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CAPITOLO IV: DISCORSO PUBBLICO E INTERVENTI SU MASCHILITA' E

3. Lavorare con gli uomini violenti: costruzioni di senso

“Sono d’accordo che la violenza è male, so riconoscere che la mia educazione e il contesto sociale in cui vivo mi hanno incoraggiato a essere indulgente con questo approccio sessista, so che c’è in me una forma di tensione alla violenza di genere che per fortuna non esplode, ma ora? Cosa posso fare? Riprogrammarmi? Sperare di non dare mai corpo alle tendenze violente che covano nella mia psiche? Insomma cosa ne faccio della violenza?31”:

Pare un ottimo punto di partenza quest'insieme di domande che un uomo, consapevole probabilmente più di molti altri su sessismo e cultura patriarcale, si pone.

Cosa ne facciamo della violenza che gli uomini maltrattanti portano nei servizi? Come va orientato l'intervento dei professionisti? Quali presupposti e quali prospettive si pongono? Ma soprattutto quali ostacoli emotivi, di giudizio, di identificazione si frappongono tra l'operatore/trice e l'uomo violento?

Un testo importante delle metodologie del Servizio sociale, Dal dolore alla violenza di Felicity de Zulueta affronta il nodo della presa in carico dell'uomo violento (il caso non attiene alla violenza contro le donne, ma offre uno spunto interessante) e le vicissitudini emotive ed etiche della professionista chiamata a questo compito. Questo è un problema che dobbiamo porci, nel pensare interventi di accompagnamento al cambiamento di uomini violenti che la nostra deontologia professionale ci impone di prendere in carico senza pregiudizi. La riflessione su questo punto chiama immediatamente in causa il genere: il piano di reazioni femminile e maschile differiscono, il genere di chi prende in carico l'uomo maltrattante conta e attiva meccanismi diversi. Non intendiamo in questa sede approfondire le problematiche legate alla presa in carico dell'uomo violento da parte di una donna (anche se si tratta della metà più

rilevante dato che la quasi totalità delle assistenti sociali in Italia sono donne32 ) poiché

l'obiettivo del presente lavoro è tenere al centro il maschile. La relazione tra operatore uomo e maltrattante presenta inoltre dei rilevi interessanti, non solo tecnici, dal punto di vista della messa in discussione interna al genere maschile, che hanno a che fare e spiegano molto del fenomeno uomo buono/uomo cattivo che abbiamo richiamato analizzando il discorso pubblico e mediatico relativo alla violenza maschile sulle donne.

Marco Deriu, riflettendo sulla sue esperienza, parla di dialogare con l'ombra33, riconoscendo come la tentazione di differenziarsi, considerare un uomo diverso, un non- uomo, colui che agisce modalità violente, è forte e va problematizzata. Deriu chiarisce che il peggio che si possa fare nell'intervento è negare la propria ombra, non riconoscere che questa componente di aggressività nei confronti delle donne appartiene ad ogni uomo, quindi anche all'operatore. Serve darle spazio, ma far prevalere l'altra parte. Ciò permette di evitare proiezioni di negatività tutte esterne, che provocano risentimenti e sono le stesse che si trasformano in violenza. L'auto- riflessività è la chiave del trattamento, come bene insegnano le metodologie del Servizio sociale, particolarmente indispensabile nell'ambito da noi analizzato.

Lavorare con gli uomini violenti comporta per gli uomini guardare in faccia il lato peggiore di sé e di conseguenza stimola la forte necessità di identificare se stessi con il polo positivo opposto. Cedere a tale tentazione comporta rimozioni, evitamenti, oscura la radice culturale del problema. Inoltre, senza riconoscimento dentro di sé di queste dinamiche è impossibile ascoltare ed accompagnare uomini violenti nell'affrontare i propri vissuti e orientarli al cambiamento (Marco Deriu, 2013).

Questa componente di rimozione ed evitamento che informa il rapporto personale tra uomo e uomo, si riflette sul piano collettivo. Il richiamo mediatico alla criminalizzazione di alcuni uomini cattivi, contrapposti all'immagine dell'uomo buono, non denota soltanto una scarsa riflessione sulle conseguenze della comunicazione, ma è espressione chiarissima di questa esigenza di differenziarsi dal male, considerarlo al di fuori della natura umana, la necessità di patologizzare, spiegare con psicosi o differenze etniche (“i violenti hanno problemi psichici”, “i violenti sono alcolizzati o tossicodipendenti”, “i romeni, i musulmani sono violenti con le donne”) quello che è invece una componente normale, familiare, collettiva con la quale è

32Per un approfondimento sulla rilevanza del genere nella professione Cfr. Domenica A. Gristina, Pierangela

Benvenuti, La donna e il servizio sociale. Identità sessuale e professionale dell'assistente sociale, Milano, Franco Angeli, 1998.

33Marco Deriu, Farsi carico dell'ambivalenza. Cosa significa lavorare con gli uomini violenti, in a cura di S.

necessario fare i conti. Attivare interventi preventivi e di trattamento rivolti a uomini violenti è in questo senso anche un dovere politico, etico, proprio per la funzione di riconoscimento dell'umanità, della familiarità di questi carnefici e, d'altra parte per il riconoscimento della violenza latente radicata in ognuno che permette di comprendere a fondo le dinamiche di facilitazione che la cultura patriarcale rinforza a danno delle donne.

Guardare con le lenti del genere al tema dell'intervento sociale relativo alla violenza maschile contro le donne ci permette inoltre, rimanendo sul piano collettivo, di fare una riflessione sul coinvolgimento degli uomini come operatori.

L'allargamento della rete anti-violenza e la nascita di servizi rivolti ai maltrattanti ha comportato la presenza di sempre più uomini, esponenti di diverse professionalità, chiamati al confronto e alla riflessione sul tema della violenza maschile e più in generale della maschilità.

Un buon passo in sostanza su ogni fronte, e dei maltrattanti e di chi lavora con loro.

Attraverso le esperienze di colloquio, équipe, ricerca sul tema membri delle forze dell'ordine, psicologi, educatori, sociologi, criminologi iniziano a confrontarsi con la tematica delle disuguaglianze di genere, partecipano a corsi di formazione organizzati dalle Case delle donne, sviluppano sensibilità diverse di ascolto e tutela. Un cambiamento ancora tutto da costruire, ma avviato senza dubbio anche sul fronte della professionalità maschile, che va a mutare l'identità di tanti operatori uomini.