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Valendosi delle descrizioni e delle distinzioni tracciate nel trentasettesimo libro della Naturalis Historia come guida, nel presente capitolo si confronteranno alcune preferenze in fatto di gemme testimoniate da Plinio (e confermate, come si è visto, da altri autori appartenenti al medesimo contesto culturale) con quelle intuibili dalla concretezza dei materiali. Non si tratterà tuttavia di un’analisi esaustiva di ogni singola informazione trasmessa da Plinio né - sarebbe impossibile - di ogni fenomeno rilevabile nelle gemme concrete sopravvissute !ino a noi.

L’identi!icazione delle più di trecento pietre descritte nella Naturalis Historia ha già impegnato la totalità dei suoi commentatori ed è stata oggetto di studi speci!ici e approfonditi1: se per alcune pietre si sono potute avanzare ipotesi identi!icative più o meno convincenti, l’identità della stragrande maggioranza rimarrà per noi inevitabilmente oscura (e molte saranno state oscure anche per Plinio stesso, che ne leggeva nelle sue fonti senza averne alcuna conoscenza diretta). Poco si può desumere sull’uso e sull’approccio antico nei confronti delle gemme dalle succinte descrizioni dei lunghi elenchi alfabetici, che annoverano molte pietre frutto della fantasia di Magi e viaggiatori. Ai !ini della presente indagine ciò che conta maggiormente è concentrare l’attenzione su quelle pietre che Plinio mostra di conoscere personalmente e che, (più o meno) facilmente identi!icabili, permettono di instaurare un confronto almeno parziale con quanto si registra nei materiali, descritti nella letteratura o a noi noti archeologicamente.

1 Le identi!icazioni dei vari minerali sono discusse nei commenti e nelle note delle edizioni del

trentasettesimo libro della Naturalis Historia: EICHHOLZ 1962; DE SAINT DENIS 1972; ROSATI

apud CONTE 1988; LEFONS 2000; KO;NIG-HOPP 20072. A esse si aggiungono il commento di

BALL 1950 e gli studi di HEALY 1980, 192-198 e HEALY 1999, 190-192, 202-203, 241-245, 250- 253 e 263-270, nonché BABELON apud DAREMBERG-SAGLIO 1896, s. v. gemma e DEVOTO- MOLAYEM 1990, che discutono le tipologie di pietre preziose sfruttate nell’antichità.

Il capitolo che qui si introduce procederà dunque tramite la discussione di singoli punti che si sono ritenuti particolarmente interessanti all’interno di questa dinamica. Talvolta nei materiali concreti si trova una conferma dell’uso e della destinazione di alcuni minerali descritti da Plinio e da altri autori. Talvolta, al contrario, l’evidenza archeologica indica preferenze diverse o non cosı̀ facilmente sovrapponibili a quelle testimoniate dalla letteratura. Si incontrano difatti alcuni casi davvero particolari – come quello di alcune di gemme di vetro di età augustea – che, sebbene ancora senza spiegazione, aprono inaspettate prospettive sui gusti e sugli interessi della clientela romana.

La prima parte del presente capitolo sarà dedicata al colore delle pietre preziose, al suo ruolo nella trattazione del trentasettesimo libro della Naturalis Historia e, in particolare, al possibile rapporto che i diversi colori, caratteristica peculiare delle gemme, possono intrattenere con la distinzione tra gemme “maschili” e “femminili” che abbiamo in precedenza evidenziato nella descrizione di Plinio e che si è trovata tacitamente condivisa da altri autori.

