CAPITOLO II I SISTEMI DI SCAMBIO RAPIDO DELLE INFORMAZIONI PRIMA
II.3 Le procedure di notifica nella direttiva 92/59/CEE
Il sistema di notifica previsto al titolo IV della direttiva 92/59/CEE non è dissimile da quelli sopra esaminati. L‘articolo 5 della direttiva conferisce agli Stati membri il potere di adottare le disposizioni, qualunque sia la loro natura, atte ad imporre, ai produttori, il rispetto degli obblighi da essa scaturenti, al fine dell‘immissione in commercio di prodotti sicuri. Per consentire ai Membri di adempiere efficacemente agli oneri loro assegnati, l‘articolo 6 prevede la possibilità, per gli stessi, di adottare le misure ritenute più opportune, circoscrivendone i modelli di operatività. A tal proposito, la norma stila un elenco, di carattere meramente esemplificativo107, al paragrafo 1, ricomprendente, tra le altre, misure volte ―a sottoporre l’immissione sul
mercato di un prodotto a condizioni preventive in modo da renderlo sicuro e a richiedere l’apposizione sul prodotto di adeguate avvertenze sui rischi che esso può presentare‖108. Egualmente, la lettera h) attribuisce agli Stati membri la possibilità di stabilire mezzi intesi ad ―organizzare in modo efficace e tempestivo il ritiro di un
prodotto o di un lotto di prodotti pericolosi già immesso sul mercato e, ove necessario, la loro distruzione in condizioni opportune‖.
Limitatamente a queste tipologie di provvedimenti, l‘articolo 7 stabilisce un obbligo di notifica a carico dello Stato membro che li abbia assunti, salvo che la comunicazione non sia altrimenti prevista da una diversa procedura specifica. Non così qualora le misure ineriscano ad un evento ad effetto locale, o, comunque, limitato al territorio del Paese interessato.
Prende avvio, così, la fase che contempla la Commissione come soggetto centrale. A lei è assegnato, infatti, il compito di consultare le parti interessate e di informare tutti gli Stati membri, qualora, a seguito di tale confronto, la misura appaia giustificata. Quando, ex adverso, il provvedimento non dovesse risultare fondato, la Commissione ne darà comunicazione allo Stato membro che ha assunto l‘iniziativa. Come si dirà successivamente, questa rappresenta anche l‘eventuale fase di avvio del sistema di allarme rapido, il cui corretto funzionamento, già si è anticipato, potrà dirsi raggiunto proprio grazie allo scambio repentino di informazioni tra Stati Membri e Commissione.
II.4 Lo scambio rapido di informazioni prima della direttiva 92/59/CEE
Dopo aver rilevato l‘esistenza di numerosi sistemi di notifica, in considerazione dei diversi settori di azione della Comunità, ci si interroga sulla presenza, prima della direttiva 92/59/CEE e del successivo regolamento (CE) 178/2002, di una struttura organizzata che permettesse lo scambio rapido di informazioni, con specifico riferimento al campo alimentare. Appurato che solo con il ricordato regolamento si
ne sont pas harmonisées avec l’obligation qu’ils ont prise les uns envers les autres, dans le traité, de mettre en place un marché commun, c’est-à-dire un espace à l’intérieur duquel, notamment, les marchandises et les services circulent librement ‖.
107 Si veda, in proposito, quanto dedotto da F. MANIET, La transposition de la directive 92/59 relative à la sécurité générale des produits dans les Etats membres de l’Union européenne, in Rev. Eur. Dr. Consom., 1997, pp. 176-193, in particolare p. 190.
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giunge ad avere una disciplina ―dedicata‖, è interessante indagare quali fossero le procedure in uso antecedentemente, quale fosse la loro operatività e in che aree si potessero applicare. La finalità di tale prospettiva di lavoro è comprendere su quale esperienza si sia fondata la necessità di costruire un sistema di allarme rapido, come quello dettato dal regolamento (CE) 178/2002, e per quali ragioni esso sia giunto ad avere la conformazione attuale. Ci si interroga, in particolare, su quale sia stata la ragione che ha reso indispensabile costruire una specifica organizzazione da attivarsi nelle situazioni di emergenza, per il settore alimentare: in cosa non funzionava pienamente la disciplina ripresa nella direttiva 92/59/CEE?
