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Problemi della tutela nel mercato del lavoro: tra responsabilità e libertà.

1. Disoccupazione involontaria e vicende del rapporto di lavoro

1.2 Problemi della tutela nel mercato del lavoro: tra responsabilità e libertà.

Nell’ambito degli strumenti per il sostegno del reddito l’involontarietà della condizione di disoccupazione è presa in considerazione sia come antecedente causale per l’accesso alle tutele che come elemento che ne consente in seguito la prosecuzione. La duplicazione della rilevanza (e delle verifiche) dell’involontarietà non costituisce una novità introdotta dalla legge n. 92/2012 né dalle prime norme di legge che hanno introdotto meccanismi di cd. “condizionalità” delle prestazioni previdenziali (come l’art. 19, comma 10, d.l. n. 185/2008). L’erogazione del sostegno del reddito è sempre stata accompagnata da decadenze derivanti dall’indisponibilità del lavoratore a cercare o accettare una nuova occupazione con lo scopo di esercitare una funzione di “controllo” sulla disoccupazione e sul suo carattere autenticamente involontario.

La novità emersa in questo ambito sul finire del secolo scorso sta nel fatto che il meccanismo si è caricato di finalità ulteriori legate principalmente alla promozione di comportamenti attivi nel mercato del lavoro414. Come si è cercato di illustrare415, il tema dell’attivazione del disoccupato ha assunto importanza centrale, benché non esclusiva, nei processi di riforma del welfare europeo sulla scorta delle sollecitazioni derivanti dalla Strategia Europea per l’Occupazione. Di conseguenza l’esigenza, di «ascendenza euro-unitaria»416, di realizzare politiche di attivazione ha fatto sì che anche il nostro ordinamento intraprendesse percorsi normativi finalizzati a realizzare stabili collegamenti tra gli interventi sul lato passivo della tutela e quelli sul lato attivo417. Per questo motivo, gli elementi selezionati dal legislatore per accertare la permanenza dell’involontarietà della condizione di disoccupazione ai fini dell’accesso alle prestazioni hanno progressivamente acquisito un maggior numero di funzioni. Le condotte che manifestano l’impegno del disoccupato a essere attivamente presente nel mercato

414

V. le considerazioni esposte da F. LISO, Gli ammortizzatori sociali. Percorsi

evolutivi cit., pag. 40 ss. 415

Cap. II, paragrafo 2.

416

A.ALAIMO, Servizi per l’impiego e disoccupazione, cit., pag. 559

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del lavoro divengono il presupposto sia per conservare il godimento del sostegno monetario che per usufruire dei servizi e delle misure per reperire nuove opportunità di lavoro. Come si è rilevato, infatti, le ipotesi di decadenza individuate dalla legge si sdoppiano in due gruppi di requisiti richiesti, appunto, l’uno per il mantenimento delle prestazioni di sostegno al reddito, l’altro per godere dei Servizi per l’Impiego418.

L’articolato normativo cui ci si riferisce con la formula della cd. “condizionalità” rappresenta la scelta operata in via principale dal nostro ordinamento nell’ottica del perseguimento delle politiche di attivazione. La lettura delle norme che dispongono la perdita dei trattamenti previdenziali qualora il disoccupato utente dei SPI venga meno agli impegni “di attivazione” assunti non è certo agevole a causa della mancanza di adeguato coordinamento interno (che talvolta diviene vera e propria contraddizione419).

Deve però ammettersi che emerge una linea di intervento chiara, per quanto suscettibile di miglioramento. Si tratta dell’intenzione di imporre comportamenti attivi e responsabili a chi voglia beneficiare – purché sia in possesso dei tradizionali requisiti assicurativi – dei trattamenti di sostegno del reddito420. In questa ottica, la condizionalità per l’attivazione dei disoccupati costituisce uno strumento di trasformazione a livello normativo delle politiche per il mercato del lavoro. Il sistema cerca, infatti, di creare un punto di contatto e al tempo stesso di equilibrio tra le misure di sostegno al reddito e le attività rese per favorire il reinserimento lavorativo del percettore del reddito che allontani il

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V. P. PASCUCCI, Servizi per l’impiego cit., pag. 491 s. L’A. evidenzia come le differenze si verifichino soprattutto tra i requisiti per lo status di disoccupazione e le previsioni di condizionalità di cui all’art. 4, comma 41. Quest’ultimo requisito in realtà sarebbe fortemente ridimensionato dalla presenza del requisito di decadenza specifico per l’Aspi (art. 2, comma 14) e anche dalla permanenza di alcuni meccanismi di decadenza speciali.

