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Le proprietà dei materiali

Nel documento Lavoro ed energia. (pagine 68-76)

Gli stati della materia.

Gli oggetti che abitualmente incontriamo nella vita quotidiana si presentano in tre diversi stati: − Stato solido, in cui i corpi sembrano avere un volume ed una forma.

− Stato liquido, in cui i corpi sembrano possedere un volume ma non una forma propria, anzi essi si adattano alla forma del recipiente che li contiene.

− Stato gassoso, in cui i corpi sembrano non avere né un volume né una forma propria, ma tendono ad occupare tutto il volume del recipiente che li contiene ed ad assumerne la forma.

I corpi liquidi e quelli gassosi costituiscono l’insieme dei corpi denominati “fluidi”.

Naturalmente le leggi della meccanica si applicano a ciascuno dei tre stati della materia: va sottolineato il merito della meccanica classica che riesce a descrivere molto bene il comportamento di tutte e tre i tipi di corpi anche se hanno caratteristiche molto diverse tra loro.

I corpi solidi e i moduli di elasticità.

Nel caso dei corpi solidi, abbiamo già osservato che essi possono essere descritti in prima approssimazione come dei corpi rigidi.

Cos’è che fornisce ai solidi la capacità di resistere a sollecitazioni anche intense subendo delle deformazioni molto piccole? Molti dei corpi solidi, in particolare i metalli (un blocco di ferro, una sbarra di alluminio, un cavo di rame, ecc.) sono costituiti da atomi che occupano posizioni fisse in una struttura ordinata, denominata struttura cristallina. Naturalmente tra un atomo e l’altro c’è il vuoto. Viene mantenuto nella sua posizione perché interagisce con gli atomi che gli sono vicini ( possiamo schematizzare queste interazioni mediante delle molle estremamente rigide, aventi cioè una costante elastica estremamente elevata). Gli atomi vanno immaginati in perenne movimento, essi infatti oscillano attorno alla loro posizione di equilibrio:

l’ampiezza delle oscillazioni dipende dalla temperatura del corpo. Più elevata è la temperatura più grande sarà l’ampiezza delle oscillazioni. E’ proprio la grande intensità delle forze di interazione tra gli atomi che da un lato garantisce loro la stabilità della forma, dall’altro impedisce al corpo di deformarsi quando viene sottoposto a sollecitazioni esterne.

Comunque, poiché l’intensità delle forze tra gli atomi è elevata ma sicuramente non infinita, quando le sollecitazioni esterne diventano grandi è logico attendersi che esse provochino delle deformazioni nel solido.

Quali tipo di sollecitazioni è possibile applicare ad un solido?

Come mostrato in figura, un solido, che in figura ha una forma cilindrica, può essere sollecitato per • trazione, caso a) della figura, quando alle basi

del cilindro vengono applicate due forze uguali e contrarie che tendono ad allungare il cilindro stesso. L F r F r F r F r F r F r a) b) c)

• Compressione, caso b) della figura, quando alle basi del cilindro vengono applicate due forze uguali e contrarie che tendono ad accorciare il cilindro stesso.

• Taglio, caso c) della figura, quando alle basi del cilindro vengono applicate due forze uguali e contrarie parallele alle basi del cilindro. (E’ la forza che si esercita su un mazzo di carte per disporle in modo da facilitare la scelta di una carta quando, all’inizio della partita, occorre stabilire che deve servire le carte: si poggia la mano sul mazzo di carte e la si muove parallelamente al piano di appoggio)

• Compressione idrostatica in cui una forza perpendicolare alla superficie viene applicata in ogni punto del corpo.

Considerando parte il caso della compressione idrostatica, di cui parleremo nel prossimo paragrafo relativo ai fluidi, in tutti casi, l’applicazione della sollecitazione produce una deformazione nel corpo. Se il corpo è sottoposto ad una trazione, esso subirà un allungamento, se a compressione un accorciamento, e se infine è sottoposto ad una sollecitazione di taglio subirà una deformazione del tipo mostrata in figura (si pensi sempre al mazzo di carte).