Per individuare una risposta a tale quesito, si partirà proprio da quest‘ultimo atto comunitario, per risalire, a ritroso, alle origini del sistema di allarme rapido del regolamento (CE) 178/2002. Al quindicesimo considerando, la direttiva emblematicamente statuisce che ―il controllo efficace della sicurezza dei prodotti
richiede che a livello nazionale e comunitario venga predisposto un sistema che consenta il rapido scambio di informazioni in situazioni di urgenza riguardanti la sicurezza di un prodotto‖.
A tale proposito, abrogando la decisione 89/45/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, già relativa ad un sistema di scambio rapido di informazioni sui pericoli connessi con l‘uso di prodotti di consumo, la direttiva richiama le medesime procedure ivi contenute e ne prevede l‘adattamento ad opera della Commissione, con l‘ausilio di un Comitato. D‘altra parte, il testo della decisione di riferimento109 prevedeva, all‘articolo 8, l‘applicabilità della stessa sino al 30 giugno 1990, fissando, esattamente per l‘anno antecedente, il termine entro cui la Commissione avrebbe dovuto presentare una relazione sul funzionamento del sistema. Tale rapporto avrebbe dovuto avanzare proposte su cui il Consiglio, successivamente, si sarebbe dovuto esprimere, nel senso del mantenimento o della revisione del sistema.
A propria volta, la decisione 89/45/CEE segue e riempie il vuoto lasciato dalla decisione del Consiglio 84/133/CEE, del 02 marzo 1984110, che instaurava un sistema di scambio rapido di informazioni sui pericoli connessi con l‘uso di prodotti di consumo. Il paragrafo 2 dell‘articolo 8 disponeva l‘applicabilità della decisione per i quattro anni successivi alla data di notifica111. Analogamente al provvedimento che la seguì, nella richiamata decisione era previsto il deposito, da parte della Commissione, di una relazione finale corredata di proposte, in base alle quali il Consiglio avrebbe potuto decidere in merito alla continuazione o alla revisione del sistema. È dunque in questo atto comunitario che trova origine il sistema di allerta ripreso, pressoché pedissequamente, prima dalla decisione 89/45/CEE112, poi dalla direttiva 92/59/CEE.
109 Decisione 89/45/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, relativa ad un sistema comunitario di scambio rapido di informazioni sui pericoli connessi con l‘uso di prodotti di consumo, in GU L 17, del 21 gennaio 1989, p. 51. Vedi sopra, p. 28.
110 Decisione 84/133/CEE del Consiglio, del 02 marzo 1984, che instaura un sistema comunitario di scambio rapido di informazioni sui pericoli connessi con l‘uso di prodotti di consumo, in GU L 70, del 13 marzo 1984, pp. 16-17.
111 Oltre all‘articolo richiamato, si veda il quinto considerando della decisione 84/133/CEE, dal quale si desume che la previsione per un periodo limitato di tempo dell‘applicabilità della stessa è legata all‘esigenza di valutare le condizioni di funzionamento del sistema.
112 Per un breve commento sugli albori del sistema di allarme rapido nel settore alimentare, si veda P. S. GRAY, 1993 and European food law, an end or a new beginning?, in EFLR, 1993, 1-2, pp. 1-16, in particolare p. 13.
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La decisione 84/133/CEE individua i propri principi ispiratori nel programma preliminare della Comunità economica europea, per una politica di protezione e di informazione del consumatore, il quale stabilisce, inutile precisarlo, un obbligo di immissione sul mercato di prodotti tali da non presentare pericoli per la salute e la sicurezza del consumatore medesimo113. Al contempo, la necessità di garantire l‘informazione degli utilizzatori, nell‘evenienza che il prodotto de quo manifesti un pericolo per la sicurezza degli stessi, suggerisce l‘adozione di misure idonee a provvedere al ritiro immediato del prodotto dal mercato, attraverso procedure ―rapide e
semplici‖114. Tali procedimenti debbono essere tanto più organizzati, quanto più stringente si rivela l‘urgenza delle comunicazioni, come, ad esempio, nel caso in cui il rischio presenti aspetti di estrema immediata gravità115. Il sistema instaurato dalla decisione 84/133/CEE pone come soggetti primi cui attribuire un obbligo informativo, gli Stati membri. L‘articolo 1 assume, quale presupposto, l‘adozione, da parte di uno dei Paesi della Comunità, di misure urgenti, volte ad impedire, limitare o sottoporre a particolari condizioni la commercializzazione o l‘uso, di un prodotto, a causa di un pericolo grave ed immediato per la salute e la sicurezza dei consumatori116. Il momento
113 Già si è considerato il Programma preliminare per una politica di protezione ed informazione del consumatore sopra, a p. 12. Vien ora in rilievo il punto (i) dei principi inerenti alla protezione della salute e sicurezza del consumatore, il quale dispone che i beni e i servizi offerti al consumatore devono essere tali da non presentare alcun rischio per la salute o la sicurezza dello stesso, in normali condizioni d‘uso. Nell‘ipotesi contraria in cui siffatti rischi siano invece presenti, dovranno essere previste procedure rapide e semplici per il ritiro delle merci dal mercato. Si vede dunque, sin dal programma del 1975, l‘intenzione di costruire un sistema di allarme rapido così come ripreso dalla proposta di decisione COM/79/75/def. (cfr. in particolare il primo considerando), presentata dalla Commissione al Consiglio l‘11 dicembre 1979 e pubblicata in GU C 321, del 22 dicembre 1979, pp. 7-8.
