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Le funzioni della sul ṭa secondo l’Imam Khomeini

V. La wilāyat al-faqīh al-ʿāmma nell’ottica di ʿAlī Fayyāḍ

2. Le funzioni della sul ṭa secondo l’Imam Khomeini

Bisogna innanzitutto ricordare che l’opera di Khomeini è quantitativamente immensa e, come rileva Bonaud,24 ha riguardato l’aspetto politico solo in minima parte e nell’ultima fase della sua vita. Tuttavia, ciò che ʿAlī Fayyāḍ considera è proprio questo dominio della politica che da Khomeini è trattato principalmente in due scritti: al-ḥukūma al-islāmīya (Il

governo islamico) e kitāb al-bīʿ (Il libro della vendita).25 Il primo è una raccolta di dodici lezioni di fiqh, riportate da altrettante registrazioni audio, tenute nel corso del 1969 e che riguardano il tema dell’autorità del faqīh. Il testo, susciterà molta agitazione in tutti gli am- bienti poiché, oltre alla teorizzazione del ruolo politico attivo e diretto del faqīh, Khomeini espone un programma d’azione per costruire un governo islamico, oltre ad altre questioni attinenti al dominio politico. Il secondo è un libro di fiqh istidlālīy, sempre in lingua araba, che riguarda tutte le regole della vendita e degli affari ad essa connessi, ma, più importante, al suo interno sviluppa la questione dell’autorità del faqīh dal punto di vista del fiqh istidlālīy, dunque in maniera più approfondita rispetto alla trascrizione dei corsi che compongono il

23 Ibidem, p. 200.

24 BONAUD Yahya Christian, L’Imam Khomeyni, un gnostique méconnu du XXe siècle. Métaphysique et

théologie dans les œuvres philosophiques et spirituelles de l’Imam Khomeyni, Al-Bouraq, Beirut 1997.

25 al-khumaynī al-sayyid rūḥ allāh, al-ḥukūma al-islāmīya, durūs fiqhīya ilqāhā ʿalā ṭullāb ʿulūm al-dīn fī najaf al-ashraf taḥta ʿanwān «wilāyat al-faqīh», 1970; al-khumaynī al-sayyid rūḥ allāh, kitāb al-bīʿ, mu’assasat tanẓīm wa nashr athār al-imām al-kumaynī, ṭahrān 1421 h.

testo al-ḥukūma al-islāmīya. Non ci risulta essere stata fatta alcuna traduzione in lingue eu- ropee del Libro della vendita. Tuttavia, esiste un’edizione in arabo della parte del testo ine- rente l’autorità del faqīh.26

Ad ogni modo, ritornando all’opera di ʿAlī Fayyāḍ, ribadiamo come per il nostro autore l’autorità (sulṭa) sia una necessità nelle questioni che riguardano la religione (umūr

al-dīn), così come in quelle che afferiscono al mondo terreno (umūr al-dunyā). Per quanto

invece riguarda le funzioni della sulṭa, ʿAlī Fayyāḍ accenna innanzitutto a un discorso di al-

sayyida al-zahrā’,27 riportato dall’Imam Khomeini in al-ḥukūma al-islāmīya, e nel quale si

specifica che la funzione dell’Imamato è quella di preservare l’ordine e l’unità dei musul- mani.28 Infatti, secondo l’Imam Khomeini, vi è un’analogia di funzioni tra l’imāma e la

wilāyat al-faqīh, motivo per il quale è necessario riferirsi ai testi che determinano il ruolo e

la funzione dell’imāma. E dunque, in quest’ottica, la funzione del walīy al-amr, ossia del governante legale (ḥākim sharʿīy) è una funzione olistica e assoluta (waẓīfa shumūlīya wa

muṭlaqa), e non solamente gestionale (tadbīrīya); è al tempo stesso politica e religiosa, as-

soluta e illimitata, se non per ciò che concerne il suo rapporto con la legiferazione divina (tashrīʿ ilāhīy). In questo senso, secondo ʿAlī Fayyāḍ, è un governo della legge divina (ḥukūmat al-qānūn al-ilāhīy). A tal proposito riporta un passo di Khomeini estratto dal suo

ḥadīth al-shams in cui afferma che «il governo dell’Islam è il governo della legge» e che

«l’unico governante è Dio».

