• Non ci sono risultati.

Le università emiliano romagnole (1945-1967).

Uno studio storico-

la situazione dell’Emilia-Romagna, per mettere in luce alcuni aspetti locali in relazione al più ampio quadro nazionale. L’ambito cronologico prende avvio dal dopoguerra, con riferimenti anche al periodo precedente, e si sviluppa fino al 1967, escludendo così il ’68 e la sua specificità che richiederebbe, anche a livello di analisi numeriche, una trattazione a sé stante.

I dati presi in esame sono relativi agli iscritti, considerando le variabili degli stu- denti stranieri e delle donne, ai docenti e ai diversi settori disciplinari nei quattro Atenei dell’Emilia-Romagna: Bologna, Ferrara, Modena e Parma. A corredo di questo saggio le mappe realizzate dalla dott.ssa Nieves López Izquierdo, sulla base dei numerosi dati raccolti, ci permettono di avere un immediato riscontro alla nostra analisi e, laddove i dati di carattere nazionale non sono direttamente utilizzati nel saggio, di essere consultabili con immediatezza nelle mappe. Per ciò che concerne gli studenti, nel corso della ricerca non si sono tenuti in con- to soltanto i numeri complessivi, riguardanti cioè gli iscritti maschi e femmine a livello nazionale, ma anche gli stranieri e quelli immatricolati soltanto al primo anno, sia nel dato generale che in quello inerente le donne. In questo caso si sono riportati i numeri necessari a rimarcare un notevole andamento al rialzo o al ri- basso, rimandando alle mappe la visione d’insieme. I dati sugli stranieri, dal 1945 disponibili correttamente nei volumi di statistica e classificati per corso e per sede, rappresentano una tematica interessante che probabilmente necessita di un ulteriore approfondimento. Quello sugli studenti stranieri è infatti, come sostiene Andrea Cammelli, un capitolo appena sfiorato dalla storiografia, sebbene l’Italia abbia rappresentato tra alti e bassi una meta di primaria importanza [Cammelli 2000, 16].

Per ogni singolo Ateneo si sono ricercati gli iscritti nel complesso, quelli del pri- mo anno e gli immatricolati provenienti da paesi stranieri, ma anche gli studenti dei singoli settori disciplinari: giuridico, economico, letterario, medico, ingegne- ria, scientifico e agrario/nautico. Non è stato ignorato ovviamente il corpo docen- ti, nel quale si sono tenuti in considerazione i professori di ruolo e gli esterni, i liberi docenti e gli assistenti; tutto ciò attuando sempre la comparazione tra il pia- no nazionale e quello regionale. Lo scopo è stato inoltre quello di valutare anche i diversi settori disciplinari. Come per la situazione nazionale, si è preferito anche in questo caso riflettere sugli andamenti a cadenza quinquennale, approfondendo cifre che possono evidenziare al meglio mutamenti e continuità.

Ponendo l’accento sulle statistiche, si è cercato quindi di contribuire alla rico- struzione delle vicende storico-politiche dell’università nel periodo segnato dal passaggio dalla legge Gentile al disegno di legge di riforma presentato da Gui nel 1965, aggiungendo il tassello dell’Emilia-Romagna come campo di indagine

paradigmatico. I quattro Atenei regionali, con storie molto diverse tra loro, ci restituiscono di fatto non solo un quadro locale, ma anche un importante esempio dei cambiamenti avvenuti a livello nazionale.

Gli strumenti che hanno permesso la raccolta di questa ingente mole di dati sono i volumi dell’Istituto Centrale di Statistica. Come è noto, con l’avvento del fasci- smo si assistette alla nascita dell’Istituto Centrale di Statistica del Regno d’Italia che diede il via a una attività intensa nel campo delle indagini statistiche non solo sull’istruzione superiore. A partire dal 1926-27, l’Istituto tentò di dare una panoramica dell’intero sistema universitario italiano: oltre alle notizie inerenti gli studenti, i laureati e i docenti, cominciarono a essere pubblicate quelle riguardanti i fuori corso e gli studenti stranieri. La stessa indagine venne ripetuta per il bien- nio 1931-32, mantenendo come paradigma l’allargamento dei medesimi criteri all’intero mondo universitario. Un settore interessante d’analisi fu quello sulla condizione sociale degli studenti, attuata estendendo l’indagine alle famiglie e alla professione del capofamiglia.