In tutti e tre i casi si possono definire le seguenti quantità:

• Lo sforzo: pari alla forza applicata diviso per la sezione del corpo (Φ = F

A, si misura in N/m 2). • La deformazione relativa: nel caso di un corpo sotto posta a trazione, se la lunghezza L del corpo

varia di ΔL, la deformazione relativa sarà data da ΔL

L . Nel caso di una compressione ΔL sarà l’accorciamento della sbarra, mentre per una sollecitazione di taglio il significato di ΔL è mostrato in figura.

Quello che si trova provando con un certo numero di campioni è che, quando la sollecitazione non è eccessivamente grande, la deformazione relativa prodotta dalla sollecitazione è proporzionale alla sforzo esercitato. Il coefficiente di proporzionalità si chiama modulo di elasticità. Si può cioè scrivere la seguente espressione:

sforzo = modulo di elaticità × deformazione relativa che diventa:

- Φ = F A = E

ΔL

L E = modulo di Young per trazioni o compressioni. - Φ = F

A = G ΔL

L G = modulo di taglio per sollecitazioni di taglio. Come appare dalla definizione, il modulo di

Young e quello di taglio si misurano in N/m2. Sia il modulo di Young che quello di taglio per i diversi materiali sono riportati in apposite tabelle. Il modulo di taglio è inferiore, per un rapporto da 2 a 3, di quello Young.

Normalmente hanno valori molto elevati, per esempio per l’acciaio da costruzione E=200x109 N/m2, ad indicare che occorrono forze molto intense per produrre piccole variazioni nelle dimensioni dei corpi solidi.

Sempre considerando un tondino di acciaio da costruzione della lunghezza di un metro e sezione 1 cm2, si vede che occorre una forza di 20000 N per produrre un allungamento di 1 mm (ΔL

L = 10 −3

una parte per mille). F = AE ΔL

L = 10 −4

∗ 200 ∗109∗10−3= 20000N

parla quindi di un comportamento elastico del campione.

Se si aumenta la sollecitazione, allora si perde la proporzionalità tra lo sforzo e la deformazione, il campione si deforma di più di quanto avrebbe dovuto estrapolando il suo comportamento elastico. Anche in questo caso comunque togliendo la sollecitazione il corpo riprende le sue dimensioni iniziali almeno fino a quando non viene raggiunta la zona dello snervamento, in cui pur togliendo la sollecitazione, il corpo resta permanente deformato. Si parla in questo caso di un comportamento “plastico”.

In questa zona la deformazione non è più una funzione vera e propria dello sforzo: a parità di sforzo si possono ottenere diverse deformazioni che dipendono dalla storia precedente del materiale.

Infine se si aumenta ancora la sollecitazione, si raggiunge il cosiddetto limite di rottura, in cui alcuni dei legami tra gli atomi del reticolo cristallino vengono spezzati provocando la rottura del materiale in due o più parti.

In generale i moduli di elasticità per trazione e compressione sono pressoché uguali. Anche in queste condizioni il limite di rottura può essere diverso per i due tipi di sollecitazione. Tipico è il caso del calcestruzzo che si comporta molto bene quando viene compresso, ma è estremamente debole quando è sottoposto a sollecitazioni di trazione.

Si osservi, infine, che l’elevato valore del modulo di taglio vuol dire che i corpi solidi si oppongono al fatto che presa una qualunque sezione del corpo, la porzione del corpo su uno dei due lati della sezione scorra rispetto al resto del corpo che si trova dall’altro lato della sezione. Questo, detto in maniera diversa, significa che è difficile far passare la lama di un coltello tra le due parti del corpo.

Risonanza

Per realizzare una struttura meccanica, un’automobile, un palazzo, ecc, è necessario mettere insieme, facendoli interagire, dei corpi solidi.

Nel paragrafo precedente abbiamo visto che tutti i corpi solidi, per piccole sollecitazioni hanno un comportamento elastico, in particolare cambiano le loro dimensioni.

È un po’ come la molla dell’oscillatore armonico la quale, sottoposta a una sollecitazione, cambia la sua lunghezza.

Nel caso dell’oscillatore armonico abbiamo visto che applicando all’oscillatore un impulso, una forza impulsiva, quando per esempio si trova nella sua posizione di equilibrio, si mette ad oscillare.

A causa della presenza, inevitabile, di forze dissipative, l’ampiezza delle oscillazioni si ridurrà continuamente fino a quando l’oscillatore non si riferma nella sua posizione di equilibrio (oscillazioni smorzate).

