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II. Hezbollah Storia e ideologia

1. Premesse alla nascita del movimento

Comprendere le ragioni e lo spirito che animarono la costituzione di Ḥizb Allāh im- plicano una discreta conoscenza della storia libanese, quanto meno a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Sarebbe necessario esporne i retaggi culturali, la moltitudine di comu- nità confessionali, la natura di tali comunità confessionali e i loro tratti peculiari. Sarebbe inoltre necessario tracciare una storia esaustiva di tutto il Vicino Oriente che, nel giro dell'ul- timo secolo e mezzo, ha visto un incessante susseguirsi di eventi senza pari, per copiosità e intensità. Tuttavia, è impossibile trattare in questo contributo un periodo così vasto e così fortemente vissuto dalla storia. Daremo dunque precedenza a quegli elementi più specifici che riguardano la nostra trattazione, rimandando ad altre opere il compito di fornire un qua- dro esaustivo della storia e delle istituzioni del Libano, del Vicino Oriente e del mondo arabo. Un quadro imprescindibile per ovviare a quell'esercito di «supposti specialisti, nutriti da un orientalismo da supermercato e supportati da un'abbondante pubblicistica»1 che affollano lo spazio mediatico internazionale. Rintracciare gli eventi che hanno determinato la nascita dello Ḥizb Allāh, e ne hanno plasmato le politiche, passa necessariamente per l'individua- zione di due macro-eventi cruciali: a) la rivitalizzazione dell'attivismo politico sciita, culmi- nata nella Rivoluzione Iraniana del 1979; b) l'interminabile conflitto arabo-israeliano e, in particolar modo, le invasioni israeliane del 1978 e del 1982 nel Sud del Libano. Prendendo le mosse da questi due eventi che tanto hanno inciso anche nello sviluppo attuale dello Ḥizb

Allāh, questo capitolo cercherà di fornire un quadro il più esaustivo possibile delle premesse,

della nascita e del consolidamento del “Partito di Dio”.

1 CHARARA Walid, DOMONT Frédéric, Hezbollah. Storia del partito di Dio e geopolitica del Medio Oriente, DeriveApprodi, traduzione dal francese di Ilaria Bussoni e Michèle Ménard, Roma 2006, p. 7. [titolo originale in francese Le Hezbollah. Un mouvement islamo-nationaliste, Fayard, Paris 2006].

Il problema delle comunità confessionali

Dal punto di vista religioso, il Libano è un Paese fortemente eterogeneo. Nel 1926, in virtù di tale eterogeneità la potenza mandataria francese elaborò la prima Costituzione libanese, istituendo nei fatti una repubblica consociativa su base confessionale. L'obiettivo della Francia era il controllo della politica interna libanese attraverso i rapporti privilegiati che intratteneva con la comunità cristiano-maronita. Nel 1943 sunniti e maroniti siglarono il Patto nazionale che avrebbe dovuto costituire le basi per la costruzione dell'indipendenza dopo la fine del regime mandatario, nonché un metodo di assegnazione su logiche settarie delle principali cariche e di spartizione proporzionale nella pubblica amministrazione. D'ora in avanti, secondo questo accordo, le tre più alte cariche statali sarebbero state assegnate alle tre principali comunità: la Presidenza della Repubblica a un maronita, il Premierato a un sunnita e la carica di portavoce della Camera dei Deputati (simbolica e priva di reali poteri) a uno sciita. Con la stessa ratio, anche i seggi parlamentari sarebbero stati distribuiti su base confessionale secondo un rapporto cristiani/musulmani di sei a cinque (54 cristiani, 20 sun- niti, 19 sciiti e 6 drusi).2 Nonostante le intenzioni, tale sistema fu l'argine principale per la creazione di un Libano indipendente con una sua identità e coesione interna. L'accento sulle appartenenze confessionali e l'esasperazione di queste identità da parte dei notabili (zaʿīm)3 per fini personali saranno i presupposti fondamentali di una ininterrotta instabilità, culminata con la guerra civile del 1975.