I primi volumi analizzati, sotto la denominazione di Statistica dell’istruzione su-

periore, coprono il periodo 1945-46 e 1946-47 e furono editi rispettivamente nel

1948 e nel 1949, vennero dati alle stampe dopo tredici anni di sospensione e furo- no posti all’attenzione del presidente del Consiglio De Gasperi da parte di Alberto Gaudenti, dirigente dell’Istituto Centrale di Statistica. Dopo il 1930, infatti, non furono più svolte specifiche rilevazioni statistiche, per quanto riguarda l’istru- zione superiore si segnalano i dati sommari pubblicati annualmente nelle pagine dell’Annuario statistico italiano, fino alla sospensione del 1942-43 dovuta agli eventi bellici. Per gli anni seguenti, sotto la dicitura di Annuario statistico dell’i-

struzione italiana, si trovano invece i volumi che vanno dal I (edito nel 1950) per

l’anno scolastico 1947-48 fino al XXIII (1971).

Il presente lavoro adotta un’analisi che procede cronologicamente a blocchi quin- quennali e decennali, poiché solo in questo modo è possibile notare le evidenti differenze nell’incremento o decremento degli iscritti e dei docenti. Nel primo arco cronologico (1945-1955) si è tenuto in considerazione il decennio cruciale successivo alla guerra segnato dai primi anni della ricostruzione con riferimenti anche alle caratteristiche dell’istruzione universitaria sotto il regime fascista. Un secondo blocco (1955-1960) analizza gli anni che portarono al boom economico, connotati da una ripresa del paese sempre più rapida, da un riformismo lento e da un incremento di iscritti negli Atenei mano a mano più consistente. Il terzo blocco cronologico (1960-1965) tiene invece in considerazione gli anni del cosiddetto miracolo economico, connotato da una crescita vertiginosa degli iscritti, dalla na- scita di nuove Facoltà, ma anche dalla discussione sulla riforma Gui. Nel quarto

e ultimo periodo, che comprende solo il biennio 1966-1967, si è deciso di soffer- marsi sugli anni che fanno da trampolino al ’68, contrassegnati da un numero di studenti che raggiunge la soglia dei 370.000 [Annuario Statistico dell’istruzione

italiana 1969].

Prima di affrontare l’analisi dei dati riguardanti l’immediato dopoguerra, occorre però fare un passo indietro e tornare agli anni del conflitto, per quanto ci è con- cesso dalle fonti numeriche disponibili, e a ritroso fino alla fine degli anni Trenta. Ciò è necessario per comprendere in che modo sia avvenuto il passaggio dagli ultimi anni del regime, attraverso la guerra e la liberazione, fino alla Repubblica. Studi su singoli Atenei [Salustri 2010], e approcci più generali dedicati all’intera vicenda delle università in epoca fascista, hanno dimostrato come il regime abbia messo in campo progressivi provvedimenti finalizzati a ridurre gli spazi di auto- nomia lasciati aperti dalla riforma Gentile [Signori 2007, 381-423]. In merito agli studenti, la riforma del 1923 evitò da un lato l’introduzione del numero chiuso per l’ammissione alle Facoltà, ma dall’altro aumentò le tasse di iscrizione e avviò una disciplina degli accessi che aprì tutti i corsi di laurea ai diplomati dei licei classici, una élite molto ristretta, mentre escluse dagli studi giuridici e letterari coloro che avevano frequentato il liceo scientifico. A ciò si aggiunse la discrimi- nazione nei confronti delle donne, alle quali vennero posti ostacoli all’accesso alle professioni.

