3. LA CONSULENZA DI MANAGEMENT IN ITALIA
3.4 Il lavoro autonomo di consulenza: tra luci e ombre
In Italia, le attività professionali sono state spesso sovrapposte alle attività in forma di libera professione, ma tuttavia questo modello di lavoro autonomo rappresenta solo in minima parte il fenomeno dell’autonomia nella consulenza di management.
Nel nostro paese, infatti, il sistema delle professioni è basato su un impianto giuridico di ispirazione corporativa che è basato sugli ordini, forme istituzionalizzate di controllo e di chiusura sociale dell’accesso alle professioni. Ciò che però rende il panorama del mercato occupazionale peculiare rispetto agli altri paesi europei è la presenza di tre tipologie diverse di professioni: le cosiddette professioni “protette” o regolate, le professioni riconosciute e le non regolamentate. Infatti, se l’Italia condivide con gli altri paesi dell’Europa continentale forme di regolamentazione pubblica delle professioni, è solo nel contesto italiano che vi è la tradizione di riconoscere e tutelare per legge non solo determinate competenze certificate dal titolo di studio, ma anche le attività che vi sono connesse (Cassese, 1999; Malatesta, 2006).
Alle nuove professioni del terziario avanzato cui fanno riferimento i consulenti di management corrisponde, in generale, il modello delle professioni cosiddette non regolamentate: è una forma giuridica residua, lasciata sostanzialmente aperta all’andamento del mercato, in cui vi sono alcune associazioni di categoria sorte in maniera volontaria che non rappresentano la totalità delle persone che esercitano questa professione, né sono state in grado di costituirsi come un sistema di public bodies sul modello inglese che possano garantire il rispetto di determinati standard di qualità e controllo nell’esercitazione dell’attività professionale dei loro membri. Le attività professionali che fanno riferimento al modello delle professioni non regolamentate non sono soggette ad alcuna regolamentazione pubblica, né ad alcun tipo di controllo sull’accesso al mercato o allo svolgimento della professione, ma tuttavia sono presenti – in modo sempre più importante – sul mercato del lavoro italiano (CNEL, 2005; AASTER, 2011). La mancata integrazione nel sistema tradizionale di esercizio dell’attività professionale comporta numerose conseguenze sul piano pratico: oltre all’impossibilità di garantire un adeguato sistema di credenziali per l’accesso alle professione, i professionisti non regolamentati si trovano inquadrati nella fattispecie del sistema INPS a gestione separata che determina una regolazione pubblica meno favorevole e più esosa sul piano della protezione sociale (Cucca, Maestripieri, 2012).
Per cercare di capire meglio le caratteristiche del lavoro autonomo in consulenza, l’indagine del 2006 condotta da APCO sui propri iscritti permette di chiarire alcuni punti rimasti oscuri delle due precedenti indagini, in quanto si tratta di un questionario rivolto soprattutto ai professionisti indipendenti. Nonostante i piccoli numeri e la non rappresentatività statistica del campione, l’indagine APCO rappresenta l’unica indagine fatta ad oggi in Italia sulla libera professione della consulenza di management: solo il 4,8% degli intervistati è in una condizione di dipendenza, mentre il 27,3% sono liberi professionisti, 3,8% collaboratori di studi professionali, 13,4% partner di studi professionali e nella maggioranza dei casi (49,1%) i rispondenti sono titolari di studi professionali. La grande maggioranza di questi consulenti opera in piccole strutture (il 32% lavora in strutture con meno di tre collaboratori) o lavora da solo (31%).
In linea con la popolazione di professionisti di seconda generazione, anche i consulenti operano o hanno la loro sede all’interno delle grandi città: nel 42% dei casi, infatti, si concentrano nelle 11
città che in Italia hanno più di 250.000 abitanti. Tuttavia, i clienti dei consulenti qui intervistati sono aziende di piccole dimensioni (circa il 50% dei rispondenti afferma che in generale i suoi clienti hanno fino a 10 milioni di euro di fatturato), clienti che si collocano soprattutto nella provincia ad industrialismo diffuso come il Nord-Est. Come ritratto generale, il consulente di quest’indagine è un lavoratore scolarizzato e maturo, se non quasi alla fine della carriera: solo l’8,8% dei consulenti ha meno di 35 anni, mentre il 61% della popolazione consultata ha più di 46 anni. Non sono presenti dati sul genere, ma si può ipotizzare che tale dato sia mancante a causa di una netta maggioranza maschile. Quasi il 60% del campione ha un diploma di laurea (sia vecchio ordinamento, che laurea triennale o specialistica) e nel circa 15% dei casi di un master a livello universitario.
Uno dei risultati più interessanti che emerge da questo campione è che più di un terzo degli intervistati ha iniziato la sua attività di consulenza a più di 40 anni. Una delle possibili spiegazioni è che la totale libertà di accesso a questo settore favorisca il reimpiego di chiunque abbia avuto in passato un’esperienza manageriale a fronte di un investimento complessivo limitato in termini di capitale. Questo dato non è eccentrico rispetto al più generale trend che emerge dall’analisi della trasformazione postindustriale: anche analizzando un’economia come quella statunitense, che è lontana dal modello dell’auto-impiego della terza Italia (Bagnasco, 1977), si conferma una ripresa dalle attività di lavoro autonomo, spesso con la nascita di nuove imprese di piccole dimensioni che lavorano sulla gestione della conoscenza e sulla produzione del sapere (Maione, 2001; Barley, Kunda, 2004). Dunque, il consulente di management freelance dell’indagine APCO è spesso un lavoratore che su sua iniziativa o spinto da un’espulsione dal mondo aziendale si è trovato a doversi ricollocare all’interno del mercato del lavoro: nel 57% dei casi è un ex-manager che si è ricollocato nel mercato della consulenza a seguito dell’uscita da aziende spesso attive nel settore produttivo e si sale fino al 62% se si considerano impiegati, quadri o dipendenti.
Riassumendo, il ritratto tipo del consulente indipendente di management è uomo, residente nelle aree metropolitane del Nord Italia, con un titolo di studio di livello universitario o superiore: è presente un numero consistente di lavoratori che scelgono questa carriera a seguito di un’uscita dal mondo aziendale dove precedentemente ricoprivano ruoli dirigenziali o di responsabilità (Cucca, Maestripieri, 2012).