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Le principali direttive di riforma nel venticinquennio leopoldino

CAPITOLO I – LA CONDIZIONE MISEREVOLE IN CUI PIETRO LEOPOLDO TROVÓ LA

I.4: Le principali direttive di riforma nel venticinquennio leopoldino

La stagione delle riforme leopoldine è la pagina più difficile da ricostruire fra tutte quelle del Granducato di Toscana di età moderna. La radicale trasformazione a cui tutte le istituzioni dello Stato vennero sottoposte in venticinque anni, e da parte di un Sovrano ispirato per la prima volta da un progetto unitario, ingenera come naturale aspettativa una sequenza lineare di atti preparatori e susseguenti leggi, coerenti come lo era la volontà riformatrice. In realtà questa sequenza lineare non la si rinviene nelle carte: non perché questa volontà non ci sia stata, ma perché, rimanendo comunque sempre saldi sulla stessa curva culturale, venne rinvenuta man mano che veniva compiuto un passo dopo l’altro, secondo una dinamica interna di cui era impossibile prevedere quali sarebbero stati gli sbocchi.

148 Per le Istruzioni date all’Ufficio dei Fossi di Grosseto cfr. BERNARDO SORDI,L’amministrazione illuminata. Riforma delle comunità e progetti di costituzione nella Toscana Leopoldina, Milano, Giuffrè, 1991, pp. 65-69; la riorganizzazione operata nel 1767 al contempo, ed in particolare con il Regolamento dell’economico per le comunità e luoghi pii et altre pubbliche amministrazioni della Provincia inferiore dello Stato di Siena del 21 Dicembre 1767 (in ASFI, Segreteria di Finanze affari anteriori al 1788, filza 693 ins. 1767) completava il disegno di governo dell’economico della Provincia accentrato sul Provveditore dell’Ufficio e sul Camarlingo.

149 VIERI BECAGLI,Pompeo Neri e le riforme istituzionali della prima età leopoldina, op. cit., pp.347-350.

150 Il Gianni nei suoi Ricordi sulla riforma frumentaria definisce il Rosenberg «un uomo di mente e di cuore, che lo rendevano degno del suo posto, meritevoli della fiducia del principe e della confidenza della nostra piccola nazione. Egli fece penetrare nell’animo del nuovo Granduca le verità che lo illuminarono senza offendere le sue passioni, perché non gli erano state date peranco quelle con cui i ministri e i cortigiani avvelenano i regi e poi li diffamano».

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Fino alla metà degli anni ’70 il percorso delle riforme fu quasi episodico, dettato dalla necessità di risolvere specifici problemi che si presentavano nell’ordine del giorno dei lavori dei singoli Consigli; solo successivamente si cercò di dare risposte maggiormente organiche, quando ci si accorse che l’abolizione di antiche istituzioni o normative, senza loro sostituzione o raccordo, aveva creato falle nel sistema istituzionale che andavano tamponate.

Il primo segno del nuovo corso leopoldino fu un Editto del 21 dicembre 1766152, con cui subito si manifestava la volontà di agire prima sulle istituzioni che sulle leggi, spezzando in due lo Stato Senese e istituendo la “Provincia Inferiore Senese” (più o meno corrispondente all’attuale Provincia di Grosseto), direttamente soggetta al Sovrano (e non per intermediazione delle magistrature senesi che dovevano ricevere i singoli provvedimenti e trovare il modo di darne applicazione), il quale la governava per tramite dell’Ufficio dei Fossi, un’antica magistratura idraulica di origine medicea che adesso si trovava a dover assolvere nuove funzioni. Al contempo questa riforma, per la prima volta dal medioevo, affermava che la geografia amministrativa dello Stato non era un portato storico immodificabile, un ordine immutabile, ma un elemento che andava risagomato sulla base delle necessità sovrane e di chi abitava quei territori. Medesima riforma avvenne il 28 ottobre 1767 con l’Ufficio dei Fossi e Surrogati di Pisa153, tribunale che svolgeva funzioni di sorveglianza delle comunità del contado di Pisa e di sorveglianza sui lavori pubblici, dove vennero lasciate le funzioni giurisdizionali al Tribunale mentre quelle ‘economiche’ furono assegnate al giudizio monocratico del Provveditore: il Tribunale dunque non poté più avvalersi di una omnivalente potestà decisionale, e per la prima volta dovette limitare il proprio ruolo alla risoluzione di controversie.

