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LAPIDES multo plures magisque monstri)icae, quibus barbara dedere nomina confessi lapides esse, non

Le gemmae di Plinio: Naturalis Historia XX

LAPIDES multo plures magisque monstri)icae, quibus barbara dedere nomina confessi lapides esse, non

gemmas, (192) GEMME NOVAE AC SINE NOMINIBUS Gemmae nascuntur et repente novae ac sine nominibus (193) NOMI A CUI NON CORRISPONDONO GEMME

PER LA VANITAS DEI GRECI (195)

NOMI CHE CAMBIANO RISPETTO ALLA MEDESIMA MATERIA MINERALE (195)

1) Le gemme “improprie” (NH XXXVII, 18-53)

Dopo l’intenso incipit che riconosce nelle gemme, agli occhi dei più, la massima e più apprezzabile espressione della maestà della natura, Plinio ripercorre le tappe della loro nascita e della loro diffusione a Roma: dalla mitologica prima “gemma” incastonata nel primo “anello” appartenuto a Prometeo si entra nella storia con l’anello di Policrate, per scendere ino ai sigilli personali di Augusto e Mecenate70. Le prime dattilioteche presenti a Roma71 sono l’occasione per descrivere dettagliatamente i beni di lusso che s ilarono nel trionfo di Pompeo72, perniciosa occasione di luxuria. Riallacciandosi ai myrrhina del trionfo di Pompeo73, Plinio inizia la sua disamina con la murra, alla quale dedica ampio spazio descrivendone nel dettaglio le sfumature ed elencando con cipiglio da moralista vari e recenti esempi di luxuria a essa collegati74. Di lı̀ si passa al cristallo, che si forma per una causa contraria a quella che genera la murra, ovvero un intenso congelamento che rende il minerale adatto esclusivamente alle bevande fredde75 a differenza della murra che, come ci viene detto in seguito, può servire per bevande sia calde che fredde76. Anche per il cristallo, all’accurata descrizione si accludono numerosi esempi di sfrenata luxuria contemporanea77.

Come terzo oggetto del suo primo elenco, Plinio sceglie l’ambra, che occupa

proximum locum in deliciis, feminarum tamen adhuc tantum78. L’ambra è il

“minerale” al quale Plinio dedica più spazio all’interno del libro e al contempo quello che riscuote il suo massimo astio. Esso si rivolge sia contro la “pietra”, inutile eppure costosissima, sia, in particolare, contro le fantasiose storie che si raccontano sulle sue origini: una buona occasione per svelare una volta per tutte le

70 NH XXXVII, 2-10. 71 NH XXXVII, 11. 72 NH XXXVII, 12-17. 73 NH XXXVII, 18. 74 NH XXXVII, 18-22. 75 NH XXXVII, 26. 76 NH XXXVII, 30. 77 NH XXXVII, 23-29. 78 NH XXXVII, 30.

vanesie falsità dei Greci79! La disamina dell’ambra si apre e si chiude con un’invettiva particolarmente accesa contro l’inutilità dell’insensatamente prezioso materiale, per il quale nemmeno la luxuria è riuscita a escogitare un qualsivoglia

usus80. Si richiama solo il suo uso sotto forma di vaghi di collana e amuleti, limitato

alle contadine del Po, e l’abitudine di intagliarvi piccole sculture: un’inutile statuetta d’uomo in ambra vale - orrore! - più di molti uomini in forze81.

Dopo l’ambra (e una sua sotto-tipologia, il criselettro82), Plinio è costretto a parlare del lincurio, che nelle sue fonti è associato all’ambra e che gli auctores vogliono considerare una gemma83. Quanto a Plinio, egli crede che siano tutte falsità, poiché non si è mai vista alla sua epoca una gemma con tale nome: il lincurio dunque è una gemma che non esiste84.

Con questa non-gemma termina il primo degli elenchi del trentasettesimo libro: i gruppi di gemme che seguiranno, elencate secondo diversi criteri, faranno difatti parte di un’unica vasta categoria che Plinio introduce subito dopo il lincurio: nunc

gemmarum confessa genera dicemus ab laudatissimis orsi85...