La seconda parte del capitolo verterà su questioni relative ai materiali veri e propri: seguendo la divisione pliniana in gemme “proprie” e “improprie”, secondo l’ordine seguito nella Naturalis Historia i primi paragra!i saranno dedicati a quei materiali – murra, cristallo e ambra2 – che Plinio distingue dalle gemme tout court ma che delle gemme condividono il prestigio e il valore3. Quindi, le gemme “vere e

2 Sulla diffusione e l’apprezzamento di questi materiali: DUBOIS PELERIN 2008, 212-218.

3 Si tratta, peraltro, di una distinzione che non rimane con!inata nella disamina di Plinio: quanto

ai recipienti di cristallo e murra, i Digesta Iustiniani conservano varie testimonianze relative a un dibattito, vivo almeno da Cassio (I d. C.) a Paolo (III d. C) ed evidentemente ancora di qualche interesse all’epoca giustinianea, sullo statuto delle suppellettili di minerali preziosi in rapporto alle gemme vere e proprie e, di conseguenza, sulla loro destinazione giuridica. Cassio ritiene che i murrina vasa non debbano essere considerati fra le gemme (Dig. Iust. XXXIV, 2, 19), mentre Giavoleno, pur stabilendo che alcuni tipi di recipienti non debbano essere inclusi nella categoria giuridica del supellectilis se sono approntati magis deliciarum quam usus causa, ritiene tuttavia che i vasi di murra e cristallo debbano esservi inclusi, poiché hanno un usus, che è edendi et

bibendi causa (Dig. Iust. XXXIII, 10, 11). Quanto a Paolo, egli ammette che de murrinis et crystallinis dubitari potest an debeant adnumerari supellectili propter eximium usum et pretium:

anche in questo caso però, come i recipienti di vetro e ceramica anche preziosi e quelli d’oro e d’argento !inanche gemmati, non deve importare a !ine giuridico di che materia sono fatti ma

proprie”, quelle dei gemmarum confessa genera, partendo dai sardonyches degli anelli maschili e dalle altre tipologie di calcedonio colorato che costituiscono la percentuale più signi!icativa della glittica antica per arrivare a un curioso caso di gemme volutamente in-naturali e in!ine agli opachi diaspri che, non coincidenti con le iaspides antiche, segnalano un decisivo mutamento nel gusto per le pietre preziose da sigillo. Un paragrafo sarà quindi dedicato alle gemme impiegate nella gioielleria, e l’ultima parte del capitolo verterà sull’analisi dettagliata di alcuni importanti contesti che vedono le gemme impiegate nella decorazione architettonica e raf!igurate nel loro paesaggio naturale.

Prima di procedere con il capitolo vero e proprio, sarà però necessario anteporre una premessa per cosı̀ dire metodologica relativa alle fonti materiali e all’approccio corretto per un’analisi dell’uso delle gemme nell’antichità che riesca davvero a dar conto della complessità del problema. Un’analisi che spesso rischia invece di tralasciare, almeno idealmente, una parte consistente degli usi delle pietre preziose per concentrarsi quasi esclusivamente su quelli nobilitati da un durevole prestigio post-antico e testimoniati da una quantità decisamente più confortante di documenti.

I. 3. 1 Non solo glittica

Dai testi di Plinio e di altri autori (specialmente dai Lithika di Posidippo di Pella) appare chiaro come sia metodologicamente scorretto ridurre l’impiego e l’apprezzamento antico delle pietre preziose alla sola glittica, ovvero allo stile e ai soggetti delle decine e decine di migliaia di intagli e cammei sopravvissuti !ino a noi: oggetti in gran parte inediti, preservati nella quasi totalità dei casi senza il necessario corredo di dati cronologici e geogra!ici nonché viziati dall’intrusione di innumerevoli e spesso indistinguibili falsi.

piuttosto quale sia la loro forma e funzione (Dig. Iust. XXXIII, 10, 3). Tali testimonianze mostrano come fosse dif!icile stabilire lo statuto dei recipienti di murra e cristallo, nei quali ora si valorizza maggiormente la preziosità e le caratteristiche del materiale e ora la funzione, che spinge evidentemente Cassio a escluderli a !ini giuridici dalla categoria delle gemme.

