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LE INCERTEZZE DEL NUOVO ART 182-ter LEGGE FALLIMENTARE

Dal primo gennaio 2017 è in vigore il un nuovo art. 182-ter della Legge Fallimentare che ha il pregio di estendere la transazione fiscale al credito Iva e alle ritenute operate e non versate ma crea delle incertezze interpretative e lascia irrisolte alcune questioni fondamentali che rischiano di ostacolare, come in passato, l’efficacia dell’istituto. Per comprendere fino in fondo alcune incertezze che la “nuova” transazione fiscale porta con sé, è opportuno fare un passo indietro e rileggere la previgente disciplina. L’art. 182-ter L.F. ante 2017 prevedeva che l’omologazione di un concordato preventivo, o di un accordo di ristrutturazione del debito, contenente la transazione fiscale, avrebbe generato due effetti significativi:

 il consolidamento del debito tributario (art. 182-ter, comma 2);  la cessazione della materia del contendere (art. 182-ter, comma 5).

Il fatto che entrambi potessero avere significati diversi rendeva l’istituto della transazione fiscale incerto, oltre che nella portata applicativa, anche nelle conseguenze.

Per quanto riguarda il “consolidamento del debito fiscale” la Corte di Cassazione, nelle sentenze “gemelle” del 201170 aveva evidenziato come tale formulazione potesse

avere due significati contrastanti ciascuno con conseguenze diverse sia per il debitore che per l’Amministrazione Finanziaria.

Preferire la prima accezione, quella di “quadro d’insieme del debito tributario”, significava che l’accesso alla transazione fiscale avrebbe garantito al debitore “il

vantaggio della apprezzabile o assoluta certezza dell’ammontare del debito e quindi una maggiore trasparenza e leggibilità della proposta (…)”71; scegliendo, invece,

l’accezione di “cristallizzazione della pretesa tributaria”, la quantificazione del debito complessivo avrebbe anche precluso all’Amministrazione Finanziaria di procedere con

70 Corte di Cassazione, sentenze n. 22931 e 22932 del 4 novembre 2011. 71 Corte di Cassazione, sentenze n. 22931 e 22932 del 4 novembre 2011.

34 qualsiasi attività di accertamento (sia controlli di natura formale che sostanziale) ed al contribuente “di contestare pretese anche se non ancora definitive”72.

La maggior parte della dottrina73 riteneva che la seconda interpretazione, rispetto alla

prima, meglio si conciliava con la ratio dell’istituto che avrebbe dovuto consentire alle imprese in crisi di determinare in modo certo i debiti verso l’Erario e di tornare “in bonis”. Dello stesso avviso era il CNDCEC che nel documento presentato nel dicembre 2015 alla Commissione Rordorf proponeva proprio di interpretare il

consolidamento del debito tributario “nel senso di precludere agli uffici,

[limitatamente alle annualità oggetto della transazione] la possibilità di rettificare in aumento l’ammontare della pretesa una volta condivisi i termini della proposta transattiva e, in particolare, l’ammontare del credito tributario ivi concordato”74; l’obiettivo era quello di acquisire “certezza e definitività dei rapporti con il fisco, come con qualsiasi altro creditore”75.

Concludeva invece in modo completamente opposto l’Agenzia delle Entrate che nella Circolare n. 40/E del 2008 rilevava come niente impediva all’Amministrazione Finanziaria, ove ci fossero state le condizioni, di esercitare i propri poteri di controllo, ed eventualmente di determinare un debito superiore a quello emerso al termine della procedura di transazione fiscale.

In un contesto di incertezza come questo ci si auspicava che l’art. 182-ter L.F. venisse riscritto chiarendo quale delle due interpretazioni fosse la più corretta, invece il legislatore ha scelto di eliminare completamente l’espressione “consolidamento del debito tributario” creando così ancora più dubbi.

Ad oggi, infatti, la dottrina si divide tra coloro che si augurano un secondo intervento legislativo volto a chiarire la questione rimasta in sospeso e chi ritiene che il debitore, secondo l’attuale formulazione, per poter pagare parzialmente i debiti tributari e

72Ibidem.

73 In tal senso E. STASI, La transazione fiscale, in “Il Fallimento”, 7, 2008, pp. 733-741; L.

TOSI, La transazione fiscale, in “Rassegna Tributaria”, 4, 2006, pp. 1071-1092.

74 CNDCEC, Il contributo del CNDCEC alla riforma della crisi di impresa - Profili tributari,

dicembre 2015, www.cndcec.it.

