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Le cronache per La Nación di Buenos Aires

Il giornale La Nación fu fondato nel 1870 dal generale Bartolomé Mitre y Martínez (1821-1906), una delle figure rioplatensi più eminenti del secolo XIX, singolare incrocio di militare, politico e uomo di lettere, che tra il 1862 e il 1868 era stato il primo presidente della Repubblica Argentina definitivamente unificata. In precedenza, il generale Mitre aveva comprato il giornale La Nación Argentina, che venne pubblicato tra il 13 settembre del 1862 e il 31 dicembre del 1869, diretto da José María Gutiérrez, e del quale lo stesso generale Mitre era stato collaboratore.

Il primo numero de La Nación apparve il 4 gennaio 1870, pochi mesi prima della fine della lunga guerra contro il Paraguay, con Mitre come direttore, una modesta tiratura di mille esemplari e solo quattro pagine. Nel suo primo editoriale, l’ex presidente definì il giornale come “una tribuna de doctrina” e, in effetti, nei suoi primi anni di esistenza costituì il megafono del Partido Liberal, guidato da Mitre ed opposto al governo di Domingo Faustino Sarmiento. In seguito al fallimento della sollevazione del settembre del 1874 contro l’elezione di Nicolás Avellaneda, che frustrò le sue speranze di una nuova elezione a presidente, Mitre fu incarcerato per quattro mesi e più tardi costretto ad abbandonare l’Argentina per un breve esilio. La direzione temporanea del giornale fu assunta da José Antonio Ojeda: La Nación si convertì in un giornale commerciale moderno, senza per questo tralasciare il giornalismo di opinione. Il 16 luglio 1877 iniziò la pubblicazione di un servizio telegrafico di notizie dall’Europa gestito dall’agenzia francese Havas e, a partire dal 1881, il giornale ebbe corrispondenti in importanti città del mondo: tra di essi risaltano, oltre a José Martí, figure come Edmondo De Amicis ed Emilio Castelar. Nel 1882 si fece carico della direzione Bartolomé Mitre y Vedia (1845-1990), talentoso figlio del fondatore, che rimase a capo del giornale per tutto il periodo che vide la collaborazione di Martí. Questo fatto lo converte in una figura chiave per la comprensione dell’attività giornalistica del cubano nel giornale di Buenos Aires.

Bartolomé Mitre y Vedia era nato in Uruguay durante un esilio del padre. All’influenza intellettuale del padre si aggiunse l’opportunità di lavorare per quattro anni come segretario di Domingo Faustino Sarmiento nel periodo in cui questi fu ministro argentino in Cile, Perú e Stati Uniti (1864-1868). Negli anni trascorsi al fianco di Sarmiento si accentuò in lui la tipica ammirazione del liberale latinoamericano del secolo XIX per gli Stati Uniti, e la visione di quel Paese come paradigma di sviluppo

economico e di società democratica, che andavano a plasmare l’idea di progresso nel continente. Nel 1868, quando Sarmiento tornò a Buenos Aires per assumere la presidenza, Mitre y Vedia rimase come segretario della delegazione argentina negli Stati Uniti. Fu allora che fece a New York una pubblica dimostrazione di appoggio all’indipendenza di Cuba. Nel 1870 abbandonò l’incarico diplomatico e fece ritorno a Buenos Aires come console dell’Uruguay, alla cui cittadinanza non rinunciò mai, continuando ad appoggiare pubblicamente la causa dei patrioti cubani. In Argentina si dedicò al giornalismo, e per anni fu redattore della sezione “A Pesca de Noticias” del giornale fondato dal padre.

Assunta la direzione de La Nación nel 1882, Bartolomé Mitre y Vedia si impegnò a trasformare il giornale in un grande quotidiano, in lotta con la concorrenza, dato che in quell’anno circolavano nella capitale argentina 103 pubblicazioni giornalistiche. Di fatto, La Nación contava con una direzione “familiare”. Il generale Mitre era responsabile della linea politica, l’ingegnere civile Emilio Mitre y Vedia, figlio del generale, era incaricato di tutte le questioni tecniche: pertanto, Bartolito Mitre, come era abitualmente identificato per distinguerlo dal padre, poteva concentrarsi sugli aspetti specificamente giornalistici e letterari. Tra il 1887 e il 1890 il giornale raggiunse una tiratura di 35000 esemplari, e Bartolito Mitre arrivò a vivere all’interno della sede del giornale, in una stanza con vista sul laboratorio di stampa.

