Così delineato lo stato dell’arte in tema di condotte lato sensu abusive e conseguenze sanzionatorie, era inevitabile che, nell’ottica di una generale riforma del sistema tributario il legislatore intervenisse anche sul punto.
In particolare, l’art. 8 della citata delle delega n. 23/2014 demandava al Governo il compito di procedere alla «revisione del sistema sanzionatorio penale tributario secondo criteri di predeterminazione e di proporzionalità
64 G.M. FLICK, Abuso del diritto ed elusione fiscale: quale rilevanza penale?, cit., p. 465 e ss., rileva, inoltre, che proprio la “mancanza di valide ragioni economiche”, principale indice di elusività di un’operazione, rappresenta «l’elemento al cui interno si insedierebbero spazi inammissibili di discrezionalità giudiziaria, difficilmente gestibili, a causa dell’elevato tecnicismo di molte operazioni economiche, e comunque in radice incompatibili con lo svolgimento di un’attività – quella imprenditoriale – la cui libertà è espressamente sancita anche in sede costituzionale»; ID., Reati fiscali, principio di legalità e ne bis in idem:
variazioni italiane su un tema europeo, cit., pp. 7 - 8.
65 L.R. CORRADO, La rilevanza penale ecc., cit., p. 375 - 376, ritiene che «diversamente opinando, si altererebbe “quel rapporto di fiducia tra il cittadino e l’autorità che fa, tra l’altro, da premessa alla stessa disponibilità del reo a sottoporsi al procedimento rieducativo” e sarebbe compromesso il carattere personale della responsabilità (art. 27, commi 1 e 3, Cost.)».
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rispetto alla gravità dei comportamenti» attraverso, tra gli altri criteri direttivi,
«l’individuazione dei confini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione fiscale e delle relative conseguenze sanzionatorie».
Come anticipato, un primo intervento in tal senso fu operato dallo stesso d.lgs. 128/2015 che ha introdotto nello Statuto del Contribunete l’art. 10-bis, a mente del quale: «Le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie»
66.
In tal modo il legislatore ha voluto, almeno sotto il profilo penale, risolvere il problema della dicotomia tra elusione ed evasione fiscale, riconducendo nel novero delle disposizioni penali-tributarie solamente la seconda fattispecie, sebbene, come si dirà, i contorni delle due figure non sono ancora ben definiti, con negative conseguenze sull’effettiva portata dell’intervento legislativo.
Sul piano amministrativo, invece, in linea di continuità con la consolidata giurisprudenza, ha confermato la sanzionabilità delle condotte abusive, senza peraltro fornire, neppure in tal caso, alcuna ulteriore indicazione al di la della mera petizione di principio
67.
Poco tempo dopo all’intervento normativo in parola, il legislatore al fine di dare attuazione alla delega per la riforma dell’apparato sanzionatorio tributario, ha varato il d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158
68.
Segnatamente, per ciò che interessa il presente lavoro, rilevano le modifiche apportate da quest’ultimo decreto all’art. 1 del d.lgs. 74/2000, nel
66 Art. 10-bis, comma 13, L. 212/2000.
67 Con ciò, invece, ponendosi in contrasto con la giurisprudenza europea che, come più volte ricordato, fin dal caso Halifax ha escluso che le contestazioni di abuso del diritto potessero condurre anche ad una sanzione giacché questa presuppone un fondamento chiaro e univoco.
Come ricordato nel capitolo precedente, peraltro, anche sul piano europeo sembra che tale impostazione non sia più così solida, giacché la Direttiva UE 2016/1164, pur applicabile solamente alle imprese, riconosce agli Stati membri il diritto di prevedere specifiche sanzioni per le violazioni della clausola generale antiabuso. Cfr. supra, Cap. I, par. 2.2, e Cap. II, par. 5.
68 “Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell'articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23”. Per una panoramica complessiva su tale intervento normativo, cfr., di recente, M.ALLENA, Il sistema delle sanzioni amministrative tributarie a poco più di un anno dalla riforma operata dal d.lgs. n. 158/2015, in Boll. trib., n. 7/2017, pp. 503 e ss.
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quale sono state aggiunte le definizioni di “operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente” e di “mezzi fraudolenti”.