Appurato il carattere olistico e totale della natura funzionale della wilāyat al-faqīh, nello specifico ʿAlī Fayyāḍ giunge ad enumerare quelle che sono le funzioni che determi- nano tale natura in quanto olistica e totale: 1) applicare ed eseguire le disposizioni divine (tatbīq al-sharīʿa), 2) fondare un ordine islamico giusto (iqāmat al-niẓām al-islāmīya al-

ʿādil) e 3) servire le persone (qiyām bi-khidmat al-nās). Queste, secondo Khomeini, sono

l’insieme del contenuto funzionale della wilāyat al-faqīh. ʿAlī Fayyāḍ sottolinea con deter- minazione il fatto che il “servizio alle persone” sia una risposta fondamentale a una delle problematiche del rapporto tra religione e autorità, ossia la problematica relativa al posizio- namento del popolo (mawqiʿ al-shaʿab) all’interno della costruzione funzionalistica dell’au- torità, così come nell’edificazione della “condizione originale” e dell’origine (niṣāb) dell’au- torità e nella costituzione della sua legittimità. Inoltre, è molto significativo il fatto che tale

26 baḥth istidlālīy ʿilmīy fī wilāyat al-faqīh, mu’assasat al-falāḥ, bayrūt 1985.

27 Lett. “la Splendente”, appellativo di Fāṭima, moglie di ʿAlī e madre dei due Imam Ḥasan e Ḥusayn. 28 fayyāḍ ʿalī, naẓarīyāt al-sulṭa fī al-fikr al-siyāsīy al-shīʿīy al-muʿāṣir, p. 221.

concetto di servizio alle persone (khidmat al-nās) sia accolto e sostenuto da Khomeini come vero e proprio compito in capo all’autorità e al potere, accanto all’applicazione della legge divina e all’attuazione della giustizia.29 Secondo ʿAlī Fayyāḍ si tratta di un punto iniziale

decisivo nel rinnovamento del pensiero politico sciita operato dall’Imam Khomeini, in quanto: ﺐﻌﺸﻟا ﺢﺒﺼﯾ ًاءﺰﺟ ،ًﺎﯾﺮھﻮﺟ ﻦﻣ ﺔﻟدﺎﻌﻣ ﻦﯾﺪﻟا ـ ،ﺔﻄﻠﺴﻟا ًﺎﻋﻮﺿﻮﻣو ًﺎﯿﺴﯿﺋر ﺔﺳرﺎﻤﻤﻟ ،ﺔﻄﻠﺴﻟا ﻰﻟإ ﺐﻧﺎﺟ عﻮﺿﻮﻤﻟا ﺮﺧﻵا يﺬﻟا ﻮھ ﺬﯿﻔﻨﺗ مﺎﻜﺣﻷا . 30

Il popolo diventa una parte essenziale nell’equazione religione-autorità e un argo- mento fondamentale nella pratica del potere, accanto a un altro argomento che è quello dell’esecuzione delle norme [divine].