Il vincolo tra José Martí e La Nación fu propiziato da Carlos Carranza, uomo d’affari argentino radicato a New York, nel cui ufficio Martí avrebbe successivamente lavorato, e console generale della Repubblica Argentina negli Stati Uniti. Bartolito Mitre comprese immediatamente, come egli stesso dirà ricordando il suo periodo newyorchese, “the right man in the right place”, soprattutto quando Martí gli fece arrivare, insieme alla sua prima cronaca, alcuni esemplari di quelle apparse a Caracas, e il commento che lo scrittore colombiano Adriano Páez aveva pubblicato sulla rivista La

Pluma di Bogotá a proposito di un articolo del cubano sulla morte del presidente

Garfield. Queste parole di lode furono riprodotte da Mitre y Vedia nella sua nota di presentazione del nuovo corrispondente, il 13 di settembre 1882. Eppure, la prima cronaca di Martí aveva subito un intervento di censura. Una parte del testo, che forse non potremo mai conoscere, fu eliminata, molto probabilmente dallo stesso generale Mitre. Nella sua lettera del 26 di settembre 1882 Bartolito Mitre dedicò sei paragrafi a

spiegare al cubano i motivi della sua decisione: la ragione principale era la necessità di uniformarsi al punto di vista del giornale rispetto agli Stati Uniti. Indipendentemente dalle “verdades innegables” contenute nella parte soppressa, la forma veniva considerata “extremadamente radical” e le sue conclusioni assolute. Secondo il direttore, ciò poteva essere inteso dai lettori come un cambio di linea del giornale e come l’inizio di una campagna di denunce contro il gigante del Nord.

Il direttore recentemente insediatosi chiedeva al nuovo corrispondente che, senza fare “desaparecer por completo de sus cartas la censura y la crítica, la exposición de lo male y de lo perjudicial”, equilibrasse in esse le luci e le ombre di quel grande paese.175 Per

quanto non fosse esplicito nella lettera, sembra chiaro che fosse preferibile porre l’accento sulle luci piuttosto che sulle ombre. Quest’ultimo punto di vista sarà sintetizzato da Bartolito Mitre il 18 di marzo del 1883 al momento di pubblicare la seconda collaborazione di Martí, accompagnandola con una nota ai lettori assicurando loro che il corrispondente li avrebbe tenuti al corrente della “vida asombrosa” degli Stati Uniti, e avrebbe fatto loro assistere “al espectáculo de la gran nación que es y será por muchos años nuestro modelo”.176

La risposta di Martí alla lettera di Mitre y Vedia fu estremamente cortese e, allo stesso tempo, sufficientemente intelligente per garantirsi buoni margini di libertà nella composizione delle future cronache: “Cuando haya cosas censurables, ellas se censurarán por sí mismas; - que yo no haré en mis cartas (…) sino presentar las cosas como sean”. Il suo metodo sarebbe stato quello di “no adelantar juicio enemigo sin que haya sido antes pronunciado por boca de la tierra”, né “adelantar suposición que los diarios, debates del Congreso, y conversaciones corrientes no hayan de antemano adelantado”.177

Cominciava così la collaborazione regolare di Martí con il giornale di Mitre, uno dei grandi mezzi di informazione dell’oligarchia paternalista e liberale bonaerense del decennio del 1880, la quale, come scrisse Aníbal Ponce, “gobernaba ccomo cosas de familia los negocios del país, pero que sabiendo gustar los más finos matices de la literatura y del arte ponía siempre una nota de buen gusto lo mismo en sus virtudes que

175 In Destinatario José Martí, seconda edizione, Casa Editora Abril, La Habana, 2005, p.139.

176 La nota in questione apparve nella sezione “Noticias”, nella prima pagina del giornale, la stessa dove appariva la cronaca di Martí (J.M., O.C. t.17, p. 42).

en sus vicios”.178

A partire dalla pubblicazione della sua prima cronaca, La Nación si convertì in un trampolino di lancio per la conoscenza di Martí nel Cono sud. Bartolito Mitre informava il cubano che la sua cronaca era stata riprodotta “en numerosos periódicos”179, pratica

che verrà mantenuta nel corso degli anni senza che Martí ricevesse alcuna remunerazione. Da parte sua, La Nación riprodusse, tra il 1883 e il 1885, più di trenta articoli di Martí ripresi dalla rivista newyorchese La América, che il cubano dirigeva in quegli anni, facendo sì che esse arrivassero ad un pubblico molto più vasto.180