419

Come in relazione alla vicenda dell’art. 2, comma 17, l. n. 92/2012 che fa rifermento all’art. 4, comma 1, lett. a), d. lgs. n. 181/2000, abrogato dall’art. 4, comma 33, della predetta legge. Può essere criticata la realizzazione a metà del disegno di coordinamento tra politiche attive e passive, v. P.PASCUCCI, Servizi per l’impiego cit., pag. 507.

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Formula un giudizio sostanzialmente positivo P. A. VARESI, La protezione

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pericolo di comportamenti passivi gravanti sulle finanze pubbliche. È però vero che, come si è cercato di illustrare retro (cap. II), le politiche di attivazione dovrebbero indurre o almeno incentivare comportamenti virtuosi nei destinatari, realizzando la proiezione del principio costituzionale di cui all’art. 4, comma 2 Cost.421 mentre il risparmio di spesa dovrebbe essere un obiettivo del tutto residuale ed eventuale422.

L’introduzione generale e orientata all’uniformità della condizionalità realizzata con la l. n. 92/2012 ha come presupposto la capacità dei soggetti pubblici, quanto a risorse e professionalità, di gestire adeguatamente ed efficientemente il meccanismo. Ma in effetti, anche ammettendo un buon livello di funzionamento dell’apparato pubblico per i servizi per l’occupazione, è chiaro che la previsione di decadenze e sanzioni non escluderebbe di per sé condotte illecite ai danni del sistema previdenziale pubblico, soprattutto con riferimento al lavoro irregolare423. Rimane inoltre un problema relativo all’adesione ai meccanismi di condizionalità. Mentre sono chiari i referenti comunitari e i vantaggi che dovrebbero conseguire all’adozione di politiche di workfare, permangono alcune criticità riguardanti sia l’operatività degli istituti in oggetto che le ripercussioni sulla sfera personale degli individui coinvolti.

Sul piano del funzionamento degli istituti, deve innanzitutto essere segnalato che la riforma appena entrata in vigore non ha colto l’occasione per introdurre una nozione unica424 di disoccupazione valida sia per il godimento dei

421

M.CINELLI, Verso un nuovo welfare? in Lavoro, competitività, welfare. Dal d. l.

n. 112/2008 alla riforma del lavoro pubblico, Utet, 2009, pag. 467. Concorda P.A.

VARESI, La protezione del lavoratore cit., pag. 1034. Similmente, S. RENGA, La

“riforma” degli ammortizzatori sociali, op. cit., pag. 638, ritiene che «la condizionalità

ha lo scopo di funzionalizzare la prestazione sociale ad una politica attiva dell’impiego». Considera al contrario che questa previsione «si riferisca ad ogni attività utile alla società … e non implica un nesso con la sfera dell’economia», M.D’ANTONA, Il diritto al lavoro

nella costituzione e nell’ordinamento comunitario, in Riv., giur. lav. 1999, I pag. 17. 422

S.PIRRONE -P.SESTITO, Disoccupati in Italia cit., pag. 156 ss.

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Sostenendo che «la garanzia della trasparente condizione di bisogno deve essere data dalla repressione delle violazioni», E.GRAGNOLI, op. cit., pag. 32 del dattiloscritto.