79 Occasio est vanitatis Graecorum detegendae (NH XXXVII, 31). Un’analoga (ma ben più scherzosa) campagna contro le favole relative all’origine dell’ambra è alla base della satira De electro seu de

cygnis di Luciano, che racconta della sua delusione nel non aver trovato, in occasione di un

viaggio lungo il Po, né pioppi né tantomeno ambra e della sua umiliazione nel vedersi deriso dai battellieri ai quali aveva chiesto informazioni a proposito della vicenda di Fetonte e delle preziose lacrime delle Eliadi.

80 NH XXXVII, 30 e 49. 81 NH XXXVII, 49. 82 NH XXXVII, 51.

83 De lyncurio proxime dici cogit auctorum pertinacia, quippe, etiamsi non electrum id, tamen

gemmam esse contendunt... (NH XXXVII, 52).

84 NH XXXVII, 53. Curiosamente il lincurio “esistette” per lungo tempo nei lapidari solo sulla base dell’autorevolezza di Teofrasto (Thphr. Lap. 28: I. 2. 11), ma senza che se ne potessero evidentemente riconoscere esemplari concreti. A un certo punto, nel Diciassettesimo secolo, la pietra non sopravvisse alla prova dei fatti e fu inalmente percepita come inesistente (una soddisfazione postuma per Plinio, che ne aveva già denunciato l’inconsistenza millecinquecento anni prima!) e semplicemente si cessò di tramandarne notizia, senza che si sentisse nemmeno la necessità di confutarne l’esistenza: WALTON 2001.

Il primo elenco-gruppo comprende dunque murra, cristallo, ambra e lincurio. Questi quattro “minerali” costituiscono un nucleo a sé all’interno della trattazione, poiché non appartengono alla categoria delle gemme propriamente dette (gemmarum confessa genera), la cui disamina inizierà subito dopo. Che queste pietre preziose non siano propriamente gemmae lo si intuisce anche dalla prima delle due invettive contro l’ambra: al terzo posto (seppure apprezzata solo dalle donne), l’ambra condivide con murra e cristallo eandemque … quam gemmae

auctoritatem. Il pregio di gemme per cristallo e murra è giusti icato, poiché i vasi

con essi realizzati permettono di contenere bevande fredde nel primo caso, calde o fredde nel secondo, mentre l’ambra è completamente inutile86. Come Plinio chiarisce poco dopo, si può anche scusare l’ossessione per altri beni di lusso in funzione del loro usus o della possibilità di ostentarli (ostentatio). Ma l’ambra, nonostante l’ef icace e precisa descrizione delle sue molte tipologie87, è oggetto di un’ossessione del tutto insensata che ha come motivo proprio il compiacimento di questa insensatezza. Qui Plinio elenca, in opposizione all’ambra incriminata, altri beni di lusso, tra i quali compaiono tre categorie di “minerali”: le perle, i vasi di murra e cristallo e le gemmae. La giusti icazione delle prime è l’uso di indossarle attorno alla testa, dei secondi la loro gratia e delle gemmae, invece, l’uso di portarle alle dita88. Appare chiaro che murra e cristallo non sono gemmae89, non appartengono difatti ai gemmarum confessa genera che iniziano con il diamante, ma ne condividono l’auctoritas a motivo del loro usus e della loro gratia. Le gemme vere e proprie, dunque, sono quelle che si portano alle dita, mentre l’uso di murra e cristallo è quello di fornire preziose suppellettili da banchetto.

86 Proximum locum in deliciis, feminarum tamen adhuc tantum, sucina optinent, eandemque omnia

haec quam gemmae auctoritatem; sane priora illa aliquis de causis, crystallina frigido potu, myrrhina utroque; in sucinis causam ne deliciae quidem adhuc excogitare potuerunt (NH XXXVII,

30).

87 NH XXXVII, 47.

88 In Corinthiis aes placet argento auroque mixtum, in caelatis ars et ingenia; myrrhinorum et

crystallinorum diximus gratiam; uniones capite circumferuntur, gemmae digitis; in omnibus denique aliis vitiis aut ostentatio aut usus placet: in sucinis sola deliciarum conscientia (NH

XXXVII, 49).