Nell’agosto del 1883 Martí commentava a Manuel Mercado, il suo amico e alter ego messicano, che a La Nación già iniziavano a volergli bene181 , e, il 13 dicembre 1884

scriveva allo stesso Mercado che i soldi ricevuti dal giornale erano destinati alla madre.182

L’accordo originario tra Bartolito Mitre e Martí prevedeva l’invio di una cronaca al mese, ma già nel 1885 queste erano già quindicinali. Purtroppo, la precedentemente citata lettera di Bartolito Mitre a Martí del 26 settembre del 1882, e la risposta del cubano del 19 dicembre dello stesso anno, sono le uniche due testimonianze che conosciamo del rapporto epistolare che sicuramente intrattennero i due per più di otto anni e mezzo, e che si alternò probabilmente con l’epistolario tra Martí ed Enrique Vedia, l’amministratore del giornale. A ciò è dovuto il fatto che, come accade con altri aspetti o periodi della vita del cubano non ancora sufficientemente investigati, per quanto riguarda i suoi vincoli con La Nación troveremo lacune ed incognite. Per esempio, attraverso le lettere di Martí all’amico uruguayo Enrique Estrázulas del 20 ottobre 1887 e del 20 aprile 1888, sappiamo che la direzione del giornale gli aveva chiesto, nel 1887, di trasferirsi a Buenos Aires, offerta che egli non accettò, pur senza

178 PONCE, Aníbal: “La vejez de Sarmiento”, in Obras completas, t. 1, Edizioni Cartago, Buenos Aires, 1974, p. 326.

179 In Destinatario José Martí, op. cit., p. 138. Non sappiamo quanti organi di stampa latinoamericani dell’epoca riprodussero gli articoli di Martí, sappiamo però che tra il 1880 e il 1885 diversi giornali cileni lo fecero con almeno settanta cronache. Si veda GONZÁLEZ, Jorge Benítez: José Martí y

Chile, Edizioni LOM, Santiago de Chile, 1995.

180 La Nación iniziò a riprodurre cronache di Martí parallelamente alla pubblicazione delle sue collaborazioni il 10 dicembre del 1882 con l’articolo “Oscar Wilde”, che era apparso precedentemente su La Opinión Nacional di Caracas e su La América di Madrid.

181 J.M., O.C., t. 17, p. 368. 182 Ivi, p. 396.

rifiutarla del tutto. Per quanto non disponiamo di informazioni precise, sappiamo che nel 1885 Bartolito Mitre viaggiò in Italia e in Francia, ma che nel 1887 era già di ritorno a Buenos Aires: dovette essere lui a chiedere a Martí di trasferirsi. E’ probabile che l’appoggio di Sarmiento e la notevole considerazione della quale godevano le collaborazioni del cubano nei circoli culturali di Buenos Aires lo avessero spinto ad avanzare questa proposta. Tutto sembra indicare che, senza essere stato mai in Argentina, José Martí era una presenza culturale permanente nel mondo intellettuale di Buenos Aires. Il suo nome era familiare: il 27 dicembre 1887 il giornale bonaerense El

Nacional pubblicò in prima pagina una cronaca del suo corrispondente a New York, lo

scrittore venezuelano Nicanor Bolet Peraza, a proposito del quadro Cristo ante Pilato, del pittore ungherese Mihály Lieb Munkacsy, sul quale aveva già scritto Martí uno dei suoi testi più elogiati, pubblicato su La Nación il 28 gennaio del 1887.183 La direzione di

El Nacional si sentì obbligata ad includere una nota di presentazione alla cronaca di

Bolet Peraza, nella quale menzionava “al [artículo] de Martí sobre el mismo tema, que tanto llamó la atención en nuestros círculos literarios”.184 Vi sono due dettagli rivelatori

in questa breve nota: il primo è che si riferissero al cubano semplicemente come Martí, senza scrivere il suo nome e senza identificarlo come corrispondente de La Nación: veniva dato per scontato che tutti i lettori sapessero chi fosse Martí; l’altro dettaglio è che il suo articolo sul quadro di Munkacsy fosse apparso undici mesi prima, eppure ancora perdurava l’eco della sua ricezione.