Il pretesto di difendere le specificità di ciascuna confessione e l'instabilità di un si- stema destinato ad una inevitabile implosione si ritrovano nella impossibilità di disporre di dati ufficiali aggiornati sulla effettiva composizione confessionale del Libano. L'ultimo cen- simento ufficiale risale infatti al 1932, sotto il mandato francese. Tale censimento contò poco più di 860 mila libanesi, sancì il rapporto di 6 cristiani per 5 musulmani4 e stimò la popola-

zione sciita al 19,6 per cento.5 Tuttavia sulla attendibilità del censimento francese pesa il

dubbio che considerazioni di tipo politico abbiano influito sulla elaborazione dei dati finali.

2 CAPEZZONE Leonardo, SALATI Marco, L'islam sciita. Storia di una minoranza, Edizioni Lavoro, Roma 2006, p. 365.

3 Il termine zaʿīm significa letteralmente “capo” ed etimologicamente identifica il portavoce di un gruppo di persone, ma nel tempo ha assunto una accezione a volte politica, a volte militare. Cfr. E. Picard, “zaʿīm”, in

The Encyclopaedia of Islam, 2nd edition, 1991, vol. 11, p. 402.

4 CAPEZZONE Leonardo, SALATI Marco, L'islam sciita. Storia di una minoranza, p. 365.

5 ALAGHA Joseph, The shifts in Hizbullah's Ideology, Amsterdam University Press, Amsterdam 2006, p. 22.

In ragione della politica imperialista francese che dal XIX secolo faceva leva sulla presunta difesa delle comunità cristiane (in particolare i maroniti) per avere il pretesto e la giustifica- zione di ingerirsi negli affari interni dell'Impero ottomano, prima, e del Libano, poi, non stupisce che nel calcolo del censimento si considerasse anche un discreto numero di libanesi cristiani da tempo residenti all'estero.6 Una ulteriore distorsione, in questo caso sulle spalle

della comunità sciita, si è avuta nelle zone a predominanza cristiana, in cui gli sciiti vennero automaticamente catalogati come cristiani. Questo è avvenuto nel Sud, nel Monte Libano (nei distretti di Jubayl e Kisirawān) e nel Nord (nei distretti di ʿAkkār e al-Kūrah).7 In un

Paese in cui il potere deve essere spartito in termini proporzionali sulla base delle diverse comunità, è facilmente intuibile la problematicità e la portata di un nuovo possibile censi- mento. Per tale motivo fino ad oggi nessun Governo e nessun accordo intercomunitario sono mai riusciti ad avviare una nuova raccolta ufficiale di dati. In compenso sono state stilate alcune stime ufficiose che danno ampio spazio alle mutate condizioni interne alla società libanese e che tengono conto delle emigrazioni e dei fortemente diversi tassi di natalità. Se- condo una stima del 1986 la popolazione sarebbe ripartita come segue: 41 per cento sciiti, 27 per cento sunniti, 7 per cento drusi, 16 per cento maroniti, 5 per cento greco-ortodossi e 3 per cento greco-cattolici.8 Come si evince immediatamente, il rapporto cristiani/musul- mani di 6 a 5 risulta quantomeno anacronistico.

La condizione socio-economica della comunità sciita

L'altro dato che balza subito agli occhi nella stima demografica del 1986 è l'impor- tante consistenza numerica della comunità sciita, forte del più basso tasso di emigrazione estera e del più alto tasso di natalità.9 La sua distribuzione si concentrava principalmente

nelle campagne in due zone del Paese: circa l'80 per cento nel sud del Libano (Jabal ʿĀmil) e il restante nella Valle della Biqāʿ. Nel corso degli anni '50 la modernizzazione della cam- pagne e i processi di trasformazione sociale determinarono un abbandono delle campagne, favorendo un imponente flusso migratorio verso le principali città: Sidone (Ṣaydā), Tiro

6 CAPEZZONE Leonardo, SALATI Marco, L'islam sciita. Storia di una minoranza, p. 365 7 ALAGHA Joseph, The shifts in Hizbullah's Ideology, p. 22.

