Il legame tra condizione di disoccupazione e mercato del lavoro assume un rilievo particolarmente rilevante nell’ordinamento europeo. Per quanto riguarda il pieno godimento dei diritti e delle prerogative per i cittadini dell’Unione, primo fra tutti la libertà di circolazione e di stabilimento, esiste un favor per il disoccupato che lo colloca in una posizione vicina a quella del lavoratore e distante da quella del cittadino non attivo. Solo la condizione di lavoratore determina la pienezza del godimento della libertà di circolazione e dei diritti ad essa collegati. È però innegabile che sempre maggior spazio sia attribuito alla cittadinanza europea, sulla scia delle indicazioni pervenute dalla CGCE e delle recenti modifiche ai Trattati nonché con il nuovo ruolo della Carta
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Decreto ministeriale 5 ottobre 2012, con interventi nei limiti della capienza del fondo.
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Art. 57, d.l. n. 83/2012, conv. in l. n. 134/2012, cd. “Decreto sviluppo”.
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di Nizza . La conseguenza è che la condizione del disoccupato oscilla tra lo status di lavoratore, che permette di ottenere la pienezza delle tutele e la condizione di cittadino europeo, oggetto di crescente centralità dopo le modifiche del Trattato di Lisbona.
La libertà di circolazione è nata come prerogativa strettamente legata al lavoratore subordinato e ha contribuito alla stessa definizione del concetto di lavoratore subordinato al livello comunitario. Com’è noto, i Trattati non ne forniscono una definizione; ciononostante le norme e l’interpretazione giurisprudenziale tracciano una figura di lavoratore funzionale alla creazione del mercato comune e alla possibilità di accedere ad esso. Non si tratta, appunto, di un concetto finalizzato alla determinazione di uno status cui attribuire garanzie e tutele – posto che questo rientra nella competenza degli ordinamenti nazionali. Sulla base della garanzia di cui all’art. 45 TFUE è determinata, invece, prima facie e salvo i correttivi individuati dalla giurisprudenza successiva, la condizione di lavoratore alla luce della necessità di buon funzionamento del mercato unico. In collegamento con questa finalità, gli elementi determinanti per la definizione del lavoratore sono lo svolgimento reale ed effettivo delle prestazioni all’interno di un rapporto di carattere oneroso, accanto ad un concetto elastico di retribuzione. Sulla base delle interpretazioni rese dalla Corte di giustizia è offerta una nozione minima e leggera di lavoratore subordinato, all’interno della quale la subordinazione non assume carattere definitorio376.
La definizione degli elementi caratterizzanti la nozione giuridica di lavoratore in funzione dell’esercizio della libertà di circolazione trova conferma in una distinzione tra lavoratori e cittadini presente nei principi e nelle norme europei. Se l’art. 21 TFUE prevede la libertà di circolazione e di soggiorno per tutti i cittadini europei «fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai Trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi», l’art. 45 TFUE
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V. art. 6 TUE, per quanto riguarda la Carta di Nizza, per i Trattati Costitutivi, vedi infra.
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Così S. GIUBBONI, La nozione comunitaria di lavoratore subordinato, in Il
lavoro subordinato, a cura di S. SCIARRA - B. CARUSO, in Trattato di diritto privato
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assicura ai lavoratori la libertà di circolazione senza alcun tipo di condizionamento, poiché questa prerogativa costituisce un vero e proprio diritto fondamentale377.
La conferma di un distanza tra le due condizioni suesposte è contenuta nella Direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. La Direttiva riconosce l’esistenza della libertà di circolazione, distinguendo il diritto di uscita e di ingresso negli Stati membri, da un lato, –con la sola presentazione del documento di identità – e il diritto di soggiorno, dall’altro. Eccezion fatta che per il primo periodo di tre mesi, la libertà di soggiorno non discende dalla condizione di cittadinanza, ma è sottoposta alla condizione di svolgimento di attività lavorativa oppure al possesso di risorse sufficienti per non gravare sul sistema sociale (art. 7)378. È evidente la preoccupazione relativa all’autosufficienza economica del migrante affinché in nessun caso la sua presenza gravi sul sistema finanziario dello stato ospitante. A conferma della necessità che si realizzi uno “scambio” tra accesso alla sicurezza sociale e apporto attivo al mercato e al sistema economico379 sta il fatto che i migranti- lavoratori non godono solamente delle possibilità di soggiornare oltre i tre mesi, ma anche della possibilità di accedere ai vantaggi sociali che l’art. 7.2 del Reg. 1612/1968 collega alla condizione di lavoratore380.
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Secondo quanto affermato dalla Corte di giustizia, v. CGCE 13 luglio 1983, C- 152/82, Forcheri, in Racc. 1983, pag. 2323, par. 11.