Dobbiamo attenderci che se noi applichiamo un impulso ad una struttura meccanica complessa, questa, a causa delle sue proprietà elastiche, si deforma e comincia a vibrare. Anche in questo caso le vibrazioni si esauriranno dopo un po’ di tempo e tutta la

struttura ritornerà a riposo.

È logico però attendersi che applicando tutta una successione di impulsi, a distanza regolare di tempo, è possibile mantenere la struttura in oscillazione.

Dal punto di vista dell’oscillatore armonico è come se all’oscillatore fosse applicata, oltre alla forza elastica della molla e alle inevitabili resistenze passive, una forza esterna variabile nel tempo con una pulsazione angolare ωF.

Studiando questo tipo di moto, si vede che l’ampiezza delle oscillazioni dipende dalla intensità della resistenza passiva (parametro b della figura) e dal valore della pulsazione angolare della forza ωf. In particolare si trova che per bassi valori della resistenza passiva, l’ampiezza

delle oscillazioni diventa tanto più grande quando più la pulsazione angolare della forza ωf si approssima alla pulsazione propria dell’oscillatore ωo = k

m, questo anche per valori modesti dell’intensità della forza applicata. Questo fenomeno va sotto il nome di risonanza.

Qual è il problema?

Essenzialmente questo: se ad una struttura meccanica vengono applicate una serie di sollecitazioni, anche piccole, ad intervalli regolari di tempo, e se la frequenza delle sollecitazioni è prossima a quella propria della struttura, determinata dalle sue proprietà elastiche, può accadere che la struttura entra in risonanza: ossia subisce forti deformazioni anche se l’intensità della forza in ogni singola sollecitazione è trascurabile.

Noi sappiamo che grandi deformazioni corrispondono a grandi sforzi all’interno dei materiali: questi sforzi, a causa della risonanza, possono superare il limite di rottura dei materiali e provocare la rottura dell’intera struttura meccanica.

I fluidi e la pressione idrostatica.

Con questo termine si indicano quei corpi che si trovano nello stato liquido o gassoso. Si trova infatti che alcune caratteristiche di questi corpi sono comuni e la descrizione dei fenomeni che coinvolgono corpi liquidi o gassosi può essere fatta con le stesse leggi.

Una prima differenza dei fluidi con i solidi sta nel fatto che, essendo in media le distanze tra le molecole più grandi nel caso dei fluidi rispetto ai solidi, le forze di interazione sono estremamente meno intense: nei fluidi le molecole sono debolmente legate l’una all’altra, di conseguenza esse non occupano posizioni predeterminate all’interno del fluido ma possono muoversi al suo interno.

L’altra differenza fondamentale, che è una conseguenza del debole legame intermolecolare, deriva dall’osservazione che i fluidi non riescono ad opporre resistenza a sollecitazioni di taglio. Ne deriva che il relativo modulo di taglio è molto piccolo (nullo in condizioni statiche), il che vuol dire che ci possono essere deformazioni di taglio anche per sforzo nullo: in altri termini supponendo di suddividere il fluido in due parti sezionandolo con una superficie piana arbitraria, è possibile far scorrere una parte del fluido rispetto all’altra lungo la superficie arbitraria tracciata con un piccolissimo sforzo: si pensi a quanto facile sia far scorrere all’interno di un liquido la lama di un coltello.

La conseguenza di questa osservazione è che, in condizioni stazionarie, ciascuna delle due parti di fluido non è in grado di esercitare, sull’altra parte di fluido, forze che abbiano una componente tangente alla superficie di separazione, ma solo forze perpendicolari a tale superficie.

Si può introdurre la pressione idrostatica nel seguente modo.

Se si vuole la pressione in un punto P all’interno di un fluido stazionario,si considera una qualunque superficie piana passante per il punto P. Questa superficie dividerà il fluido in due parti.

Per l’osservazione precedente ciascuna parte di fluido eserciterà sull’altra una forza perpendicolare alla superficie di separazione. Si considera un piccolo elemento della superficie di separazione tra le due parti di fluido che circonda il punto P ed indichiamo con ΔA la sua area. Sia Fn la forza, normale, esercitata da una delle due parti del fluido sull’altro attraverso l’area ΔA: si definisce pressione idrostatica media sull’area ΔA il rapporto tra la forza normale e l’area dell’elemento di superficie selezionato:

Pm = Fn ΔA

La pressione idrostatica nel punto P si otterrà facendo il limite per ΔA che tende a zero dell’espressione precedente:

P = limΔA →0 Fn ΔA

La pressione idrostatica è una grandezza scalare. Le sue unità di misura nel Sistema Internazionale sono N/m2 (Newton su metro quadro). Questa unità nel Sistema Internazionale prende il nome di Pascal (Pa).