8 Ibidem.

9 ALAGHA Joseph, The shifts in Hizbullah's Ideology, p. 23.

(Ṣūr), Tripoli (Ṭarābulus) e, soprattutto, la periferia meridionale di Beirut.10 Da uno studio

commissionato nel 1959 dal Presidente Fuʾād Shihāb all'IRFED11 emerse che il due per

cento della popolazione libanese possedeva l'ottanta per cento dei mezzi di produzione e distribuzione; che quasi tutte le infrastrutture e i progetti di modernizzazione e sviluppo erano concentrati a Beirut e nel Monte Libano, mentre le aree periferiche del Paese (il Sud e la Valle della Biqāʿ) erano prive di infrastrutture, e talmente arretrate da non essere raggiunte da elettricità e acqua corrente. Il rapporto concludeva: «La maggior parte degli strati popolari libanesi che vivevano alla giornata nelle aree povere erano per eccellenza sciiti».12 Dunque, nonostante la numerosa e crescente presenza sciita, questa comunità è sempre stata margi- nalizzata all'interno della scena libanese, costituendo così il gruppo più debole, sia in termini economici che politici. In un sistema in cui il Presidente della Repubblica e il Primo Ministro spettavano di diritto a cristiani e sunniti, il gruppo confessionale più consistente vedeva così frustrate sul nascere le aspirazioni di cambiamento della propria condizione sociale, econo- mica e politica. Se a questo vi si aggiunge che i 19 seggi riservati agli sciiti erano di fatto una prerogativa degli zaʿīm, il quadro che si delinea è quello di una percezione della sotto- rappresentazione che, tra il 1946 e il 1962,13 crebbe di pari passo col crescere della popola- zione sciita e con la sempre più deprecabile impossibilità di accesso al potere determinata da un obsoleto sistema a base confessionale.

Ad aggravare la già precaria condizione degli sciiti libanesi e, in particolare, di quelli stanziati nel Sud del Libano si presentò l'esplosione del conflitto arabo-sionista che, dal 1948 in poi, sarà il principale fattore di instabilità della regione e, soprattutto, del Libano: «limi- trofo alla Palestina, con la quale forma un unico spazio culturale ed economico, il Sud del Libano è destinato a subire in pieno gli effetti della Nakbah [lett. “catastrofe”]».14 Infatti, a

causa della prima guerra di questo lungo e inesauribile conflitto, più di 750 mila palestinesi furono sradicati dalle proprie terre e cacciati verso i Paesi confinanti ad opera dell'IDF.15

10 CAPEZZONE Leonardo, SALATI Marco, L'islam sciita. Storia di una minoranza, pp. 365-366. 11 Institut International de Recherche et de Formation Education Développement.

12 LEBRET Louis-Joseph, Le Liban Face à son Développement, Institut de Formation en vue du Développe- ment Etudes ed Documents, Beirut 1963, cit. in ALAGHA Joseph, The shifts in Hizbullah's Ideology, p. 24. 13 HALAWI M., A Lebanon Defied: Musa al-Sadr and the Shiʿīa Community, Westview Press, Boulder 1992, pp. 49-77, cit. in ALAGHA Joseph, The shifts in Hizbullah's Ideology, p. 23.

14 CHARARA Walid, DOMONT Frédéric, Hezbollah. Storia del partito di Dio e geopolitica del Medio

Oriente, p. 15.

15 Acronimo di Israelian Defense Force, detto Tzahal, è il costituendo esercito sionista che in questo periodo raggruppò tutte le formazioni militarmente organizzate, dall'Haganah al Palmach fino ai gruppi terroristici Ir- gun e Banda Stern.

Centomila profughi cercarono riparo nel Libano meridionale, aggiungendo un ulteriore ele- mento di instabilità al complesso e fragile sistema politico libanese agli esordi della propria indipendenza. È sempre in questo periodo che emergono le reali intenzioni espansionistiche dell'apparato sionista. Nonostante tra il 1948 e il 1964 (anno di creazione dell'OLP16) non si

fosse registrato alcun attacco proveniente dal Libano,17 già nel 1948 le forze sioniste occu-