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Si tratta in fondo anche in questo caso di una prospettiva che supera il legame con la condizione di lavoratore, così D.GOTTARDI, La libera circolazione delle persone:
dai lavoratori ai cittadini. L’impatto del principio della parità di trattamento, in Studi in onore di Treu cit., III, pag. 1468 s. Si attribuisce così a condizioni – abbastanza elastiche
– di autosufficienza economica lontane, però, dal concetto di cittadinanza.
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In riferimento all’attribuzione delle libertà di circolazione, i lavoratori subordinati ed autonomi sono considerati come “fattori produttivi”, G.F.MANCINI, The
making of Constitution for Europe, in Common market law review, 1989, pag. 595 ss. 380
La differenza fondamentale per quanto attiene alla libertà di circolazione si rinviene tra «soggetti che svolg(a)ono (…) un’attività economica sul mercato e persone economicamente inattive (e quindi potenzialmente a rischio di dipendenza dai sistemi assistenziali degli Stati membri)» S. GIUBBONI, La nozione comunitaria di lavoratore
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In un processo di integrazione dialettica tra legislazione e giurisprudenza della CGCE sono emersi alcuni correttivi che, pur non introducendo nuovi paradigmi per l’attribuzione di diritti di libertà o per l’accesso alle prestazioni sociali, ugualmente valorizzano il contributo del cittadino all’interno del mercato comune.
Una condizione privilegiata è garantita al soggetto autenticamente in cerca di lavoro, cd. jobseeker. Chi è in grado di dimostrare di essere alla ricerca di un lavoro e di avere buone probabilità di trovarlo, non potrà essere espulso dallo Stato ospitante neppure nel caso in cui divenga un onere eccessivo per il sistema di sicurezza sociale (art. 14, 4, lett. b)381. La Direttiva ha inoltre esteso lo status di lavoratore, e i diritti ad esso collegati, anche a chi si trova in disoccupazione involontaria dopo aver lavorato per oltre un anno nello Stato ospitante, purché sia iscritto all’ufficio pubblico competente per i servizi per l’impiego (art. 7. 3, lett. b). Nel caso in cui la disoccupazione si verifichi prima di aver svolto un anno di lavoro nello Stato ospitante, o anche in caso di contratto a termine, lo status è mantenuto per un periodo di 6 mesi (art. 7.3, lett. c)382. Il disoccupato impegnato in attività di formazione, inoltre, ottiene il riconoscimento dello status di lavoratore anche nel caso in cui si tratti di disoccupazione volontaria, purché ci sia un collegamento tra l’attività svolta precedentemente e il corso di formazione cui si attende (art. 7.3, lett. d).
Sulla base di molte sollecitazioni della Corte di giustizia sono state ridotte le distanze tra lavoratore e cittadino non attivo. Nonostante ciò, l’accesso alla libertà di circolazione e ai diritti ad essa collegati, è ancora differenziato sulla base di uno schema a gradazione decrescente che vede da un lato, il lavoratore e
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La Direttiva ha recepito in questa previsione le indicazioni offerte dalla CGCE, sentenza 26 febbraio 1991, causa C-292/89, Antonissen e 20 febbraio 1997, causa C- 344/95, Commissione/Belgio. La lettera b) individua la condizione di chi può godere della libertà di soggiorno in deroga alle regole generalmente espresse per i non lavoratori ovvero dei «cittadini dell’Unione (che) possono dimostrare di essere alla ricerca di un lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo».
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Recependo un principio espresso dalla sentenza CGCE C- 413/01, Ninni –
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dall’altro, il cittadino tout court senza lavoro e senza autonoma capacità di sostentamento383.
Oltre a queste estensioni è emerso un paradigma nuovo per il godimento dei diritti di circolazione e l’accesso cross border ai sistemi di sicurezza sociale che trova fondamento nella centralità della cittadinanza europea espressa nei Trattati. Numerose sentenze della CGCE hanno contribuito all’affermazione dei diritti di cittadinanza europea attraverso un ampliamento della libertà di soggiorno e di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale oltre i confini della Direttiva n. 2004/38/CE. La Direttiva è infatti costruita attorno al principio del pieno accesso, in caso di esercizio della libertà di circolazione, al welfare per il solo lavoratore. Molte pronunce in materia di soggiorno e accesso al welfare, costruite attorno agli art. 21 e 18 del TFUE384, hanno ampliato l’accesso alla sicurezza sociale oltre i limiti individuati dallo status di lavoratore nell’interpretazione estensiva della giurisprudenza. La CGCE ha esteso la libertà i circolazione e di soggiorno oltre il confine del lavoro subordinato, tracciandone l’esistenza anche a favore dei cittadini europei in quanto tali. La chiave di volta di questa estensione consiste appunto nel principio del divieto di discriminazione in base alla nazionalità di cui all’art. 18 TFUE: per il diritto di soggiorno e l’accesso alle prestazioni sociali al cittadino europeo migrante non possono essere richieste condizioni più gravose di quelle richieste al cittadino nazionale.