89 Cfr. anche NH XXXVI, 1 (lapidum natura restat, hoc est praecipua morum insania, etiam ut

Quanto al lincurio, esso è ovviamente una non-gemma poiché, come Plinio assicura, in realtà non esiste.

2) Gemmarum confessa genera I: diamanti, perle, smeraldi (e berilli), opali (NH XXXVII, 54-84)

Inizia dunque un elenco di gemme organizzato in ordine di pregio decrescente (nunc gemmarum confessa genera dicemus ab laudatissimis orsi). Il diamante non solo è il primo fra le gemme, ma addirittura tra tutti i beni degli uomini90. Subito dopo ecco le perle, la cui descrizione è stata anticipata nel nono libro dedicato ai prodotti del mare91. La terza posizione è dello smeraldo92, al quale seguono i berilli, in quanto sembrano avere a parere di molti eandem … naturam aut certe similem93. In realtà, come Plinio ci spiega in seguito, il posto immediatamente subalterno agli smeraldi è assegnato agli opali, a un tempo simili e differenti rispetto ai berilli94. Solo dopo la disamina degli opali Plinio ci informa che ino a questo punto il consenso è unanime sulla graduatoria delle gemme, soprattutto per quanto riguarda il giudizio delle donne (hactenus de principatu convenit mulierum maxime

senatusconsulto95): tra le donne c’è accordo quanto alle loro preferenze, invece per

quanto riguarda le pietre preferite dagli uomini il giudizio è più incerto, poiché dipende dal capriccio dei singoli personaggi e dall’emulazione di altri.

La particolarità di questa classi ica, stilata soprattutto in base alle preferenze delle donne, è quella di comprendere esclusivamente minerali che non vengono incisi. Tali gemme non possono essere incise sia perché le loro caratteristiche isiche lo impediscono (anche considerati i mezzi tecnologici dell’epoca) sia per motivi di natura differente. Sul diamante e sullo smeraldo Plinio è esplicito. Il primo ha una

90 Maximum in rebus humanis, non solum inter gemmas, pretium habet adamas... (NH XXXVII, 55).

91 Proximum apud nos Indicis Arabicisque margaritis pretium est, de quibus in nono diximus

volumine inter res marinas (NH XXXVII, 62). Le perle sono discusse in NH IX, 106-124.

92 Tertia auctoritas smaragdis perhibetur pluribus de causis, quippe nullius coloris aspectus

iucundior est (NH XXXVII, 62).

93 NH XXXVII, 76.

94 Minimum iidemque plurimum ab iis differunt opali, smaragdis tantum cedentes (NH XXXVII, 80). 95 NH XXXVII, 85.

durezza cosı̀ inattaccabile96 che nessuno strumento può scal irlo: anche quando si riesce a intaccarlo grazie al sangue di capro (sic), ciò che si ottiene è una miriade di frammenti utili solo per incidere altre pietre97.

Lo smeraldo viene invece risparmiato dall’incisione principalmente per questioni di gusto (seppure alcuni, ovvero gli scitici e gli egiziani, siano comunque impossibili da scal ire98). Si vogliono cosı̀ preservare le caratteristiche per le quali è particolarmente apprezzato99: la profondità trasparente del colore e le peculiari proprietà ottiche legate alla capacità di trasmettere la tinta all’aria circostante e alla forma concava100. Grazie a queste proprietà Nerone, ci informa Plinio, usava guardare gli spettacoli attraverso uno smeraldo o ri lessi sulla sua super icie101, mentre il potere bene ico dello smeraldo sugli occhi affaticati giova agli intagliatori di gemme102. Per questo motivo si è stabilito di non inciderli, seppure Plinio abbia già registrato due notevoli eccezioni, l’editto di Alessandro che permetteva a Pirgotele di intagliare il suo ritratto nello smeraldo103 e lo smeraldo con l’intaglio della Danaide Amimone acquistato dal lautista Ismenia104.