I numerosissimi studi dedicati alla glittica, che annoverano alcune importanti monogra!ie af!iancate da svariati cataloghi di collezioni più o meno ricche e prestigiose, riconoscono solitamente al materiale nel quale sono realizzati gli intagli un ruolo secondario o pressoché nullo. Spesso le gemme intagliate sono discusse assieme agli anelli metallici, con i quali condividono stili e iconogra!ie4, e nella maggior parte dei casi (e non solo per ragioni editoriali) monogra!ie e cataloghi sono corredati di fotogra!ie in bianco e nero o addirittura di fotogra!ie delle impressioni ricavate dagli intagli originali. I calchi permettono certo di cogliere al meglio la qualità e i dettagli dell’intaglio5, ma annullano completamente la gemma in sé, con la sua forma, i suoi colori, la sua capacità di interagire o meno con la montatura e l’ambiente circostante, rendendo insomma impossibile apprezzare quelle qualità per le quali essa era stata scelta e apprezzata dalla società che l’ha prodotta. Bisogna comunque considerare che anche in presenza di eccezionali fotogra!ie a colori di grande qualità e impatto estetico vi sono molti elementi che tendono inevitabilmente a sfuggirci. Questo si registra specialmente rispetto all’effettiva visibilità dell’intaglio, che spesso deve essere sensibilmente ingrandito e fotografato con luce radente o grazie ad altri espedienti ma che a una visione autoptica appare in maniera del tutto differente. Lo stesso avviene per il grado di trasparenza e per altre caratteristiche della pietra, specialmente rispetto all’interazione tra le peculiarità della gemma e il soggetto, dettagli che spesso sfuggono anche dietro la vetrina di un museo. Oggetti fatti apposta per essere maneggiati e osservati da vicino in diverse condizioni di luce, come ci testimoniano invariabilmente le fonti, appare fondamentale per il loro studio esaminarli per quanto possibile nelle medesime situazioni nelle quali erano apprezzati nell’antichità.

La situazione è ulteriormente complicata anche dalla mancanza di criteri univoci rispetto alla de!inizione e al riconoscimento dei materiali. Essendo praticamente

4 Basti il titolo di una tra le più importanti monogra!ie sull’argomento, il fondamentale saggio del

1970 di J. Boardman, Greek Gems and Finger Rings, che discute nelle sue varie sezioni sia gemme intagliate che, in paragra!i separati, anelli signatori, un modello seguito anche in altre monogra!ie e in numerosi cataloghi di collezioni glittiche.

5 Per una strenua e difesa della necessità - per una storia dell’arte glittica - di presentare e studiare le impressioni piuttosto che gli originali e le loro fotogra!ie: BOARDMAN 1970, 10.

impossibile sottoporre la maggior parte dei materiali glittici ad analisi !isico- chimiche che permettano di stabilire le caratteristiche del minerale e di risalire alla sua provenienza, circostanza che permetterebbe anche di scoprire molti falsi, la distinzione dei vari minerali avviene di solito secondo criteri empirici e quantomai !luttuanti, che poco si distinguono da quelli che si condannano in Plinio e negli autori antichi6. Appare chiaro come la combinazione dei confusi criteri identi!icativi antichi e degli ugualmente confusi criteri moderni renda tutt’altro che agevole la combinazione delle fonti antiche con i materiali sopravvissuti !ino a oggi7.

A motivo di questa saltuaria attenzione prestata ai materiali delle gemme intagliate (e, talvolta, anche alla loro forma e montatura), solo raramente e parzialmente8 si è

6 Particolarmente dif!icili e confuse sono le distinzioni tra le varie tipologie di calcedonio, che si

differenziano notevolmente a seconda del colore e della distribuzione delle impurezze presenti nel reticolo cristallino: la sarda per esempio è distinta dalla corniola solo per una colorazione più accesa, mentre la differenza tra onice, sardonice e agata è quantomai !luttuante e si basa spesso solo su differenze nell’andamento delle bande e delle macchie rispetto al taglio scelto per la pietra. Talvolta inoltre, quando si vanno a combinare le fonti antiche con i materiali archeologici, l’omonimia tra minerali descritti nelle fonti e la nomenclatura moderna dei minerali concreti risulta fonte di grave confusione: se è ormai perfettamente chiaro che lo “zaf!iro” antico corrisponde al lapislazzuli e non al nostro zaf!iro (corindone blu), più dif!icile risulta l’identi!icazione della iaspis antica, che nonostante il nome poco ha probabilmente a che fare con il nostro diaspro (sulla iaspis e sul diaspro: I. 3. 3. 7).