Se dunque i lavoratori già godono della pienezza di accesso cross border alle tutele previdenziali in virtù dell’art. 45 TFUE, sulla base degli artt. 18 e 21 TFUE è garantito a tutti i cittadini, anche quelli non economicamente attivi, che il diritto di soggiorno non sia sottoposto a limitazioni irragionevoli, non fondate su legittimi interessi dello Stato385.
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In ogni caso, «al grado zero di tutela sta il cittadino di un paese terzo rispetto all’UE» precisano S. GIUBBONI - G. ORLANDINI, La libera circolazione dei lavoratori
nell’Unione Europea, op. cit.,, pag. 34. 384
Causa Martinez Sala, C-85/96; Grzelczyk, C-184/99; Baumbast, C-413/99.
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Nella sentenza Baumbast, C- 413/99, punto 94, è dichiarato espressamente che un cittadino che non goda più della liberà di soggiorno in quanto lavoratore può goderne ugualmente in virtù della «efficacia diretta dell’art. 18 CE (ora 21 TFUE). L’esercizio di tale diritto è assoggettato alle limitazioni e condizioni previste da tale disposizione – cioè alle condizioni previste dal Trattato –, ma le autorità competenti e all’occorrenza i giudici
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Un’argomentazione simile è stata utilizzata, a maggior ragione, anche in relazione all’accesso per i jobseekers alla libertà di circolazione e alle prestazioni sociali del paese ospitante, tutte le volte in cui non vi sia una giustificazione adeguata (indipendente dalla nazionalità, oggettiva e commisurata allo scopo) per negarlo386. Una valida giustificazione è l’assenza di un nesso reale con il mercato del lavoro, ovvero il fatto che non sia stato cercato attivamente un lavoro per un certo periodo di tempo. L’elaborazione della CGCE in relazione alla rilevanza di un collegamento con il mercato del lavoro dello Stato ospitante è stata in parte recepita, come si è detto, nel diritto derivato (Dir. 2004/38/CE, art. 14, 4 lett. b).
In un’occasione la Corte è persino giunta a formulare, in relazione all’accesso ad una prestazione sociale di natura non contributiva – il minimex belga –, l’impegnativa affermazione secondo la quale può sussistere «una certa solidarietà finanziaria»387 dei cittadini dello Stato in questione con quelli degli altri Stati membri, specie quando le difficoltà siano di carattere temporaneo, nonostante di regola la presenza di un cittadino non economicamente attivo in uno Stato ospitante non possa andare oltre i tre mesi.
Dunque, sottoponendo a sindacato di proporzionalità in relazione agli articoli 18 e 21 TFUE l’attuazione del diritto derivato, la CGCE ha realizzato un’«apertura transnazionale al welfare» a favore dei «cittadino comunitari economicamente inattivi che dimostrino un certo legame d’integrazione con la società del paese ospitante»388.
Non sorgono dubbi in relazione al fatto che l’elemento che viene principalmente apprezzato al fine della circolazione e del soggiorno e dunque dell’accesso ai vantaggi sociali sia prevalentemente quello del legame con il mercato del lavoro, ragion per cui può dirsi che l’Unione prospetti una solidarietà di tipo occupazionale389, conformemente ad una logica di scambio tra contributo
nazionali devono verificare che l’applicazione di tali limitazioni e condizioni venga operata nel rispetto dei principi generali del diritto comunitario e segnatamente del principio di proporzionalità».
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Causa Collins, C- 138/02; Ioannidis, C- 258/04; Vatsouras, C- 22/08 e C- 23/08.
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Sent. Grzelczyk, C- 184/99, punto 44.
388
S.GIUBBONI, Un certo grado di solidarietà, in Riv. dir. sic. soc., cit.
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offerto dal migrante all’economia e alle attività produttive del paese ospitante e il pieno accesso ai diritti sociali.
Queste premesse rendono utile analizzare se le aperture verso la cittadinanza europea siano tali da spingere verso l’adozione di modelli universalistici di accesso alle tutele sociali.
123 CAPITOLOIII
LA TUTELA DELLA DISOCCUPAZIONE TRA LAVORO E UNIVERSALISMO: UN’IPOTESI RICOSTRUTTIVA
SOMMARIO: 1.Disoccupazione involontaria e vicende del rapporto di lavoro. – 1.1. Disoccupazione involontaria e disponibilità all’attivazione. – 1.2. Problemi della tutela nel mercato del lavoro: tra responsabilità e libertà. – 2. La convivenza di diversi modelli di finanziamento delle tutele. Dalla struttura assicurativo-contributiva alla sussidiarietà. – 3. La compatibilità con il sistema del Reddito Minimo di Cittadinanza. – 4. Il valore dell’uguaglianza tra conservazione del sistema e giustificazione delle differenze. – 5. Un legame possibile tra lavoro e universalismo: la mancanza di “lavoro adeguato”. – 6. La centralità del lavoro nel welfare: problemi e prospettive