96 NH XXXVII, 57. 97 NH XXXVII, 59-60. 98 NH XXXVII, 64.

99 La descrizione delle varie tipologie di “smeraldi” di NH XXXVII comprende una collezione di pietre verdi che poco hanno a che fare con lo smeraldo vero e proprio, un berillo al quale l’intenso colore verde è conferito da atomi di cromo e più raramente di vanadio presenti all’interno del reticolo cristallino. Smeraldi “autentici” sono forse da identi icare negli smeraldi egiziani e in quelli scitici descritti da Plinio. La gioielleria antica sfrutta ampiamente gli smeraldi, mentre essi sono estremamente eccezionali nella glittica, a motivo della durezza e della fragilità del minerale (sulla questione e sulle aree di approvvigionamento degli smeraldi nell’antichità: DEVOTO-MOLAYEM 1990, 101-104). Sull’uso degli smeraldi: I. 3. 3. 8.

100NH XXXVII, 62-64.

101NH XXXVII, 64. Sul problematico strumento, che deve forse la sua esistenza solo a una svista di Plinio: HEALY 1999, 147 e WOODS 2006, con bibliogra ia precedente.

102NH XXXVII, 62. Forse anche l’aneddoto di Nerone poggia sul potere riposante per la vista dello smeraldo, e più che come monocolo o specchio lo smeraldo serviva per rinfrancare gli occhi dell’imperatore affaticati dopo lunghe ore passate a issare l’arena (PASTOUREAU 2013, 30). 103NH VI, 125 e XXXVII, 8.

104NH XXXVII, 6. Si tratta probabilmente dello stesso lautista Ismenia ricordato da Plu. Per. I, 5, che lo fa contemporaneo di Antistene.

A proposito delle perle e degli opali105, Plinio non speci ica nulla a riguardo, ma si tratta di materiali fragili e delicati106, inadatti all’incisione per le loro caratteristiche isico-chimiche107. Quanto alle perle, Plinio le connette a svariati tipi di oggetti (spesso con intensi toni polemici), dai gioielli alla decorazione di scarpe, scettri, lettighe e maschere teatrali. Dell’opale di Nonio, che fu irragionevole movente della sua proscrizione da parte di Antonio e che esisteva ancora all’epoca di Plinio, sappiamo solo che si trovava alloggiato in un anello108.

Le gemmae riconosciute ai primi posti da tutti ma specialmente dalle donne sono dunque gemmae che, con qualche caso eccezionale relativo allo smeraldo, non possono essere intagliate.

3) Gemmarum confessa genera II: sardonyches e altre pietre per signare (NH XXXVII, 85-91)

Esaurite le gemme su cui c’è accordo, quelle particolarmente esaltate dalle donne, si passa a quelle preferite dagli uomini, il cui canone è oltremodo mutevole per l’in luenza delle mode e dell’emulazione dei gusti dei singoli, come quando con Claudio prese voga l’uso di indossare smeraldi e sardonyches109.

Proprio ai sardonyches Plinio assegna il primo posto dopo gli opali110. Gli onyches devono essere trattati subito dopo, visto che il loro nome è incluso in quello dei

105L’accurata descrizione che Plinio dedica a questa pietra (NH XXXVII, 80-84), che davvero riscuote tutta la sua ammirazione, sembra corrispondere proprio all’aspetto dell’opale nobile iridescente, proveniente in epoca antica dall’Ungheria (e non dall’India, come ritiene Plinio, dove invece non è diffuso): DEVOTO-MOLAYEM 1990, 87.

106La delicatezza delle perle, che si rovinano con l’uso e il cui colore muta se non sono trattate con cura, è stata riconosciuta in NH IX, 112.

107Bisogna certo considerare che si tratta, in entrambi i casi, di materiali particolarmente delicati, di bassa densità, a facile rischio di disidratazione, che sopravvivono alle vicissitudini del tempo solo a determinate condizioni e spesso subendo profondi danni e alterazioni (DEVOTO- MOLAYEM 1990, 86-87).

108NH XXXVII, 81-82. 109NH XXXVII, 85. 110NH XXXVII, 85.

sardonyches appena descritti111 e un accenno alla sarda112, che verrà trattata in

seguito113, conclude questo breve elenco e apre quello, corposo, che vede numerose gemme organizzate in base al colore114.