Si noti, a tal riguardo, la vicinanza temporale di tale atto, con la raccomandazione del Consiglio OCSE sulla Sicurezza dei beni di consumo, del 18 dicembre 1979, C(79)202(Def.), la quale, al punto 1, lettera a), prevede: ―Member countries should by all appropriate means encourage manufactures to take into
account systematically in the production of consumer goods the need to ensure that their products will be adequately safe in normal or intended use and, if they become aware of hazards subsequent to placing their products on the market, to notify the relevant authorities and, if necessary, the public‖. Prosegue poi
al punto 4, stabilendo la procedura di notifica: ―Member countries should make the necessary
arrangements to ensure that new product safety regulations, product bans and the identification of hitherto unsuspected hazards of a substantial and severe nature are notified through the informal procedure operating within the Committee on Consumer Policy. In particular, early notification should be given of action decided upon to remove from national markets products which present substantial and severe hazards‖. Infine, il quinto punto, inerente alle esportazioni di prodotti pericolosi dispone: ―a. Governemnts of Member countries should strive to ensure, by means in conformity with their National procedures, that those goods that are banned or withdrawn from sale within their territories because they are inherently so hazardous that they present a severe and direct danger to life, health or safety of any consumer of those goods, are not exported to other countries.
b. If powers do not exist to prohibit the export of such dangerous goods, Governments of Member countries are urged to consider the desirability of seeking such powers‖.
114 Cfr. il primo considerando della decisione 84/133/CEE con quanto indicato nella prima parte della nota precedente.
115 Cfr. il secondo considerando della decisione.
116 Si rileva che già la proposta di decisione, pubblicata in GU C 321 del 22 dicembre 1979, pp. 7-8, esclude dall‘ambito di applicazione della medesima l‘uso professionale dei prodotti, in quanto non rispondente agli ―obiettivi del programma preliminare per una politica di protezione e di informazione
dei consumatori‖ (vedi ultimo considerando della proposta).
Al contrario, il parere del Parlamento, pubblicato in GU C 182, del 19 luglio 1982, p. 118, caldeggia, al punto 3, l‘abbandono della distinzione tra prodotti destinati all‘uso professionale ed altri rivolti ai
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in cui scatta l‘obbligo di notifica, si osserva, non è tuttavia quello dell‘attuazione della misura, bensì la mera decisione della sua adozione: questo emerge dall‘incipit della norma. In realtà, il dettato si rivela particolarmente elastico, nulla precisando sui criteri attraverso cui la valutazione di effettiva sussistenza del pericolo e la ―quantificazione‖ della sua gravità debbano essere effettuate117. A questo proposito, dunque, si osserva un‘ampia discrezionalità lasciata agli Stati membri118: ad essi, infatti, spetta la consumatori, in considerazione del primario obiettivo di sicurezza, sotteso alla futura ―decisione‖. Tale orientamento era stato assunto anche dal Comitato economico e sociale, nel proprio ―Parere in merito ad
una proposta di decisione del Consiglio che instaura un sistema di rapido scambio delle informazioni sui pericoli connessi con l’uso dei prodotti di consumo”, pubblicato in GU C 182, del 21 luglio 1980, p. 13. 117 Particolarmente significativo è il primo degli emendamenti respinti nel corso del dibattito del Comitato economico e sociale sul parere in merito alla proposta di decisione. In esso si legge: ―l’eccessivo
semplicismo della proposta fa temere che le modalità di applicazione di questo meccanismo siano totalmente improprie ad impedire ogni abuso (possibilità di distorsioni della concorrenza, di discriminazioni a danno dei prodotti importati, di divulgazione di informazioni errate che ledano il buon nome del produttore e che creino reazioni di panico ingiustificate tra i consumatori, ecc.)‖.
