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Le prospettive di una Scuola della Magistratura

Il quadro programmatico finora tracciato può trovare compiuta realizzazione soltanto con la istituzione di una Scuola della Magistra-tura. L’attuale struttura, cui pure la formazione dei magistrati deve

tanto, incontra infatti dei limiti intrinseci che solo una Scuola della Magistratura può essere in grado di superare. Le ragioni, di ordine pratico e concettuale, sono fin troppo evidenti: soltanto un organismo dotato di risorse, mezzi e strutture proprie, di personale a tempo pieno, di autonomia gestionale, può essere in grado di erogare la for-mazione professionale in modo regolare, programmatico e universale.

Basti al riguardo riflettere sull’alto numero dei destinatari, essendo oggi i magistrati in servizio 9.132, mentre l’organico è di 10.109 (legge 13 febbraio 2001, n. 48), oltre ai quasi 10.000 magistrati onorari, che pure andrebbero coinvolti, quanto meno al momento della nomina, in un programma di formazione.

L’idea della Scuola della Magistratura non è nuova e risale a qual-che decennio. Ma proprio la circostanza qual-che essa sia stata a lungo col-tivata deve indurre a considerarla oggi ormai non più rinviabile, in un momento in cui è così intensa l’esigenza di garantire effettività all’at-tività giurisdizionale. Le osservazioni in precedenza svolte in ordine ai sistemi di formazione seguiti negli altri Paesi europei, ove vigono mec-canismi di reclutamento simile al nostro, dimostrano invero la neces-sità di una formazione stabile e strutturata al suo interno. Tra le tante modifiche proposte in tema di giustizia, su cui qui non si intende prendere posizione, è convinzione del Consiglio che la istituzione della Scuola rappresenti una delle riforme che, se attuata, sarebbe in grado di coniugare al meglio l’espansione qualitativa del lavoro giudiziario con la tutela dei valori propri della giurisdizione.

Numerosi appaiono gli studi e le proposte di legge che prevedono la istituzione di una Scuola della Magistratura, a cominciare dalla relazione della c.d. Commissione Mirabelli sulla riforma dell’ordina-mento giudiziario, del 1986, ai lavori della Commissione parlamenta-re per le riforme istituzionali, alla proposta di legge n. 2374 del 1993, ed altre successive. Ed è interessante notare come nella maggior parte di tali studi e proposte, se non tutte, pur con inevitabili differenze e sfumature, si ritrovino i medesimi principi guida e le stesse idee circa la collocazione ordinamentale della nuova istituzione, la sua organiz-zazione interna e la strutturazione della sua attività. Con il che vuol dire che la strada appare ampiamente tracciata, quanto meno nelle sue direttrici fondamentali.

Di una Scuola della Magistratura il Consiglio si è già occupato in diverse occasioni. In particolare nella Relazione al Parlamento del 1991, dedicata alla riforma dell’ordinamento giudiziario, e nella suc-cessiva e più volte citata Relazione del 1994, in tema di formazione;

più di recente è intervenuta la delibera del 9 gennaio 1997, dedicata

espressamente alla istituzione della Scuola, indirizzata sia al Ministro della giustizia che al Parlamento. Va inoltre ricordata la delibera del 22 maggio 2003, che ha approvato il parere sugli emendamenti appro-vati dal Consiglio dei ministri al disegno di legge in materia di ordi-namento giudiziario, nella quale si è nuovamente sottolineato che la istituzione della Scuola, la definizione dei suoi compi, della sua orga-nizzazione e dei suoi obiettivi costituisce un passaggio essenziale del programma di formazione dei magistrati.

Un punto di partenza sembra al riguardo indispensabile: il modo di concepire la Scuola costituisce il momento di sintesi delle diverse impostazioni che possono aversi in ordine al tema della formazione dei magistrati, il punto in cui le diverse idee possibili non possono fare a meno di emergere e di trovare concretezza in tutte le loro implica-zioni.

Al riguardo il Consiglio ritiene di dover procedere per tesi, anco-rando le linee essenziali ed ispiratrici della Scuola nell’ambito degli stessi valori che governano la magistratura. Si tratta di una impo-stazione pensata ed elaborata già da lungo tempo e che ha costitui-to, a sua volta, il principale punto di riferimento concettuale di tutta l’attività di formazione finora svolta. Il tratto essenziale della for-mazione dei magistrati va infatti individuato nel fatto che tale atti-vità, attesa la peculiarità della funzione svolta dai suoi destinatari, non può essere pensata ed elaborata secondo modelli che sono pro-pri della pubblica amministrazione o del settore pro-privato. Tanto l’or-ganizzazione giudiziaria quanto l’attività del magistrato devono conformarsi ad una tavola rigida di valori, quali l’indipendenza e l’autonomia del magistrato, la predeterminazione e l’inamovibilità del giudice naturale, il diritto di azione e quello di difesa, la parità delle parti nel processo, ecc., che appaiono di per sé refrattari ad un modello organizzativo e finalistico di tipo aziendalistico. In parti-colare, con riguardo alla formazione, la salvaguardia dei valori della autonomia e dell’indipendenza del magistrato implica che tale atti-vità, pur necessaria, non è e non deve essere rivolta alla conforma-zione dei magistrati e della loro attività ad un unico modello impo-sto dall’alto e dall’esterno. La formazione, se rappresenta un poten-te fattore di crescita e miglioramento della qualità del servizio giu-stizia, può tradursi tuttavia anche in uno strumento di orientamen-to e omogeneizzazione delle soluzioni giurisprudenziali e di inca-nalamento delle attività del magistrato. Ora, è proprio un tale rischio che occorre debellare, predisponendo gli strumenti ed ogni accorgimento utile al fine di evitare che la formazione possa

