e delle date) di Grünewald [...]78

76 Ivi, p. 54. 77 Fig. 1.

78 G. Testori, Grünewald, la bestemmia e il trionfo, in L'opera completa di Grunewald/ presentazione di Giovanni

Ciò non era stato definito nel Ventre del teatro, ma da qui si intuisce che il verbo testoriano è propriamente scandalo, tanto che la lingua che Testori inventerà per la Trilogia avrà come funzione l'atto di condurre, chi la leggerà e ascolterà o interpreterà, nel precipizio del nucleo esistenziale della vita. Quest'ultimo è lo stadio “pre-coscienziale” in cui risiede il mistero dell'esistenza e la sua dialettica insormontabile, che sta al principio di tutto e che risiede nello stato embrionale dell'uomo, in cui la vita e la morte sono quasi unite, al limite della loro definitezza, poiché convivono nel processo procreativo in cui l'essere viene creato dal non essere (ciò lo si vedrà soprattutto nel sogno di Ambleto). L'obiettivo di Testori, così come egli lo designa per l'artista tedesco, è quello di rappresentare questa duplicità, destando scandalo soprattutto ai borghesi del tempo, secondo cui la morte è solamente un evento e non la componente primaria dell'esistenza. Altro aspetto fondamentale che è presente nell'opera grünewaldiana, e che Testori applica nel suo teatro, è la rappresentazione dell'urlo. Nel saggio l'autore afferma che Grünewald, nei suoi lavori, non esterna il grido, ma lo soffoca nel soggetto raffigurato. Nell'intervista sopracitata, invece, afferma che il teatro è l'unica arte che riesce a farlo emergere dalle viscere, dal momento che esso viene posto sulla scena e pronunciato (come è possibile constatare dalla Trilogia mediante la sua nuova lingua irrazionale). Nel saggio questo urlo soffocato è collocato nel ventre, che non viene definito unicamente come il luogo della sofferenza della vita umana, ma anche come la sede della gloria, tanto che proprio in esso, che rappresenta anatomicamente l'organo della creazione (l'apparato riproduttivo) e della distruzione (l'apparato digestivo ed escretorio), risiede sia la gioia dell'esistenza, che la bestemmia contro di essa:

Se c'è una pittura silente, anzi, nella sua mutezza, addirittura agghiacciante (ed abbagliante), questa è proprio quella di Grünewald. L'urlo, se esiste (e sicuramente esiste), viene di continuo ricacciato nella gola; anzi, nel buio più riposto del ventre; nei sotterranei dove s'annida la gloria dell'esistere e, insieme, la sua sconcezza, dove si verificano le sue nozze, i suoi pasti, ma anche i suoi coiti osceni e i suoi atti da stalla e latrina.79

Il ventre, perciò, è la sede della gloria dell'esistere e allo stesso tempo della sua “sconcezza”, in cui risiede la gioia della vita, ma anche la sua componente scandalosa, data dalla presenza della morte, tanto che l'esistenza è concepita, nel suo nucleo, come un brodo primordiale “pre-materico e pre- coscienziale” in cui i due principi della dialettica insormontabile convivono. La coscienza di ciò, da parte dell'uomo, è visto da Testori come il vero trionfo, cioè la scoperta dolorosa e riprovevole che l'intero essere non è altro che questa lotta tra i due principi, che non è manichea, ma unita e unificata:

Che questo trionfo ultimativo possa essere, per la storia dell'uomo, un disastro e, quasi sicuramente, la fine d'ogni “distinguo” e d'ogni speranza a salvarsi come parte e non come tutto, lascia imperterrito l'artista; anzi, sembra atrocemente inorgoglirlo. Ciò che gli preme non è la forza, fin lì creduta dominatrice dell'uomo, bensì la forza unificante dell'essere che egli finalmente libera dalle croste dei timori e dalle consuetudini dei simboli infinitamente ripresi e variati, per lasciar che esploda in tutta la sua carica, proprio come in un incendio sfolgorante, profetico e apocalittico.80