Nel paragrafo successivo ci occuperemo più nel dettaglio della posizione del popolo all’interno della teoria politica dell’Imam Khomeini. Invece è qui opportuno notare come, in relazione alle funzioni, l’autorità qui affermata è al tempo stesso religiosa, sociale e poli- tica. Infatti, le sue funzioni sono universali e compenetranti: dare un ordine ai musulmanti (niẓām al-muslīmīn) e garantirne l’unità (waḥda), prevenire la prevaricazione tra le persone (manʿ al-taʿaddī), preservare la religione dalla deviazione (ṣawn al-dīn mi al-inḥirāf), for- nire una guida alle persone (hidāyat al-nās) e la protezione contro i nemici (ḥimāya min al-

aʿdā’), redistribuire la ricchezza (taqsīm al-fay’) e – come abbiamo già avuto modo di vedere

– applicare le norme divine (taṭbīq al-aḥkām), erigere la giustizia (iqāmat al-ʿadl) e servire le persone (khidmat al-nās).31 ʿAlī Fayyāḍ nota come tale modello di autorità e di potere porti alla manifestazione di uno Stato la cui formulazione si differenzia dallo Stato sociale contemporaneo (dawlat al-rafāh) che costituisce la forma politica più rappresentativa dell’esperienza occidentale. Al contrario, secondo ʿAlī Fayyāḍ, si tratta di uno Stato di chia- mata (daʿwa), regolamentazione (intiẓām) e protezione (ḥimāya),32 in cui, ovviamente, tali termini acquistano il loro valore e significato all’interno del metalinguaggio islamico.

La sintesi dei valori che costituiscono l’edificio funzionalistico dell’autorità sono de- terminati nell’interesse dell’Islam e in quello dei musulmani, ossia i due obiettivi principali

29 Ibidem, p. 222. 30 Ibidem. 31 Ibidem. 32 Ibidem, p. 223.

dello Stato. Essi, secondo ʿAlī Fayyāḍ, esprimono la natura essenziale (māhīya) dello Stato in quanto sistema di credenze e convinzioni (manẓūma iʿtiqādīya) e sistema collettivo di massa (manẓūma jamāʿīya). Tale concenzione è sicuramente incompatibile con concezioni individualistiche (fardānīya) il cui criterio si concentra esclusivamente sulle particolarità individuali della persona (khuṣūsīya shakhṣīya). Al contrario, ʿAlī Fayyāḍ sostiene che il credo (ʿaqīda) e la comunità (umma) siano più rappresentativi dell’essenza dello Stato e della sua composizione, in cui, tuttavia, la sintesi tra i due è di tipo gerarchico, secondo una collocazione ordinata (mutarātib), e non di fusione e indistinto compattamento (mundamij). Questo è dovuto al fatto che la ʿaqīda è posizionata su un livello superiore, a cui, solo dopo, segue quello della umma.33

Un’ulteriore questione di fondamentale importanza è determinare quale sia la fun- zione del walīy al-faqīh nel quadro del governo della legge divina (ḥukūmat al-qānūn al-

ilāhīy). Si tratta di una questione che interseca numerosi argomenti e si ricollega al rapporto

tra la legge divina immutabile (qānūn ilāhīy thābid) e la realtà cangiante (wāqiʿ muta-

ghayyir), e alla collocazione del walīy al-faqīh all’interno di questa dialettica. Se le norme

divine (aḥkām ilāhīya) sono definitive e circoscritte (ṣārima wa muḥaddada), questo signi- fica che il compito (muhimma) del walīy al-faqīh si limita alla sola applicazione di queste norme, ovvero alla loro estrapolazione (inzāl) dal piano legiferativo teorico al piano appli- cativo, attraverso una armonizzazione e una conformazione (muwā’ama) tra le norme e le fattispecie. Questo significa che la funzione del faqīh governante è una funzione strumentale (muhimma ālīya) che limita il suo dominio alla chiara conoscenza delle norme (maʿrifat al-

aḥkām), alla diagnosi delle questioni (tashkhīṣ al-mawḍūʿāt) e alla creazione di un legame

tra i due ambiti.34

Riportando un passo chiarificatore da al-ḥukūma al-islāmīya, ʿAlī Fayyāḍ esplicita la natura del governo islamico secondo i canoni interpretativi contemporanei, sostenendo che «il governo islamico non è uno dei tipi di governi presenti».35 Infatti, per esempio, non

si tratta di un governo tirannico in cui un uomo solo al potere gestisce gli affari di stato in maniera totalmente arbitraria, secondo la propria opinione. E dunque, il governo islamico non è né tirannico né assoluto, ma anzi è “condizionato” (mashrūṭ), che, nel linguaggio di

