• Non ci sono risultati.

Le altre Italie: Veneto, Marche, Toscana e Puglia

Parte II Dentro la cris

4. Il “lavoro della crisi” nei territori Percorsi di ascolto

4.3 Le altre Italie: Veneto, Marche, Toscana e Puglia

Il secondo percorso di ascolto (che ha occupato la seconda giornata di lavoro) ha riguardato, come si è detto, alcune realtà costitutive di quelle che abbiamo chiamato “le altre Italie” (per differenziarle appunto dalle aree metropolitane e dai grandi o grandissimi centro capoluogo di Regione): la provincia veneta di Rovigo, l'area toscana di Prato, la zona marchigiana del maceratese e del piceno, il contesto pugliese rappresentato da Andria.

Riportiamo qui di seguito ampi stralci delle testimonianze prestate e degli interventi più significativi per comprendere una realtà assai variegata e differenziata.

4.3.1 Rovigo

Alessandro Sovera (Osservatorio sulla povertà delle risorse della Caritas di Rovigo):

“L’Osservatorio si occupa di analizzare sul territorio non solo le povertà ma anche le risorse disponibili, per poter fare incontrare la domanda e l’offerta in questo settore.

189 Premetto che il territorio di Rovigo è particolare, ha una configurazione socio-economica

diversa rispetto alla regione Veneto, esce dagli schemi e dai luoghi comuni di un territorio ricco. Il reddito pro capite di Rovigo è sensibilmente più basso rispetto alla media del Veneto e del nord-est in generale. La Caritas, in Veneto, ha in attivo solo la Caritas Diocesana di Rovigo, quindi opera sostanzialmente solo a Rovigo. Abbiamo una rete territoriale informale ma non abbiamo una disponibilità di dati e studi che siano portati avanti da strutture satelliti della Caritas; quindi riferirò ciò che esperiamo noi a Rovigo, che presenta realtà territoriali molto diverse tra loro.

Abbiamo una popolazione sensibilmente più vecchia rispetto alla media nazionale e alla media del nord-est; al contrario noi in Caritas abbiamo un’utenza molto giovane, nel senso che chi viene a chiedere aiuto alla Caritas, sia per la struttura dei nostri servizi, sia per una maggiore instabilità della fascia d’età medio-bassa, il 60% dei richiedenti, ha un’età compresa tra 30 e 50 anni.

Negli ultimi due anni abbiamo strutturato un sistema di rete con gli altri Osservatori Caritas del nord-est, con un unico database in rete condiviso, un sistema statistico (Oscar 2), che ci permette di “mappare” la mobilità sociale delle persone, soprattutto per le marginalità molto forti. L’alta mobilità delle persone, che si trovano in condizioni di povertà estrema, soprattutto straniere, è un dato da registrare: si tratta di un fitto itinerare attraverso le realtà del nord e soprattutto verso le realtà venete, inseguendo le offerte di lavoro territoriali.

Ciò che è aumentato negli ultimi due anni è la richiesta di accesso al credito e dunque la richiesta di integrazione del reddito: noi abbiamo un microcredito sociale al consumo. Si è riscontrato un aumento esponenziale, soprattutto a partire dal 2008, sia da parte di famiglie che hanno difficoltà ad accedere al circuito creditizio bancario standard, sia da persone che vivono al limite della soglia di povertà, per le quali un indebitamento ulteriore, in base ai canoni bancari tradizionali, comporterebbe il rischio di finire ulteriormente al di sotto della soglia di povertà. Il microcredito sociale viene fatto con un interesse bassissimo, per limitare i danni dell’indebitamento. Questa richiesta ha un’utenza prevalentemente straniera (l’80% è straniero); l’anno scorso il centro di Rovigo ha visto un migliaio di utenti. Le persone straniere si dividono in 90 nazionalità diverse, ma alcune hanno poche presenze. Bisogna tener presente che per gli italiani è più stigmatizzante rivolgersi alla Caritas, rispetto ai servizi pubblici.

