Immigrazione e Stato sociale
86 IL LAVORO IMPORTATO viamente essere compiuto per allentare il vincolo di bilancia
dei pagamenti alla crescita del prodotto.
Per fissare le idee, immaginiamo che nell’ambito di poli- tiche di pieno impiego il governo di un paese europeo deci- desse di lanciare un vasto programma nazionale di edilizia popolare, essendo l’edilizia uno dei settori a minore conte- nuto d’importazioni e dunque tra i meno suscettibili di ge- nerare tensioni nei conti con l’estero. Ma se per la sua realiz- zazione, anziché manodopera autoctona, venisse impiegata manodopera immigrata, è come se il contenuto d’importa- zioni del programma fosse in realtà molto elevato dato che a non meno del 20% del suo intero valore corrisponderebbero degli esborsi all’estero costituiti da rimesse degli immigrati.
Le rimesse verso i rispettivi paesi d’origine vengono ef- fettuate dagli immigrati attraverso canali ufficiali e attraver- so canali informali, come per esempio i pulmini che fanno continuamente la spola tra i paesi dell’Europa occidentale e quelli dell’Europa dell’Est dai quali proviene la maggior par- te degli immigrati attualmente presenti nei primi. Per l’Italia è stato stimato che il flusso attraverso i canali informali sia tra 2 e 3 volte maggiore di quello che ha luogo attraverso i più costosi canali ufficiali e che attualmente il valore complessivo dei due flussi si aggiri annualmente tra i 20 e i 25 miliardi di euro. Si tratta di un ammontare dello stesso ordine di gran- dezza dell’intero valore delle importazioni di “macchinari e apparecchi meccanici” e pari a circa un terzo del valore delle importazioni complessive di prodotti dell’industria estrattiva (petrolio greggio e gas naturale inclusi).
5. A conclusione di questo capitolo desideriamo tuttavia sottolineare che la valutazione dei costi sociali dell’immigra- zione non può limitarsi alla considerazione dei suoi effetti sul bilancio dello Stato e sulla bilancia dei pagamenti. Essi includono il degrado della coesione sociale, in particolare il degrado della solidarietà di classe insieme a quello delle condizioni generali di vita dei ceti popolari; l’impatto su tali ceti esercitato della prossimità fisica a masse in miseria, la
IMMIGRAzIONE E STATO SOCIALE 87 paura di finire nelle sotto-classi le cui condizioni di vita si dispieghino quotidianamente sotto i propri occhi, una pau- ra che, come si è argomentato nel capitolo precedente, ac- cresce la propensione ad accettare salari minori e maggiore flessibilità. La presenza dei lavoratori immigrati e delle loro famiglie aggrava inoltre le insufficienze dei sistemi sanitario e abitativo, contribuendo a rendere edilizia popolare e sanità pubblica più difficilmente accessibili. Infine l’immigrazione contribuisce al degrado della scuola pubblica, quindi del livello culturale dei ceti popolari e della coesione sociale. Tra la popolazione scolastica ci sono in ogni caso differenze notevoli di linguaggio, comportamento e rendimento dovute alla diversa estrazione sociale delle sue componenti che la scuola pubblica riesce appena a scalfire. Ma le diversità cul- turali derivanti dall’origine di classe, pur certamente ardue da superare, impallidiscono di fronte a quelle connesse con ambienti naturali, costumi, tradizioni, credenze e idiomi tra loro lontanissimi. L’esperienza accumulata nel tempo da pa- esi come la Francia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti mostra niti- damente che quantità e qualità di insegnamento e di appren- dimento calano in proporzione al crescere in ciascuna classe del numero di figli di immigrati. Maturano così le condizioni per la formazione di costose e più efficienti reti di scuole pri- vate, l’accesso alle quali diviene condizione necessaria per sfuggire a semianalfabetismo ed emarginazione. Quanto ai figli degli autoctoni non in grado di permettersi tali scuole, tanto peggio per loro.
Nota bibliografica
La Commissione europea ha così sottolineato l’importanza crescente degli immigrati per la crescita dell’economia europea e per la sostenibilità dei nostri sistemi di protezione sociale, nella sua Agenda europea sulla migrazione (Bruxelles, 13 maggio 2015, p. 16): “L’Unione deve affrontare una serie di sfide economiche a lungo termine. La popolazione sta invecchiando e in assenza di immigrazione la popolazione dell’UE in età lavorativa diminuirà
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di 17.5 milioni di persone nel prossimo decennio. La migrazione sarà sempre di più un mezzo importante per rafforzare la stabilità dei nostri sistemi di protezione sociale e per garantire una crescita sostenibile dell’economia della UE”.