33 Ibidem. 34 Ibidem.

35 Essendo un estratto di al-ḥukūma al-islāmīya, Khomeini si riferisce alla realtà del 1969.

Khomeini è sinonimo di “costituzionale” (dustūrīy). Tuttavia, precisa che non è “condizio- nato”, e quindi “costituzionale”, nel senso abituale usato oggi e ai tempi in cui Khomeini parla (1969), ossia nel senso per cui le leggi sono conformi alle opinioni umane e della mag- gioranza. Al contrario, specifica che è “condizionato” nel senso che i governanti (ḥukkam) sono vincolati nel loro potere esecutivo e amministrativo da tutta una serie di limiti posti dal Corano e dalla Sunna. In questo senso dunque il governo islamico è il governo della legge divina sulle persone.36 Riportando un altro brano da kitāb al-bīʿ, in cui Khomeini tratta del tema politico da un punto di vista di fiqh istidlālīy, ʿAlī Fayyāḍ insiste sul fatto che «l’Islam è la base del governo», e non il despotismo di chi impone alla società le proprie decisioni basate su opinioni individuali e arbitrarie. Allo stesso modo – rimarcando un concetto appena espresso – non è un governo condizionato (ḥukūma mashrūṭa) o costituzionale (dustūrīya) o una repubblica fondata sulle leggi umane (qawānīn basharīya) che impone il dominio (taḥkīm) delle opinioni di una parte degli uomini sull’intera società. Al contrario i governanti devono necessariamente conformarsi (ṭabaqa) alle leggi divine e, di conseguenza, al bene (ṣalāḥ) dei musulmani.37 E dunque ʿAlī Fayyāḍ sottolinea che Khomeini aggiunge la “regola del bene” (qāʿidat al-ṣalāḥ) alla giurisdizione della legge divina, tra le funzioni e i compiti del governante nel suo rapportarsi con le nuove problematiche accorse (ḥawādith wa ma-

wḍūʿāt), specificando che tale regola «non è figlia della fantasia [ḥawā] personale del faqīh»

ma deve necessariamente essere ciò che porta a governare per il bene dei musulmani. Quindi:

ﺔﻘﺑﺎﻄﻤﻓ حﻼﺼﻟا ﻲﻓ ﻞﻤﻌﻟا ،يأﺮﻟاو ﻲھ لﺎﺠﻤﻟا ﻲﺘﻟا ﺲﺳﺄﺘﺗ ﺎﮭﯿﻠﻋ ﺔﺳرﺎﻤﻤﻟا ﺔﯿﺳﺎﯿﺴﻟا ،ﻲﻟﻮﻠﻟ ﻰﻟإ ﺎﺟ ﺐﻧ لﺎﺠﻤﻟا ﻲﻋﺮﺸﻟا ﻮھو نﻮﻧﺎﻘﻟا ﻲﻣﻼﺳﻹا . ﻲﻓو ،ﻊﻗاﻮﻟا ﻞﻜﺸﺗ ةﺪﻋﺎﻗ حﻼﺼﻟا ًﻻﺎﺠﻣ ًﺎﻌﺳاو تﺎﯿﺣﻼﺼﻟ .ﺔﻘﻠﻄﻣ 38

La concordanza del bene nell’azione e nell’idea è l’ambito sul quale si fonda la pratica politica del walīy, oltre al campo legale che è quello della legge islamica. E infatti, la regola del bene costituisce una vasta gamma di pieni poteri assoluti [ṣalāḥīyāt muṭlaqa].