7 Sugli errori commessi da secoli nell’interpretazione e nella traduzione dei nomi delle pietre

preziose trasmessi dai testi antichi e sulle loro nefaste conseguenze rispetto allo studio della glittica antica: THORESEN 2017. Nel medesimo lavoro si troveranno utili discussioni riguardo all’identi!icazione di svariate gemme antiche.

8 Si è potuto procedere ad analisi più o meno sistematiche e approfondite delle forme e dei

materiali presenti in un determinato contesto e riferibili a speci!iche cronologie solo nei rari casi di gemme provenienti da scavi recenti e ben documentati come, per esempio, quelli di Quarto d’Altino (VE): SENA CHIESA 2003, 393-394 (ma cfr. GASPARRI 1981, 62 sulla sostanziale inconsistenza dei dati di contesto – al di là di un generico termine ante quem - per le gemme da scavo che, generalmente tesaurizzate e tramandate di generazione in generazione, si datano su base stilistica a epoche di solito precedenti rispetto a quelle del contesto di rinvenimento). Altri casi nei quali è possibile affrontare una simile analisi sono quelli che riguardano classi di materiali circoscritte, come le piccole sculture in materiale prezioso (GAGETTI 2006) e gli anelli d’ambra e pietre preziose (GAGETTI 2001) o le cosiddette “gemme magiche”, nelle quali il

tentato uno studio diacronico delle preferenze dei diversi minerali e un’interpretazione delle intenzioni e dei gusti che giacciono dietro determinate scelte. Preferenze che, in ogni caso, dovrebbero essere considerate in relazione alle altre classi di materiali che coinvolgono minerali preziosi.

Infatti – e basta il resoconto di Plinio a dimostrarlo – l’apprezzamento antico per le pietre preziose non si limita agli intagli e ai sigilli9 per quanto, come lo stesso Plinio osserva in apertura alla sua disamina delle pietre preziose, i signa siano causa

gemmarum10. Anzi, non si limita nemmeno alle gemme vere e proprie, ma include

molti altri materiali preziosi destinati alla produzione di oggetti differenti, che delle gemme condividono comunque l’auctoritas. Sebbene ci siano sostanziali differenze specialmente di uso tra i vari minerali preziosi, le gemme da anello intagliate sono solo una parte del fenomeno, e devono essere considerate assieme ai gioielli, alle suppellettili, agli amuleti e alle cosiddette “gemme magiche”, alle piccole sculture in minerali preziosi, dall’impiego non del tutto sicuro11, e ad altre peculiari classi di materiali testimoniate da un numero esiguo di documenti. Tra queste, di particolare importanza sono le decorazioni gemmate riprodotte in vari

materiale è di primaria importanza in vista dei vantaggi speci!ici che si attendono dall’amuleto, come testimoniano le numerose “ricette” dei lapidari magici (su questi materiali: III. 3. 4).

9 Non va dimenticato che la funzione e il prestigio del sigillo non sono esclusivi delle gemme, e

che non esiste alcuna corrispondenza univoca né in un senso né nell’altro. Nei non numerosissimi casi in cui si sono voluti ricordare i sigilli di personaggi più o meno noti, l’interesse difatti verte quasi esclusivamente sul soggetto (e questo anche nei primi paragra!i di