75 CNDCEC, Il contributo del CNDCEC alla riforma della crisi di impresa - Profili tributari,

35 contributivi, deve necessariamente accettare l’ammontare quantificato unilateralmente dal creditore. In questa seconda ipotesi gli stessi critici, se riconoscono che una soluzione di questo tipo dia la certezza che la proposta concordataria verso il Fisco sia attuata in modo puntuale dall’altro lato, non giustificano la disparità di trattamento rispetto agli altri creditori privilegiati nei confronti dei quali il debitore ha maggiore discrezionalità potendosi basare sulle proprie scritture contabili.

Il secondo effetto della transazione fiscale era previsto, invece, dal comma 5, dell’art. 182-ter L.F. il quale disponeva “la cessazione della materia del contendere nelle liti” relative ai tributi oggetto di transazione; l’omologazione dell’accordo, dunque, chiudeva automaticamente tutte le controversie tributarie pendenti, o anche solamente potenziali, aventi ad oggetto i tributi concordati ed escludeva le liti non concernenti i tributi riferibili alla transazione fiscale (come quelle in tema di rimborso) ed, ovviamente, quelle passate in giudicato.

Come per il consolidamento del debito fiscale il legislatore ha tolto ogni riferimento alla chiusura dei giudizi in corso creando, così, ancora una volta, molte incertezze e dando spazio a più interpretazioni.

Parte della dottrina, infatti, ritiene che ora l’imprenditore ha la possibilità di inserire nella proposta transattiva solo parte del debito tributario, ed escludere se lo ritiene necessario, le pretese erariali la cui debenza è ancora sub judice proseguendo la lite anche dopo l’omologazione del concordato preventivo, o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.

Tale interpretazione mette il Fisco sullo stesso piano degli altri creditori a differenza della normativa previgente, secondo la quale questi ultimi già potevano, dopo l’omologazione del piano, “non solo proseguire l’eventuale contenzioso in corso ma

iniziarlo anche ex novo se in disaccordo con l’ammontare o la qualità dei crediti indicati nella domanda”76.

Non è dello stesso parere altra parte della dottrina che si divide tra coloro che leggono tale modifica come l’esclusione dal novero dei tributi transigibili quelli connessi ai

36 giudizi tributari in corso77 e coloro che considerano la transazione fiscale come “un

sub-procedimento che ha comunque l’effetto di estinguere le liti pendenti in quanto presuppone una sostanziale acquiescenza del contribuente alle pretese tributarie come certificate dal fisco e dal concessionario della riscossione”78.

Dunque, anche in questo caso non mancano aspetti della norma incerti che non ricevono un’interpretazione univoca.

A parere di molti autori il venire meno di questi effetti è la diretta conseguenza dell’obbligatorietà della transazione fiscale disposta dal nuovo art. 182-ter L.F.; l’avverbio “esclusivamente” di cui al primo comma non crea alcun dubbio, infatti, che il contribuente che vuole procedere con la falcidia dei crediti tributari e contributivi deve necessariamente presentare la domanda di transazione fiscale e tale obbligo viene associato alla necessità di accettare la quantificazione del debito tributario come effettuata dall’Erario.

Tale obbligatorietà al contempo si ricollega al tema della votazione della proposta di transazione fiscale in quanto fa sorgere il dubbio sulla necessarietà, o meno, del voto favorevole dell’Amministrazione Finanziaria per procedere alla falcidia dei crediti. La questione non è completamente nuova alla transazione fiscale considerato che, anche per la previgente disciplina, dottrina e giurisprudenza si erano confrontate al riguardo fino a quando le sentenze “gemelle” della Corte di Cassazione nel 2011 avevano messo il punto concludendo nel senso della non obbligatorietà del voto favorevole.

Ad oggi la tesi prevalente conferma l’orientamento della Suprema Corte poiché ritiene che quanto evidenziato nelle suddette sentenze a fondamento della non obbligatorietà sia ancora attuale; in particolare il passaggio in cui afferma: “la tassatività [dell’art.

77 G. BUFFELLI, Transazione fiscale: le nuove regole aprono all’Iva e alle ritenute, in “Il

Sole 24 Ore -Norme e Tributi”, 2, 2017, p. 117. L’autore sostiene che il debitore può proporre il pagamento parziale dei “tributi risultanti dalle dichiarazioni, dalla notifica degli avvisi di irregolarità, dalla certificazione del debito derivante da atti di accertamento, ancorché non definitivi per la parte iscritta a ruolo, nonché dai ruoli vistati ma non consegnati all’agente della riscossione. Non sono previsti i tributi (…) connessi a giudizi tributari in corso”.