36 Ibidem, p. 224. 37 Ibidem, p. 225. 38 Ibidem.

ʿAlī Fayyāḍ riprende dunque la questione dell’assolutezza di tali “pieni poteri” (ṣalāḥīyāt)39 e lo fa attraverso una citazione di Khomeini – che abbiamo già riportato – in

cui si afferma che il governo (ḥukūma) è una parte (shuʿba) della wilāya assoluta del Mes- saggero di Dio, nonché una delle disposizioni primarie (aḥkām awwalīya) dell’Islam e una precondizione (muqaddima) a tutte le disposizioni secondarie (aḥkam farʿīya), come la pre- ghiera, il digiuno e il pellegrinaggio rituali.40 Se le competenze (ṣalāḥīyāt) del governo fos- sero limitate al contesto delle disposizioni divine secondarie, Khomeini afferma che «ver- rebbe cancellata la tesi del governo divino e della wilāya assoluta delegata al Profeta dell’Islam, e questo non avrebbe senso».41 Tra gli esempi di assolutezza e illimitatezza delle competenze del governo, Khomeini sostiene che questo «può cancellare unilateralmente (min ṭarf wāḥid) gli accordi legali sottoscritti col popolo se li ritiene in contrasto con gli interessi del Paese e dell’Islam, così come può sospendere qualsiasi atto di culto o meno se [questo] è dannoso per l’interesse dell’Islam».42 Secondo ʿAlī Fayyāḍ, ne consegue che:

،نذإ ﻦﺤﻧ مﺎﻣأ مﻮﮭﻔﻣ ﺔﻣﻮﻜﺤﻠﻟ ـ ،ﺔﻄﻠﺴﻟا ﻰﻗﺮﯾ ﻰﻟإ ﺔﺒﺗر ﱠﺪﻘﻤﻟا ،س ﺮﻘﺘﺴﯾو ﻢﻜﺤﻛ ﻲﻟوأ ﯾ مﺪﻘﺘ ﻰﻠﻋ مﺎﻜﺣﻷا ،ﺔﯿﻋﺮﻔﻟا ﺎﻣ ﮫﻠﻌﺠﯾ ﻦﻣ تاﺰﻜﺗﺮﻣ مﻼﺳﻹا ﮫﺋدﺎﺒﻣو ﺔﯿﺳﺎﺳﻷا . 43

Dunque, siamo di fronte ad un concetto di governo-autorità che si eleva al rango del sacro [rutbat al-muqaddas] e si stabilisce come giudizio preliminare [ḥukm

awwalīy] che precede le disposizioni secondarie, ciò che lo rende uno dei pilastri

dell’Islam e dei suoi principi fondamentali.

Tuttavia, il successore al comando del governo (tawallī amr al-ḥukūma), di per sé, non rappresenta una posizione di prestigio e onore, ma al contrario è «un mero strumento

39 A proposito del termine “SalàHìyàt” – che qui abbiamo tradotto secondo l’accezione corrente in “pieni po- teri” (o “competenze”, “prerogative”) – è interessante notare il fatto che derivi dal termine “SalàH” (bene, bontà, integrità), alludendo quasi a tutta una serie di altri “beni minori” connessi al “bene” più grande. 40 supra, § 1.

41 Si tratta sempre di una parte della citazione di Khomeini riportata in fayyāḍ ʿalī, naẓarīyāt al-sulṭa fī al-fikr

al-siyāsīy al-shīʿīy al-muʿāṣir, p. 225.

42 Ibidem, p. 226. 43 Ibidem.

per l’esercizio nella funzione delle disposizioni e l’istituzione di un ordine islamico giu- sto».44 In quanto tale, ʿAlī Fayyāḍ afferma che nelle competenze del walīy faqīh conflui-

scano il potere esecutivo (tanfīdhīya), il potere giudiziario (qaḍā’īya) e il potere di emissione delle fatwà (iftā’):