Invero, ai sensi della nuova lett. g-bis) della predetta disposizione, nella prima categoria rientrano «le operazioni apparenti, diverse da quelle disciplinate dall’articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte ovvero le operazioni riferite a soggetti fittiziamente interposti»; la successiva lettera g-ter) identifica, invece, i “mezzi fraudolenti” con le «condotte artificiose attive nonché quelle omissive realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico, che determinano una falsa rappresentazione della realtà».
Si tratta di precisazioni opportune, giacché con la prima definizione il legislatore ha voluto chiarire che le ipotesi di simulazione attengono all’evasione e, perciò, devono essere tenute distinte dalle operazioni abusive
69. Ulteriori indicazione possono trarsi, inoltre, ai fini che qui interessano, dalla seconda enunciazione che, letta a contrario, può oggi essere interpretata per superare l’impostazione giurisprudenziale che riconduceva il concetto di abuso del diritto – o di elusione che dir si voglia – in quello di evasione, in quanto il primo è ontologicamente incompatibile con la violazione di specifici obblighi tributari e con la mendace rappresentazione della realtà
70.
69 Molto chiara, sul punto Cass. Pen., sez. III, 20.04.2016 (dep. 16.11.2016), n. 48293, che al § 2.1 afferma che, stante la nuova definizione di “operazioni simulate oggettivamente e soggettivamente” contenuta all’art. 1, lett. g-bis d.lgs. 74/2000, la rilevanza penale è stata confinata «alle sole operazioni poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto od in parte, o riferite a soggetti fittiziamente interposti, il legislatore ha escluso la rilevanza penale delle operazioni meramente elusive, nelle quali, come nella specie, venga adottato uno schermo negoziale articolato (quale quello descritto) allo scopo di conseguire un indebito vantaggio fiscale, in relazione, però, ad una operazione economica realmente verificatasi e che ha dato luogo a flussi finanziari effettivi ed al trasferimento di diritti».
70 F.GALLO,L’abuso del diritto in materia tributaria ecc., cit., pp. 177 e ss.; ID., La nuova frontiera dell’abuso del diritto in materia fiscale, cit., p. 1339; L. DEL FEDERICO, op. cit., p.
192, osserva che dalle definizioni contenute nell’art. 1, lett. g-bis) e g-ter) in parola emerge, in sintesi, che «l’apparenza, declinata in termini di difformità tra quanto viene rappresentato ai terzi e quanto e invece voluto (realizzato) dalle parti, assume rilievo penale, mentre la strumentalizzazione reale ed effettiva, delle forme negoziali e/o delle lacune normative, in cui rappresentato e voluto (realizzato) coincidono nella loro effettività e materialità, ha mero rilievo amministrativo»; L. PICOTTI, op. cit., p. 17, nota che con la nuova formulazione è
«radicalmente superata l’ipotesi di indicazione di elementi meramente “fittizi”, sulla cui interpretazione in senso normativo (anziché di inesistenza “naturalistica”) si era
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Nondimeno, diversi commentatori hanno criticato l’operato del legislatore, evidenziando la mancata attuazione della delega in ordine alla necessità di prevedere una graduazione nelle sanzioni previste per le fattispecie abusive e di evasione, nonché di definire con maggiore chiarezza i confini tra le due
71.
A ben vedere, infatti, l’unica graduazione operata dal legislatore delegato è stata escludere la rilevanza penale delle prime
72, così riconoscendo una minore gravità delle stesse, senza tuttavia intervenire sul piano amministrativo, il che è all’evidenza incoerente e consegna agli interpreti un sistema in cui, come nel passato, condotte dotate di una diversa carica antigiuridica, oggi implicitamente riconosciuta dallo stesso ordinamento, sono sottoposte alle medesime sanzioni
73.
precedentemente basata la giurisprudenza sopra esaminata per dare rilevanza penale anche alle condotte “elusive”».
71 Già in sede di commento della legge delega F.GALLO,Brevi considerazioni ecc., cit., p. 951, rilevava che «proprio il riferimento della legge delega alla “individuazione dei confini” tra evasione ed elusione dovrebbe dimostrare come il legislatore delegante abbia chiaramente avvertito la necessità di una gradazione di gravità tra le condotte che integrano una violazione diretta di disposizioni normative e quelle che ne “aggirano” la ratio». Lo stesso autore, peraltro, evidenziava anche la poca chiarezza e ambiguità del criterio direttivo indicato dall’art.
8, c. 1, citato, rispetto al quale il legislatore delegante «Poteva forse esporsi un po’ di più prendendo una più precisa posizione sul dibattuto quanto controverso tema della rilevanza penale dell’elusione!».