78 G. B. NARDECCHIA, Concordato, l’Iva entra nell’accordo, in “Il Sole 24 Ore -Norme e

37 184 L.F.79], e quindi l’affermazione del principio secondo il quale l'assetto dei crediti (inteso quale definizione della percentuale di pagamento o delle modalità alternative di soddisfacimento) quale emerge dalla proposta omologata obbliga tutti i creditori indipendentemente non solo dal loro voto favorevole o contrario ma dalla stessa loro partecipazione al procedimento, porta ad escludere la possibilità di un particolare statuto per il fisco (…). D’altra parte, [prosegue la sentenza] se il voto negativo del fisco escludesse di per sé la possibilità di omologazione del concordato non avrebbe senso e contrasterebbe con i principi del giusto processo (…)”80.

A sostegno di ciò, inoltre, secondo tale orientamento, c’è, il completo silenzio del legislatore sul termine “esclusivamente” ritenendo, appunto, che se la sua introduzione implicasse automaticamente “uno statuto particolare per l’Amministrazione Finanziaria, (…) di tale incidenza si sarebbe rinvenuta traccia nelle guide di lettura della legge”81 cosa che, invece, non accade.

L’obbligatorietà della transazione fiscale con riferimento ai crediti tributari e contributivi, pertanto, ad avviso di alcuni autori, “è finalizzata a tracciare un percorso

ad hoc per i debiti fiscali senza tuttavia snaturare la struttura concordataria che poggia

le proprie basi sul concorso dei creditori e senza peraltro attribuire all’Amministrazione Finanziaria alcuna posizione di vantaggio rispetto agli altri creditori”82.

Leggendo il comma 1 del nuovo art. 182-ter L.F. ad alcuni autori sorge, poi, un ulteriore dubbio circa il corretto trattamento dei crediti tributari, e contributivi, privilegiati che hanno subito la falcidia.

Si appalesano, infatti, due possibili alternative parimenti valide:83 la prima prevede che la quota dei crediti privilegiati degradata in chirografaria segua il trattamento specifico dei crediti chirografari, il quale “non può essere differenziato rispetto a quello degli

79 Art. 184 L.F. Effetti del concordato per i creditori. “Il concordato omologato è obbligatorio

per tutti i creditori anteriori al decreto di apertura della procedura di concordato (…)”.

80 Corte di Cassazione, sentenze n. 22931 e 22932 del 4 novembre 2011.

81 G. BUFFELLI, Transazione fiscale: le nuove regole aprono all’Iva e alle ritenute, in “Il

Sole 24 Ore -Norme e Tributi”, 2, 2017, nota 8, p. 116.

82 G. BUFFELLI, op. ult. cit., p. 117.

83 G. ANDREANI, Concordato, crediti fiscali allineati, in “Il Sole 24 Ore –Norme e Tributi”,

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altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole”; e la seconda che, la

comparazione tra il grado di soddisfacimento debba avvenire per categorie di crediti: i crediti privilegiati erariali non degradati con gli altri crediti privilegiati e i crediti chirografari con i crediti chirografari sin dall’origine.

Seguendo la lettera della norma la scelta propenderebbe sulla seconda tesi in base alla quale i crediti erariali privilegiati degradati in chirografari non verrebbero comparati con nessuna categoria e quindi, potrebbero avere un trattamento peggiore rispetto agli altri crediti chirografari, tuttavia, parte della dottrina non la ritiene, sotto molti aspetti, la soluzione migliore.

Scegliendo la seconda alternativa, infatti, perderebbe, anzitutto, di significato l’obbligo previsto dall’ultimo periodo, del primo comma, di inserire “in un’apposita classe” la quota di credito degradata al chirografo, in quanto il debitore in crisi, quasi sicuramente, sceglierà di soddisfare tale classe con una percentuale molto bassa, come quella, in sostanza, che avrebbe scelto se essa non fosse stata creata. Tra l’altro molti autori dubitano sull’espressione “apposita classe” sostenendo che potrebbe avere due diversi significati: o quello “di imporre l’inserimento del credito [erariale] degradato in una sola classe oppure [di inserirlo] in una classe al cui interno siano collocate le medesime tipologie di crediti degradati sulla base di interessi economici omogenei”84.

Oltre a ciò, scegliendo la seconda interpretazione, perderebbe completamente di valore la previsione legislativa di comparare i crediti erariali chirografari sin dall’origine dato che tali crediti sono nella quasi totalità dei casi in numero ridotto e irrisorio.

Come, infine, non sarebbe logico, secondo alcuni critici, che una norma permettesse che un credito chirografario ab origine sia soddisfatto con una percentuale superiore rispetto ad un credito originariamente privilegiato e poi in parte degradato a chirografo per incapienza dell’attivo.