parono sette villaggi libanesi e compirono due massacri di civili a Salha e a Ḥūlā, con un bilancio totale di 174 vittime e diversi villaggi di confine distrutti.18 D'ora in poi il Libano sarà bersaglio di aggressioni israeliane arbitrarie, in quanto non provocate necessariamente da attacchi provenienti dai territori libanesi. Tra il 1949, anno della firma del cessate il fuoco tra Libano e Israele, e il 1964 il Libano subisce 140 incursioni israeliane.19 Durante la terza guerra arabo-sionista del 1967, a cui il Libano non prese parte, il suo spazio aereo venne ripetutamente violato per bombardare la Siria. È sempre nel corso di questa guerra che Israele occupa e annette una porzione di territorio libanese (undici frazioni del villaggio di Shabʿā e i versanti occidentali e meridionali del monte Jabal al-Shaykh).20

Tra il 1968 e il 1974 si registrarono tremila aggressioni israeliane in territorio liba- nese. Con la disfatta (Naksah) del 1967 il Sud del Libano diventa gradualmente il terreno di scontro tra i fidāʾīyūn21 palestinesi e gli israeliani. Sarà solo con l'accordo del Cairo del 3 novembre 1969 che il Libano riconoscerà all'Olp il diritto di sferrare attacchi dal territorio libanese contro Israele, nonché la gestione autonoma dei campi profughi presenti sul suo territorio. La spirale del coinvolgimento libanese avverrà dopo il Settembre nero del 1970 quando i combattenti palestinesi verranno cacciati dalla Giordania ad opera dell'esercito re- golare, per essere così costretti a ripiegare sul Libano. Da questo momento fino al 1982 Beirut sarà la base operativa dell'Olp. Le ripercussioni di questi eventi si faranno sentire drammaticamente nel Sud del Libano e, quindi, soprattutto sulla comunità sciita che rappre- senta la stragrande maggioranza della popolazione ivi stanziata. Lo stato di guerra continua nel quale il Sud si ritrovò a vivere, la sua trasformazione in un teatro di incessanti e crescenti incursioni israeliane e uno Stato libanese privo di iniziativa e noncurante delle esigenze degli

16 Acronimo di Organizzazione per la Liberazione della Palestina. 17 ALAGHA Joseph, The shifts in Hizbullah's Ideology, p. 24.

18 CHARARA Walid, DOMONT Frédéric, Hezbollah. Storia del partito di Dio e geopolitica del Medio

Oriente, p. 15.

19 Ibidem, p. 17. 20 Ibidem, p. 16.

21 “Guerriglieri”, “combattenti”.

sciiti, tutti questi fattori ebbero due importanti conseguenze: da una parte una crescente osti- lità della comunità sciita nei confronti dei palestinesi, alla quale la già precaria condizione di vita rendeva insopportabile un ulteriore aggravamento; dall'altra, tale condizione spinse buona parte delle famiglie del Sud ad alimentare pesantemente il flusso migratorio verso i sobborghi di Beirut, tanto che dal 1971 quasi la metà della popolazione sciita libanese era concentrata nell'area della Grande Beirut.22 Dunque il conflitto arabo-sionista giocò un in- negabile ruolo determinante sia in termini di mobilitazione sociale che di radicalizzazione politica di questa comunità.

Imām Mūsā al-Ṣadr

La drammaticità della situazione finora descritta offrì un terreno fertile al rinvigori- mento del sentimento religioso della comunità sciita. Rinvigorimento che già dai primi anni '60 era stato supportato dall'avvio di un intenso movimento delle autorità religiose sciite. Tale fermento ebbe inizio con l'arrivo di un certo numero di giovani ʿulamāʾ23 provenienti dalle celebri scuole religiose della città santa di Najaf in Iraq. Fino ad allora né la sfera culturale né quella politica avevano prestato attenzione al campo islamico o previsto alcun ruolo per esso.24 Tra questi giovani rinnovatori del ruolo sociale e politico dei teologi, la figura di spicco che operò un radicale cambiamento di prospettive e di azione all'interno della comunità sciita fu indubbiamente Mūsā al-Ṣadr. Nato nel 1928 nella città santa di Qom in Iran da una antica e prestigiosa famiglia di ʿulamāʾ, Mūsā al-Ṣadr giunse in Libano per ricoprire la carica di muftī25 sciita di Tiro nel 1960.26 In seguito alle sue critiche sulla repres-

sione esercitata dallo Shah contro il sollevamento della popolazione, nel 1963 gli venne re- vocata la cittadinanza iraniana e divenne cittadino libanese. D'ora in poi diventerà un punto

22 HALAWI M., A Lebanon Defied: Musa al-Sadr and the Shiʿīa Community, pp. 68-74, cit. in ALAGHA Joseph, The shifts in Hizbullah’s Ideology, p. 25.