424

La dottrina si è posta il problema dell’esistenza di una nozione unica di disoccupazione a partire dal d. lgs. n. 181/2000 che prevedeva e prevede all’art. 1, comma 2 che la definizione di stato di disoccupazione sia da intendersi «ad ogni effetto»: vedi tra

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trattamenti previdenziali, che per l’accesso ai servizi per facilitare la ricollocazione sul mercato del lavoro. Ciò complica notevolmente l’operatività e l’effettività dei meccanismi decadenziali legati all’attivazione del disoccupato su cui è strutturato il sistema di protezione dalla disoccupazione.

È possibile che ciò non rappresenti soltanto un difetto di coordinamento legislativo ma che testimoni una certa difficoltà per il legislatore nell’assimilare i due gruppi di norme. In effetti non c’è piena sintonia tra una disciplina volta a erogare servizi a soggetti che si mantengano attivi sul mercato del lavoro e quella che prevede i trattamenti di sostegno al reddito, innanzitutto perché diverse sono le basi su cui tali strumenti si fondano, «l’uno costruito su fattispecie astratte, alla ricerca di maggiore eguaglianza, l’altro sulla personalizzazione»425. Come emerso già in occasione della sentenza della Corte costituzionale, n. 268/2007426, non è agevole coordinare l’elasticità che la legge statale, in accordo con l’art. 117, comma 3 Cost., accorda ai legislatori regionali in relazione ai Servizi per l’impiego, e la necessaria uniformità sul territorio nazionale che deve discendere dalla competenza statale esclusiva della previdenza sociale427. Infine, al di là della diversità strutturale tra le due forme di protezione, le scelte del legislatore possono essere state anche condizionate dal timore che le incertezze relative al funzionamento dei SPI pesassero sull’operatività delle decadenze previdenziali.

Sul piano individuale, poi, dall’accettazione del disoccupato delle proposte di riqualificazione o di offerte di lavoro dipende sia la possibilità di godere dei trattamenti previdenziali espressivi della garanzia costituzionale di cui all’art. 38 Cost. che la possibilità di mantenere l’accesso ai servizi per la riqualificazione e la ricollocazione professionale. L’attivazione del disoccupato si caratterizza perciò per l’esistenza di uno scambio: il mantenimento di tutti i

gli altri a favore A.LASSANDARI, L’intermediazione pubblica e privata nel mercato del

lavoro in R.DE LUCA TAMAJO -M.RUSCIANO -L.ZOPPOLI, Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema, pag. 406, Ed. Scientifica, 2004, pag. 404; contra C. LAGALA, La nozione di disoccupazione e gli incentivi per il reinserimento lavorativo in Part time verticale e disoccupazione nella riforma degli ammortizzatori sociali, a cura di C.

LAGALA, Giuffrè, 2004, pag. 155 ss.

425

E.GRAGNOLI, op. cit., pag. 34 dattiloscritto.

426

In Giur. cost., 2007, 4, 2636, nt. PESSI.

427

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benefici e delle tutele è condizionato alla conservazione di una situazione di attivazione (ricavata dal mancato rifiuto delle offerte che vengono formulate) che dovrebbe esser l’obiettivo cui tendono le politiche di attivazione. In altre parole, la finalità che queste ultime si pongono è oggettivizzata e diviene prerequisito per intraprendere la strada dell’attivazione428.

È chiaro che l’effettività di quello che dovrebbe essere un meccanismo virtuoso è comunque condizionata dalla qualità dei servizi offerti dai Centri per l’Impiego, così come dalle caratteristiche che la legge traccia per la prestazione lavorativa che non può essere rifiutata dal disoccupato. Si tratta di un prerequisito individuato in maniera particolarmente severa e rigida dall’ultima normativa, laddove è previsto il vincolo all’accettazione di un’offerta di lavoro «inquadrata in un livello retributivo superiore almeno del 20 per cento rispetto all’indennità cui ha diritto».

Da questo punto di vista viene in luce un elemento rilevante nella definizione delle politiche attive (e di attivazione): la garanzia del diritto al lavoro, inteso come possibilità di svolgere un’attività lavorativa conforme alle proprie aspirazioni e intenzioni. Poiché l’effettività di questo diritto costituzionalmente sancito è fortemente condizionata dalla qualità ed efficienza dei servizi, sancisce un legame stretto tra realizzazione della dimensione positiva e negativa del diritto al lavoro429.