In Italia la tesi che “gli immigrati compensano il calo delle nascite” e che nei prossimi anni avremo sempre più bisogno di immigrati per “finanziare il nostro sistema di protezione sociale mano a mano che le generazioni di lavoratori autoctoni che en- trano nel mercato del lavoro diventeranno più piccole” è stata di recente ribadita dal presidente dell’Inps: si veda il XVI° Rapporto
annuale dell’Inps (luglio 2017) alle pp. 131-140, la presentazione
del rapporto alla Camera dei deputati il 4 luglio 2017 e l’audizione del presidente dell’Istituto davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sull’immigrazione del 20 luglio dello stesso anno.
Sulla sostenibilità del sistema pubblico di prestazioni sociali attraverso il perseguimento di politiche di pieno impiego, si veda M. Pivetti, The “Principle of scarcity”, pension policy and growth, in “Review of Political Economy”, vol. 18, n. 3, 2006, pp. 379-390, dove lo stesso aspetto demografico della questione viene conside- rato come in larga misura dipendente dall’orientamento della po- litica economica generale. A quest’ultimo riguardo si veda anche A. Barba, Previsioni demografiche e sostenibilità della spesa pensio-
nistica in Italia, in “Studi Economici”, n. 94, 2008, pp. 65-93. Il
calo del tasso di fertilità e della speranza di vita che accompagnò in Russia il peggioramento delle condizioni economiche e sociali nel decennio successivo alla fine dell’URSS è illustrato in C. Cabanne, E. Tchistiakova, La Russie. Perspectives économiques et sociales, Armand Colin, Parigi 2002; vedi anche E. Brainerd, d.M. Cutler,
Autopsy on an empire: understanding mortality in Russia and the former Soviet Union, in “Journal of Economic Perspectives”, vol.
19, n. 1, 2005, pp. 107-130. Sulle politiche familiari e il loro impat- to sul tasso di natalità, si veda M. Livi Bacci, Come cambia l’immi-
grazione in Italia e in Europa, in Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione, Fondazione Leone Moressa, il Mulino, Bologna
2017, in part. pp. 61-63; si veda anche C. Saraceno, Il welfare. Mo-
delli e dilemmi della cittadinanza sociale, il Mulino, Bologna 2013.
Sulle rimesse degli immigrati e la loro entità, si vedano: Cari- tas e Migrantes, XXV Rapporto Immigrazione. La cultura dell’in-
contro, Caritas Italiana, Roma 2016; Rapporto annuale sull’eco- nomia dell’immigrazione, Fondazione Leone Moressa, il Mulino,
Bologna 2017, cap. 5; C. Freund, N. Spatafora, Remittances,
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Economics”, vol. 82, n. 2, 2008; S. Puri, T. Ritzema, Migrant
worker remittances, micro-finance and the informal economy: prospects and issues, in “Working Paper”, n. 21, International
Migration Organization, Ginevra 1999.
Sull’impatto dell’immigrazione sulla qualità dell’insegnamen- to scolastico, merita vedere d. Ravitch, The Great School Years, Basic Books, New York 1988, una storia delle scuole di New York in cui l’autrice si sofferma sulla loro ottima qualità tra la metà degli anni Trenta e la metà degli anni Quaranta del secolo scorso, ossia “in un momento di tregua tra ondate di immigrazio- ne” (p. 239). Lo sviluppo in Francia di una costosa offerta privata diversificata e di buon livello, in risposta al degrado dell’insegna- mento pubblico, è ben analizzato in A. Parienty, School business.
Comme l’argent dynamite le système éducative, La découverte,
Parigi 2015. In Italia, la tendenza diffusa a inviluppare in astratte quanto opache nozioni di “pluricultura”, “multicultura” e “in- tercultura” la questione molto concreta dell’inevitabile contribu- to dato al degrado della scuola pubblica dalla presenza crescente in essa di figli di immigrati, ci sembra sia ben rappresentata da un’intervista concessa nel gennaio 2018 al periodico “Educazione & Scuola” da Marina Catricalà (direttrice del centro linguistico dell’università per stranieri di Siena); ma si veda anche V. Ongini,
Noi domani. Un viaggio nella scuola multiculturale, Laterza, Bari
2011.
Merita infine di essere segnalata la discussione sugli effetti ne- gativi dell’immigrazione sul benessere sociale attraverso un’accre- sciuta densità della popolazione (autoctona e immigrata) in A. Tur- ner, Do we need more immigrants and babies?, in “London School of Economics”, 28 novembre 2007. Oltre che sugli effetti negativi connessi con la mera crescita della popolazione, il demografo d. Coleman, in un suo rapporto del 2007 al House of Lords Select
Committee on Economic Affairs si sofferma su quelli connessi con
le difficoltà dell’integrazione, a lungo discussi anche in P. Collier,