ﻲﻟﻮﻟا ﮫﯿﻘﻔﻟا ﻮھ ﻢﻛﺎﺤﻟا وذ تﺎﯿﺣﻼﺼﻟا ﺔﯿﺳﺎﯿﺴﻟا ،ﺔﯾﺬﯿﻔﻨﺘﻟاو ﻮھو ﻲﺿﺎﻘﻟا يﺬﻟا ﯾ ﻢﻜﺤ ﻲﻓ تﺎﻋزﺎﻨﻤﻟا ،تﺎﻓﻼﺨﻟاو ﻮھو ﮫﯿﻘﻔﻟا يﺬﻟا ﻖﻠﻄﯾ ىوﺎﺘﻔﻟا مﺎﻜﺣﻷاو . 45

Il walīy faqīh è il governante dalle competenze politiche ed esecutive; è il giudice [qāḍī] che giudica su dispute e controversie; è il faqīh che emette fatwà e disposi- zioni legali [aḥkām].

A proposito di questa concentrazione di poteri nella figura del walīy faqīh e dell’eventuale contraddizione o contrasto fra i tre, ʿAlī Fayyāḍ riporta un brano di shaykh Muḥammad Mahdī al-Āṣifī, allievo di Khomeini e sostenitore della wilāyat al-faqīh, estratto da un suo articolo intitolato ṣalāḥīyāt al-ḥākim wa sulṭatuhu (Le prerogative del governante

e la sua autorità), in cui si specifica il confine e l’eventuale contrasto tra i tre ambiti di

potere. E dunque, per quanto riguarda l’iftā’, la fatwà del governante è valida solo per i suoi “imitatori” (muqallidūn), e non per gli imitatori che hanno scelto un altro marjiʿ al-taqlīd. Mentre col potere giudiziario (sulṭa qaḍā’īya) attribuito al walīy faqīh si intende il diritto di praticare l’amministrazione della giustizia, il diritto di supervisionare sulla condotta dell’am- ministrazione delle giustizia e di nominare o rimuovere i giudici. Infine, per ciò che concerne il potere esecutivo (sulṭa tanfīdhīya), le norme e le disposizioni (aḥkām) emesse dal gover- nante e dalla sua autorità risultano vincolanti e valide (nāfidha) per la totalità dei musulmani, tanto da essere considerate abroganti (nāqiḍa) delle fatwà degli altri mujtahid nel caso in cui queste risultassero in contraddizione con la disposizione (ḥukm).46 ʿAlī Fayyāḍ rileva dun- que come da tale discorso emerge una gerarchia delle fonti, in cui vi è la priorità della norma (awlawīya al-ḥukm) emessa dal governante (ḥākim) rispetto alla fatwà emessa dal faqīh, nel senso che il ḥukm blocca e abroga la fatwà in caso di conflitto e incongruenza tra i due. La priorità del ḥukm riflette dunque la priorità dell’interesse generale (maṣlaḥa ʿāmma) che è ricollegata alla valutazione dell’autorità, al di sopra di qualsiasi altro tipo di considerazione.

44 Ibidem. 45 Ibidem, p. 227. 46 Ibidem, p. 228.

Secondo ʿAlī Fayyāḍ questo ragionamento è logico, dal momento che a richiederlo sono le motivazioni di regolamentazione generale (intiẓām ʿāmm) e l’unicità dell’autorità (waḥdānīyat al-sulṭa) a cui sono attribuiti i pieni poteri esecutivi (ṣalāḥīyāt tanfīdhīya). In ogni caso, qualora fosse presente un’autorità legale, la riformulazione dello spazio legisla- tivo (faḍā’ tashrīʿīy) deve essere effettuata in accordo con la marjaʿīya del walīy faqīh, «senza estendere ciò fino al punto da privare gli altri faqīh del diritto di iftā’».47 Si tratta dunque di una teorizzazione in cui avviene una contemperazione delle prerogative dei ri- spettivi poteri, nell’ottica dell’interesse generale (maṣlaḥa ʿamma) e, ancora più a monte, alla luce del “bene” (ṣalāḥ).