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Benché sia stata spesso osservata l’occorrenza dei fenomeni franosi in corrispondenza di DGPV e siano state ipotizzate relazioni tra le due differenti morfologie gravitative (Crosta, 1996; Brideau et al., 2005; Pánek et al., 2009; Kellerer-Pirklbauer et al., 2010) questi morfotipi sono stati scarsamente utilizzati come fattore predisponente nella zonazione della suscettività di frana a livello di bacino. Il legame tra deformazione gravitativa profonda di versante e frana non è stato univocamente ancora definito con certezza (Bisci et al., 1996; Sorriso-Valvo et al., 1999; D’Amato Avanzi et al., 2003). Tuttavia in alcuni casi è stato evidenziato come la situazione creatasi nei versanti con lo sviluppo delle DGPV e la genesi di nuovi sistemi di fratture possa costituire un importante fattore predisponente il successivo sviluppo di frane (Federici et al., 2001, 2003, 2005, 2007; Capitani, 2010).

La considerazione di una evoluzione delle DGPV connessa con lo sviluppo successivo di fenomeni franosi, assume, quindi, un’importanza rilevante per quanto concerne la pianificazione territoriale e la prevenzione dal rischio geomorfologico. Nel presente studio è stato perciò ritenuto opportuno estendere l’analisi geomorfologica anche a questi morfotipi, che spesso risultano di non facile individuazione e soprattutto di non immediata distinzione da quei fenomeni franosi contraddistinti da dimensioni rilevanti e da una cinematica lenta. Sebbene, infatti, le DGPV siano ampiamente studiate da oltre cinquanta anni e definite in molti settori del mondo, rimangono in essere ancora alcune problematiche non risolte per quanto riguarda i meccanismi con cui queste si esplicano e che dovrebbero contraddistinguerle dalle frane (Apuani et al., 2007; Bachmann et al., 2009). In particolare, lo sviluppo di una o più superfici di scorrimento ben definite, che dovrebbe distinguere le frane dalle DGPV, è stata ritenuta possibile anche per quest’ultime (Agliardi et al., 2001; Crosta & Agliardi, 2002; Stead et al., 2006; El Bedoui et al., 2009), come evoluzione di quel processo di creeping, che generalmente viene considerato il meccanismo principale con cui si esplica la deformazione gravitativa profonda nei versanti (Zischinsky, 1966; Bisci et al., 1996; Kinakin & Stead, 2005; Audemard et al., 2010). Viceversa, il creeping è stato anche attribuito allo sviluppo di quelle frane, definite come ―confinate‖, che non mostrano effettivamente una superficie di rottura ben definita (Hutchinson, 1988; Cruden & Varnes, 1993). Visto comunque il sufficiente accordo che esiste nell’ambito della ricerca scientifica sulla definizione di DGPV, come lenta deformazione che si esplica in estesi settori del versante e che

46 genera elementi morfologici secondari come sdoppiamento di creste, trincee, aree a contropendenza e scarpate, utili per il loro riconoscimento, nel presente studio la distinzione tra deformazione gravitativa e frana è stata effettuata solamente su base morfologica.

I processi di deformazione gravitativa profonda si sono esplicati, sui versanti sia di destra che di sinistra idrografica del T. Milia, esclusivamente lungo i settori centrali del bacino e coinvolgendo in prevalenza la Formazione delle Argille a Palombini (fig. 22). L’allineamento degli elementi morfologici appartenenti alle deformazioni gravitative profonde in rapporto alle direzioni mostrate dai sistemi di fratturazione, sia appenninico che anti-appenninico, porta a supporre come gli effetti relativi all’evoluzione tettonica dell’area abbiano avuto un ruolo notevole nello sviluppo di questi morfotipi; il controllo esercitato dalla tettonica sulla genesi delle DGPV è stato abbondantemente appurato in molte parti del mondo ed in diverse condizioni (Caredio et al. 1996; D’Amato Avanzi et al. 1997; Crosta & Zanchi, 2000; Agliardi et al. 2001; Agliardi et al. 2009; Delgado et al. 2011). La singolare concentrazione delle forme in discussione può essere attribuibile, infatti, sia alla maggiore frequenza dei sistemi di faglie che con direzione NE-SW e NW-SE caratterizzano il tratto centrale del bacino, sia alla prevalente direzione di sviluppo del T. Milia che a seguito del relativo abbassamento di livello di base ha inciso i versanti in modo obliquo rispetto agli stessi elementi tettonici.

Figura 22 – Versante in DGPV lungo i settori centrali del bacino.