72 F.GALLO,L’abuso del diritto in materia tributaria ecc., cit., pp. 177 e ss.
73 All’opposto, A. MERONE, op. cit., ribadendo la sostanziale equiparazione tra elusione ed evasine, ritiene che la scelta di escludere la rilevanza penale delle condotte abusive «È irrazionale, perché, se l’evasione (è questo il risultato economico dell’indebito risparmio fiscale) mediante abuso merita un intervento sanzionatorio di tipo affettivo, non si comprende il motivo per cui si debba escludere a priori l’applicazione di sanzioni di maggiore deterrenza quando il fatto sia di maggiore gravità. È illegittima, perché l’art. 5 l. 11.3.2014, n. 23, non contiene alcuna delega per legiferare in tema di rilevanza penale dell’abuso. L’art. 8 della stessa legge, relativo alla revisione del sistema sanzionatorio, prevede soltanto che si proceda alla “individuazione dei confini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione fiscale e delle relative conseguenze sanzionatorie”. Ma, tracciare la linea di confine tra tipi di illecito è cosa diversa dallo escludere ex lege che le operazioni abusive possono dar luogo a fatti punibili penalmente». Anche per A.GIOVANNINI,L’abuso del diritto nella legge delega fiscale, cit., pp.
231 e ss., «la distinzione tra evasione ed abuso fotografa non già due fenomeni tra di loro diversi e separati, come si sostiene per negare la sanzionabilità dell’abuso (o impropriamente dell’elusione), ma due profili del medesimo fenomeno: l’abuso descrive la condotta, l’evasione il risultato», in quanto, ritiene l’A., «l’abuso connota un comportamento artificioso o inteso ad usare la legge in maniera impropria; l’evasione, invece, è il risultato – l’evento, appunto – che accomuna tutte le condotte, siano esse riconducibili alla violazione della buona fede oggettiva e quindi alla violazione del divieto d’abuso, siano esse di sottrazione o occultamento del reddito, comprese quelle simulatorie che si pongono senz’altro al di fuori dell'abuso».
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In particolare, è stato evidenziato in dottrina che anche l’apparato sanzionatorio post-riforma sia afflitto, con riferimento all’abuso del diritto, dai medesimi problemi strutturali che caratterizzavano il sistema previgente in termini di rispetto dei principi di legalità e proporzionalità che devono caratterizzare anche le norme punitive tributarie
74.
Ancora oggi, infatti, l’individuazione della sanzione applicabile e la sua quantificazione sono lasciate alla discrezionalità del soggetto al quale è demandato l’accertamento, il che si pone in evidente contrasto con il richiamato principio di legalità, non potendosi lo stesso ritenere rispettato dalla generica statuizione, contenuta nell’art. 10-bis, della sanzionabilità delle condotte abusive, peraltro espressa in termini di continuità al sistema previgente nel quale tuttavia, come detto, la circostanza non era affatto pacifica
75.
In breve, il legislatore delegato non ha risolto le problematiche relative alla peculiare natura dell’abuso del diritto e, anzi, le ha probabilmente aggravate distinguendolo formalmente dall’evasione fiscale alla quale, dunque, non può più essere equiparato come invece sostenuto dalla giurisprudenza e da una parte della dottrina nella vigenza del precedente sistema per giustificare l’applicazione di quelle sanzioni che, tuttavia, oggi risultano ancora applicabili.
Non solo. Nel sistema previgente, come ricordato, l’irrogazione di una sanzione presupponeva che la condotta fosse riconducibile a una fattispecie individuate dalla legge e, principalmente, dall’art. 37-bis, comma 3, D.P.R.
600/1973. L’art. 10-bis, tuttavia, in quanto clausola generale, non identifica alcuna, specifica condotta abusiva, limitandosi a definire il concetto di abuso che, nonostante gli sforzi del legislatore, rimane – e non potrebbe essere
74 Lo ricorda A. SALVATORE,op. cit., p. 1296.
75 G. CONSOLO, La sanzionabilità amministrativa dell’abuso del diritto fiscale nella nuova clausola generale, in C. Glendi - C. Consolo - A. Contrino (a cura di), op. cit., p. 60; L. DEL
FEDERICO, op. cit., p. 181;A.CARINCI -D.DEOTTO, op. cit., pp. 3107 e ss., osservano al riguardo che «la sanzionabilità amministrativa dell’abuso avrebbe meritato un’affermazione meno categorica ed apodittica di quella adottata e piuttosto la previsione, in maniera più sistematica, di sanzioni apposite e dedicate».
