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2. L’evoluzione del cinema

2.2. Le grandi innovazioni

Il cinema è anche business. In quanto tale, come tutto ciò che fa riferimento a un mercato economico, anche il cinema ha conosciuto grandi momenti di fortuna e grandi momenti di crisi. Tuttavia, nel corso di oltre cento anni di vita, il cinema è sempre riuscito a rispondere alla crisi del mercato, introducendo innovazioni più o meno significative, in grado di risollevare le sue sorti. Abbiamo già affrontato il primo vero momento di crisi del cinematografo nel precedente paragrafo. La risposta è stata quella che abbiamo analizzato ad opera di Griffith. Tuttavia, questa innovazione si configura come una nuova nascita del mezzo; “se nel cinema delle attrazioni l’intenzione dominante era mostrare le scene in movimento, a partire da Griffith, invece, l’intenzione principale sarà la narrazione.”8 Cambia proprio il modo di utilizzarlo e il tipo di fruizione che se ne ha. Con Griffith abbiamo la nascita del cinema moderno. Cerchiamo ora di vedere in che modo si è modificato nel corso degli anni.

2.2.1. I film sonori

La prima grande introduzione che ha segnato permanentemente il cinema moderno, riguarda l’avvento del sonoro. È con Il cantante di jazz del 1927 che si apre una nova fase della storia cinematografica. L’avvento del suono dentro le immagini, comporta un cambiamento radicale sia per quanto riguarda la costruzione della trama, sia per quanto riguarda la recitazione dell’attore.

Il film muto richiedeva una serie di accorgimenti e una tipologia di inquadrature che potessero ovviare alla carenza del dialogo (limitato a poche frasi riportate attraverso didascalie in quelli conosciuti come cartelli). Si cercava di adoperare una scelta di accostamenti visivi che potessero evocare nello spettatore la ricezione del messaggio. L’avvento del sonoro stravolge le regole della costruzione filmica e del montaggio analitico; tuttavia, in certi casi, questo comporta una regressione del prodotto finale.9

Affrontando un discorso così delicato si deve stare attenti a non fare confusione. I meriti e le possibilità generate dalla componente sonora sono state innumerevoli e fondamentali. La possibilità di sostituire le invadenti didascalie con un suono sincronizzato con l’immagine che, non solo rendeva la comprensione più immediata, ma anche infondeva una percezione di realtà più pregnante per ciò che riguarda l’immedesimazione che si richiedeva allo spettatore, è stata un’innovazione dalla portata straordinaria. A questo si aggiunge la possibilità di lavorare su sceneggiature più complesse, che senza l’ausilio fornito dal sonoro (in particolare per le scene dialogate) sarebbero risultate molto

9 G. Millair e K. Reisz, La tecnica del montaggio cinematografico, Milano,

difficili da realizzare.10 La critica principale che è stata mossa alla nuova categoria (per quei tempi) di registi sonori, si incentra sul loro utilizzo spasmodico del sonoro. Questa innovazione ha generato la tipologia di film che Millar e Reisz definiscono parlati al cento per cento. Riprendendo le considerazioni portate avanti da Lindgren, i due autori si scagliano contro l’uso del parlato, quando esso non apporta nessun ulteriore dato rilevante, rispetto a quello che è in grado di apportare l’immagine. Il solo vantaggio che si aggiunge alla sequenza, è un livello di realismo più attinente alla quotidianità: “In un film muto si può vedere un cane che abbaia; aggiungere il suono del cane che abbaia aumenta senza dubbio il realismo della scena, ma non ci dice nulla che già non sappiamo, non aggiunge nulla alle qualità espressive dell’immagine; si tratta ancora e semplicemente di un cane che abbaia.”11

Tuttavia, se sfruttato bene, il sonoro è in grado di produrre degli effetti unici e di creare nuove soluzioni da porre al servizio della storia. Un dialogo, ad esempio, può nascondere un sotto-testo che lo valorizza e lo rende indispensabile. Altre volte l’autore può servirsi del dialogo semplicemente per mostrare lo stato d’animo o la psicologia del personaggio; in questi casi l’interesse non viene posto su cosa dicono i personaggi, ma su come lo dicono. Spesso l’ambiguità del dialogo aggiunge un grado di interesse da non sottovalutare.