orien-tare o conformare il magistrato verso modelli precostituiti, di fatto sottratti a qualsiasi controllo. Un tale risultato può rappresentare l’obiettivo di una formazione rivolta in altri settori, pubblici o pri-vati, in cui l’uniformità delle soluzioni costituisce un fine in sé; non anche per la funzione giurisdizionale, in cui la formazione è uno strumento di crescita culturale e professionale. Questa formula sta infatti ad indicare che, in questo ambito, la formazione è diretta, oltre all’acquisizione delle necessarie capacità tecniche, anche a suscitare consapevolezza dei termini culturali dei problemi, dei valori sottesi ad ogni scelta operativa, al libero confronto ed al reci-proco approfondimento tra i rispettivi orientamenti, proprio al fine di rendere consapevole l’esercizio della autonomia di ciascuno. L’i-dea forte sta in conclusione nel ritenere che l’obiettivo della forma-zione del magistrato non è quello di costruire percorsi decisionali precostituiti, ma sta nel fornire gli strumenti che consentano al suo destinatario di trovare da solo le soluzioni sostanziali più corrette ed adeguate al caso concreto.

È questa la prospettiva che appare più corretta nell’affrontare il tema della organizzazione e delle attività di una futura Scuola della Magistratura. Non rientra certo tra gli obiettivi e le intenzioni di que-sta Relazione proporre al riguardo una disciplina organica. Preme però sottolineare che le indicazioni sopra svolte, che provengono dalla lunga esperienza maturata nel settore e le prospettive che da essa sono state tratte per il futuro, debbano trovare in essa coerente sviluppo e sintesi. Ci si limita in proposito ad evidenziare alcuni profili fonda-mentali.

In merito alla posizione ordinamentale, l’iniziativa di una Scuola della Magistratura dovrebbe svilupparsi nel quadro dei principi posti negli artt. 104 e seguenti della Costituzione, che garantiscono l’auto-nomia e l’indipendenza della magistratura da ogni altro potere ed assegnano al Consiglio superiore l’amministrazione ed il governo dei magistrati. Necessario altresì appare il riferimento alle attribuzioni del Ministero della giustizia, investito dall’art. 110 di responsabilità in materia di organizzazione e di funzionamento dei servizi. La natu-ra dell’attività della Scuola penatu-raltro suggerisce un evidente richiamo anche al principio costituzionale della libertà dell’insegnamento e della ricerca (art. 33), che nella specie non può non tradursi nel rico-noscimento di un’ampia autonomia didattica e di gestione delle risorse.

L’idea centrale sta allora nel configurare la Scuola in posizione di ampia autonomia, riconoscendole libertà di programmazione e

di gestione dei corsi e la necessaria indipendenza culturale. Allo stesso tempo va però evitato il rischio di collocarla in una posizio-ne isolata ed avulsa dal contesto ordinamentale in cui è inserita. La considerazione che la Scuola si muove nell’ambito delle specifiche finalità della giurisdizione porta invero a riconoscere al Consiglio superiore, in ragione delle attribuzioni di garanzia che la Costitu-zione gli assegna, un potere generale di indirizzo programmatico, anche al fine di coordinare l’attività formativa con le proprie ulte-riori funzioni di governo della magistratura, ed un potere di verifi-ca degli indirizzi. È quindi necessario che, dal punto di vista fun-zionale, la Scuola trovi nel Consiglio superiore il suo motore di indi-rizzo e di coordinamento, se si vuole che l’attività di amministra-zione della giurisdiamministra-zione sia realmente effettiva e possa realizzare, anche mediante la formazione, obiettivi concreti. Una forma di col-legamento istituzionale andrebbe altresì garantita con il Ministero della giustizia, a cui l’art. 110 Cost. attribuisce la responsabilità in ordine alla organizzazione ed al funzionamento dei servizi relativi alla giurisdizione. Tali collegamenti potrebbero, a loro volta, trova-re attuazione sia in fase di scelta o nomina del personale ptrova-reposto a dirigere la Scuola, sia, per quanto riguarda il C.S.M., con la predi-sposizione di canali di interlocuzione nei momenti della predisposi-zione generale dei programmi, al fine di stabilire i necessari raccor-di operativi tra le proposte formative e le esigenze legate all’ammi-nistrazione della magistratura.