Quello che noi abbiamo notato in merito alla crisi economica non è tanto un incremento di utenza, se non nell’accesso al microcredito, ma la maggiore difficoltà di “sganciare” le persone dal circuito assistenziale, minore possibilità di far reintegrare le persone attraverso i percorsi di accompagnamento. Ciò riguarda soprattutto le opportunità di lavoro, che a Rovigo non sono presenti come nelle altre città venete come Treviso, Padova e Verona. Le opportunità sono già carenti; se si riducono ulteriormente è chiaro che si rischia una permanenza nei circuiti assistenziali molto più lunga. Se a ciò aggiungiamo che l’età media della popolazione è comunque più alta rispetto ad una media nazionale e le persone che hanno maggiori difficoltà di inserimento lavorativo sono quelle comprese nella fascia dai 40 ai 60, è vero che, come ho detto la nostra utenza è più giovane rispetto alla media territoriale, ma il rischio è che si prolunghi il periodo assistenziale e che quindi, nel corso del tempo, si invecchi la nostra utenza” .

190 Sindaco del Comune di Rovigo:

«Rappresento 41 sindaci, perché il nostro territorio lavora in rete per quanto riguarda il sociale e la progettualità sulle povertà. Noi come comuni riscontriamo un alto numero di chiusure di attività produttive, un fenomeno che sta sconvolgendo la vita delle famiglie. La nostra realtà era impostata su un ciclo di studio breve (diploma) rispetto ad un ciclo di studio lungo (università), al quale seguiva un lavoro soprattutto manuale. La chiusura di queste attività produttive ha messo in crisi queste famiglie, anche perché si trovano in uno stato di disparità culturale rispetto a chi ha proseguito gli studi.

Mentre gli anni scorsi chi proveniva dagli altri Stati aveva una manodopera meno qualificata, ora verifichiamo che queste persone hanno una manodopera molto qualificata e vanno a coprire molto bene posti lavorativi che i nostri concittadini non intendono, o almeno non intendevano, fare.

I Comuni hanno una scarsa disponibilità di risorse economiche, a cui va trovata una soluzione. Noi come enti locali dovremmo fare politiche a lungo termine. L’idea di rendere flessibile il lavoro ha reso tutto precario, soprattutto per i giovani. Io distinguerei le povertà economiche da quelle culturali, un giovane che non ha la possibilità di sposarsi e comprare una casa è in uno stato di povertà culturale.

Cosa fare? Non è facile. La spesa sociale deve essere reale e non fittizia, dobbiamo diminuire le disparità tra ricchi e poveri. La somma di piccoli risparmi è indispensabile. La ricchezza di questa regione deve essere ripartita in base a criteri di equità sociale. I Comuni sono chiamati in prima linea per fare questo, ma con scarse risorse non solo economiche ma anche professionali.

Noi non siamo in grado di dare risposte. Abbiamo presentato vari progetti, alla Regione e alla Comunità Europea, ma nessuno è stato accettato. Il reddito minimo di inserimento è fallito, ma perché è nato male, al mio Comune sono arrivati tanti di quei soldi che non siamo stati capaci di spendere, e li abbiamo rimandati indietro, ciò perché non c’erano normative e regolamenti e perché il Rmi non era un reddito reale di inserimento alle attività lavorative ma solo un sussidio.

La regione Veneto ha preso come campione la città di Rovigo per il Rui (Reddito di ultima istanza), noi abbiamo cercato di portarlo non solo nella città di Rovigo, ma anche nei piccoli comuni, ciò non è stato condiviso dalla Regione.

Anche noi, come la Caritas, attraverso un Consorzio, diamo il prestito d’onore, ma sicuramente ciò non risolve i problemi della povertà, che invece devono essere contrastati con investimenti nel sociale. Un bravo amministratore deve investire un 40-50% del bilancio nel sociale.

Ci sono difficoltà diffuse, è tempo di modificare anche gli ordinamenti che riguardano i diversi e molteplici enti locali italiani».

Vittorio Baldo (Organizzazioni Sindacali di Rovigo):

«Siamo di fronte ad una profonda crisi. La paura dei licenziamenti è diffusa. Noi a differenza del Veneto siamo contraddistinti da un lavoro di stampo artigianale, e dunque, la povertà qui arriva prima, perché questo settore presenta minori protezioni sociali (ammortizzatori sociali). Il periodo di cassa integrazione degli artigiani non supera i 6 mesi, diversamente dal settore industriale dove si prolunga fino a 4 anni.

E’ importante una collaborazione tra gli enti locali ed i soggetti sociali, per tamponare la grossa crisi. Ho fiducia perché come Sindacato abbiamo cercato di promuovere associazioni di volontariato, che oggi credo siano quasi le uniche a lavorare attivamente, date le forti problematiche del settore pubblico.