Indubbiamente questo non è un trionfo che sa di vittoria, ma è la realizzazione della verità, lo svelamento di un mistero che non può essere compreso e tradotto con parole umane, poiché non riguarda solamente l'uomo, ma l'intero essere. I personaggi degli Scarrozzanti sono tutti delle vittime, ma anche dei trionfatori, in quanto hanno svelato il mistero che si cela dietro l'esistenza, senza però mai comprenderlo a pieno. Infatti Ambleto, così come l'Amleto shakespeariano, ha constatato l'inanità della vita in un mondo votato completamente all'annichilimento, Macbetto la propensione dell'umanità a distruggere ed autodistruggersi, in quanto attratta inevitabilmente dalla morte ed infine Edipus l'impossibilità di un'effettiva libertà da parte dell'uomo, dal momento che egli è sottoposto a dei principi inviolabili voluti da Dio o da ciò che sta dietro alle file dell'esistenza. I tre personaggi sono coloro che hanno scoperto la dialettica insormontabile, ma da cui non riescono a svincolarsi. Contro di essa bestemmiano, dimostrando che, per quanto l'uomo si sforzi di fuggire dal proprio destino (dalle dinamiche biologiche ed esistenziali della vita), mai potrà andare contro il non-essere. Per questo motivo la Trilogia risulta essere una raccolta di tragedie, in quanto esse rappresentano l'uomo nella sua sofferenza ed incompletezza, nella sua lotta contro dei principi che non può dominare, a cui, alla fine, si abbandona, poiché cosciente della terribile verità che vi si trova dietro. Nell'opera di Grünewald ad incarnare la duplicità dell'essere è, come già anticipato, il Cristo crocifisso, il quale non viene identificato come colui che si appropriò della natura umana per

condurre l'uomo alla Salvezza, come afferma San Paolo81, ma egli è il rappresentante vivente dello

scandalo dell'esistenza. Come già descritto, l'artista tedesco tenta di rappresentare questa unificazione esistenziale, ma è nella figura di Gesù morente che egli giunge all'apice del tutto:

Cristo, in Grünewald, non scende a incarnarsi solo come uomo; s'incarna come scandalo dell'unità e dell'unicità dell'essere.82

Da ciò si deduce che il Cristo che prende a modello Testori, nella Trilogia, non è il Messia, ma è colui che incarna l'unità e l'unicità dell'esistenza, nel suo essere vita e morte allo stesso tempo, tanto che non ha tratti umani o divini, ma bestiali, da sembrare, come lo definisce l'autore, un vitello condotto al macello, e vegetali, tanto che pare una pianta a cui crescono spontaneamente le spine in testa (come se desiderasse volontariamente la sofferenza).

80 Ibidem.

81 S. Paolo, Lettera ai Filippesi, 2, 5-7, in Bibbia di Gerusalemme: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù:/ egli, pur essendo nella condizione di Dio,/ non ritenne un privilegio/ l'essere come Dio,/ ma svuotò se stesso/ assumendo una condizione di servo/ diventando simile agli uomini.», pp. 2795-2796.

In tal modo l'essere vivente crocifisso si conforma alla natura transeunte, rappresentando l'esistente che è sottoposto allo scandalo della morte. Qui infatti il Cristo risulta essere il vero bestemmiatore, cioè il negatore della vita, in quanto volutamente, in un tempo indefinito, si fa condurre al patibolo per morire, avendo la sofferenza e il dolore come unica condizione ontologica e sostanziale. I personaggi della Trilogia saranno delle figurae Christi, non da interpretare nel senso figurativo ed allegorico del termine, ma come ispirati al modello grünewaldiano, ossia del Cristo che incarna lo scandalo, cioè di colui che adempie quell'atto che fa sprofondare l'esistente verso il centro dell'essere. Allo stesso modo gli Scarrozzanti, attraverso quella lingua inventata, con quell'urlo viscerale esprimente un'esistenza votata alla sofferenza e al dolore, compiono tale discesa. Alla conclusione del saggio, Testori ribadisce il concetto per cui, secondo Grünewald, l'unico vero trionfo concesso all'uomo sta nella bestemmia (la maledizione dell'esistenza) e nella gloria di una vita che è comunque condannata alla sua scomparsa, quindi nella constatazione viscerale di essere limitati e votati a tale finitudine, poiché sottomessi alla dialettica insormontabile che regola l'esistenza e, perciò, è necessario all'uomo passare per la sofferenza e il dolore per poter esistere. Nelle ultime parole dell'articolo l'autore afferma che sono il sangue e la linfa a mostrare concretamente la duplicità unificata dell'essere, dal momento che essi, biologicamente, muoiono e si rigenerano all'interno dell'organismo, e rappresentano, simbolicamente, sia la vita, quando scorrono

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