Particolare rilevanza, in tale contesto, va data alle dotazioni di mezzi e finanziarie. Già nella Relazione al Parlamento del 1991 il Con-siglio avvertiva che: “appare fondamentale che l’istituzione della Scuola avvenga sulla base di adeguati stanziamenti i quali consentano di forni-re ad essa tutto ciò che è necessario quanto a locali, personale e struttu-re” provvedendosi “una volta che siano state decise le dimensioni, l’ubi-cazione e le altre caratteristiche della Scuola, alla costruzione di adegua-ti edifici ed alla predisposizione di quant’altro occorra, impegnando opportunamente tutto il tempo, tutto il denaro e tutte le energie umane che risultino necessarie...”. Sul punto non vi è dubbio, inoltre, che l’au-tonomia della Scuola debba manifestarsi anche nella gestione ammi-nistrativa e contabile delle strutture e delle risorse finanziarie.

Con riferimento alla struttura interna, si può ipotizzare una arti-colazione che preveda un direttore, un consiglio di amministrazione ed un organo scientifico di indirizzo didattico, oltre che un segretario generale con compiti di organizzazione e di gestione del personale. Il direttore andrebbe nominato dal Consiglio di concerto con il Ministro,

ed esso dovrebbe essere investito tanto dei compiti di rappresentanza interna, che di direzione dell’attività della Scuola, di controllo circa l’attuazione delle sue linee programmatiche e di indirizzo. Al di là di tali aspetti, preme tuttavia sottolineare la necessità che il personale chiamato a ricoprire tali incarichi possegga in alto grado sia autore-volezza culturale che indipendenza di giudizio, e che esso sia compo-sto tanto da magistrati che da professori universitari quanto da appar-tenenti alle professioni legali. Particolare attenzione al pluralismo cul-turale dovrà, in particolare, essere riservata alla composizione dell’or-gano di indirizzo didattico, che potrà essere formato, in prevalenza, da magistrati idonei alle funzioni di cassazione, e da professori universi-tari e avvocati con almeno dieci anni di patrocinio presso le giurisdi-zioni superiori. La scelta dovrebbe inoltre essere riservata al C.S.M., nell’ambito delle disponibilità segnalate, per i non magistrati, dalle Università e dal Consiglio nazionale forense. La gravosità dell’impe-gno dovrebbe inoltre suggerire l’opportunità di prevedere per taluni incarichi il requisito della esclusività, mediante il ricorso a forme di collocazione fuori ruolo.

Particolare rilevanza dovrà inoltre essere attribuita al personale docente, che dovrà riflettere il massimo pluralismo professionale, anche con riferimento a professioni non giuridiche, ed acquisire i caratteri di un corpo stabile, requisito necessario per consentire una efficace programmazione, continuità nella didattica e standards uniformi. La formazione dei magistrati, come tutte le altre attività di formazione professionale, ha infatti bisogno di personale specializ-zato e qualificato, in grado di elaborare e di mettere in pratica i modelli più rispondenti al risultato che in quel caso si vuole rag-giungere. Per stare ad un esempio classico, il lavoro di gruppo non può atteggiarsi soltanto ad un momento di libera, ma disorganizza-ta discussione, in cui il coordinatore svolge un mero ruolo di mode-ratore, ma è necessario che esso si svolga sulla base di un program-ma preciso, teso al raggiungimento di risultati prestabiliti, e sotto una regia capace di sintetizzare anche per tappe intermedie i singo-li apporti.

La strutturazione dei corsi, infine, dovrà ispirarsi alle varie esigen-ze, operando, prima fra tutte, una diversificazione tra la formazione iniziale, destinata agli uditori, formazione complementare e forma-zione permanente. Questa suddivisione appare imposta dai diversi contenuti del bisogno formativo che possono rinvenirsi all’inizio della carriera rispetto a chi abbia già maturato una significativa esperienza giudiziaria. Le differenti peculiarità didattiche che si presentano nelle

diverse situazioni appaiono riflettersi anche sulla durata del corso, che dovrà per gli uditori essere necessariamente più lunga, formata da ses-sioni composte anche da più settimane. In generale, rispetto all’espe-rienza svolta, deve comunque prospettarsi l’opportunità che tutti i corsi abbiano una durata più lunga dell’attuale, in modo di consentire l’elaborazione di percorsi formativi mirati e di applicare al loro inter-no metodologie didattiche articolate, capaci di coinvolgere diretta-mente i partecipanti e di sintetizzarsi in elaborati intermedi o finali, perseguendo l’obiettivo di fare della partecipazione al corso uno stru-mento di acquisizione di conoscenze sistematizzate, di atteggiamenti, di motivazioni.