Per ciò che riguarda i docenti, questi furono distinti in due categorie: i profes- sori di ruolo, inseriti negli organici e nei bilanci statali, e gli incaricati, ai quali provvedevano gli Atenei con le loro risorse. Ad essi si sommavano i liberi do- centi, abilitati per un quinquennio e retribuiti con le tasse degli studenti iscritti ai loro corsi. Il numero di cattedre di ruolo in ogni Facoltà era definito per legge. I successivi aggiustamenti introdotti dal fascismo alla riforma Gentile impressero una progressiva virata nel reclutamento dei professori universitari, mettendone di fatto la nomina nelle mani del Consiglio superiore della Pubblica istruzione e del ministro [Fois 2007, 472-475].

Con l’ascesa del ministro Cesare Maria De Vecchi scomparvero gli ultimi resti della vecchia università liberale con l’imposizione di una sempre più pressante irreggimentazione negli indirizzi, attraverso l’introduzione di nuove discipline, e nei costumi universitari. Il punto di arrivo fu la Carta della Scuola proposta nel febbraio 1939 da Giuseppe Bottai, in simmetria con la Carta del Lavoro e la Carta della Razza, avente come obiettivo la «fascistizzazione integrale della società». Tuttavia il progetto di Bottai rimase un edificio incompiuto a causa della mancanza di mezzi finanziari e del sopraggiungere del conflitto mondiale, ma

anche per contraddizioni ad esso congenite. In breve si può dire che Bottai lasciò un pesante segno in due ambiti: quello dell’antisemitismo di Stato introdotto nel- la scuola italiana e quello della promozione di un clima culturale in sintonia con le necessità imperiali dell’Italia e con la sua proiezione verso la guerra [Signori 2007, 381-423].

Per quanto riguarda la popolazione universitaria degli anni Venti e Trenta, va sot- tolineato che i giovani liceali optavano principalmente per le Facoltà di Giurispru- denza e Medicina, e che solo come terza scelta si rivolgevano agli indirizzi uma- nistici, anche se nel decennio 1929-30/1939-40 il numero degli iscritti a Lettere e filosofia passò da poco più di 2.000 studenti ad oltre 11.500, così come crebbero costantemente gli iscritti alle nuove Facoltà quali Economia e commercio.

All’interno del quadro nazionale particolare interesse ricoprivano gli studenti stranieri che, ben prima del fascismo, furono una presenza rilevante all’interno della popolazione studentesca. Questi, dispensati dal pagamento di metà delle tasse universitarie, affluirono costantemente per tutti gli anni Trenta con una pun- ta massima nel 1933-34 con 2.932 iscritti (il 5% del totale della comunità studen- tesca italiana). Il fascismo favorì la loro affluenza attraverso agevolazioni e borse di studio per facilitare le collaborazioni politiche e diplomatiche, ma soprattutto per dare una buona immagine del regime all’estero, in modo da incrementare al contempo i movimenti filofascisti fuori dai confini italiani. Tale segnale si può in- dividuare nella presenza degli studenti albanesi, una costante fino a oltre l’annes- sione dell’Albania all’Italia, ma anche degli studenti ungheresi, bulgari e rumeni negli anni in cui si guardava all’Europa orientale come ad un’importante area di influenza politica. A partire dalla metà degli anni Trenta le università italiane furono segnate da un’inedita ondata migratoria poiché giunsero nel paese un gran numero di studenti di origine e famiglia ebraica, spinti verso l’Italia dall’incal- zare della persecuzione antisemita in Polonia, Romania, Ungheria e Germania. Aumentarono così gli iscritti stranieri nelle Facoltà di Medicina, Scienze, Far- macia e Ingegneria convinti che nella Penisola non sarebbero mai stati introdotti provvedimenti antisemiti e razzisti [Signori 2007, 394-414]. Con la successiva approvazione anche in Italia delle leggi razziali e la chiusura delle università a docenti e studenti ebrei [Galimi-Procacci (eds.), 2009], la presenza studentesca straniera si attestò su livelli molto modesti; è superfluo dire che durante gli anni della guerra non trovarono posto nel paese immatricolati francesi, inglesi, e poi americani, in quanto nemici dell’Italia fascista.