La stessa situazione si ripeté l’anno successivo, quando Pietro Leopoldo decise di abolire l’appalto generale delle imposte, una maglia che imponeva troppi vincoli alla sua volontà di riforme; abolizione che comportò una riforma generale di tutti gli Uffici, Magistrati e Tribunali che regolavano l’imposizione fiscale. Contenzioso giudiziario e “affari economici” vennero scorporati, segnalando la dinamica che portava alla fine del governo “per magistrature”, caratterizzante uno Stato Giurisdizionale, per passare a un modello più moderno di “amministrazione esecutiva”, dove questo impasto di amministrazione e contenzioso in capo ad organi giurisdizionali era assente.

La tesi ormai era chiara e si spostò dunque l’attenzione dalle magistrature ‘finanziarie’ a quelle ‘economiche’: nel 1768, dopo aver sancito l’antivincolismo in campo di grani e di quasi tutti i generi alimentari, si procedette a riunire154 i Tribunali della Grascia e dell’Abbondanza nella nuova

152 Come riportato in LUCA MANNORI, Lo Stato del Granduca, 1530-1859. Le istituzioni della Toscana moderna in un percorso di testi commentati, Pisa, Pacini Editore, 2015, p. 170; fonte originale in Bandi e Ordini da osservarsi nel Granducato di Toscana, cod. 5, n.12

153 Pubblicato in LORENZO CANTINI, Legislazione Toscana, Firenze, Stamperia Albizziniana, 1800-1808, Vol.29, pp.78-52.

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Congregazione dell’Annona, che però aveva compiti principalmente statistici. Questa a sua volta venne abolita con Editto nel 1778 e le sue funzioni affidate alla Camera di Commercio.

La Camera di Commercio era a sua volta un organo volto a superare i vincoli dei Tribunali delle Arti. Istituita, dopo anni di commissioni, con Motuproprio del 1° febbraio 1770155, riuniva in un’unica sede tutti i Tribunali delle Arti e le loro sotto articolazioni; era composto da un consiglio di nomina interamente sovrana che doveva esaminare ogni nuova normativa economica e al contempo riportare a razionalità la legislazione economica presente, più un Dipartimento Esecutivo che faceva le veci del precedente Tribunale di Mercanzia.

Ci si dedicò quindi alle magistrature dedicate al controllo del territorio. Con Motuproprio del 22 giugno 1769156 si riunivano le magistrature dei Nove Conservatori del Dominio e Giurisdizione Fiorentina e dei Capitani di Parte guelfa e Ufficiali dei fiumi secondo la solita tecnica sperimentata: la gestione dell’economico venne demandata ad un unico Soprassindaco, quella del contenzioso alla nuova Camera delle Comunità composta da tre giudici professionali di nomina sovrana.

Si procedette dunque con la riforma dei giusdicenti provinciali. La Legge del 16 luglio 1771157 introdusse una semplice innovazione sul piano concettuale, introducendo giudici onorari tratti a sorte fra i cittadini fiorentini, con nuovo personale addottorato che doveva amministrare il “servizio” della giustizia sul territorio, più che rappresentare il “potere” della Dominante anche nelle comunità più remote. Al contempo, dopo un minuzioso censimento, venne effettuata anche una completa nuova ripartizione dei confini giurisdizionali interni al Granducato.

La riforma dei giusdicenti del territorio, assieme a quella delle dogane volta a creare “un unico territorio gabellabile”158, erano passi per trasformare il Granducato di Toscana da un insieme di comunità autonome che avevano mantenuto un rapporto di sudditanza singolarmente proprio e diretto con la Dominante, a uno Stato uniforme e moderno. Sulla stessa direttiva si collocava la riforma comunitativa159. Questa inizialmente sorse più che da un progetto di riassetto del territorio, dall’esigenza di sfrondare l’apparato centrale da un insieme di incombenze avvertite come inutili se non dannose: sicuramente costose.