Tali considerazioni, dunque, rivelano come ogni espressione dell’art. 182-ter L.F. sia suscettibile di diverse interpretazioni che creano dubbi oltre che relativamente agli

84 A. DAMASCELLI, Restyling per la transazione fiscale, in “Corriere Tributario”, 23, 2017,

39 aspetti sostanziali dell’istituto, indicati dal primo comma, anche a quelli procedimentali, di cui al secondo, e successivi commi.85

Per quanto riguarda il momento86 in cui deve essere presentata la domanda di

transazione fiscale il legislatore utilizza le stesse identiche parole del previgente art. che in passato erano state oggetto di dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza. Molti critici, infatti, interpretavano la locuzione “contestualmente al deposito presso il

tribunale” come se il debitore avesse dovuto presentare copia della domanda e della

relativa documentazione all'Ufficio e all’Agente della riscossione nello stesso giorno in cui la depositava presso il Tribunale. Questo era sicuramente un problema secondario rispetto ai dubbi procedimentali che riguardavano la transazione fiscale ma che era necessario risolvere per non compromettere la validità di molti concordati preventivi e accordi di ristrutturazione del debito.

La tesi prevalente, e che ben presto trovò l’appoggio della maggioranza degli interpreti del diritto, era quella che non trovava alcuna giustificazione logica nell’obbligo di effettuare il deposito nello stesso giorno ritenendo che da un punto di vista funzionale niente sarebbe cambiato per l’Agenzia delle Entrate, o per il concessionario, se il deposito fosse avvenuto a distanza di giorni, pur certamente in un arco di tempo circoscritto; concludere in senso opposto, difatti, avrebbe reso difficile al debitore in crisi presentarsi contemporaneamente presso i tre Uffici magari geograficamente lontani e con orari di sportello ristretti e di conseguenza avrebbe contrastato con la

85 Prima di passare ad analizzare i nodi irrisolti di carattere procedimentale ci sarebbe un’altra

questione relativa agli aspetti sostanziali che dovrebbe essere considerata, quella cioè della falcidiabilità dei crediti in caso esista un terzo disposto ad acquistare il patrimonio del debitore ad un prezzo superiore a quello realizzabile in caso di liquidazione.

Alcune sentenze come quella del Tribunale di Firenze del 2 novembre 2016 fanno propendere nel senso che l’unica alternativa di soddisfazione del credito, comparabile a quella prevista dal piano sia l’alternativa liquidatoria e che tutte le altre non rilevano ai fini della falcidiabilità o meno dei crediti.

La questione non è affatto banale e per essere analizzata nel dettaglio richiede delle valutazioni che esulano dal tema principale di questo lavoro, pertanto mi limito a citarne la sussistenza.

86 Art. 182-ter L.F., secondo comma, “Ai fini della proposta di accordo sui crediti di natura

fiscale, copia della domanda e della relativa documentazione, contestualmente al deposito presso il tribunale, deve essere presentata al competente agente della riscossione e all'ufficio competente sulla base dell'ultimo domicilio fiscale del debitore (…)”.

40 volontà del legislatore, più volte sottolineata, di facilitare la risoluzione della crisi d’impresa.

Alla luce di tali considerazioni è indubbio che tale interpretazione sia la più corretta anche con riferimento all’attuale disciplina.

Un’altra questione di carattere temporale concerne il corrente art. 182-ter L.F., quella relativa alla perentorietà, o meno, del limite dei 30 giorni entro i quali l’Amministrazione Finanziaria e l’Agente della riscossione sono chiamati a “fotografare” la situazione debitoria del contribuente.

L’Amministrazione Finanziaria, infatti, “non oltre trenta giorni” dalla data di presentazione della domanda, ha l’obbligo di effettuare l’attività istruttoria prevista dalla legge (dalla quale non è escluso possa emergere un importo superiore a quello indicato nella domanda presentata),87 mentre l’Agente della riscossione deve inviare al

debitore “una certificazione attestante l’entità del debito iscritto a ruolo scaduto o

sospeso”.