118 Si confronti, a questo proposito, quanto argomentato dalla seconda sezione della Corte di Giustizia delle Comunità Europee nella sentenza del 04 luglio 1989, nelle cause riunite 326/86 e 66/88, Benito
Francesconi e altri contro Commissione delle Comunità europee, in Racc., 1989, p. 2087. La pronuncia è
relativa alla ben nota vicenda della commercializzazione di vini adulterati al metanolo. I ricorrenti, lamentando l‘insorgenza di danni a proprio detrimento (chi, in veste di commerciante, produttore, ristoratore, per il calo delle vendite, chi, congiunto delle persone decedute per aver ingerito il vino adulterato, per i cari persi) in particolare, attribuivano alla Commissione la realizzazione di un illecito aquiliano, per mala gestio della vicenda e controllo lacunoso del mercato del vino. Significativo è quanto indicato nei punti 11 e 12 della motivazione della ricordata sentenza: ―Sono del pari gli Stati membri che,
in forza della decisione 84/133 del Consiglio del 02 marzo 1984, che instaura un sistema comunitario di scambio rapido di informazioni sui pericoli connessi con l’uso dei prodotti di consumo, decidono di adottare provvedimenti urgenti per impedire la vendita di un prodotto a causa del pericolo grave ed immediato che esso costituirebbe per la salute e la sicurezza dei consumatori. Emerge da tenore di questa disciplina che le istituzioni comunitarie devono intervenire solo qualora sussistano elementi che dimostrino che gli organi nazionali non svolgono in modo soddisfacente il loro compito‖. È chiaro, però,
che se anche la valutazione iniziale sulla gravità o meno di un determinato pericolo è lasciata agli Stati membri, la deficienza delle attività da questi eventualmente poste in essere si manifesterà, ovviamente, quando qualche conseguenza, presumibilmente infausta, dovesse essere concretamente percepita, con la logica dimostrazione di inefficacia del sistema stesso.
L‘evoluzione della stessa vicenda del vino al metanolo, d‘altra parte, aveva reso palese l‘inadeguatezza del modello organizzativo instaurato dalla decisione 84/183/CEE. Se, infatti, l‘adulterazione della bevanda era scoperta nell‘aprile del 1985, a seguito del rinvenimento, sul mercato tedesco, di partite di vino austriaco contenente dietilene glicolo, solo in una conferenza stampa del 27 agosto 1985 (si noti, quattro mesi più tardi), la Commissione, minimizzando la portata della questione, affermava l‘esistenza di esigue tracce della sostanza, in vino italiano. Seguivano decessi, per ingestione di vino proveniente dal nostro Paese, segnalati il 02 marzo del 1986. Il 20 marzo la Commissione trasmetteva l‘informazione, ricevuta il 19 marzo, agli altri Stati membri.
Inutile evidenziare che, nella vicenda del vino al metanolo, la procedura di scambio rapido di informazioni non si era rivelata affatto efficiente. I ricorrenti, nella citata causa, instaurata innanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità europee, sostenevano, d‘altra parte, una responsabilità della Commissione, la quale, sin dalla conferenza stampa del 27 agosto 1975, avrebbe dovuto adottare, a loro dire, iniziative per provvedere al ritiro dei vini incriminati dal mercato, informando i consumatori della vicenda e rafforzando il controllo delle autorità degli Stati membri, sul prodotto. Emblematico, a tal proposito, quanto considerato dalla Corte, nei punti 21 e 22 della sentenza esaminata. L‘organo giurisdizionale precisa, infatti, che, in capo alla Commissione, non sussisteva alcuna competenza a disporre il ritiro dei vini dal mercato, essendo l‘adozione di tale tipo di misure lasciata agli organi nazionali. Ulteriormente, nessuna responsabilità per omessa informazione dei consumatori poteva essere
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ponderazione dell‘incidenza che il ventilato rischio possa concretamente avere sulla salute e sulla sicurezza dei consumatori e l‘adozione di conseguenti misure119. Superflua forse la precisazione che tale rischio deve determinarsi in condizioni di uso normale e prevedibile del prodotto120.