La riforma comunitativa iniziò dapprima come un esperimento, con l’affidamento ai proprietari sulle rive del torrente Bagnolo (nel pratese) la tenuta a regime dello stesso corso d’acqua, cui il Capitano della Parte si era dimostrato manifestatamente incapace di far fronte. La rinnovata consapevolezza che un

155 CANTINI, op. cit., Vol. 29, pp. 325-331.

156 Ivi, pp. 227-280.

157 CANTINI, op. cit., Vol. 30, pp. 120-129.

158 Cfr.VIERI BECAGLI, Un unico territorio gabellabile: la riforma doganale leopoldina. Il dibattito politico 1767-1781, Firenze, Università degli studi-Istituto di storia-Facoltà di lettere e filosofia, 1983

159 Cfr. BERNARDO SORDI, L’amministrazione illuminata. Riforma delle comunità e progetti di costituzione nella Toscana Leopoldina, Milano, Giuffrè, 1991

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numero spropositato di incombenze gravavano su un unico funzionario aveva generato l’esigenza di rivedere la legge dei Nove con la Parte: per efficientare l’Ufficio occorreva alleggerirlo da una moltitudine di controlli minuti, restituendo di conseguenza agli amministratori locali una sfera di proprie competenze. Ciò però era impossibile a farsi senza un intervento su tutto l’ordinamento comunitativo, depresso da due secoli di accentramento Mediceo.

Il primo regolamento di prova, quello per la Comunità di Volterra, faceva gravare l’imposta sui soli proprietari, ma lasciava inalterate le cariche rimandando al vecchio statuto. I successivi furono più radicali, facendo tabula rasa anche degli statuti comunali per tutto ciò che riguardava la loro organizzazione, assegnando l’amministrazione della Comunità a coloro che vi avevano “il principale interesse”, cioè i “proprietari di beni stabili” titolari di un censo minimo fissato regolamento per regolamento, indipendente da qualsiasi altra qualifica, compresa la residenza nella stessa Comunità. Si giunse a riconoscere diritto di rappresentanza pure alle persone giuridiche proprietarie di quei beni.

Solo i proprietari di beni stabili potevano accedere al Magistrato che rappresentava e amministrava la Comunità, tutti gli altri possessori si riunivano una volta l’anno in un Consiglio Generale per approvare il bilancio e pochi altri atti specifici. Ne consegue anche che questa nuova Comunità che ruotava attorno alla proprietà privata doveva disfarsi di tutti i beni comunitativi, divenuti ora un impaccio.

Nel 1786 questo processo fu terminato e pure Firenze si trasformò da Dominante a Comunità della Capitale. Suggello di questa riforma doveva essere un ricalcolo dei vecchi estimi terrieri e l’elaborazione di un catasto geometrico-particellare moderno, a cui si lavorava sin dal 1778, progetto che andò in porto solo per piccole zone dello Stato.

Se fu dunque la scoperta dell’autonomia della società, nella sua nuova dimensione individualista e proprietaria, ad ispirare tutto questo primo capitolo del riformismo leopoldino, non meno forte fu però nel principe e nei suoi collaboratori il bisogno di sottoporre quella stessa società ad un continuo monitoraggio: come se il dissolversi della vecchia impalcatura magistratuale e per ceti ne avesse scoperto una intima fragilità. La grande attenzione riservata da Pietro Leopoldo alla costruzione di uno specifico apparato di “polizia” è forse la testimonianza più evidente di questa preoccupazione.

Nella Toscana medicea non esistevano poliziotti ma solo “esecutori di giustizia”, o al servizio dei giusdicenti territoriali o al servizio dei bargelli. La concezione pan-giudiziaria del potere caratteristica dell’antico regime escludeva alla radice l’esistenza di una polizia autonoma, anzi la stessa nozione di polizia non era familiare al linguaggio istituzionale toscano (e italiano in generale). Il quadro cominciò a cambiare solo nel 1776 quanto Pietro Leopoldo, tornato dal viaggio in Austria nel corso del quale aveva potuto studiare l’organizzazione della polizia di Parigi e Vienna, redisse il Punti e Osservazioni di SAR sopra il sistema

di pulizia di Firenze160. L’idea consisteva nel creare, secondo l’esempio di Parigi, una nuova tipologia di

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magistrato distinta tanto dalle magistrature cittadine quanto dagli screditatissimi bargelli, capace di esercitare con autorevolezza una funzione di controllo sociale dai caratteri ben diversi rispetto a quelli della giustizia.