NH XXXVII, anche se in tal caso dato il contesto possiamo dare per scontato che, almeno

secondo Plinio, si trattasse di gemme) e, a parte la celeberrima gemma dell’anello di Policrate, non possiamo escludere che si tratti di sigilli intagliati su anelli metallici. Essi sono diffusi in tutte le epoche, sia in Grecia che a Roma, e mostrano di frequente un disegno pensato appositamente in vista dell’impressione (BOARDMAN 1970, 212)e, come testimoniano le impressioni conservate negli archivi ellenistici, gli anelli venivano preferiti nell’uso sigillare rispetto alle gemme (PLANTZOS 1999, 23). Come si è visto, Plinio ritiene che a Roma gli anelli- sigillo interamente metallici preesistessero rispetto a quelli dotati di gemme (I. 2. 5): sembra, del resto, che molte tra le forme delle prime gemme da anello diffuse in età ellenistica abbiano preso a modello quelle degli anelli-sigillo metallici di età classica (PLANTZOS 1999, 35).

10 NH XXXVII, 1.

11 Da montare all’interno di coppe metalliche, coronamento di scettri, elmi, scudi, insegne militari, corone cultuali, da venerare nei lararia: varie ipotesi discusse da PAOLUCCI 2006, 49-64.

affreschi e sopravvissute in un unico esemplare fortemente frammentario e le pietre preziose dell’eccezionale mosaico nilotico di Palestrina, le uniche raf!igurate ancora intatte nel loro ambiente naturale12.

Tenendo sempre presente il fatto che centinaia di migliaia di gemme lisce, sfruttate in vario modo nell’antichità e sicuramente più numerose di quelle intagliate, sono per noi perse per sempre: dobbiamo dunque essere consapevoli che qualunque quadro possiamo ricostruire oggi relativamente all’uso antico delle pietre preziose è destinato a rimanere inevitabilmente e gravemente incompleto13. Il caso delle gemme degli Horti Lamiani14, pertinenti alla ricca decorazione di un ambiente (forse) del palazzo di Caligola, rimane assolutamente eccezionale: se un simile tesoretto di gemme lisce e frammenti metallici fosse venuto alla luce anche solo alcuni decenni prima, di esso si sarebbe di sicuro persa ogni traccia15, come sicuramente avvenne di molti gioielli o altri oggetti decorati da pietre preziose come le suppellettili da banchetto gemmate ricordate dalle fonti. Le gemme intagliate e i cammei andarono incontro a un destino estremamente conservativo che ha permesso loro di sopravvivere indenni attraverso i secoli in una percentuale relativamente molto più elevata rispetto ad altri manufatti antichi, tanto che il

Nachleben degli intagli più famosi è parte integrante e particolarmente vitale degli

studi di glittica16. Se anche le cronache e i carteggi degli eruditi dei secoli passati abbondano di notizie di ritrovamenti di intagli e cammei che oggi non possiamo più rintracciare, ci sono alte probabilità che i singoli pezzi siano con!luiti spesso slegati fra loro e privi di ogni dato di contesto in qualche collezione pubblica o privata. I

12 Su cui I. 3. 3. 9-10.

13 Sulla diffusione delle gemme, intagliate e non, a Roma e nelle città vesuviane: DUBOIS PELERIN 2008, 218-222.

14 Su cui I. 3. 3. 9.

15 Come è avvenuto ai “muri foderati di rame dorato con alcune medaglie commesse” di uno “stanzino molto adorno, col pavimento fatto di agata e corniola”, appartenenti con ogni verosimiglianza a un apparato decorativo analogo a quello degli Horti Lamiani, che secondo Flaminio Vacca (Mem. 101) si scoprirono nel Cinquecento nei pressi della chiesa di San Saba: CIMA 1986, 127.