Dalle gemme femminili si passa cosı̀ a quelle maschili. Il sardonyx, gradito a Claudio assieme allo smeraldo, venne introdotto a Roma da Scipione Africano, e da allora godette di un indiscusso apprezzamento. Riportando la testimonianza di Zenotemide115, Plinio registra che in India, dove veniva estratto, non se ne aveva grande considerazione e se ne facevano solamente else di spada. La fortuna del

sardonyx iniziò solo a Roma quoniam solae prope gemmarum scalptae ceram non auferrent116.

Le funzioni sigillari dell’onyx, trattato subito dopo, non sono messe in evidenza, mentre la sarda, qui anticipata ma accuratamente descritta di seguito tra le pietre color fuoco, gemma che nell’autentico sardonyx indiano si intravedeva in trasparenza tramite uno strato bianco117, è anch’essa perfetta per sigillare e, forse per questo motivo, nessun’altra gemma fu più comune tra gli antichi: ne sono prova le commedie di Menandro e Filemone nelle quali questo minerale doveva avere una certa rilevanza118. Da mettere forse in relazione a questo uso l’osservazione che tra

111NH XXXVII, 90-91. 112NH XXXVII, 91. 113NH XXXVII, 105-106.

114Nec sarda differenda est, huic gemmae dividua ex eodem et ipsa nomine, obiterque omnium

ardentium gemmarum indicanda natura (NH XXXVII, 91).

115Citato, all’interno dell’enciclopedia, esclusivamente in NH XXXVII (34 ambra; 86-87 sardonyx; 90

onyx; 134 ceraunia), è da identi icare forse nell’autore di un Periplo (di cui ci rimane un unico

distico: SH 855) al quale sono probabilmente da ricondurre anche le nozioni gemmologiche preservate da Plinio.

116NH XXXVII, 87-88. 117NH XXXVII, 86.

118Nec fuit alia gemma apud antiquos usu frequentior – hac certe apud Menandrum et Philemonem

fabulae superbiunt (NH XXXVII, 106). Ad alcune sardae si fa riferimento, assieme a uno

smeraldo, in Men. Paidion PCG VI, 2 F 276. Quanto a Filemone, si conosce una Sarda, forse in rapporto a un segno di riconoscimento (un sigillo?) realizzato in questo materiale (PCG VII FF 76-77): WEBSTER 1953, 127. Sardae potevano avere qualche ruolo anche nell’Anello (PCG VII F 20) o nell’Incisore di gemme (PCG VII F 41).

tutte le gemme trasparenti la sarda è quella che si offusca con più lentezza qualora venga bagnata e soprattutto unta d’olio119.

L’unica gemma speci icatamente pertinente alla preferenza maschile (seppure, assicura Plinio, niente sia più mutevole di queste mode) è dunque strettamente connessa con la funzione di sigillo, ed è stata introdotta e apprezzata a Roma proprio per questo uso, un uso che appare dunque distintamente romano in contrasto con quello limitato che ne facevano gli Indiani.

119Da come Plinio presenta questa osservazione, sembra che l’inumidire le pietre (solo le trasparenti?) con un liquido e soprattutto con olio fosse una pratica comune. Non è chiaro se tali pietre venissero inumidite per un qualche speci ico uso, come quello di non fare aderire la cera alle cavità dell’intaglio cosı̀ da ottenere un’impressione il più possibile pulita e nel frattempo preservare la pietra da eventuali residui e danni derivati dal calore della cera (cfr. Ov. Am. II, 15, 15-17, dove il poeta fantastica di essere il sigillo della donna amata, idem ego, ut arcanas possim

signare tabellas, / neve tenax ceram siccaque gemma trahat, / umida formosae tangam prius ora puellae; Iuv. 1, 67-68: qui se lautum atque beatum / exiguis tabulis et gemma fecerit uda? e, con

liquidi insoliti, Ov. Met IX, 566-567, dove Biblide, con la bocca arsa dalla disperazione, è costretta a inumidire la gemma con le lacrime all’atto di sigillare la lettera per il fratello,

protinus inpressa signat sua crimina gemma, / quam tinxit lacrimis (linguam defecerat umor) e