Nei suoi Punti e riflessioni del Bargello Chelotti sopra il Piano di Pulizia per lo stabilimento di 4 Commissari e di

un Ispettore161 del 13 Ottobre 1776, questi chiarifica come il nuovo sistema di polizia debba consistere in

un’attività di governo “domestico” con ad oggetto non la cura delle cose o dei patrimoni, ma delle persone e dei sudditi, da proteggere dalle loro stesse tendenze devianti, nell’ottica di una prevenzione dei crimini che opera sin da un momento molto anticipato temporalmente: «questo nome di Pulizia, oltre al significare il filo, ed amministrazione della giustizia nella prevenzione e previsione de’ delitti, involve pure seco l’ascolto delle accuse, e lagnanze verbali, e la di loro risoluzione, lo che si concilia e si uniforma mirabilmente all’altro nome di Economia Personale denotante la buona forma di reggere e regolare la condotta delle Genti, modificando prudenzialmente le loro azioni, e così distraendo per quanto è possibile gli uomini da quei piccoli inconvenienti che non curati e non corretti nel suo principio portano poi alla malignità, al vizio, al delitto, ed al turbamento della società e del buon governo».

La riforma concernente l’istituzione dei Commissari fu contestuale alla riunione di tutta la giurisdizione penale in un unico nuovo tribunale, escluse le cause civili e criminali di minore entità, la cui competenza spettava invece ai nuovi commissari di polizia, che dovevano essere scelti fra soggetti che avevano già servito nella qualità di notai criminali. Alla loro generale missione di controllo sulla vita della città («dovranno render conto in carta ogni mattina di tutto quello che nel decorso della giornata e notte sarà successo nel loro quartiere»162) e di mediazione informale delle liti, venne affiancata la figura dell’“Ispettore di Polizia” incaricato di vigilare segretamente sullo stesso apparato e sulla pubblica voce163, riportando ogni notizia direttamente al Sovrano.

Questa autonomizzazione di una occhiuta polizia, che poteva irrogare anche pene economiche molto pesanti, si sviluppò in parallelo alla messa a punto della normativa penale più moderna d’Europa, raccolta nella Leopoldina. I due fenomeni sono da leggere come facce della stessa medaglia, dove su un lato c’era l’estremo rispetto dell’individuo e dall’altro il continuo impegno a correggere le devianze che esso poteva socialmente manifestare. Questo voleva dire controllare anche gli equilibri interni alle famiglie e le

161 ASFI, Segreteria di Gabinetto, 110, ins. 2, Punti e riflessioni del Bargello Chelotti sopra il Piano di Pulizia per lo stabilimento di 4 Commissari e di un Ispettore. In Appendice Documentaria, Documento V, pp. 185-195.

162 ASFI, Segreteria di Gabinetto, 110, ins. 1; nello stesso si precisa che i commissari dovranno «…invigilare all’esecuzione di tutte le leggi e ordini veglianti nel loro quartiere in materia di pulizia, che di sanità; alle leggi sopra i funerali, esposizione di morti coperti, e tutti gli alberghi, osterie, locande, persone pericolose e di male affare, donne di mala vita, forestieri accattoni o poveri; ai caffè, biliardi, bindotte, discorsi pubblici, nel loro quartiere procurare di essere informati di tutto e renderne esatto conto per potere colla loro vigilanza prevenire i delitti.»

163 Ivi, «All’Ispettore poi resterebbe l’ispesione sopra i teatri, luoghi pubblici, caffè, conversazioni, giochi, forestieri, locande, alberghi, quella sopra la condotta ed andamenti degli impiegati, delle donne e persone sospette… L’ispettore e suoi aiuti avranno il passo libero a tutti i teatri e a tutti gli albergatori, locandieri, caffettieri, dovranno dipendere da loro e renderli conto. L’ispettore renderà conto unicamente e direttamente all’Auditor Fiscale.»

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trasgressioni relative alla moralità sessuale: spesso si trattava di questioni minute ma che venivano ugualmente riportate a Pietro Leopoldo, il quale si riservava la decisione finale.

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CAPITOLO II – FORMARE L’OPINIONE: IL REGIME DELLE