16 E. g. SENA CHIESA 2002a (per gli oggetti liturgici medievali ) e ZWIERLEIN DIEHL 2007. Sul

gioielli invece furono solo raramente tramandati intatti di madre in !iglia17 per tutta l’antichità o sottratti ai danni del tempo e alla distruzione degli uomini grazie alla sepoltura: il buonsenso e precise leggi suntuarie emanate in vari momenti della storia greca e romana scoraggiavano la deposizione di gioielli e altri beni preziosi nei corredi funebri, norma e abitudine infranta solo in casi davvero eccezionali18. Molti gioielli furono sicuramente soggetti a distruzione già in età antica, una volta rovinati o semplicemente passati di moda, i loro preziosi materiali fusi e riutilizzati, sorte alla quale molti altri andarono sicuramente incontro in occasione di ritrovamenti fortuiti post-antichi. Per i gioielli e le suppellettili le percentuali di sopravvivenza sono dunque molto più basse rispetto a quelle di intagli e cammei (con l’eccezione delle città vesuviane e di alcuni tesoretti19), e un mondo antico (e specialmente romano) nel quale tutte o quasi le gemme sono intagliate e impiegate come sigillo è quanto mai lontano dalla realtà, a tal punto hanno potuto su questa classe di materiali i capricci del tempo e degli uomini.

17 Come la spilla d’oro che reca un’ametista intagliata con un tema tardoellenistico (un grifone che assale un capro) databile forse al I secolo a. C. rinvenuta nel corredo di Crepereia Tryphaena (seconda metà del II secolo d. C., Roma, Musei Capitolini, Centrale Montemartini, AC 467, PERRONE apud NAVA-SALERNO 2007, 279) o il sardonyx che la banda bianca trasversale individua come tardorepubblicano o altoimperiale incastonato in una spilla d’oro ed entrato a far parte nel tardo II secolo d. C. del corredo della giovane defunta di Vallerano (Roma, Museo Archeologico Nazionale, 414062, BEDINI 1995, 47-48). Sul corredo: I. 3. 3. 1 e 8.

18 E. g. SPIER 2012, 14. Ci sono ovviamente alcune vistose eccezioni, come i ricchissimi corredi delle tombe ellenistiche i cui capolavori di ore!iceria (celebri quelli della Tomba degli Ori di Canosa di Puglia) sono conservati al Museo Archeologico Nazionale di Taranto (su cui DE JULIIS 1984) o quelli, di età romana, di Crepereia Tryphaena o della Mummia di Grottarossa (I. 3. 3. 1 e 8) o di altre ragazze morte in giovane età prima di poter contrarre matrimonio e in qualche modo “risarcite” della loro prematura scomparsa tramite un corredo particolarmente ricco: OLIVER 2000 nota come tali sepolture si distacchino da quelle di donne più anziane, che raramente conservano qualche pezzo di gioielleria, in quanto tali defunte venivano seppellite con la loro dote nuziale, mentre i gioielli delle donne morte in età più matura venivano ereditati dalle !iglie o da altre parenti.

19 Come quello, ricchissimo di monete e gioielli, rinvenuto a Lione a metà dell’Ottocento, che fu nascosto in una cavità muraria non prima dell’età di Settimio Severo (conservato a Lione presso il Musée de la Civilisation Gallo-Romaine, BEDINI 1995, 103-109).

Ai numerosi ma non numerosissimi gioielli sopravvissuti archeologicamente si aggiungono ovviamente quelli che adornano i corpi di dee, eroine e nobildonne in rappresentazioni vascolari, scultoree, pittoriche e a mosaico. Fra tali raf!igurazioni particolare peso, per la quantità degli esemplari e per l’accuratezza dei dettagli, che sicuramente trovavano riscontro nella realtà concreta, hanno i celeberrimi ritratti delle mummie del Fayum. Essi ci testimoniano una grande quantità di modelli e accostamenti cromatici e ci svelano più di ogni altra testimonianza i gusti preferiti nell’abbinamento tra i diversi gioielli, che vengono spesso indossati in gran copia20. A parte le corone funebri di frequente impreziosite da applicazioni di foglia d’oro, si tratta di orecchini, collane e più rari spilloni per capelli e diademi (Figg. 6-9)21, dato che il consueto taglio a mezzo busto dei ritratti escludeva la raf!igurazione di anelli, bracciali e cavigliere22. Tali ritratti hanno il pregio di coprire un lungo arco

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