Quando nel 2006 era stato introdotto l’istituto della transazione fiscale parte della giurisprudenza considerava il termine dei trenta giorni perentorio alla luce delle esigenze di celerità della procedura, ma era piuttosto palese che un arco temporale così breve non fosse in alcuni casi sufficiente a svolgere i controlli in modo adeguato specie quando i dati comunicati dal debitore erano inesatti e incompleti.88

Per tale motivo anche l’Agenzia delle Entrate, con la Circolare 40/E del 2008 si era espressa a favore della non perentorietà del termine dei trenta giorni ma, al contempo, invitava gli Uffici a chiedere la proroga del termine, opportunamente motivata, solo in casi eccezionali.89

87 Art. 182-ter L.F., secondo comma, “(…). L'ufficio, nello stesso termine, deve procedere alla

liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni e alla notifica dei relativi avvisi di irregolarità, unitamente a una certificazione attestante l’entità del debito derivante da atti di accertamento, ancorché non definitivi, per la parte non iscritta a ruolo, nonché dai ruoli vistati, ma non ancora consegnati all'agente della riscossione. (…)”

88 A favore della perentorietà dei trenta giorni pur riconoscendone la durata assai breve L.

TOSI, La transazione fiscale, in “Rassegna Tributaria”, 4, 2006, p. 1082; a sostegno della non perentorietà del termine E. STASI, La transazione fiscale, in “Il Fallimento”, 7, 2008, pp. 733-741.

41 Sorge adesso, però, un ulteriore quesito che si intreccia alla questione analizzata precedentemente relativa all’interpretazione dell’espressione “consolidamento del

debito fiscale”. Molti critici, infatti, sostenevano che l’Amministrazione Finanziaria

dovesse effettuare controlli oltre che formali anche sostanziali al fine di evitare che gli Uffici mettessero in discussione con successive procedure accertative, quanto definito attraverso la transazione fiscale; adesso che l’art. 182-ter L.F. non prevede più tale effetto, l’Amministrazione Finanziaria che tipo di controlli deve effettuare? Può limitarsi ad effettuare i controlli con procedure automatizzate, o deve eseguire anche controlli sostanziali?

Certo è che se osserviamo l’orientamento sposato dall’Agenzia dell’Entrate per il quale il consolidamento veniva interpretato come quantificazione del debito tributario, nessun problema sorge circa la tipologia dei controlli da eseguire.

In sostanza, l’estensione della transazione fiscale anche ai crediti Iva e alle ritenute operate e non versate è la novità più attesa dagli operatori economici convinti che la preclusione alla falcidia di tali crediti ostacolasse il successo di gran parte dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione del debito.

Tuttavia tale modifica, secondo molti critici, deve far porre maggiore attenzione ad un altro problema, che da anni è oggetto di osservazione sia a livello nazionale che europeo, quello delle pratiche scorrette dei debitori che, consapevoli di poter ottenere in caso di eventuale accesso alle procedure concorsuali una riduzione dei debiti, sono maggiormente indotti ad omettere il relativo pagamento durante l’attività aziendale. In materia di Iva sono stati introdotti negli anni nuovi meccanismi di funzionamento del tributo, complementari a quello ordinario, volti proprio ad arginare certe tendenze antigiuridiche, come il reverse charge e lo split payment.

Il primo90 è stato introdotto con la Direttiva 2006/112/CE del Consiglio Europeo solo per alcuni settori ma, considerato come lo strumento più efficace, nonché l’unico, per

90 Il reverse charge (o meccanismo dell’inversione contabile) in sostanza trasferisce la

responsabilità di corrispondere il tributo in capo al destinatario della cessione dei beni, o della prestazione dei servizi, anziché lasciarla in capo a colui che effettua la transazione, come l’ordinario funzionamento del tributo prevede.

42 contrastare le frodi è stato progressivamente esteso a nuovi settori;91 fino ad oggi che,

a causa delle ingenti perdite di gettito fiscale Iva lamentate da gran parte degli Stati membri, la Commissione europea ha varato una proposta di Direttiva del Consiglio Europeo92 che generalizzi, temporaneamente, l’inversione contabile ad ogni fase

intermedia di transazioni commerciali oltre 10.000 euro (GRCM).

Lo split payment,93 invece, è stato introdotto in Italia, grazie all’autorizzazione dell’Unione europea,94 dalla L. n. 190 del 23 dicembre 2014 (nota come Legge di

stabilità 2015); tale meccanismo, dal primo gennaio 2015, ha l’obiettivo di combattere l’evasione fiscale relativa alle cessioni di beni, e prestazioni di servizi, effettuate nei confronti delle Pubbliche amministrazioni; e attualmente con il D.L. 50/2017 l’ambito di applicazione è stato esteso, a partire dal primo luglio 2017, anche ai soggetti pubblici fino ad oggi esclusi (tra cui i professionisti).

Entrambi i meccanismi, quindi, trasferendo sull’acquirente l’obbligo di versare l’Iva consentono all’Erario di contrastare talune frodi, quindi rimediare ai rilevanti ammanchi nelle casse dello stato.

In vista di un eventuale accesso alle procedure concorsuali, però, ciò non è sufficiente

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