Vi è poi un‘altra incombenza da rilevare: la decisione 84/133/CEE dispone la previa consultazione del produttore, del distributore o dell‘importatore del prodotto o del lotto. Un rapido sguardo al parere espresso dal Comitato economico e sociale porta in evidenza quanto l‘organo comunitario suggerisce sul punto. Qualora, infatti, il produttore o l‘importatore del bene ritenuto pericoloso (si noti che non è fatta menzione del distributore) che siano stati preliminarmente consultati abbiano ottemperato tempestivamente a quanto richiesto dalle autorità nazionali, ―il meccanismo comunitario
non dovrebbe scattare, a condizione che il prodotto in parola non venga esportato altrove e che non vi sia motivo di temere altri pericoli‖121.
Il secondo soggetto cui il ―regista comunitario‖ assegna un ruolo di spicco è, come già si accennava in precedenza, la Commissione, la quale dovrà essere repentinamente informata da parte dello Stato membro che ha adottato le ricordate misure. Sarà compito dell‘Istituzione, successivamente, verificare che dette informazioni siano conformi a quanto stabilito dalla decisione, per poi trasmetterle alle competenti autorità degli altri Stati membri. L‘esame di rispondenza attuato dalla Commissione, secondo quanto disposto dal secondo paragrafo della richiamata decisione, dovrà valutare che la comunicazione offerta dal Paese membro contenga le indicazioni utili ad identificare il prodotto o il lotto di prodotto, con espresso riferimento alla natura e alle caratteristiche dello stesso; sarà onere del notificante segnalare gli elementi che descrivono il pericolo e la relativa gravità oltre alle misure adottate per far fronte al rischio.
Vi sarà poi la fase di ―ritorno‖, caratterizzata dalla comunicazione alla Commissione, da parte di tutti gli altri Stati membri, delle misure eventualmente adottate, a seguito delle informazioni trasmesse dalla stessa Istituzione.
attribuita all‘Istituzione, mancando un obbligo di attivazione in tale senso. Il potere di iniziativa, anche in questo caso, era lasciato agli Stati membri.
119 D‘altra parte, già il parere espresso dal Parlamento europeo, sulla proposta di decisione della Commissione (v. nota 116, seconda parte), riconosceva che, stante il limitato ambito operativo delle Istituzioni comunitarie, nella trasmissione delle informazioni, il compito di adottare provvedimenti volti al ritiro dal mercato dei prodotti ritenuti pericolosi, o all‘adozione di altre misure ―adeguate‖, sarebbe dovuto essere ―lasciato‖ ai singoli governi. Il Comitato economico e sociale, nel proprio parere reso, ex art. 235 TCEE, su richiesta del Consiglio, precisava, d‘altra parte, che la Commissione avrebbe comunque dovuto intervenire – nell‘ambito delle proprie competenze-, qualora gli Stati membri fossero rimasti inerti, ―o nel caso di valutazioni divergenti circa la pericolosità di uno stesso prodotto‖, o quando i prodotti fossero sottoposti ad una specifica normativa comunitaria.
120 È interessante, a questo proposito, osservare come il Comitato economico e sociale auspichi una progressiva elaborazione di ―criteri omogenei di valutazione del pericolo, cui faccia riscontro
un’uniformità di indirizzi tra le autorità nazionali e quella comunitaria‖ (cfr. paragrafo 1.5.1. seconda
parte).
121 Punto 2.1.1 del parere del Comitato economico e sociale, ove risultano indicate due possibili misure adottabili. Nell‘un caso, le informazioni avrebbero dovuto presentarsi a carattere riservato, salvo pericolo imminente per la vita e la salute dei consumatori. Tale ipotesi fondava la propria attuazione su di una stretta collaborazione tra i produttori (o importatori) e le autorità nazionali competenti. In caso di fallimento di siffatta procedura, si sarebbe invece fatto ricorso al coinvolgimento dei mass-media, previa decisione motivata dell‘autorità comunitaria.
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Entrano così sulla scena i terzi soggetti della procedura: le autorità nazionali designate all‘uopo dai Paesi comunitari. A tal proposito, l‘articolo 5 della decisione prevede l‘indicazione, da parte degli Stati membri, alla Commissione, degli organismi interni designati alla trasmissione e alla ricezione delle informazioni. Di tali punti di contatto saranno messi a conoscenza anche tutti gli altri Membri, in modo da creare una rete di riferimenti, tale da consentire l‘individuazione immediata del soggetto competente, nella procedura.
Ultimo soggetto operante nella procedura – ma non per questo meno importante - sarà il Comitato consultivo che, come già si è detto, costituisce lo specchio rappresentativo dei membri del sistema, essendo composto da due rappresentanti per ogni Paese della Comunità più un membro della Commissione, avente meramente ruolo