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altrimenti – generico
76, il che non pare compatibile con gli stessi approdi raggiunti in dottrina e giurisprudenza.
Secondo una diversa prospettiva, peraltro, nonostante tali, evidenti, problematiche, non si potrebbe sostenere la disapplicazione tout court di sanzioni per l’abuso del diritto, non solo per l’esplicita previsione normativa contenuta nell’art. 10-bis, ma anche in ossequio allo stesso principio di proporzionalità, giacché il disvalore delle condotte abusive è conosciuto (o, comunque, conoscibile) dagli operatori del sistema e l’impunità di tali comportamenti, espressivi di un rilevante disvalore per l’ordinamento, sarebbe ingiustificata e svuoterebbe di significato la previsione di una clausola generale antiabuso, evidentemente inefficace se non tutelata da apposite misure preventive
77.
In altri termini, da un lato, non possono più sorgere dubbi sull’applicazione delle sanzioni tributarie alle fattispecie abusive, poiché esplicitamente prevista dalla legge
78; dall’altro, i pilastri del ragionamento che in passato aveva condotto a tale affermazione sono indeboliti, forse irrimediabilmente, dalla stessa previsione normativa che li ha codificati.
Tale impasse è, peraltro, ancor più evidente alla luce del dibattito, rinvigorito da alcune recenti decisioni europee, sulla natura, amministrativa o penale, delle sanzioni tributarie.
Invero, tanto la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, a partire dal noto causa Engel e altri c. Paesi Bassi dell’8 giugno 1976
79, quanto la Corte di
76 L. DEL FEDERICO, op. cit., p. 180.
77 G.CONSOLO, op. ult. cit., p. 61.
78 Tale circostanza dovrebbe, inoltre, portare a superare l’impostazione che nega la punibilità tout court dell’art. 10-bis sulla scorta della natura procedimentale e non sostanziale dello stesso. Di tale interpretazione, con riferimento all’art. 37-bis abrogato, si è già dato conto nel precedente paragrafo al quale, pertanto, si rinvia. Con specifico riguardo al nuovo art. 10-bis, cfr. M. BEGHIN, Elusione fiscale, abuso del diritto e profili sanzionatori, in Boll. trib., n.
11/2015, pp. 805 e ss.;G. CONSOLO,Profili sanzionatori amministrativi e penali del nuovo abuso del diritto, in Corr. trib., n. 39/2015, pp. 3966 e ss.
79 La cui validità è stata, peraltro, di recente confermata dalla stessa CEDU nella nota sentenza Grande Stevens e altri c. Italia del 4.03.2014 (Ricorso n. 18640/10), nella quale «La Corte ribadisce la sua giurisprudenza costante secondo la quale per determinare l’esistenza di una
“accusa in materia penale”, è necessario tenere in considerazione tre criteri: la qualifica giuridica della misura di cui si discute nel diritto interno, la natura stessa di quest’ultima, e la
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Giustizia dell’Unione Europea, più di recente nel caso Aklagaren c. Akerberg Fransson del 26 febbraio 2013
80, insegnano che la valutazione sulla natura di una sanzione non deve fermarsi all’aspetto nominalistico-formale, bensì riguardare l’effettiva natura della pena e il grado di afflittività della stessa.
Con specifico riferimento alla materia tributaria, nel caso Nykänen c.
Finlandia (Ricorso n. 11828/11), deciso il 20.05.2015, la Corte di Strasburgo, applicando i “criteri Engel”, ha, invero, riconosciuto la natura penale di alcune sovrattasse previste dall’ordinamento finlandese, in quanto caratterizzate da una finalità non soltanto risarcitoria, ma anche deterrente e punitiva
81.
Ebbene, calati nella realtà nazionale, non possono non sorgere dubbi sulla reale natura delle sanzioni tributarie per l’evidente gravità delle sanzioni che, a seguito del d.lgs. 158/2015, possono arrivare fino al 250% dell’imposta non versata, nell’ipotesi di omessa dichiarazione, e, nel caso di dichiarazione infedele, fino al 180%, peraltro aumentabile fino alla metà nelle ipotesi aggravate
82.
