• Non ci sono risultati.

Le modalità di finanziamento della spesa sociale

8. Il bilancio del welfare nel 2019, la situazione 2020 e le previsioni di breve e medio

8.3 Le modalità di finanziamento della spesa sociale

Come abbiamo sin qui visto nel 2019 la spesa pubblica per il welfare è ammontata a 488,336 miliardi; ma come si finanzia questa grande spesa? Per quanto riguarda il sistema pensionistico, l’Inail e le prestazioni temporanee (queste due ultime gestioni sono in attivo per il 2019), il flusso totale dei contributi è stato di 229 miliardi contro uscite al lordo delle imposte per 267,2 miliardi (che ricomprendono i 19,36 miliardi delle integrazioni al minimo e della GIAS dipendenti pubblici) con un disavanzo totale di 38,24 miliardi; tuttavia, al netto dell’IRPEF che grava su queste prestazioni, il saldo è positivo per 13,7 miliardi (38,167 se si toglie la GIAS pubblici e integrazioni al minimo). Essendo finanziato da contributi di scopo il sistema sopra descritto è sostanzialmente in equilibrio (cioè le contribuzioni sono sufficienti a pagare le pensioni previdenziali). Resterebbe da finanziare il disavanzo di 38,24 miliardi, se si considerano i pagamenti al lordo dell’IRPEF, la spesa sanitaria (intorno ai 115 miliardi) e quella assistenziale (circa 114 miliardi) che non avendo “contributi scopo” (un tempo era attiva la contribuzione obbligatoria al sistema sanitario) devono essere finanziati con la fiscalità generale e segnatamente le imposte dirette.

La tabella 8.9 indica le entrate tributarie totali dello Stato nel 2019 che abbiamo stimato sulla scorta dei dati indicati nel DEF e sulla base della nostra indagine annuale sulle dichiarazioni dei redditi e le entrate tributarie. Per finanziare i 229,718 miliardi per la spesa sanitaria e assistenziale, occorrono quasi tutti i 248,68 miliardi di entrate dirette (IRPEF, Ires, Irap, Isost) con un saldo attivo di 18,96 miliardi, insufficiente se si considerasse la spesa pensionistica al lordo dell’IRPEF. Di conseguenza per finanziare il resto della spesa pubblica (istruzione, giustizia, infrastrutture, macchina amministrativa ecc.) rimangono le residue imposte dirette, tutte le indirette, e essendo ancora insufficienti si fa ricorso a nuovo “debito”.

È ovvio come una siffatta situazione sia poco sostenibile nel medio termine sia per l’eccessivo peso dell’assistenza ma soprattutto per l’elevato livello di evasione ed elusione fiscale e contributiva che appare evidente esaminando le dichiarazioni IRPEF degli italiani.

Tabella 8.9 - Entrate dello Stato (dati in milione di euro)

Tipologia Entrate/anni 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019

Entrate tributarie DIRETTE (3)

Irpef ordinaria (imposta al lordo bonus 80 €) 152.270 152.238 151.185 155.429 156.047 157.516 164.240 167.000

IRPEF ordinaria (dal 2014 al netto bonus 80€) (1) 152.270 152.238 145.108 146.193 146.679 147.967 154.350 157.000

Ires 30.000 31.107 32.486 33.332 34.125 34.100 33.800 34.000

Imposta sostitutiva (Isost) (3.1) 9.227 10.747 10.083 10.000 9.022 16.000 16.481 17.000 TERRITORIALI (3)

Addizionale regionale (1) 10.730 11.178 11.383 11.847 11.948 11.944 12.310 12.460 Addizionale comunale (1) 3.234 4.372 4.483 4.709 4.749 4.790 4.963 5.020 Irap 34.342 31.278 30.468 27.656 22.773 22.700 23.183 23.200

TOTALE IMPOSTE DIRETTE (4) 239.803 240.920 234.011 233.738 229.296 237.501 245.087 248.680

IMPOSTE INDIRETTE TOTALI (3) 246.110 238.675 248.207 250.202 242.016 248.384 254.428 257.910

altre Entrate correnti (2) 70.024 77.139 76.120 76.085 75.820 79.965 80.676 84.047 Entrate totali (4) 555.937 556.734 558.338 560.025 547.132 565.850 580.191 590.637