23 Plurale di ʿālim, “dotto in scienze religiose”. Cfr. R.C. Repp, “ʿulamāʾ”, in The Encyclopaedia of Islam, 2nd edition, 1991, vol. 10, p. 801.

24 QASSEM Naim, Hizbullah. The Story from Within, translated by Dalia Khalil, SAQI, Beirut 2010, p. 55. L'opera originale in arabo è naʿīm qāsim, ḥizb allāh: al-manhaj, al-tajriba, al-mustaqbāl, dār al-hādī lil-ṭibāʿa wa al-nashr wa al-tawzīʿ, lubnān 2002.

25 Lettaralmente è “colui che emette fatwā”, opinioni in punta di diritto. Il termine designa anche il funzionario pubblico nominato dallo Stato e preposto alle medesime funzioni, combinandole talvolta con quelle di magi- strato. Cfr. E. Tyan, “fatwā”, in The Encyclopaedia of Islam, 2nd edition, 1991, vol. 2, p. 866.

26 CAPEZZONE Leonardo, SALATI Marco, L’islam sciita. Storia di una minoranza, p. 367.

di incontro e unione tra le istanze del popolo libanese e quelle dei rifugiati iraniani che tro- varono riparo in Libano.27 Ma la situazione socio-economica della comunità sciita libanese

lo convinse che bisognava trasformare il proprio ruolo – quello del tradizionale ʿālim – in «una azione di protesta contro l'ingiustizia sociale e la discriminazione, collaborando se ne- cessario anche con le forze non-musulmane».28Sulla base di questa convinzione, Mūsā al-

Ṣadr strutturò la propria azione su due direttrici, che non a caso delineano una presa di co- scienza dei due fattori destabilizzanti citati in precedenza: da un lato la lotta per il migliora- mento delle condizioni socio-economiche della comunità sciita libanese, dall'altro la lotta di resistenza contro l'occupante israeliano.

Per quanto attiene la prima direttrice, Mūsā al-Ṣadr iniziò ad esercitare un'azione di pressione nei confronti dello Stato libanese al fine di risolvere il problema del deficit rap- presentativo della comunità sciita all'interno della struttura politica statale. Tale obiettivo lo portò ad un vero e proprio scontro con gli zaʿīm sciiti, che fino ad allora avevano ignorato le esigenze della propria comunità, e che ora vedevano sottrarsi la legittimità di rappresen- tarla.29Scontro interno reso possibile e fruttuoso per lo stesso Mūsā al-Ṣadr da quel processo di migrazione dalle campagne verso le città che, contemporaneamente, erodeva il tradizio- nale potere degli zaʿīm, oramai incapaci di perpetrare la propria egemonia nelle periferie delle grandi città – ricordiamo che già dal 1971 quasi la metà degli sciiti libanesi risiedeva nel territorio della Grande Beirut. In tale nuovo contesto sociale urbanizzato «i vecchi schemi associativi e di rappresentanza clientelare non erano più funzionali e si avvertiva il bisogno di nuove forme di organizzazione sociale e politica».30 Fu grazie a questo nuovo

scenario che Mūsā al-Ṣadr ottenne nel 1967 una legislazione che riconosceva un pieno rico- noscimento legale alla comunità e, nel 1969, l'istituzione del Supremo Consiglio Islamico Sciita (al-majlis al-ʾislāmī al-shīʿī al-aʿlā) di cui assunse la presidenza. Organo ufficial- mente riconosciuto nella rappresentanza della comunità sciita libanese, era l'unico titolato ad avanzare rivendicazioni nei confronti dello Stato, su una posizione di parità rispetto alle altre comunità, già da tempo dotate di un simile riconoscimento. Le rivendicazioni di Mūsā al-Ṣadr miravano all'accrescimento della presenza sciita nella sfera politica, economica e militare.