Ov. Tr. V, 4, 5-6, dove Ovidio stesso sigilla la sua lettera con le lacrime, )lens quoque me scripsit,

nec qua signabar, ad os est ante, sed ad madidas gemma relata genas), oppure per evidenziarne

la trasparenza. Un sottilissimo strato d’olio, difatti, permette di lucidare le super ici delle pietre traslucide rivelandone le trasparenze e le caratteristiche interne. Nel primo caso, le sardae sarebbero quelle che si rovinano meno tra le più delicate pietre trasparenti a forza di essere bagnate o unte per sigillare, mantenendo più a lungo la loro brillantezza, nel secondo caso, quelle che conservano più a lungo il trattamento atto a esaltarne le caratteristiche naturali, opacizzandosi più lentamente. Il fatto che questa notizia sia presentata subito dopo i metodi per esaltare la bellezza delle pietre tramite laminette d’oro o d’argento e la notizia del successo della sarda nelle commedie di Menandro e Filemone piuttosto che contestualmente alla registrazione della sua idoneità sigillare suggerisce la seconda soluzione come la più probabile. Senza contare che, come testimoniano i passi di Ovidio, il metodo consueto e di sicuro più agevole di inumidire la gemma era quella di portarla alla bocca. Questo procedimento è probabilmente lo stesso accennato da Plinio in NH XXXVII, 71 a proposito degli smeraldi di Media (forse malachiti: DE SAINT DENIS 1972, 152) quidam tamen virides nasci videntur,

quoniam oleo meliores )iunt. Si tratta di un processo, quello del bagno d’olio in speci iche

condizioni di temperatura e pressione, che è attuato anche oggi su molte pietre “preziose” e

“semipreziose” (sui procedimenti moderni: HURLBUT-KAMMERLING 19912, 174-175). La

4) Gemmarum confessa genera III: le gemme “cromatiche” (NH XXXVII, 92-139)

Gli elenchi delle gemme suddivise per colore comprendono pietre color fuoco120, verdi121, blu122, porpora123, oro124, bianche125. Gli elenchi sono organizzati anch’essi in base all’apprezzamento delle pietre o, perlomeno, Plinio si premura talvolta di iniziarli indicando che quella pietra è la prima della categoria: cosı̀ per i carbunculi (fuoco), i topazi (verde), le ametiste (porpora), i pederoti (bianco)... Tutte gemme che Plinio descrive con cura e di cui mette in risalto le caratteristiche e i pregi. Ultima forse non a caso è l’iride, incolore ma in grado di ri lettere se colpita dalla luce tutti i colori dell’arcobaleno126, seguita da due pietre a essa associate per somiglianza127.

Dopo il sardonyx e in aggiunta alla sarda, altre gemme sono caratterizzate per la loro adeguatezza (o meno) a essere incise e/o usate per impressioni nella cera. Inadeguati sono gli ardenti carbunculi, che sciolgono la cera anche all’ombra128, la licnide e le pietre cartaginesi che contumaciter scalpturae resistunt partemque in

signo cerae tenent129, e lo sapirus, che per le sue nodosità dorate è inutile per

l’incisione130. Al contrario, la malachite è laudata signis131, e le ametiste sono

scalpturis faciles132, mentre alcune qualità di iaspides sphragidas vocant, publico

gemmarum nomine his tantum dato quoniam optime signent133. 120NH XXXVII, 92-106. 121NH XXXVII, 107-118. 122NH XXXVII, 119-120. 123NH XXXVII, 121-125. 124NH XXXVII, 126-128. 125NH XXXVII, 129-139.

126NH XXXVII, 136-137. Nel far seguire l’iride alla ceraunia Plinio indica che quest’ordine è quello seguito dagli auctores (136).

127Irite (NH XXXVII, 138) e leros (NH XXXVII, 139).

128Ceras signantibus his liquescere, quamvis in opaco, NH XXXVII, 95. 129NH XXXVII, 104.

130Praeterea inutiles scalpturis intervenientibus crystallinis centris, NH XXXVII, 120. 131NH XXXVII, 114.

132NH XXXVII, 121.

133NH XXXVII, 117. Quoniam optime signent è espunto da MAYHOFF 1897 per la sua assenza nel

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