10 Ivi, pp. 39-40. 11 Ivi, p. 38

In ogni caso, ciò che conta è non dire quello che puoi mostrare. Ogni suono, ogni parola deve contribuire a fornire informazioni aggiuntive, ad arricchire il racconto.12

In definitiva, la nascita del sonoro ha generato sicuramente più benefici che svantaggi; tutto ciò che si deve rifuggire è un utilizzo smodato delle sue possibilità, ricordandosi che il cinema nasce prima di tutto come racconto per immagini. Va raggiunto un equilibrio fra la componente visiva e quella sonora, quindi. In questo compito ci vengono incontro gli insegnamenti dei grandi maestri del passato: autori come Ford, De Sica, Carné “mostrano tutti un’economia ammirevole nell’impiego dei dialoghi, il che ha portato a opere che si staccano nettamente dalla media.”13

Se il suono aggiunge diverse possibilità agli autori, consentendogli di sfruttare tutta una serie di nuovi elementi (dialoghi, rumori, musiche, suoni extradiegetici) per coinvolgere emotivamente il pubblico, discorso diverso si deve fare per come cambia la condizione degli attori. Con l’avvento del sonoro, infatti, non basta più la presenza fisica e la capacità mimica dell’attore: adesso egli deve saper recitare. Questo aprirà una vera e propria crisi all’interno della categoria, generando un ricambio repentino degli interpreti.

Uno dei generi che aveva riscosso più successo ai tempi del muto è stato senza dubbio il genere comico. Il cinema comico, figlio dell’influenza delle rappresentazioni carnevalesche e circensi, si serve, per ottenere situazioni esilaranti, di una delle caratteristiche principali del mezzo cinematografico: il

12 Age, Scriviamo un film. Manuale di sceneggiatura, Milano, il Saggiatore,

2009, pp. 93-99.

movimento. I primi film comici sono completamente giocati sul movimento. Una costante di questi film è la velocità. Le slapstick comedy (letteralmente schiaffo-e- bastone, gag elementari che suscitano la risata attraverso le continue disgrazie che capitano ai personaggi), i Keystone Cops (poliziotti incompetenti che non sono in grado di svolgere il loro lavoro), le Bathing Beauties (bellezze al bagno, ragazze superficiali e trasgressive), sono tutte varianti comiche dei primi vent’anni del novecento, che sfruttano in primo luogo il ritmo del montaggio per suscitare il riso.14 Ai tempi del muto era proprio in fase di montaggio che si creava il film; il regista, insieme al montatore, aveva a disposizione una vasta quantità di materiale che utilizzava a suo piacimento in base alle necessità della sequenza. Questo vale non soltanto per il genere comico, dove come abbiamo detto la cadenza ritmica era in grado di accrescere la goffaggine della situazione, ma anche per le scene drammatiche in cui la scelta di un andamento più o meno veloce contribuiva a creare uno stato di tensione nello spettatore.

Con l’avvento del sonoro questa libertà di scelta viene a ridimensionarsi considerevolmente; in primo luogo per lo stretto legame che si viene a creare fra immagine e suono (che adesso viene ad acquisire un valore imprescindibile per la narrazione), e in secondo luogo per l’alto costo della “pellicola sonora”, che non consente di girare una gran quantità di materiale in eccesso.15

Se da un lato queste nuove norme mutano e allo stesso tempo favoriscono la gestione del film da parte del regista, dall’altro lato richiedono all’interprete competenze indispensabili per continuare a esercitare la professione. Attori come Charlie Chaplin o Buster Keaton, che avevano fatto del loro corpo l’elemento

14 Sandro Bernardi, L’avventura del cinematografo, cit., pp. 64-66.

principale della loro fortuna cinematografica, troveranno non pochi ostacoli con l’avvento del sonoro. In particolare Keaton risentirà fortemente di questa innovazione, “poiché il suo cinema è tutto di giochi visivi e la parola non ha importanza.”16 La portata di questa innovazione e le conseguenze disastrose che ne derivarono per gli attori del tempo, furono a tal punto significative da creare i presupposti per costruire delle trame intorno a questo argomento: Viale del tramonto (1950) di Billy Wilder è stato uno dei film più rappresentativi per ciò che concerne lo shock psicologico che affliggeva i divi del tempo, o ancora, in tempi più recenti, The Artist (2011) di Michel Hazanavicius è stato in grado di esprimere molto bene il grado di trasformazione scaturito dall’avvento del sonoro, riuscendo a riscuotere un largo consenso di pubblico e di critica.