191 Rovigo è un Comune di 246 mila persone, i pensionati sono 89.858, il 25% della

popolazione ha pensioni minime inferiori a 443 euro (22.053 persone), il 30% della popolazione ha una pensione che varia dai 443 euro a 580 euro (27.589 persone), il 27% da 580 euro a 1000 euro (24.586 persone), il 14% da 1000 euro a 2000 euro (13.000 persone), oltre 2000 il 2% della popolazione (1.821 persone). Ciò è esemplificativo. Ci sono anziani non supportati da figli o parenti che faticano ad arrivare a fine mese.

Dati 2007-2008 sulla disoccupazione: il numero di industrie in cassa integrazione è aumentato da 1.108 nel 2007 a 2.048 nel 2008 , ci saranno ancora interventi di cassa integrazione nell’industria.

Una situazione, dunque, molto precaria».

Carlo Zagato (presidente Cooperativa sociale di Rovigo):

«Sono il presidente di una Cooperativa sociale per senza dimora, rifugiati e disabili, che lavora nel settore dell’inserimento lavorativo e dei servizi.

Il ruolo del terzo settore, come i servizi alle persone, presenta sintomi di declino, la retribuzione media degli operatori del terzo settore non supera i 1000 euro al mese, spesso è nettamente al di sotto, la carriera è contraddistinta da contratti atipici e continue interruzioni. Una previsione facile da fare: gli addetti del terzo settore saranno i pensionati poveri del futuro. Dopo 25-40 anni di carriera in media la pensione non supera i 300-400 euro mensili. Situazione paradossale in cui essi stessi rappresentano una sacca di povertà.

Si attesta una significativa riduzione dell’età degli utenti e un’accelerazione dei tempi di svolgimento dei percorsi di esclusione sociale, se guardiamo alla punta estrema della scala di povertà, rappresentata dai senza dimora, le possibilità di cadere in questi percorsi di impoverimento è maggiore rispetto a dieci anni fa.

In riferimento a ciò porto un esempio di buona prassi nel comune di Rovigo, una Rete territoriale per senza dimora, un coordinamento di associazioni no profit e di pubbliche amministrazioni che operano sul territorio del medio-alto polesine, ma soprattutto orientato al capoluogo. Una rete finanziata sia dalla Regione Veneto che da un fondo di solidarietà intercomunale, che anche se modesto, indica una strada diretta verso la costituzione di fondi, di una rete di solidarietà e di una gestione associata o intercomunale di alcuni servizi.

Il profilo di utenza ammonta a 2000 persone, riferite soprattutto alla città di Rovigo, che come dicevamo, è un po’ più povera rispetto alle altre province del nord-est, che in realtà non sono così ricche come si apprende erroneamente dalla stampa, in quanto, in Veneto, c’è una forbice molto ampia tra i redditi più bassi e quelli più alti, è vero che ci sono molti ricchi , ma è anche vero che ci sono molti poveri; nella città di Rovigo su circa 35 mila contribuenti un 35% ha un reddito inferiore a 15 mila euro (molti pensionati) e circa 4000 contribuenti hanno un reddito inferiore a 10 mia euro e risulta importante la fetta che ha un reddito inferiore ai 6 mila euro, tutti cittadini che hanno bisogno di servizi alla persona.

Se noi usiamo gli indicatori Istat di povertà relativa e assoluta, a Rovigo ci sono circa 12- 13 mila individui sotto la soglia di povertà relativa e almeno 8 mila sotto la soglia di povertà assoluta.

Per quanto riguarda le povertà estrema questa rete incrocia ogni anno circa 1500 persone di cui 250 necessitano di ricoveri in strutture di accoglienza notturna, circa 400 hanno bisogno delle mense cittadine, un numero che è aumentato molto in questi ultimi anni, sia per la presenza dei cittadini stranieri sia per un maggiore accesso dei cittadini italiani; 1500-2000 persone hanno bisogno di beni di prima necessità (alimenti, vestititi, legna per

192 l’inverno, etc.), attività svolte dal volontariato che supportano le entrate indirette del

reddito.

Non abbiamo dati pubblici, poiché il pubblico fatica a raccogliere i dati sui servizi alle persone, ma il dato del comune di Rovigo più rappresentativo è che nel primo trimestre 2009 ci sono state 500 richieste di contributo economico, mentre nel 2008 per tutto l’anno ci sono state 850 richieste. Un aumento, dunque esponenziale.

Qui vigono i canoni di locazioni più bassi rispetto al nord est, ma c’è un incremento di domande di edilizia residenziale pubblica, che non trovano risposta (solo 5% di case assegnate). Per gli sfratti è molto difficile avere una serie storica, ma indubbiamente in aumento, a Rovigo ci sono 170 sfratti esecutivi all’anno dovuti a morosità, che coinvolgono spesso gli immigrati.