Per memoria Entrate totali nel DEF al netto contributi sociali (4) 556.734 562.258 569.542 567.181 578.782 583.993 599.354 Spesa sanitaria (senza rettifica MEF) 110.044 111.028 111.224 112.504 113.611 115.410 115.448 Spesa assistenziale (5) 89.000 92.700 98.440 103.674 107.374 110.150 105.666 114.270 Spesa sanitaria e assistenziale 202.744 209.468 214.898 219.878 223.761 221.076 229.718 Differenza imposte dirette e spesa sociale 38.176 24.543 18.840 9.418 13.740 24.011 18.962 (1) Compresa IRPEF a carico delle pensioni

(2) Somma di imposte in conto capitale + altre entrate correnti + altre entrate in conto capitale

(3) Tutti i dati sono desunti dai DEF e NADEF (documento economia finanza e nota aggiornamento) degli anni dal 2013 ad aprile 2020; Per il

2019 le previsioni in assenza di consuntivi sono in verde e calcolate in base all'incremento del PIL. Verifiche in MEF e Mostacci.it. (3.1) Dal 2017 l'imposta sostitutiva contiene anche la cedolare secca e l'imposta sui premi di risultato (pari a 5,9 miliardi)

(4) Rispetto al DEF il totale imposte dirette utilizzato in tabella è al netto del bonus da 80 € e successivi ampliamenti sull'IRPEF ordinaria, poiché calcoliamo solo le entrate effettive; (5) sono escluse le integrazioni al minimo e le maggiorazioni sociali del settore privato e la GIAS dei dipendenti pubblici che sono finanziate impropriamente dai contributi sociali

I redditi prodotti dagli italiani ai fini IRPEF 85 per il 2018 e dichiarati nel 2019 sono 879,957 miliardi

di euro con un incremento tra il 2008 e il 2018 del 12,4%, esattamente come l’inflazione; il gettito,

al netto del bonus Renzi da 80 euro aumentato dai Governi successivi, è stato pari a 171,63 miliardi con un incremento in 11 anni del 9%, al di sotto di PIL e inflazione. Mentre aumenta la spesa per

welfare, si riduce il finanziamento con un numero di dichiaranti che in 11 anni è diminuito di oltre

l’1%.

In dettaglio, su 60.359.546 cittadini residenti quelli che hanno presentato la dichiarazione dei redditi, cioè i contribuenti/dichiaranti, sono stati 41.372.851 ma quelli che versano almeno 1 euro di IRPEF, sono 31.155.444; metà dei cittadini italiani non ha redditi e, quindi, è a carico di qualcuno.

Il 43,89% dei cittadini paga solo il 2,42% delle imposte: il 23,88% paga 22 € di IRPEF media e il

restante 20,00% paga 318 €; segue un 13,84% di cittadini che paga il 6,56% delle imposte, 1.348 € pro capite, insufficienti per pagarsi almeno la sanità. Il 29,20% paga imposte quasi autosufficienti, come vedremo, per il welfare mentre il grosso delle tasse proviene dal 13,07% dei cittadini con redditi dai 35.000 euro in su che paga il 58,95% delle imposte. Si pensi che lo 0,10% dei cittadini, circa 41.000, con redditi oltre i 300mila euro paga il 6,05% delle imposte e se sommiamo anche quelli da 100mila euro in su, cioè l'1,22% dei cittadini (poco più di 730mila), paga il 19,80% delle imposte.

Figura 8.1 - Analisi statistiche – dichiarazioni 2019, anno d’imposta 2018

La redistribuzione della ricchezza, che spesso viene invocata assieme a “diritti e disuguaglianze”

mentre nessuno cita più il sostantivo dovere/i, è quindi enorme86 anche se agli influencer sociali fa

comodo continuare a promettere benefici a tutti, per la gran parte a debito cioè a carico di quelle giovani generazioni, nel perenne clima elettorale italiano alla spasmodica ricerca del consenso che caratterizza tutte le formazioni politiche svuotandole di qualsiasi aggettivazione (destra, sinistra, liberali, socialisti e così via). Si promettono quindi riduzione delle tasse, bonus di tutti i tipi e flat tax.

