Le intercettazioni telefoniche per la ricerca del latitante sono previste dall’art. 295 comma 3 del c.p.p.; esso stabilisce che “al fine di agevolare le ricerche del latitante152, il giudice o il pubblico ministero, nei limiti e con le modalità previste dagli articoli 266 e 267, può disporre l'intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione. Si applicano, ove possibile, le disposizioni degli articoli 268, 269 e 270.” Questo tipo di intercettazioni si discostano – sul piano funzionale – da quelle dirette all’individuazione delle fonti di prova, anche se ne condividono degli
151 F. CALLARI, cit. , pag. 410
152 Secondo il dato normativo è latitante solo chi volontariamente si sottrae alla
custodia cautelare, agli arresti domiciliari, al divieto di espatrio, all’obbligo di dimora o ad un ordine con cui si dispone la carcerazione. In dottrina si è rilevata l’omissione di ipotesi affini, relative al divieto di dimora e all’obbligo di presentazione periodica alla polizia giudiziaria.
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elementi strutturali. Secondo quanto dispone il codice, l’istituto è volto ad agevolare la ricerca di chi si sottrae all’esecuzione di una delle misure cautelari coercitive contemplate dall’art. 296 c.p.p. o ad un ordine di carcerazione. Il crescente fenomeno delle misure cautelari coercitive rimaste ineseguite e la consapevolezza che personaggi importanti della criminalità organizzata – pur trovandosi nella posizione di chi si sottrae volontariamente a queste misure – hanno continuato ad esercitare il loro ruolo fondamentale all’interno delle rispettive associazioni delinquenziali, hanno spinto il legislatore degli ultimi anni ad irrobustire l’azione delle forze dell’ordine impegnate nella ricerca e cattura dei latitanti. E proprio questo indirizzo normativo ha prodotto questa specifica figura di intercettazione, e per effetto della novella del 1992 sono consentite anche le intercettazioni c.d. ambientali (art. 295 comma 3 bis) ma solo quando la latitanza sia stata dichiarata in relazione ad uno dei delitti previsti dall’art. 51 comma 3 bis del c.p.p o per le fattispecie di cui all’art. 407 comma 2 lettera a, numero 4. Per tali tipi di intercettazione non è necessario un formale provvedimento che dichiari la latitanza; il rinvio all’art. 266 c.p.p. impone che il latitante sia stato chiamare a rispondere o sia stato condannato per uno dei reati per i quali il codice ammette l’utilizzazione di tale mezzo di ricerca della prova.153
Non si può dire come questi controlli debbano essere eseguiti senza aver prima stabilito a cosa servano e quali usi se ne possa fare: se le intercettazioni per la ricerca del latitante valessero anche come prova maturerebbe l’esigenza di evitare ingiustificate disparità di trattamento avvicinando il più possibile il loro regime esecutivo a quello delle captazioni comuni; qualora invece non fossero utilizzabili nel processo, allora si potrebbe tollerare qualche discrepanza. Di questa
153 E. APRILE, Intercettazioni di comunicazioni, in A.A. Trattato di procedura penale, a cura di A. Scalfati , Torino, 2009, pag. 526
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norma si sono date varie interpretazioni. Secondo alcuni le intercettazioni per la ricerca del latitante sono utilizzabili esattamente come le intercettazioni quali mezzi di ricerca della prova: nel procedimento in cui fu dichiarata la latitanza, le registrazioni valgono senza limiti; nei procedimenti diversi sono utilizzabili solo se indispensabili per l’accertamento di delitti per cui è obbligatorio l’arresto in flagranza (art. 270 comma 1). Solo cosi si può spiegare, secondo costoro, il rinvio dell’art 295 comma 3 all’art. 270; perché quel richiamo implica “a fortiori” – sul piano logico – l’utilizzabilità probatoria nel procedimento nel corso del quale la relativa autorizzazione sia stata rilasciata. Altri si sono orientati nell’ottica dell’utilizzabilità, ma non distingue tra il procedimento in cui la latitanza è stata dichiarata e gli altri processi: in ogni caso le registrazioni valgono come prova solo se il reato per cui si procede contempla l’arresto in flagranza obbligatorio.154
Non mancano comunque autori che negano in maniera assoluta l’utilizzabilità delle intercettazioni previste dall’art. 295 c.p.p.; questa lettura tende a valorizzare il fatto che l’art. 295 richiama tutti gli articoli concernenti le intercettazioni ordinarie, tranne l’art. 271 ossia la norma che seleziona – tra le possibili violazioni di legge – quelle cosi gravi da meritare una comminatoria di inutilizzabilità.
La dottrina ha molto discusso sul valore probatorio di questo tipo di intercettazioni anche perché il richiamo all’art. 270 fa pensare ad una loro utilizzabilità probatoria, invece l’omesso richiamo all’art. 271 ad una loro irrilevanza ai fini probatori. Una questione molto difficile da dipanare tanto che alcuni autori sono persino ricorsi alla rilettura dei lavori preparatori. Il terzo comma dell’art. 295 è stato approvato – per quanto risulta – senza particolari dibattiti. A parere di chi ha
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ripercorso i documenti, emergeva abbastanza chiaramente che il legislatore non voleva introdurre un’ulteriore ipotesi di intercettazione ai fini di prova ma un istituto affine alle intercettazioni preventive: nella relazione al progetto preliminare c’è scritto che le captazioni foniche previste dall’art. 295 sono dirette all’ulteriore ricerca del latitante, anziché all’acquisizione di prove per la decisione finale. E in questo caso pare che il mancato rinvio all’art. 271 sia un segnale sintomatico; non si può ritenere che le intercettazioni per la ricerca del latitante forniscano prove e al tempo stesso valgano sempre, anche in presenza di gravi violazioni di legge e non si può nemmeno considerare che sia stata una svista del legislatore, in quanto l’art. 295 non solo rinvia a tutte le regole ma va a distinguere quelle che vengono estese tout court e quelle che si applicano solo se compatibili. Viene richiamato comunque l’art. 270 – menzionato in una più ampia previsione di rinvio – in cui è inserito una clausola importante: gli articoli 268, 269 e 270 vanno estesi solo dove possibile. I codificatori volevano escludere la possibilità di “spendere” nel processo i risultati delle intercettazioni per la ricerca del latitante, per questo è stato escluso il rinvio all’art. 271.155
Il dibattito sull’eventuale valenza probatoria è stata fondamentale, e quanto più si estende la disciplina delle intercettazioni ex art. 266 c.p.p. all’istituto in esame, tanto minori saranno le resistenze ad ammettere un uso probatorio dei dati con esso acquisiti. Si deve comunque riconoscere la fondatezza della tesi dottrinale incline ad escludere questa valenza. E in questo orientamento non depongono soltanto l’omissione dell’art. 271 c.p.p. tra le disposizioni richiamate dall’art. 295 comma 3 c.p.p. – indice
155 Si è escluso il rinvio all’art. 271, ma per evitare lacune in termini di tutela, sono
state richiamate tutte le altre norme, stabilendo che si applichino solo se compatibili con il particolare scopo di queste intercettazioni. L’art. 270 resta comunque tra le norme che non sono compatibili.
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rivelatore di una precisa ratio legis e la stessa ratio dell’istituto che prevede un finalismo difforme da quello probatorio. Le conversazioni oggetto di captazione non dovrebbero quindi aver ingresso nel quadro decisorio del giudice neppure in un procedimento diverso da quello in atto.156 Si ammette però, che dalle captazioni possono trarsi origine valide notizie di reato ed utili spunti investigativi, trattandosi di un canale informativo che non ha alcun limite.