In conclusione, se si riconoscesse la natura penale delle sanzioni tributarie le ricordate problematiche in termini di legalità e certezza del diritto diverrebbero insuperabili – ammesso che non lo siano già sul piano amministrativo – stante il rango costituzionale di tali principi, sicché non può neanche escludersi, alla luce delle considerazioni esposte che la questione venga in futuro rimessa alla Corte Costituzionale al fine di verificare la compatibilità del sistema sanzionatorio emergente dai decreti delegati 128 e 158 del 2015.
natura e la gravità della “sanzione” (Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 82, série A no 22). Questi criteri sono inoltre alternativi e non cumulativi (…)».
80 CGCE, Grande Sezione, causa C-617/10, nella quale i giudici di Lussemburgo ricordano che
«ai fini della valutazione della natura penale delle sanzioni tributarie, sono rilevanti tre criteri.
Il primo consiste nella qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, il secondo nella natura dell’illecito e il terzo nella natura nonché nel grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere (sentenza del 5 giugno 2012, Bonda, C-489/10, punto 37)».
81 Cfr. §40 della sentenza in parola, dove si legge «under Finnish law, the tax surcharges were not intended as pecuniary compensation for damage but as a punishment to deter re-offending.
The surcharges were thus imposed by a rule the purpose of which was deterrent and punitive.
The Court considered that this established the criminal nature of the offence». Sul punto, v.
G.M.FLICK,Reati fiscali, principio di legalità e ne bis in idem ecc., cit., p. 13.
82 Art. 1, d.lgs. 471/1997, come modificato dal d.lgs. 158/2015.
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Peraltro, anche a prescindere da un simile scenario, rimanendo sul versante amministrativo delle sanzioni, l’invasività delle stesse e la loro indifferente applicazione alle condotte di evasione e di elusione, appare già di per sé contraria ai principi di proporzionalità, previsto dall’art. 7 del d.lgs.
472/1997, e, soprattutto, di eguaglianza sancito dall’art. 3 Cost., oltre che ai criteri direttivi previsti dalla legge delega che, pertanto, sotto questo profilo risulta disattesa, con conseguenti, ulteriori, problematiche di matrice costituzionale
83.
Invero, la piena punibilità delle condotte abusive subordina le stesse ai medesimi criteri e limiti edittali previsti per l’evasione, con la conseguenza, inaccettabile, che a parità di imposta non versata all’Erario, alle due fattispecie dovrebbe applicarsi la medesima sanzione, nonostante l’ontologica differenza di disvalore
84. Né a tale censura può obiettarsi, come sembra emergere dalla Relazione illustrativa al d.lgs. 128/2015, che la gradazione sia data dalla rilevanza penale dell’evasione, giacché tale affermazione non considera che le fattispecie criminose presuppongono il superamento di una determinata soglia di punibilità, elemento costitutivo del reato al di sotto del quale la condotta rileva solo sul piano amministrativo-tributario, sicché il problema di eguaglianza nel trattamento di situazioni differenti permane
85.
L’unica via percorribile sembra, dunque, quella di un nuovo intervento legislativo che preveda autonome sanzioni per le fattispecie abusive o, quantomeno, meccanismi di riduzione delle stesse rispetto a quelle applicabili
83 L. DEL FEDERICO,op. cit., pp. 184 - 185.
84 G. CONSOLO, La sanzionabilità amministrativa dell’abuso ecc., cit., p. 62; ID., Profili sanzionatori ecc., cit., p. 3969; S.SAMMARTINO, Sanzionabilità dell’elusione fiscale, cit., p.
406.
85 G.CONSOLO, La sanzionabilità amministrativa dell’abuso ecc., cit., p. 63. L’A., inoltre, aggiunge che la tesi in parola non può essere condivisa sulla scorta di due ulteriori notazioni:
da un lato, «l’esistenza stessa del doppio binario sanzionatorio in materia tributaria – oggi mantenuto in vita, è ben marcato, dalla Corte di Cassazione [Cass., Sez. Un., 12.9.2013, nn.37424 e 37425] – impedirebbe di considerare in modo unitario la risposta punitiva apprestata dall’ordinamento contro le condotte evasive solo ed esclusivamente al fine di differenziarle da quelle abusive»; dall’altro, «se i recenti approdi giurisprudenziali in tema di ne bis in idem c.d. “sostanziale” (…) dovessero essere formalmente recepiti anche in ambito fiscale, le condotte evasive rischierebbero di andare immuni dalle sanzioni penali tributarie, poiché “la sanzione amministrativa è quella, naturalmente ed ordinariamente, applicata per prima”».
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