Nella vita quotidiana su usano anche altre unità di misura per la pressione: una di questa è l’atmosfera (atm) che corrisponde alla pressione idrostatica media esercitata al livello del mare dall’atmosfera. La relazione tra Pascal e atmosfera (atm) è la seguente:

L’atmosfera (atm) corrisponde dunque ad una forza di circa 105 Newton per ogni metro quadro di superficie interessata, o detto in altri termini, al peso di un corpo di 104 kg per ogni metro quadro di superficie.

Altra unità di misura della pressione comunemente usata è il “bar”, che è un multiplo del Pascal: 1bar = 105 Pa. Un bar è all’incirca pari ad una atmosfera.

Con la definizione precedente siamo in grado di determinare la pressione in ogni punto all’interno del fluido. Ma se noi, dopo aver tracciato la superficie di delimitazione tra le due parti di fluido, sostituiamo una delle due parti con la superficie di un contenitore, ricaviamo che, poiché la parte di fluido che è rimasta non è in grado di accorgersi del cambiamento, esso continuerà ad esercitare la pressione idrostatica, data dalla definizione precedente, su tutti i punti della superficie del contenitore. Per capire più in dettaglio come si origina questa forza esercitata dal fluido sul contenitore, dobbiamo far ricorso al modello molecolare.

Abbiamo già osservato che un fluido è costituito da molecole debolmente legate l’una all’altra, il legame è maggiore nel caso dei liquidi, molto più piccolo nel caso dei gas. Esse sono in continuo movimento all’interno del fluido, si muovono di moto caotico e la loro energia cinetica media (e quindi la loro velocità al quadrato media =velocità quadratica media) aumenta con la temperatura. Alcune di queste molecole, quelle più vicine alla superficie del contenitore, nel loro moto caotico, potranno sbattere contro la parete del contenitore e subire un urto.

Se supponiamo che la parete sia priva di attrito, allora la forza che la parete è in grado di esercitare sulla molecola durante l’urto (si tratta di una reazione vincolare) avrà solo la componente normale alla parete (non c’è componente tangenziale perché la parete per ipotesi è liscia,

priva di attrito).

Questa osservazione implica che la molecola potrà subire solo accelerazioni nella direzione perpendicolare alla parete: le componenti della velocità parallele alla parete del contenitore non subiranno variazioni a causa dell’urto. La componente della velocità perpendicolare alla parete, invece, verrà modificata dall’urto. In particolare si può calcolare che, se l’urto è elastico, essa si inverte, cambia segno: la molecola cioè torna indietro verso l’interno del contenitore.

Per quanto concerne la parete, possiamo osservare che, dal momento

che la parete esercita sulla molecola una forza normale a se stessa, allora, per la terza legge di Newton, anche la molecola eserciterà sulla parete una forza uguale e contraria. La pressione idrostatica può essere interpretata come la media, nel tempo, di tutte le forze esercitate dalle varie molecole su un metro quadro di parete del contenitore.

Pressione scalare e forze vettoriali.

Osserviamo ancora una volta che pur essendo legata alla forza, che è una grandezza vettoriale, la pressione idrostatica è una grandezza scalare, è rappresentabile cioè solo con un semplice numero senza dover specificare né la direzione né il verso. La forza determinata dalla pressione idrostatica assume la direzione ed il verso una volta che viene specificata la superficie su cui si vuole determinare la forza: risulta infatti che la forza è perpendicolare alla superficie scelta ed è repulsiva.