27 ALAGHA Joseph, The shifts in Hizbullah’s Ideology, pp. 26-27.

28 CAPEZZONE Leonardo, SALATI Marco, L’islam sciita. Storia di una minoranza, p. 367. 29 ALAGHA Joseph, The shifts in Hizbullah’s Ideology, p. 27.

30 CAPEZZONE Leonardo, SALATI Marco, L’islam sciita. Storia di una minoranza, p. 366.

Nel corso dell'inaugurazione del Supremo Consiglio Islamico Sciita Mūsā al-Ṣadr presentò il proprio programma politico, articolato in sette punti: 1) rappresentare le istanze della comunità sciita e migliorarne le condizioni socio-economiche; 2) attuare una visione olistica dell'Islam in relazione al pensiero, alla pratica e al jihād; 3) lottare per raggiungere l'unità dei musulmani senza alcuna discriminazione; 4) cooperare con tutte le comunità con- fessionali libanesi (infitāḥ, “apertura”) e salvaguardare l'unità nazionale; 5) adempiere ai doveri patriottici e nazionali e proteggere l'indipendenza, la sovranità e l'integrità territoriale del Libano; 6) combattere l'ignoranza, la povertà, l'arretratezza, l'ingiustizia sociale e la de- generazione morale; 7) supportare la resistenza palestinese e prendere parte alla liberazione della Palestina assieme agli altri Paesi arabi.31 Durante i raduni di massa Mūsā al-Ṣadr riuscì a mobilitare decine di migliaia di seguaci a prescindere dalla appartenenza comunitaria e dal credo ideologico. In virtù di tale forza e di tale eterogeneità, nel 1974 insieme a Gregoire Ḥaddād, vescovo greco-cattolico, diede vita al Movimento dei Diseredati (ḥarakat al-

maḥrūmīn), un gruppo di carattere socio-politico la cui missione principale era l'allevia-

mento della povertà, soprattutto nel Sud del Libano, nel distretto della Biqāʿ orientale e nei cosiddetti quartieri della miseria della periferia di Beirut, frutto dell'urbanizzazione di massa.32 Col tempo si sviluppò in un movimento a carattere confessionale sotto la guida dello stesso Mūsā al-Ṣadr, riuscendo a catalizzare il consenso tra gli appartenenti della co- munità sciita, a discapito sia degli zaʿīm che dei partiti di sinistra.33 Infatti, alla vigilia dello scoppio della guerra civile (1975), tutti i partiti a base ideologica (e quindi non confessio- nale) stavano gradualmente assottigliandosi a causa della “solidarietà” confessionale.

Furono proprio il deteriorarsi della situazione libanese, la necessità di rispondere al proliferare delle milizie e, soprattutto, le continue aggressioni israeliane i fattori che convin- sero Mūsā al-Ṣadr della necessità di dotare la comunità sciita di una propria milizia. A tal proposito nel 1975 fondò l'ala armata del Movimento dei Diseredati, i Battaglioni della re- sistenza Libanese (afuāj al-muqāwama al-lubnānīya). Meglio noti con l'acronimo Amal (“speranza”), questa fu un'organizzazione politica e paramilitare di autodifesa il cui princi- pale obiettivo era la liberazione del Sud del Libano dalle truppe israeliane, in stretta colla- borazione con l'Olp. Il 31 agosto del 1978, durante una visita ufficiale in Libia per gli annuali

31 al-ḥarakāt al-islāmīyyah fī lubnān, al-Širāʿ, Bayrūt 1984, pp. 33-34, cit. in ALAGHA Joseph, The shifts in

Hizbullah’s Ideology, p. 27.

32 QASSEM Naim, Hizbullah. The Story from Within, p. 57. 33 ALAGHA Joseph, The shifts in Hizbullah’s Ideology, p. 29.

festeggiamenti della Rivoluzione Verde, Mūsā al-Ṣadr scomparve in circostanze misteriose e ancora oggi nessuno è riuscito a chiarirne con certezza il destino.