Nel caso dei cittadini immigrati, si stanno diffondendo sempre più disagi psichici e dipendenze da alcool e droga, problematiche che non trovano risposta, poiché i servizi assistenziali sono in parte impreparati.

Rispetto ai meccanismi generatori, indubbiamente la crisi occupazionale è uno dei primari meccanismi, una sorta di catalizzatore, che rende più espliciti i meccanismi di esclusione sociale. Sulla disoccupazione c’è una guerra tra le cifre, oggi ci troviamo su un tasso sopra al 10%.

Come ho sottolineato prima il terzo settore risulta debole soprattutto dal punto di vista economico, le Fondazioni bancarie hanno annunciato che taglieranno per l’anno prossimo una consistente fetta di finanziamento.

Il fenomeno migratorio ha avuto un aumento in questi ultimi anni, non tanto per la richiesta di lavoro, ma perché a Rovigo vige un minor costo della vita, ha una posizione strategica, viene usata come città di permanenza per fare il pendolare. L’immigrazione è arrivata ad un livello avanzato, ci sono stati molti ricongiungimenti familiari, e un aumento della presenza della seconda generazione, quella che ha maggior bisogno dei servizi alla persona. Si innesca una competizione per accedere ai servizi sociali e ciò genera conflitti sociali.

Per le politiche di contrasto, ci sono elementi di fragilità, uno di questi è la frammentazione dei sistemi dei servizi alla persona, in un territorio in cui l’80% dei comuni ha un bilancio sociale (spesa corrente) inferiore ai 200 mila euro, ed ovviamente sappiamo che solo una parte verrà investita in servizi alla persona, è quasi impossibile gestire il territorio con questo budget.

Da noi la spesa sociale corrente è inferiore rispetto alle province confinanti, i dati sui bilanci preventivi 2008 (spesa media pro capite): 96 euro nella provincia di Rovigo, 118 a Padova e 176 a Ferrara, situata in un’altra regione e dunque con priorità e strategie diverse. Si attesta una forte disomogeneità di spesa, ci sono comuni che spendono 32 euro per abitante ed altri 149 euro, ciò si attesta all’interno della stessa provincia.

Incidenza del 22% degli ultra 65enni, previsione nel 2013 in Polesia ci saranno 5 anziani per 1 giovane, un rapporto che è attenuato solo dal fenomeno immigrazione.

In questa situazione si sono generate anche buone prassi come: la nascita di Osservatori come quello della Caritas diocesana, nella provincia di Rovigo, la Rete territoriale per senza dimora che consente di osservare una serie storica che va dal 2003 ad oggi, molti dati comunali, ma che devono essere elaborati, si potrebbe fare un piccolo investimento in tal senso, e la sperimentazione del Rmi che aveva dei nodi di criticità, ma che andrebbe ripreso ed affiancato dai servizi.

La Fondazione di Cassa di Risparmio di Padova e Caritas hanno istituito un fondo sociale di solidarietà, circa 300 mila euro destinate alle famiglie, colpite dalla crisi occupazionale, non adeguatamente coperte dagli ammortizzatori sociali.

193 Per quanto riguarda il rapporto tra politiche sociali e nazionali si rileva la mancata

definizione dei livelli minimi di prestazioni sociali, che rende i servizi ed i diritti sociali assolutamente incerti.

La maggior parte delle imprese sociali lavora su convenzioni annuali e ciò limita gli investimenti.

Un’altra buona prassi riguarda un modello di intervento messo in atto da una rete di circa 40 comuni che ha la finalità di stabilizzare la spesa sociale tramite un organizzazione associata».

4.3.2 Prato

Maria Luigia Stancari (Assessore diritti, programmazione e interventi sociali di Prato):

«Prato è caratterizzato da un tessuto di medie e piccole imprese artigianali ed industriali, la crisi del settore tessile qui è giunta prima della crisi nazionale. La richiesta di aiuto è altissima. Prato fino a pochi anni fa era considerata una città ricca, ma oggi si trova in una condizione di forte crisi, dove 1 lavoratore su 4 è disoccupato, 10 mila posti di lavoro dipendente persi negli ultimi anni e migliaia di aziende artigiane che hanno cessato l’attività, dunque non si rivolgono ai servizi sociali solo i lavoratori dipendenti che hanno perso il lavoro ma anche il piccolo artigiano, che ha perso il lavoro o ha una pensione molto bassa.