Già Bartolito Mitre aveva scritto a Martí nella sua prima lettera, riferendosi alla prima collaborazione del cubano: “Dicha carta (…) ha sido leída en este país y los inmediatos con marcado interés, mereciendo los honores de la reproducción en numerosos periódicos, algunos de los cuales le han dedicado, - y a su autor por consiguiente-, muy favorables conceptos. Digo a Ud. Esto para demonstrarle que puede Ud. Contar, en estas regiones, con un público lector que sabe hacer plena justicia al talento y la preparación literaria, honrando, en sus producciones, al que se distingue, como Ud., por esas brillantes dotes”.185

L’esegesi martiana toccò il punto più alto nei primi giorni del 1887. Il sabato 1

183 J.M., O.C., t. 15, pp. 343-350.

184 El Nacional, Buenos Aires, 27 dicembre del 1887, p. 1. 185 In Destinatario José Martí, op. cit., p. 138.

gennaio di quell’anno La Nación aveva pubblicato la cronaca di Martí sull’inaugurazione della Statua della Libertà, che aveva avuto luogo a New York il 25 ottobre dell’anno precedente. Tre giorni dopo, il 4 gennaio, apparve nella prima pagina del giornale dei Mitre, con il titolo “La libertad iluminando al mundo”, una lettera dell’ex presidente Domingo Faustino Sarmiento diretta a Paul Groussac, che allora faceva parte della redazione. Sarmiento vi proclamava la sua alta considerazione della cronaca martiana chiedendo a Groussac che la traducesse in francese, affinché si conoscesse anche in Europa l’eloquenza martiana, “áspera, capitosa, relampagueadora, que se cierne en las alturas sobre nuestras cabezas”. Scrive Sarmiento che “en español nada hay que se parezca a la salida de bramidos de Martí, y después de Víctor Hugo nada presenta la Francia de esta resonancia de metal”.186 Il giorno successivo, El

Nacional pubblicò una rettifica di Sarmiento di alcuni errata tipografici, e l’autore

approfittò per aggiungere un nuovo elogio: “Deseo que le llegue a Martí este homenaje de mi admiración por su talento descriptivo y su estilo de Goya, el pintor español de los grandes borrones con que habría descrito el caos”.187 Sarmiento fu il primo a comparare

lo stile letterario di Martí con lo stile pittorico dell’aragonese. Martí, che a sua volta ammirava Sarmiento, nonostante il disaccordo su diversi aspetti, si sentì orgoglioso per le sue parole ed inviò copie della lettera ai suoi amici più stretti.

Martí su La Nación ci fornisce sempre più una visione dinamica dello sviluppo nordamericano. La Guerra di Secessione divide la storia degli Stati Uniti indipendenti in due epoche, portando con sé cambiamenti importanti e complessi, e contribuendo in

186 La Nación, Buenos Aires, 4 gennaio del 1887.

187 El Nacional, Buenos Aires, 5 gennaio 1887. Il mese successivo, il 25 febbraio, La Nación pubblicò un altro contributo di Martí (in O.C., t. 11, pp. 133-136) che spinse Sarmiento a scrivere un altro giudizio sul cubano, questa volta di segno nettamente critico, che rimase inedito fino a dopo la sua morte. Ribadendo la sua ammirazione per gli Stati Uniti, Sarmiento scrive che Martí necessitava “regenerarse, educarse, si es posible decirlo, recibiendo del pueblo en que vive la inspiración, como se recibe el alimento para convertirlo en sangre que vivifica, en trabajo que condensa calor y transforma la materia”, e continua: “Quisiera que Martí nos diera menos Martí, menos latino, menos español de raza y menos americano del sur, por un poco más de yan qui, el nuevo tipo del hombre moderno, hijo de aquella libertad cuya colosal estatua nos ha hecho admirar al lado de aquel puente colgado de Brooklin”. Nonostante questo, ribadisce la sua positiva valutazione del cubano, del quale di nuovo esalta acutamente “el estilo más desembarazado de ataduras y formas, precisamente porque hace uso de todo el arsenal de modismos y vocablos de la lengua, arcaicos y modernos, castellanos o americanizados, según lo requiere el movimiento más brusco de las ideas, en campo más vasto, más abierto, más sujeto al embate y a nuevas corrientes atmosféricas” (SARMIENTO, Domingo Faustino: Obras, t. 46, Mariano Moreno, Buenos Aires, 1900, pp. 166-173).

modo determinante a formare i tratti della nazione: “(la guerra) sustituyó a las ideas convencionales e importadas las ideas nuevas que le iba sugiriendo en campo virgen y condiciones locales, la naturaleza...”.188 Il trionfo indirizza gli Stati Uniti su un cammino

di ricchezza viziosa: “veinticinco años después la república sin esclavos ha adelantado de modo que ya empieza a padecer de los vicios de una prosperidad antes desconocida”.189 Il cubano evidenzia ripetutamente il fatto che è la ricchezza a portare il

Paese su una strada pericolosa.