Per verificare questa circostanza consideriamo, all’interno di un fluido stazionario uno strato di

spessore h, piuttosto piccolo, di un solido avente una base orizzontale di forma triangolare come mostrato in figura. Supporremo in particolare che il triangolo sia rettangolo e indicheremo con a e b i due cateti e con c l’ipotenusa. Se θ è l’angolo tra l’ipotenusa ed il cateto a, varranno le seguenti relazioni: v r v 'r F r x y h

a = ccosθ b = csen θ

Su ciascuna delle superfici laterali dello strato, a causa della pressione idrostatica, agiranno delle forze perpendicolari alle superfici stesse: se lo strato solido considerato è piccolo, possiamo ragionevolmente assumere che la pressione sia la stessa su tutte e tre le superfici e quindi l’intensità di ciascuna forza sia proporzionale all’area della rispettiva superficie laterale.

Fa = Pah Fb = Pbh Fc= Pch Se il fluido è stazionario, vuol dire che la porzione di

fluido contenuto all’interno dello strato è ferma: la sua accelerazione è nulla. Applicando il teorema del centro di massa e limitandoci, per ora, a considerare quello che accade nel solo piano orizzontale x,z, avremo:

r F a +r F b + r F c= 0 ⇒ x : −Fb + Fcsenθ = 0 z : −Fccosθ + Fa = 0 Sostituendo le espressioni precedentemente determinate per le intensità delle forze si ottiene:

x : −Pbh + Pchsenθ = 0

z : −Pch cosθ + Pah = 0

x : −Pbh + Pbh = 0 z : −Pah + Pah = 0

Da cui appare che l’ipotesi di una pressione scalare è perfettamente compatibile con la natura vettoriale delle forze.

La legge di Stevino.

Vogliamo vedere in questo paragrafo come varia la pressione all’interno di un fluido stazionario. Ci limiteremo a trattare il caso di quei fluidi per i quali la densità è uniforme: i liquidi, essendo poco comprimibili, hanno una densità che varia poco con la pressione e quindi possono essere considerati a densità costante (uniforme) anche se la pressione cambia da punto a punto nel recipiente; viceversa i gas, che sono facilmente comprimibili, possono avere una densità che dipende dalla pressione e quindi, se questa dovesse variare all’interno del recipiente, ci si deve attendere che anche la densità del fluido vari da punto a punto.

Come si definisce la densità di un fluido punto per punto? Noi conosciamo già la definizione di densità media. Se M è la massa totale del fluido e V e il volume occupato dal fluido, la densità media è data dal rapporto di queste due grandezze:

ρm = M V

Nel Sistema Internazionale si misura in kg/m3.

Se però vogliamo la densità in un particolare punto del fluido, per esempio nel punto P, allora dobbiamo costruirci un piccolo volume ΔV che circondi il punto P, misurare la massa racchiusa nel piccolo volume considerato ΔM, utilizzare, infine, la definizione di densità

media per ottenere la densità media all’interno del piccolo volume considerato: ρm= ΔM

ΔV

La densità del fluido nel punto P selezionato si otterrà facendo il limite per ΔV che tende a zero della densità media:

ρ = limΔV →0ΔM ΔV

Bisogna sola fare attenzione ad una cosa: il limite per ΔV che

Vista dall’alto. z a b c θ F r c F r b F r a x P h y y1 P1A ρAhg

tende a zero non va inteso alla stessa stregua di come si fa in Analisi Matematica, così facendo infatti si correrebbe il rischio, a causa della natura corpuscolare della materia (è fatta di molecole) e della stessa struttura atomica, che se ΔV è molto piccolo al suo interno potrebbe non trovarsi alcuna materia. Per cui il limite va fatto prendendo ΔV piccolo ma ancora sufficientemente grande da contenere un rilevante numero di atomi o molecole.

La densità si può dunque scrivere come

ρ = dM dV

L’espressione precedente, non sta ad indicare la derivata della massa rispetto al volume (la massa non è una funzione del volume), quanto piuttosto il rapporto tra la massa infinitesima dM contenuta nel volume infinitesimo dV, e il volume infinitesimo dV.

Supporremo per il seguito di questo paragrafo riferirci a fluidi per i quali la densità ρ è uniforme, non dipende cioè dal particolare punto selezionato all’interno del fluido.

Consideriamo uno strato cilindrico di fluido di altezza h tra due basi orizzontali circolari di area A.

Su ogni elemento di area dA della superficie laterale del cilindro agirà una forza perpendicolare alla superficie cilindrica diretta verso l’interno del cilindro, di intensità pari alla pressione nel punto considerato per l’area dA.

Nel documento Lavoro ed energia. (pagine 68-76)

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