Tuttavia, se si guarda alle cifre riportate negli Annuari, sul finire degli anni Trenta il numero di iscritti totali nelle università italiane continuò ad aumentare atte- standosi a 77.429 nel 1938-39 (erano 44.940 nel 1929-30) con un successivo

incremento nel 1939-40, a un passo dall’entrata in guerra dell’Italia, giungendo a 85.535 e a ben 127.058 nel 1940-41 [Istituto Centrale di Statistica 1948, 36]. An- che la presenza femminile, pur se disincentivata dal fascismo, crebbe, passando nel corso del decennio 1930-40 dal 13 al 21% dell’intera popolazione studente- sca; nel 1942-43 erano iscritte 38.714 donne. Se si guarda inoltre nello specifico agli anni centrali della guerra, la tendenza alla crescita non si arrestò e a livello nazionale il numero degli iscritti totali crebbe da 127.058 nel 1940-41 a 145.793 nel 1941-42 fino a 168.323 nel 1942-43. La risposta a tale andamento è da ricer- carsi ovviamente nell’incedere del secondo conflitto mondiale. L’aumento degli iscritti nel mondo universitario italiano, specialmente nei primi anni di guerra, fu dovuto essenzialmente alla volontà dei giovani di sfuggire alla chiamata alle armi; si spiega così la cifra quasi raddoppiata degli studenti immatricolati al pri- mo anno, passati dai 27.526 nel 1939-40 ai 54.507 nel 1940-41 [Istat 1968, 44]. Un andamento crescente che trova conferma anche nell’ingresso dei ceti medi, sempre più presenti in un sistema che agli occhi del fascismo doveva rimanere chiuso ed elitario, ma che in realtà non riuscì ad opporsi ad una crescente mobilità sociale [Istat 1968, 374].

Queste variabili ci aiutano indubbiamente a comprendere il quadro nazionale trovando conferma nei dati regionali. In riferimento al periodo tenuto fin qui in considerazione, ovvero quello compreso tra la fine degli anni Trenta e i primi anni di guerra, nell’Ateneo felsineo gli iscritti aumentarono da 5.500 circa nell’anno accademico 1939-40 a 8.000 nel 1940-41 fino a 12.859 nel 1942-43. La stessa tendenza all’aumento riguardò anche gli altri tre Atenei dell’Emilia-Romagna. Tenendo come estremi gli anni accademici 1939-40 e il 1942-43, emerge dai dati che a Parma gli iscritti totali passarono da 725 a 1.828, a Ferrara da 367 a 562 e a Modena da 485 a 992 [Istituto Centrale di Statistica 1948, 39].

1. 1945-1955. Il dopoguerra

A partire dal 1945 l’Istituto Centrale di Statistica riprese con rinnovato interesse l’attività di rilevazione ed elaborazione dei dati riguardanti l’istruzione superiore rendendo le statistiche regolari e sistematiche. Le cifre riguardanti la popolazione studentesca furono pubblicate per sede, per Facoltà e corso di laurea ed anno di corso frequentato; dal 1950 i fuori corso furono distinti in relazione al completa- mento del corso di laurea, allo scopo di fornire dati utili all’analisi della regolarità degli studi; le statistiche sui professori si limitarono invece al sesso, alla sede universitaria e alla posizione giuridica, tralasciando l’età [Cammelli 2000, 12].