2.2.2. La rivoluzione neorealista

Se la prima grande innovazione del mezzo cinematografico si basa, come abbiamo visto, su una componente tecnica (l’introduzione del suono all’interno dell’immagine), la seconda grande innovazione del cinema moderno è stata tematica, e si riconosce nella nascita e nell’affermazione del Neorealismo.

Riuscire a definire in maniera esaustiva cosa si intende per Neorealismo non è compito facile. Sebbene si possano individuare senza troppa difficoltà le principali caratteristiche della corrente, riuscire a definire sinteticamente l’elemento fondante che ha permesso al Neorealismo di imporsi, risulta abbastanza complicato.

Proviamo a definire alcune considerazioni di base.

• Il cinema neorealista nasce in Italia a partire dal 1945.

• Le figure più importanti si riconoscono in Rossellini, Visconti e nel duo Zavattini-De Sica.

• Al centro dell’interesse neorealista c’è la realtà quotidiana.

La Seconda Guerra Mondiale ha lasciato nel territorio italiano conseguenze disastrose. Proprio le condizioni della popolazione giocano un ruolo fondamentale nella nascita di questa nuova scuola di pensiero. Tuttavia, le premesse al neorealismo si erano presentate già prima della guerra. Nella seconda metà degli anni trenta, in seno alla rivista Cinema, si iniziava di già a parlare di realismo. Iniziava a emergere un interesse per persone lontane dallo stereotipo di eroe delle pellicole americane.17 La guerra contribuisce a consolidare questa esigenza che era venuta formandosi. Permette di attingere a storie forti e largamente condivise. Si schiera dalla parte dei deboli. Contribuisce a creare un senso di identità condivisa.

Il cinema neorealista è un cinema povero: i teatri di posa sono stati distrutti o occupati dagli sfollati, pertanto le riprese vengono effettuate nei contesti urbani; spesso vengono scritturati attori non professionisti o provenienti dall’avanspettacolo; l’inquadratura è sporca, non curata; il montaggio diventa meno lineare; i raccordi meno precisi. Oltre che nella carenza di soldi, di mezzi e di organizzazione produttiva, le motivazioni che hanno portato a questo nuovo

modo di fare cinema, vanno ricercate nell’urgenza comunicativa; il cinema diventa sempre più un mezzo per esprimersi, per parlare, per puntare l’attenzione su argomenti di interesse culturale: “l’unità-base del racconto cinematografico non è più l’inquadratura, e quindi nemmeno il montaggio, ma «il fatto, l’evento bruto, ancora confuso, incerto e caotico, davanti al quale la cinepresa rimane attenta a osservare, cercando di capire quello che accade.» (Bazin, 1958)”18 Non si può più attendere. Non si possono aspettare le condizioni ottimali. La necessità primaria diventa la comunicazione. Ci troviamo di fronte a un cinema povero di mezzi ma non di ideali. Ideali forti e improcrastinabili che, nonostante le ristrettezze, fremono per essere comunicati. È così che un’altra caratteristica fondamentale del cinema neorealista potrebbe essere individuata nella volontà di continuare a vivere nonostante i disagi; una volontà di fare cinema nonostante le ristrettezze. Un cinema nuovo e innovativo che porta sul grande schermo la realtà quotidiana, mescolando finzione e verità. Un cinema che attinge al particolare per arrivare all’universale.19 Nasce un vero e proprio nuovo modo di guardare. Osservare da vicino la realtà senza quel grado di illusione che contraddistingueva il cinema precedente. Il mondo circostante è un mondo doloroso ed è presentato in quanto tale dalla macchina da presa. Le persone che lo popolano sono i poveri disperati e proprio loro diventano i protagonisti delle storie raccontate. Lo sguardo dell’autore si infiltra nelle loro vite difficili e altrettanto è costretto a fare lo spettatore. Nel Neorealismo non ci si schiera, non si giudica; tutto ciò che si è in grado di fare è partecipare tacitamente all’evoluzione della storia. Il pubblico

18 Ivi, pp. 199-200.

19 Gian Piero Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano, Torino, Einaudi,

diventa testimone degli avvenimenti. Avvenimenti che in linea di massima fanno parte della sua realtà.