Il rischio che emerge in misura ancora maggiore con l’inasprimento dei requisiti della condizionalità attuato con la l. n. 92/2012 è una compressione della qualità del lavoro che il soggetto viene indotto ad accettare sotto la spinta (coercitiva?) della potenziale perdita del trattamento di sostegno del reddito. Al di là della mancanza di previsioni chiare, accessibili e intellegibili per tutti i disoccupati, che certo non agevola un percorso di acquisizione di consapevolezza e responsabilità, il punto critico concerne il livello retributivo, la corrispondenza

428

M. COLASANTO, Forza e debolezza del nuovo welfare, in Riconciliare lavoro

welfare e cittadinanza, num. monografico di Soc. lav., n. 117, pag. 33 429

Vedi il lavoro di A. ALAIMO, Il diritto sociale al lavoro cit., pag. 74-79, che

sottolinea come questo legame sia realizzabile al meglio attraverso il supporto reso dai SPI alle transizioni lavorative «nel rispetto della caratteristiche specifiche dei soggetti che ne sono protagonisti».

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con il profilo professionale del lavoratore e, non ultimo, anche la tipologia contrattuale (in relazione al valore della stabilità430) dell’offerta di lavoro che si è chiamati ad accettare.

La compressione della libertà sotto il profilo della possibilità di scegliere un lavoro di qualità si manifesta nel fatto che non tutte le “attività” sono considerate adeguate al percorso di reinserimento necessario per continuare a essere considerati soggetti “attivi” sul mercato del lavoro e non perdere tutti i diritti a tale condizione connessi. Altre forme di lavoro o altre tipologie di attività, siano esse di cura, di rilevanza sociale o di formazione faticano a trovare spazio nel requisito di condizionalità di cui all’art. 4, comma 41, l. n. 92/2012. Mentre per il rifiuto di un’iniziativa di politica attiva è ammessa la possibilità di addurre un giustificato motivo, per il rifiuto di un’offerta di lavoro431 è solamente fissata la retribuzione minima al di sotto della quale è legittimo il rifiuto della proposta.

Le previsioni dell’art. 4 , d. lgs. n. 181/2000 appaiono invece più inclini a garantire una condizione di libertà per il disoccupato. È infatti ammessa la possibilità di giustificare il rifiuto di offerte di lavoro e non perdere le misure per la ricollocazione sul mercato del lavoro previste dai Centri per l’Impiego. Le leggi regionali hanno interpretato questo requisito per lo più in relazione a motivi oggettivamente impeditivi come malattia, infortunio o gravidanza432, senza attribuire rilevanza, a dire il vero, a esigenze collegate a percorsi professionali o di vita “alternativi” ma degni di apprezzamento dal punto di vista sociale.

Anche se l’offerta di lavoro “non rifiutabile” è definita diversamente nelle due ipotesi, in ogni caso il venire meno della disponibilità al lavoro che è sancita con il possesso dello status di disoccupazione comporta la perdita anche

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V. le considerazioni di L.ZOPPOLI, La riforma del mercato del lavoro vista dal

Mezzogiorno cit., pag. 8. M.CINELLI, Gli ammortizzatori sociali nel disegno cit.,pag. 263 sottolinea nei nuovi requisiti di cui all’art. 4, comma 41, l n. 92/2012 una possibile compressione del parametro costituzionale tanto dell’art. 36 quanto che dell’art. 38.

431

Opportunamente ricorda P.PASCUCCI, Servizi per l’impiego cit., pag. 497 che al più potrà parlarsi di rifiuto di una “proposta di offerta di lavoro” auspicando che questa sia immediatamente seguita da un’offerta di lavoro formalizzata in sede pubblica.

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Vedi l’analisi di D. GAROFALO, Lo status di disoccupazione tra legislazione

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dell’accesso ai trattamenti previdenziali. Dall’intreccio delle norme sulla condizionalità dei servizi e dei sussidi sembra, invece, difficile ipotizzare che si verifichi la situazione inversa, ovvero la perdita del trattamento previdenziale e la conservazione dell’accesso ai servizi che eventualmente sia poi compensata da un’ulteriore proposta di lavoro più consona alle proprie caratteristiche lavorative.