Questa situazione deve aver agito con maggior efficacia rispetto alle aree orientali del bacino nello ―svincolare‖ parte dei versanti e rendendo questi maggiormente sensibili alle vicende connesse sia con

47 il generale sollevamento tettonico sia con la conseguente evoluzione del reticolo fluviale. In definitiva, il sollevamento tettonico dell’area associato ad un conseguente abbassamento del reticolo idrografico ha agito nell’incrementare il disequilibrio gravitativo dei versanti che, essendo in questi settori del bacino maggiormente interessati dalla presenza di faglie con direzione obliqua rispetto a quella assunta dal T. Milia, hanno risposto tramite lo sviluppo di DGPV. Nei settori orientali i sistemi di faglie prevalenti sono invece quelli caratterizzati da direzioni grossomodo appenniniche. I corsi d’acqua principali si dispongono rispetto a queste in maniera grossomodo ortogonale costituendo una situazione non propriamente favorevole alla genesi dei morfotipi.

Per una più ampia comprensione delle cause che hanno influenzato la genesi ed la successiva evoluzione di questi morfotipi appare di particolare interesse l’analisi del complesso di deformazioni profonde che caratterizza il versante di destra idrografica della Milia in corrispondenza del podere Poggio alla Pietra, a circa 2 Km a sud-ovest di Monterotondo Marittimo. Il tratto di versante in questione risulta interrotto da estesi ripiani, da scarpate morfologiche allungate parallelamente al versante (fig. 23), da aree a contropendenza e da una serie di depressioni allungate, disposte perpendicolarmente alla direzione di massima acclività. Quest’ultime sono presenti nei settori più alti del versante, ad una quota media di circa 370 e 320 m, dove assumono le caratteristiche di piccole vallecole a fondo piatto, parzialmente o totalmente riempite da depositi eluvio-colluviali.

48 Le depressioni, che delimitano superiormente aree caratterizzate da evidenti convessità, sono disposte con l’asse di maggior allungamento secondo direzioni NW-SE e NE-SW, presentando lunghezze rispettivamente di 50 e 30 m ed una larghezza media di circa 20 m. Queste forme sono state ritenute appartenere ai morfotipi che caratterizzano, come espressione superficiale, le deformazioni gravitative profonde di versante (Hutchinson, 1988; Bovis & Evans, 1996; Julian & Anthony, 1996; Tibaldi et al 2004;. Ambrosi & Crosta, 2006; Hippolyte et al, 2006) e che, nella letteratura scientifica, sono comunemente conosciute col termine di ―trincee‖ (Dramis, 1984; Dramis et al. 1987). Il processo di deformazione osservato nell’area di studio è scomponibile in più fenomeni distinti, sulla base della presenza di estese superfici in roccia a bassa acclività, che sono caratterizzate in alcuni casi da inclinazioni rivolte verso il fondovalle e in altri da contropendenze. In particolare, mentre trincee osservate nei settori più alti individuano il limite superiore di distinte aree soggette a DGPV, dove la deformazione complessiva è risultata minima, i ripiani in roccia che sono ubicati a quote inferiori identificano morfologicamente la parte sommitale di ulteriori blocchi in deformazione che, a differenza dei primi, hanno subito un movimento complessivo rilevante.

Nell'insieme sono stati osservati 8 settori del versante che sono stati soggetti a movimenti tra loro differenziali. Quattro aree in DGPV caratterizzano il versante nella parte medio-bassa da quote di circa 290 m fino al fondovalle, dove le incisioni vallive che si sono originate lungo i bordi dei rispettivi ripiani in roccia si collegano, come affluenti di sinistra, al Torrente Milia. Le DGPV che presentano le trincee precedentemente descritte coinvolgono invece il versante esaminato nei settori posti a quote più elevate rispetto alle forme precedenti, sovrastando i ripiani in roccia delle deformazioni gravitative profonde che hanno interessato le zone meridionali dell’area.

Nel complesso i morfotipi in questione sono associabili a tipologie di sackung e block slide (Zischinsky, 1966, 1969; Sorriso-Valvo, 1988; Dramis & Sorriso-Valvo, 1994; Cruden & Varnes, 1996), dove i primi sono individuati superiormente dalle trincee osservate nei settori più alti del versante, mentre i block slide (o scorrimenti di roccia in blocco) sono delimitati verso l’alto dai ripiani in roccia che ne definiscono le ―testate‖.

Per quanto concerne lo stato di attività, nonostante le difficoltà dell’argomento, possono essere tentate alcune considerazione soprattutto per i sackung, dove le trincee appaiono riempite quasi totalmente da depositi detritici e le scarpate ad esse associate risultano degradate e smussate. Tali indizi porterebbero a considerare lo stato di attività di queste morfologie prevalentemente di tipo quiescente. Per gli scorrimenti di roccia in blocco la definizione dello stato di attività appare di difficile valutazione sia a

49 causa dello sviluppo di frane, che si sono sviluppate attestandosi sui ripiani di alcune di queste forme, sia per la presenza di detrito eluvio-colluviale che ha coperto le zone di raccordo tra la parte alta di questi morfotipi ed il versante.