85I dati sono tratti dall’Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate 2020 “Dichiarazioni dei redditi ai fini IRPEF 2018 per importi, tipologia di contribuenti e territori e analisi delle imposte dirette”, realizzato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali che ha rielaborato una serie di indicatori sulla base dei dati diffusi dal MEF relativi alle dichiarazioni dei redditi 2018 presentate nel 2019, disponibile per la consultazione sul sito www.itinerariprevidenziali.it.

86 Il commento è la sintesi di una serie di editoriali a firma Alberto Brambilla pubblicati sul Corriere della Sera nel corso del 2020 e potrebbe non riflettere l’opinione degli altri redattori del Rapporto.

Ma a quanto ammonta la ridistribuzione in Italia? Cerchiamo di calcolarla in base ai dati che abbiamo elaborato sulle dichiarazioni dei redditi del 2018, redatte nel 2019 e lavorate nel giugno di quest’anno. Poiché, come abbiamo visto, il 43,88% dei contribuenti dichiara redditi da zero o addirittura negativi a 15mila € lordi l’anno (una media di meno di 7.500 euro l’anno per vivere) versa solo il 2,42% di tutta l’IRPEF e un altro 13,84% ne versa il 6,56%, significa che il 57,72% degli italiani versa, al netto

del bonus Renzi, l’8,98% dell’IRPEF cioè 15,4 miliardi, pari a soli 442 € in media per ognuno dei

34,84 milioni di cittadini. In pratica, oltre la metà del Paese vive a carico di qualcuno e certamente

non è oppressa dalle tasse. È veramente difficile immaginare un membro del G7 in queste condizioni

tipiche da Paese in via di sviluppo ma ai più importanti “influencer” del Paese, politici, sindacati,

chiesa e media, questa cosa va bene perché parlare di poveri, di redistribuire soldi che non ci sono, di tassare di più i ricchi, porta consensi e plausi. E vediamola questa redistribuzione. Iniziamo con la

Sanità, la cui spesa totale è di 115,45 miliardi pari a 1.886,5 € pro capite.

Per garantire i servizi sanitari al citato 57,72% di italiani, occorrono 50,325 miliardi che sono a carico

soprattutto del 13,08% della popolazione con redditi da 35mila € in su che versano il 59%

dell’IRPEF mentre il restante 29,20% è autosufficiente per la sanità che costa, compresa la quota della persona a carico, 2.752 € contro un’imposta media pagata al netto del bonus di 4.555 € (il rapporto contribuenti/popolazione è 1,459).

Poi viene la spesa per Assistenza a carico della fiscalità che nel 2018 è costata nel 2018, 105,66

miliardi, pari a 1.750,51 € pro capite (nel 2019 tale spesa è aumentata a 114,27 miliardi) e che serve

per garantire tutte le assistenze alla famiglia, ai soggetti privi di reddito, ai pensionati assistiti (circa la metà dei 16 milioni di pensionati), ai disoccupati e agli invalidi. Per finanziare la parte di spesa non coperta dal 43,88% degli italiani senza redditi e da quelli che versano un’imposta inferiore a 5.306 € (sanità + assistenza fanno 3.637 € x 1,459 = 5.306€), occorrono altri 70,07 miliardi che sono a carico prevalentemente del 13,08%, cioè di 5,408 milioni di contribuenti pari a 7.890.586 cittadini,

e, in parte, del 29,20% che autosufficiente per la sanità con un’imposta media di 4.555 €, concorre

all’assistenza per il 71% del suo importo e cioè 1.803 € su 2.554, lasciando il resto ai contribuenti di fascia più elevata.