Una volta chiarite le linee guida che contraddistinguono il Neorealismo, va detto che già a partire dagli inizi degli anni ’50, il fenomeno si era arrestato. Rientrano in questo filone film come Roma città aperta, Paisà, Germania anno zero, Ladri di biciclette, Umberto D, Sciuscià, La terra trema e pochi altri. In ogni caso si tratta di film prodotti fra il 1945 e il 1948. Inoltre si tratta di film estremamente diversi fra loro; non si riconosce un tema comune, non si riconosce un personaggio comune e non si riconosce un’ambientazione comune. L’unico elemento che li accomuna è “il senso tragico della realtà”20.

Resta comunque il fatto che si tratta di un periodo veramente esiguo per essere in grado di condizionare tutto il cinema successivo, tanto che viene da domandarsi in che modo il Neorealismo abbia rappresentato un’innovazione tanto rilevante. Sebbene la vita del Neorealismo sia decisamente breve, va detto che la sua influenza arriva fino ai giorni nostri. Grandi registi americani contemporanei non nascondono di individuare i loro maestri nei grandi interpreti di questo periodo. Le realtà cinematografiche europee e mondiali ritrovarono nel neorealismo un modello a cui attingere per raccontare le loro realtà nazionali.21 Infine, tutto il cinema italiano degli anni successivi al 1948, segue le logiche e le sperimentazioni che si sono susseguite in questi anni. Mi viene da pensare all’utilizzo dei vari dialetti regionali al servizio di un cinema rivolto alla totalità della nazione. È in questi anni che il dialetto romano, napoletano, siciliano, veneto, entrano a far parte della consuetudine filmica e da questo momento in poi

20 Sandro Bernardi, L’avventura del cinematografo, cit., p. 212. 21 Ivi, pp. 198-199.

non la abbandoneranno più. Tutto il cinema successivo se ne servirà ripetutamente, costruendo personaggi e storie sulla base della provenienza geografica. Una personalità del calibro di Monicelli andrà a fare uno studio meticoloso sui dialetti, individuando in quel non so che linguistico la forza della sua commedia. Grazie alle sue intuizioni e alle sue creazioni sull’apparato linguistico, Monicelli otterrà il riconoscimento di genio della lingua.22

Inoltre, è durante il Neorealismo che si assiste alla consacrazione dell’umorismo (tanto caro alla tradizione italiana) come ingrediente fondamentale della costruzione filmica. Un umorismo in grado di assottigliare sempre più i margini fra dramma e commedia. Un umorismo che inizia ad affermarsi nel cinema, a partire da Roma città aperta, quando, “un minuto prima dell’immortale sequenza in cui le SS falciano con una raffica di mitra Anna Magnani lanciata all’inseguimento della camionetta che si porta via il suo uomo, il prete Aldo Fabrizi ha trasformato a fin di bene un malato scorbutico in finto moribondo, assestandogli una sonora padellata in testa: in altre parole c’è in Roma città aperta un passaggio dal comico al tragico degno del teatro elisabettiano.”23 È questo un tratto assolutamente distintivo del Neorealismo, in grado di formare tutti gli sceneggiatori e i registi successivi. Su questo dualismo fra comico e tragico si sono create trame e personaggi che hanno segnato la storia del cinema italiano; La Grande Guerra (1959), Divorzio all’italiana (1961), Il Sorpasso (1962); ma anche Nuovo Cinema Paradiso (1988), Mediterraneo (1991), La vita è bella (1997). Questi sono tutti film che devono il loro successo a un’impostazione

22 Fabrizio Franceschini, Monicelli e il genio delle lingue, San Giuliano Terme

(PI), Felici Editori, 2014, pp. 28-37.

23 Masolino d’Amico, La commedia all’italiana, Milano, il Saggiatore, 2008, pp.

umoristica che guarda al cinema neorealista come modello incondizionato. Un modello che ha insegnato a far ridere nel dramma e a far piangere nella commedia.

Sono stati questi i punti di forza di una scuola di pensiero dalla vita breve. È in questo modo che il Neorealismo ha stravolto il modo di fare cinema.