La legge n. 92/2012 ha fallito l’occasione di ricostruire una nozione unitaria di decadenza dalle prestazioni, che, almeno per quanto riguarda l’Aspi, unisca l’art. 4, comma 1, lett. b) e c) d. lgs.n. 181/2000 e l’art. 2, comma 12 (lasciando ai requisiti di cui all’art. 4, comma 41 solo una funzione residuale). Questa circostanza ha comportato un’incidenza negativa non solamente in relazione alle (disattese) esigenze di razionalità433, ma anche rispetto alla conservazione del requisito della giustificatezza del rifiuto e della congruità del lavoro che viene offerto. Solamente attraverso la conservazione di questi elementi può essere salvaguardata la professionalità del lavoratore e la rilevanza di altri percorsi di vita o di lavoro che siano destinatari di considerazione sociale nel mercato.

Riprendendo quanto scritto poc’anzi, non bisogna però dimenticare che sono sempre state previste sanzioni contro l’abuso delle prestazioni previdenziali. Il carattere innovativo della condizionalità, infatti, non consiste nella decadenza delle prestazioni in conseguenza a scelte non conformi rispetto alla involontarietà della condizione di disoccupazione. Semmai è la pretesa di condizionare il comportamento dei disoccupati imponendo determinate condotte sul mercato del lavoro, attraverso il timore della decadenza, a costituire la novità delle politiche di attivazione espresse attraverso il sistema della condizionalità.

Dunque sotteso a queste politiche non c’è solo il rischio di una decisa compressione della qualità del lavoro e della libertà al lavoro, ma anche il pericolo di una carenza di efficacia della complessa strumentazione introdotta. È infatti evidente che la possibilità di essere ricollocati sul lavoro o di essere ricollocati prima dipende essenzialmente dal fatto che un lavoro – conforme ad

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un certo profilo professionale e reddituale – ci sia434. Dall’accento posto sulle politiche di attivazione si comprende che il legislatore non considera adeguatamente il fatto che la disoccupazione degli ultimi anni è essenzialmente frutto dell’incidenza della crisi sul mercato del lavoro e non dei limiti o delle inefficienze dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, tanto che le politiche attive potrebbero rendere «tutti i percettori di ammortizzatori in deroga (ma lo stesso può valere per la generalità degli interventi, nda) egualmente occupabili…ma…non riuscire a rioccuparne neanche uno»435. Senza adeguate politiche di sviluppo e crescita economica, l’idea che sia possibile incrementare la competitività dell’offerta di lavoro rendendo i singoli lavoratori sul mercato occupabili, formati e attivi mostra i propri limiti non solo per quanto riguarda la realizzazione degli obiettivi occupazionali, ma anche in relazione alla necessaria protezione sociale nei confronti di chi sia rimasto privo di lavoro436.

Un simile rischio, forse persino maggiore, riguarda anche l’obbligo di accettare un percorso formativo di riqualificazione. La decadenza in caso di rifiuto della formazione è giustificabile solo nel caso in cui il percorso sia finalizzato a una possibilità di lavoro concreta, trasformandosi altrimenti in una «aggiuntiva forma di penalizzazione per chi ha già subito la perdita del lavoro»437.

434

H.J.REINHARD –O.FAUFMANN, Activation from a legal point of view, op. cit., pag. 456-457.

435

M.BARBIERI, Ammortizzatori in deroga e modelli di welfare negli accordi Stato-

.Regioni e Regioni- Parti sociali in Riv. giur., lav., 2011, 2, pag. 396 s. 436

In questo senso, critica rispetto all’«ammaliante sirena della Sicurezza attiva» se non accompagnata da adeguate politiche redistributive del reddito, S.RENGA, La tutela

sociale dei lavori, op. cit., pag. 282 ss. 437

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2. La convivenza di diversi modelli di finanziamento delle tutele. Dalla