Si potrebbe proseguire ma ci fermiamo all’Istruzione, una spesa pari a circa il 3,6% del PIL, che vale circa 62 miliardi con un costo pro capite di 1.027 €, questa volta a totale carico del suddetto 13,08%, per una redistribuzione pari a 53,89 miliardi. Ricapitolando, per queste sole tre funzioni, seppur di rilevante importo (le pensioni sono escluse in quanto quelle vere pagate dai contributi sono in equilibrio), la ridistribuzione totale è pari a 174,28 miliardi su circa 580 miliardi di entrate fiscali, al netto dei contributi sociali, di cui 245 miliardi di imposte dirette; in pratica viene redistribuito il 71% di tutte le imposte dirette.

Facendo la riprova sulla spesa pubblica totale, per il 2018 pari a 853,62 miliardi, al netto del deficit

annuo di 37,5 miliardi, la spesa pro capite è di 13.520 € per abitante e solo poco più del 4,36% dei

cittadini versa un’IRPEF da 14.783 a 173.900 € e quindi sarebbe autosufficiente; se si considera che

le restanti imposte dirette (Ires, Irap e Isost) sono prevalentemente a carico di poco più del 13% dei contribuenti e che le imposte indirette sono proporzionate ai redditi dichiarati, la percentuale di redistribuzione aumenta ancora. Ma non c’è solo una ridistribuzione tra cittadini ma anche tra zone geografiche; solo a titolo di esempio la Lombardia con circa 10 milioni di abitanti versa più IRPEF di tutto il Mezzogiorno (8 regioni e oltre 23 milioni di abitanti). Alla luce di questi dati e con un debito pubblico così grande, che senso ha parlare di riduzione del carico fiscale e di redistribuzione

per mitigare le disuguaglianze? Dire la verità e non fare promesse insostenibili sarebbe un atto di alta educazione civica che ridurrebbe la “povertà educativa e sociale”, troppo diffusa tra la popolazione e anche nella classe politica, e incentiverebbe tutti a rimboccarsi le maniche e darsi da fare senza

chiedere sempre allo Stato. La prima cosa da fare sarebbe l’abolizione di tutte le deduzioni e

detrazioni e i bonus che si ottengono se si dichiara un reddito basso (in genere circa 15mila €): questo, pur se corretto in linea di principio, è il primo incentivo statale a eludere ed evadere. Bisognerebbe ridurre questi bonus e darli a tutti perché chi paga le tasse ha diritto ad avere per lo meno gli stessi servizi di chi le tasse non le paga e attenzione: si parla sempre di redditi lordi. Facciamo un esempio: un reddito di 200.000 € lordi l’anno è pari a 10 volte un reddito da 20.000 € lordi l’anno ma il netto di 200.000 € è all’incirca meno di 7 volte a parità di nucleo familiare (marito, moglie e 2 figli); se consideriamo poi la differenza sui servizi, ticket sanitari, rette universitarie, mensa scolastica, trasporti, deduzioni e detrazioni per carichi di famiglia e altro la differenza si riduce a meno di 5 volte. In media, nel 2018, con l’effetto bonus, le imposte pagate da un lavoratore dipendente con un reddito tra 100.000 e 200.000 euro sono pari a 98 volte quelle di un reddito tra 7.500 e 15.000 euro; con oltre 300mila euro di reddito, l’imposta equivale a 548 lavoratori tra 7.500 e 15mila euro (129 con redditi tra 15 e 20mila). È evidente, per quanto detto, un’assai diffusa evasione ed elusione fiscale e contributiva che coinvolge una parte consistente della popolazione; per ridurla, oltre all’introduzione massiva del “contrasto di interessi” sulle spese familiari dirette (si veda il Rapporto n. 7) occorre eliminare i tetti minimi per aver diritto ai bonus vari; mandare a tutti i cittadini un estratto conto che indichi le tasse pagate e i benefici di cui hanno goduto così la gran parte si renderà conto che ha pagato molte meno dei servizi ricevuti. Oltre a una certa età (35 anni) convocare chi non ha mai fatto una dichiarazione dei redditi per sapere di cosa vive; infine chiedere ai milioni di neopensionati assistiti il motivo per cui in 67 anni di vita non hanno versato contributi e tasse, anziché pagare la pensione “a piè di lista”. Sono le uniche azioni che consentono una riduzione dell’evasione fiscali di cui siamo primi in classifica e un aumento dello sviluppo di cui siamo ultimi.