Da qui nascono le considerazioni che mi hanno guidato nella realizzazione del cortometraggio. Nozioni teoriche che ho cercato di riproporre nella costruzione della storia e durante la sua lavorazione. Innanzitutto, ho fatto la scelta di utilizzare il mezzo cinematografico per raccontare la storia. Ho ritenuto che il linguaggio filmico potesse permettermi meglio di comunicare la condizione del protagonista: sfruttare le immagini per esplorare la sua personalità, i suoi pensieri, la sua evoluzione. Ho pensato a una storia e ho cercato di narrarla secondo gli insegnamenti di Griffith: ho lasciato che fossero i primi piani a creare il senso drammatico della vicenda; ho lasciato che fossero i raccordi a far proseguire la narrazione.

A questo si aggiunge un uso parsimonioso del dialogo. Volevo che fossero le immagini a raccontare. Il momento della ricerca del padre o della scoperta del suo lato artistico, sono presentate visivamente. Osserviamo da lontano un uomo che domanda informazioni a persone che non sono in grado di rispondere; osserviamo da vicino un uomo che rimane affascinato da una moltitudine di fotografie e dai loro titoli. Il suono è sfruttato per accrescere l’impatto emotivo e per accompagnare l’evoluzione drammatica.

Naturalmente le scene dialogate non mancano, ma l’utilizzo che ho cercato di farne è finalizzato a ottenere un obiettivo diverso. Attraverso il dialogo mi interessava far emergere la varietà dei punti di vista dei diversi interpreti. Mostrare quanto può variare la considerazione di una persona, in base al punto da cui la si osserva. Le centomila maschere che Pirandello attribuisce al suo Vitangelo Moscarda, ho cercato di attribuirle all’anziano signor Umberto che, in particolare nella scena del confronto-scontro fra i fratelli, viene presentato prima come un pover’uomo indifeso, vittima delle crudeltà della società contemporanea, e poi come uno sconsiderato donnaiolo, pronto ad abbandonare tutto per seguire i piaceri della vita. Due versioni tanto divergenti quanto fasulle, che inducono lo spettatore ad attribuire al povero signor Umberto altre mille maschere che non gli appartengono. È solo alla fine della vicenda che vengono definiti i lineamenti di quella sagoma nera che si disegnava sull’uscio di casa all’inizio del cortometraggio. La persona che ci appare davanti agli occhi non corrisponde a nessuna delle maschere che gli erano state attribuite precedentemente. Tutto ciò che appare è la figura di un uomo qualunque che tenta di reagire allo stato di solitudine e di inutilità in cui improvvisamente si è venuto a trovare.

Infine, ho trattato il tutto seguendo la costruzione neorealista. La storia tratta gli avvenimenti di persone comuni. Una situazione in cui si potrebbe venire a trovare chiunque nella realtà attuale. Una quotidianità che fuoriesce prepotente e che cerca di diventare interessante, ponendo l’accento su riflessioni che andrebbero fatte da ognuno di noi.

Un lavoro che denota delle carenze tecniche, ma che sente l’esigenza di presentarsi ad un pubblico. Di mettere lo spettatore davanti a una verità che, per quanto lampante, fatica a essere affrontata.

Una lingua sporca, contaminata dalla sicilianità, che, sebbene non sia espressamente dialettale, sfrutta una musicalità e una cadenza tipiche del contesto regionale, contribuendo ad accrescere l’illusione di realtà.

Un umorismo, infine, che emerge evidente nella sequenza del cimitero, dove una sconosciuta si avvicina al protagonista per consolarlo per la perdita della madre, quando questi è afflitto per il solo fatto di non essere riuscito a trovare il padre. Un misunderstanding che, oltre a suscitare il sorriso, si pone come obiettivo centrale quello di far riflettere lo spettatore su una questione ben più delicata: vuole disprezzare quella strana usanza di interessarsi ai propri cari solo nel momento in cui non ci sono più.

3. Il discorso fotografico

Perché la fotografia? Per quale motivo individuare nel mezzo fotografico uno degli elementi principali dello svolgimento del cortometraggio? Non ho mai praticato la fotografia nemmeno a livello amatoriale. Al di là della fotocamera

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