Di più facile interpretazione appare invece lo stile di attività con cui la deformazione si è propagata verso valle. La presenza di lembi residuali di scarpate poste in corrispondenza delle aree soggette a

sackung e soprastanti i block slide, la cui genesi è ad esse associata, pone in evidenza il trend evolutivo

con cui tali morfotipi si sono sviluppati.

L’origine degli scorrimenti di roccia in blocco, che caratterizzano la parte medio-bassa del versante, deve essere collegata ad una fase progressiva dei fenomeni di sackung giacché, in caso contrario, occorrerebbe ammettere un’evoluzione dello stile deformativo, lungo il versante, dallo stato fragile a quello duttile. D’altro canto, la possibilità che un sackung, o parte di esso, possa invece volgere in

block slide è stata ampiamente dimostrata, attraverso studi di laboratorio e modelli sia fisici che

numerici, ammettendo il passaggio da una deformazione inizialmente lenta, per creeping, ad un progressivo aumento, per creeping accelerato, fino alla rottura che può avvenire lungo una o più superfici di scorrimento (Boukharov & Chanda,1995; Agliardi et al. 2001; Bachmann et al. 2004; Lebourg et al., 2005; Bachmann et al. 2006; Jomard et al., 2007; El Bedoui et al. 2009; ).

Nella genesi delle DGPV osservate e soprattutto nella loro evoluzione l’erosione fluviale esercitata alla base del versante appare certamente di non secondaria importanza. Tra i fenomeni ritenuti predisponenti la genesi delle deformazioni gravitative profonde di versante quello connesso con l’incisione esercitata dalle aste fluviali è stato ampiamente descritto in molte aree (Parise et al. 1997; Sorriso-Valvo et al. 1999; Kellogg et al. 2001; Pánek et al. 2011). Nell’area in questione è plausibile considerare questo importante processo morfogenetico soprattutto per la genesi dei block slide. Il rapido abbassamento del livello di base del Torrente Milia ha generato un disequilibrio gravitativo che potrebbe essere stato assorbito, nei versanti già soggetti a sackung, lungo superfici di rottura a basso angolo, dando origine a rapidi movimenti differenziali e ai numerosi scorrimenti di roccia in blocco. Il fatto che, per le DGPV osservate, sia gli elementi morfologici (trincee, scarpate e ripiani in roccia) che quelli strutturali (superfici di taglio a basso angolo) si siano disposti secondo direzioni parallele allo sviluppo vallivo, con dei movimenti lungo direttrici parallele al massimo pendio, potrebbe indicare una loro evoluzione anche in relazione alle mutate condizioni dell’equilibrio gravitativo del versante connesse con l’incisione fluviale. L’evoluzione del reticolo fluviale è testimoniata dai numerosi terrazzi di erosione posti a circa 30-10 m al disopra sia dell’alveo del Torrente Milia che dei rispettivi affluenti di destra. Quest’ultimi dimostrano come le perturbazioni del livello di base della Milia si sono

50 propagate verso monte coinvolgendo gran parte degli elementi idrografici di ordine inferiore. L’alveo del Torrente Ulivella appare ancora oggi in una fase di forte incisione e le ultime perturbazioni subite dal reticolo fluviale devono ancore essere completamente assorbite soprattutto lungo il profilo dei solchi vallivi, che denotano forte approfondimento dell’alveo, verso monte, solamente fino a quote di circa 200-240 m. Anche per quanto concerne la genesi delle frane che caratterizzano la parte medio- bassa delle DGPV rilevate, l’evoluzione della rete idrografica ha certamente giocato un ruolo non secondario.

Un altro caso che merita di essere analizzato è rappresentato dalle deformazioni gravitative profonde che caratterizzano i versanti sia di destra che di sinistra idrografica del T. Riotorto lungo il tratto situato immediatamente poco a monte rispetto alla confluenza con il T. Milia. Questi morfotipi denotano elementi peculiari, tra cui spicca per estensione la trincea di circa 450 m che delimita superiormente la DGPV situata più a nord, e la presenza di una serie di terrazzi, sia in roccia che in deposito. Quest’ultimi morfotipi testimoniano come lo sviluppo verticale del T. Riotorto sia stato non trascurabile, circa 40 m, e come anche i rispettivi affluenti siano stati a loro volta indotti all’incisione. L’abbassamento del reticolo fluviale oltre a sollecitare lo sviluppo delle deformazioni gravitative profonde rilevate per quest’area deve aver avuto anche un ruolo certamente non secondario nel condizionare l’evoluzione gravitativa a cui le stesse sono state successivamente soggette.

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