Il problema industriale appare, attraverso le cronache inviate a La Nación, nella sua complessità e nelle sue molteplici conseguenze. La base della politica industriale e commerciale risiede nel protezionismo, e si arriva ad un momento nel quale, a causa della sovrabbondanza di prodotti senza collocazione nel mercato interno, diminuiscono i dividendi, si paralizza la produzione, diminuiscono i salari degli operai e si susseguono gli scioperi. Questi ultimi sono immensi come il Paese stesso, dolorosi e sanguinosi. Di fronte ad essi Martí, che si sente affratellato ai più poveri, scrive in una poesia:

El alma heroica, no en batallas grandes Piensa, ni en templos cóncavos, ni en lides De la palabra centelleante: piensa

En abrazar, como en un haz, los pobres Y a donde el aire es puro, y el sol claro, Y el corazón no es vil, volar con ellos.190

188J.M.: O.C., t. 11, p. 176. 189J.M.: O.C., t. 12, p. 97.

Catastrofismo e retorica del disastro naturale

Negli anni trascorsi da José Martí negli Stati Uniti sono frequenti i disastri causati da eventi naturali: inondazioni, terremoti, tormente di neve. Le cronache martiane dedicate alla narrazione di queste catastrofi diventano occasione per riflettere sul rapporto tra uomo e natura, per approfondire lo sguardo sull’umanità nordamericana e sugli effetti della modernità.

Si prenderanno in considerazione nelle pagine che seguono, analizzandole dal punto di vista tematico e stilistico, due cronache martiane dedicate al racconto di disastri naturali: “El terremoto de Charleston”, inviata da New York il 10 settembre 1886 e pubblicata su La Nación il 14 e il 15 ottobre dello stesso anno, e “Nueva York bajo la nieve” octubre del mismo año, y “Nueva York bajo la nieve”, inviata il 15 marzo 1888 e pubblicata sul giornale di Buenos Aires il 27 aprile.

“El terremoto de Charleston”

La prima parte della cronaca, con l'evidente intenzione di suscitare l'empatia del lettore, compara una situazione anteriore di idillio al terremoto con la successiva distruzione. Si stabilisce una antitesi tra la fase di equilibrio iniziale e la fase di squilibrio con il suo disordine e il suo caos. Dopo una breve introduzione nella quale, ricordando la poesia barocca delle “rovine” l'autore impiega una variazione sul tema del “carpe diem”, “Ruina es hoy lo que ayer era flor”191, la cronaca inizia con una

descrizione della città che, rispetto alla selvaggia lotta per l'esistenza che caratterizzava le pragmatiche città del nord, viveva in mutua concordia:

Los blancos vencidos y los negros bien hallados viven allí después de la guerra en lánguida concordia; (…) allí no se caen las hojas de los árboles; allí se mira al mar desde los colgadizos vestidos de enredaderas; […] y el resto de la ciudad es de residencias bellas, no fabricadas hombro a hombro como estas casas impúdicas y esclavas de las ciudades frías del Norte, sino con ese noble apartamiento que ayuda a la poesía y decoro de la vida.192

191 J.M.: O.C., t. 11, p. 63. 192 Ivi, p. 64.

Le relazioni sociali sono caratterizzate dalla concordia; la prosperità della città si fonda sul commercio, a differenza delle città del nord, epicentro della produzione industriale. Tale situazione trova la sua corrispondenza in una eterna primavera. Aníbal González evidenzia che la descrizione idilliaca delle relazioni sociali obbedisce a due propositi, quello di suscitare sentimenti di empatia nel lettore e quello di stabilire analogie tra la cultura del sud statunitense e Cuba:

Nos parece que el contraste entre las “residencias bellas” de Charleston y las casas “impúdicas y esclavas” del Norte no es sólo un recurso de Martí para generar un pathos melodramático en el lector cuando llegue el momento de narrar el desastre, sino que apunta, algo oblicuamente, a otro país en donde hay casas semejantes a las de Charleston: a Cuba. Hay a lo largo de esta crónica –

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