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CAPITOLO 1 – Il contesto della ricerca

1.5 Le nuove forme di accoglienza nella regione

Il Veneto è una delle regioni del nord Italia in cui la chiusura degli istituti è avvenuta più tardi. Infatti nel 2003 quando in Piemonte, Valle d’Aosta ed Emilia Romagna non esistevano più istituti, in Friuli Venezia Giulia ce n’era uno e in Lombardia otto, il Veneto aveva ancora 10 istituti che accoglievano 140 minori (Quaderno 33, 2003) che sono comunque stati chiusi prima del termine previsto dalla legge 149. In genere gli istituti presenti in Italia appartenevano a enti religiosi nati durante la guerra per far fronte al problema degli orfani delle due guerre mondiali; altri istituti invece erano pubblici (IPAB). Nello specifico, in Veneto 6 dei 10 istituti chiusi erano gestiti da enti religiosi e tali strutture erano così distribuite nelle diverse province della regione: Belluno 1, Treviso 2, Vicenza 0, Venezia 1, Padova 3, Rovigo 1, Verona 2 (Quaderno 33, 2003). Le riforme nazionali hanno portato la riconversione degli istituti veneti esistenti in

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Comunità residenziali attraverso interventi strutturali (riduzione di spazi e del numero di accolti) e l’introduzione di figure professionali come l’educatore. Nel 2005 nel Veneto risultavano scomparsi gli istituti e presenti 200 strutture residenziali fra Comunità alloggio residenziali, case famiglia, gruppi famiglia e centri di pronta accoglienza. Non solo le Comunità vengono considerate l’alternativa all’istituto, ma in linea con le direttive nazionali, la Regione ha cercato di diffondere anche nuove forme d’accoglienza come l’affido familiare attraverso la nascita di diversi Centri per l’affido e la Solidarietà Familiare (CASF) in tutta la regione con l’obiettivo di creare nei diversi territori reti di famiglie preparate e disponibili a questo tipo di accoglienza.

I dati più recenti pubblicati da una ricerca del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali al 31 dicembre 2008 parlano di 1.667 bambini e adolescenti fuori famiglia in Veneto, di cui 823 in affidamento familiare e 844 accolti in servizi residenziali7 (Quaderni Ricerca Sociale 9, 2009), mentre secondo il dossier regionale i minori in strutture residenziali risultano 956 al 2009.

Le Comunità per minori di diverse tipologie risultano 220 al 20118 fra Comunità familiari (strutture in cui c’è una presenza adulta stabile spesso si tratta di coppie), Comunità socio-educative (caratterizzate dalla presenza di educatori), servizi di accoglienza per bambino e genitore (Comunità che accolgono il nucleo familiare, mamme e bambini) e strutture di pronta accoglienza in cui vengono accolte situazioni di stato di emergenza in attesa di un’altra sistemazione.

In Veneto sono presenti tre realtà di accoglienza e associazionismo che raggruppano le diverse tipologie di servizi di accoglienza. (Regione Veneto, 2006)

Il “Coordinamento nazionale delle Comunità d’accoglienza” è presente nel Veneto da trent’anni e nella nostra regione ha istituito un “gruppo che si interessa di Infanzia, Adolescenza e Famiglie” di cui fanno parte: 14 Comunità educative residenziali, 3 Comunità residenziali di tipo familiare, 1 Comunità residenziale mamma bambino, 10 appartamenti di accompagnamento all’adultità, 5 Comunità diurne per adolescenti, 6 progetti territoriali di educativa domiciliare, 6 reti di famiglie aperte all’accoglienza, 3 progetti di inserimento lavorativo per adolescenti, 8 progetti di animazione di strada. I principi cardine del Coordinamento si fondano sul passaggio delle Comunità da spazio di

7. Dati al 31/12/2008

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vita a servizio di accoglienza che tiene conto della crescita del bambino, cercando di superare le logiche istituzionali anche attraverso percorsi di accompagnamento e prevenzione dell’allontanamento.

Il “Coordinamento nazionale delle Comunità per minori”: associazione di tipo familiare nata nel 1990 per favorire il confronto fra i diversi gestori di Comunità per minori di tipo familiare. In Veneto è un coordinamento territoriale che coinvolge 12 realtà. Le finalità dell’associazione è stata quella di superare l’isolamento dando vita ad una collettività capace di confrontarsi e condividere le esperienze, oltre ad interagire con le istituzioni.

L’associazione “Comunità Papa Giovanni XXIII” è un’organizzazione internazionale fondata da Don Oreste Benzi nel 1972 e presente in Veneto dal 1977 suddivisa in tre zone corrispondenti alle province di Padova, Vicenza e Verona. L’impegno nell’ambito dell’infanzia e adolescenza è uno degli ambiti in cui l’associazione è attiva attraverso la sensibilizzazione e l’accoglienza con due tipi di servizi: le “Case Famiglia” caratterizzata dalla convivenza continuativa con due figure adulte che si dedicano totalmente a svolgere la funzione paterna e materna accogliendo soggetti diversi per età, genere e stato di bisogno; le “Famiglie aperte” in cui oltre ad accudire i propri figli naturali la famiglia si rende disponibile ad accogliere bambini allontanati dalla propria famiglia d’origine. Negli ultimi quindici anni sono inoltre nate numerose reti di famiglie aperte all’accoglienza in tutto il territorio regionale, famiglie che attraverso diverse forme si rendono disponibili per sostenere o accompagnare altri nuclei familiari o le Comunità stesse attraverso la vicinanza solidale. Il ruolo di queste famiglie può essere o meno educativo in base al progetto in cui sono coinvolte; solitamente queste reti di famiglie sono state promosse da cooperative sociali o associazioni di volontariato. Nell’analisi delle Comunità che andremo a presentare, porteremo alcuni esempi poiché entrambe godono del sostegno di questo tipo di famiglie.

A causa della scarsità di fondi disponibili per il welfare, del costo irrisorio dell’affido familiare e del principio che il benessere dei bambini e degli adolescenti sia vivere in una famiglia, le attuali politiche regionali puntano alla drastica riduzione del numero degli accolti in Comunità, a favore di interventi di affido familiare che dovrebbero raggiungere il 70% del totale degli allontanamenti con la conseguente previsione di chiusura della maggior parte delle Comunità; attualmente questa quota di ragazzi si assesta attorno al

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50%9. A nostro parere le risposte educative date dall’affido familiare e dalle strutture residenziali sono diverse in quanto ci sono situazioni di allontanamento in cui si può ricorrere direttamente all’affido familiare, altre che richiedono un passaggio in Comunità, in quanto il bambino non è ancora pronto ad inserirsi in una nuova famiglia e per quest’ultima potrebbe risultare problematico gestire alcune difficoltà in particolare in età adolescenziale. Per questi motivi la riduzione drastica delle Comunità appare azzardata e rischia di eliminare un servizio ancora utile nel territorio.

Ci sembra importante entrare ora più nel dettaglio delle Comunità che andremo ad analizzare e descrivere il contesto territoriale specifico in cui sono inserite.

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