Si è rilevata un’altra emergenza che è quella della casa. L’anno scorso Prato è stata la città che ha avuto la più alta percentuale di sfratti per morosità in Italia, avevamo 747 sfratti per morosità.

Un altro aspetto cruciale è quello degli anziani non autosufficienti. Siamo in un percorso di trasformazione radicale, dobbiamo avere le capacità di dare risposte adeguate. Ci sono povertà vecchie e nuove.

Prato ha 187 mila abitanti e la provincia 250 mila abitanti, dunque una piccola realtà, per la quale abbiamo messo in atto le Borse Lavoro, mettendo a disposizione i nostri fondi comunali ed attuando un Protocollo di Intesa con gli altri comuni, la provincia e l’Asl. Si propongono percorsi di formazione e di inserimento lavorativo da 3 ai 6 mesi, che hanno attestato fino al 60-70% di assunzioni dirette, ovviamente non più nel tessile, ma volgendosi verso forme di lavoro flessibile. Ciò è stato sostenuto economicamente dalla Provincia di Prato che è riuscita ad avere un finanziamento europeo di 1 milione di euro per il sostegno al reddito, tramutati in vaucher formativi dati ai disoccupati che non hanno ammortizzatori sociali. Nel 2008 siamo riusciti a fare 296 inserimenti lavorativi.

Un’altra iniziativa è la sperimentazione delle Società della Salute, per il settore socio- sanitario, che in area toscana è stata legiferata nel novembre scorso, ciò ha dato la possibilità a 7 comuni di lavorare insieme.

Per il discorso casa si è avuto un aumento esponenziale di richieste di case popolari, Prato è una città che aveva un benessere molto diffuso e dunque ha a disposizione un esiguo numero di case popolari. Dal 2007 stiamo lavorando molto sul sistema urbanistico, abbiamo costruito, insieme alle cooperative, 150 alloggi popolari ed istituito un’agenzia sociale che fa da tramite tra il proprietario e l’utente, una sinergia che sta dando buoni frutti. Abbiamo chiuso tutti i recidences non dignitosi e messo insieme 23 alloggi per l’emergenza alloggiativa.

Un altro discorso importante è quello della non autosufficienza , abbiamo una legge regionale che attraverso le Società della Salute viene messa in atto, è importante la

194 definizione nazionale dei livelli essenziali di assistenza sociale, una carenza che ha delle

pesanti conseguenze locali.

E’stato attuato un taglio del 30% dei finanziamenti alle regioni riguardo al sociale. Abbiamo avuto delle profonde difficoltà di bilancio sia per i tagli sia per i ritardi, abbiamo avuto 2 milioni e mezzo di euro in meno rispetto all’Ici, che avevamo incassato nel 2007».

Idalia Venco (Caritas di Prato) :

«Il lavoro di rete è fondamentale in questa situazione di crisi. Come tutte le Caritas della Toscana siamo collegati in rete con un programma ed abbiamo un Osservatorio che tutti gli anni fa una pubblicazione, tramite un contributo della regione Toscana, che viene messa in relazione con le realtà locali per una lettura multidimensionale.

Prato ha subito e subisce tuttora una crisi del tessile iniziata già dal 2004 che è aumentata nel tempo.

Nel 2003 presso i centri di ascolto della Caritas si contavano 1.494 colloqui, nel 2008 sono aumentati a 5.600, nel primo trimestre del 2009 ci sono stati per gli italiani 1.264 colloqui (di cui 81 nuove presenze) per le persone immigrate 2.675 (di cui 387 nuove presenze). Tra le persone prese in carico dalla Caritas si attesta un aumento della presenza femminile (60%) l’utenza caratterizzata dagli immigrati ha un’età media che va dai 25 ai 34 anni, l’utenza italiana dai 35 ai 55 anni.

I nuovi richiedenti sono persone che fino a poco tempo prima avevano una stabilità economica. Molto spesso la povertà genera altre povertà del disagio all’interno dello stesso nucleo familiare, poiché la crisi economica si tramuta in una crisi di relazione che porta spesso a separazioni o divorzi ed una serie di problematiche. Molto spesso non c’è conoscenza sui servizi dell’assistenza sociale.

Per rispondere a questi bisogni nel 2003 il nostro vescovo ha creato un Fondo per le famiglie che non possono accedere ad altri ammortizzatori sociali. In questi 5 anni