Si giunge così al primo dato utile del dopoguerra, fornitoci dal primo annuario di Statistica dell’istruzione superiore successivo agli eventi bellici, pubblicato nel 1948 e riportante i dati dell’anno accademico 1945-46. Il dato generale degli iscritti totali nelle università italiane è di 189.665 individui (fra i quali 53.653 iscritti al primo anno) [Istituto Centrale di Statistica 1948, 11], ma in questo nu- mero vanno inseriti soprattutto coloro che ottennero benefici per aver militato nel conflitto, e più in generale tutti coloro che avevano una particolare condizione economico-familiare. Il numero delle donne iscritte si attestò invece sulle 47.600 unità [Istituto Centrale di Statistica 1948, 14] e senza grandi balzi in avanti si mantenne stazionario almeno per tutti gli anni Cinquanta. Solo dai primissimi anni Sessanta si ebbe un aumento esponenziale della presenza femminile nelle università. È interessante prestare attenzione anche agli studenti stranieri, come si è visto diminuiti drasticamente sia dopo il 1938 che durante gli anni del conflitto; così nel 1945 solo 2.045 stranieri si trovavano a frequentare gli Atenei italiani [Istituto Centrale di Statistica 1948, 24].

Mentre per ciò che riguarda i settori disciplinari, in linea con quanto messo in evidenza per gli anni Trenta, il settore con il maggior numero di iscritti fu quello

letterario1 (con 44.214 individui) seguito dalle Facoltà di Medicina e di Economia

e commercio; solo Giurisprudenza, una delle Facoltà di punta durante gli anni del regime, ebbe un calo notevole degli iscritti.

Nell’analizzare infine i dati sui docenti, bisogna fare una premessa: il decreto legislativo luogotenenziale n. 238 del 5 aprile 1945 stabiliva la riabilitazione di tutti quei docenti che erano stati allontanati dal regime ed escludeva quanti ave- vano usufruito della loro adesione al fascismo per ottenere una cattedra. Tuttavia i processi di reintegrazione e di epurazione furono lenti e difficoltosi; la labo- riosità della normativa fu inversamente proporzionale alla sua incidenza pratica [Fois 2007, 475-476]. Una serie di concorsi e norme riparatorie furono attuati per riabilitare candidati ebrei e antifascisti esclusi da cattedre e selezioni, ma solo con la legge sui concorsi del 1954 si iniziò ad intervenire strutturalmente sulla situazione creata dal fascismo. Tra il 1944 e il 1945, oltre all’abolizione e alla modifica degli insegnamenti introdotti durante il fascismo, si procedette anche al ripristino dell’elettività dei rettori, dei direttori degli Istituti superiori (eletti dal corpo accademico) e dei presidi di Facoltà [Sandulli 2007, 282].

1 Il settore disciplinare comprendeva i seguenti corsi: Lettere, Filosofia, materie letterarie, Lingue e letterature straniere,

Pedagogia, Geografia, il diploma di abilitazione per la vigilanza nelle scuole elementari, Lingue e letterature orientali, Lingue e letterature europee.

Emerge così dagli Annuari che nel 1945 nelle università italiane erano in attività 3.535 docenti di ruolo e incaricati, oltre a 6.000 assistenti [Istituto Centrale di Sta- tistica 1948, 31-32]. È bene specificare che la maggior parte di questi ultimi erano assistenti volontari, professionisti che prestavano servizio senza retribuzione. Nella regione Emilia-Romagna i problemi maggiori del dopoguerra furono legati alla ricostruzione che incise sull’andamento del numero degli iscritti nei singoli Atenei: a Bologna nel 1945 gli immatricolati erano 11.371, Ferrara e Parma – meno danneggiate rispetto al capoluogo e a Modena – contavano rispettivamente 705 e 2.312 studenti [Istituto Centrale di Statistica 1948, 10]. Generalmente i fondi da destinare alla ricostruzione delle università, stanziati dai governi post- bellici, risultarono insufficienti e spesso furono erogati senza un piano stabilito, favorendo così le critiche anche dei rettori emiliano-romagnoli. Soltanto attraver- so il Piano Marshall, anche se a volte in modo ineguale da sede a sede, gli Atenei riuscirono a trovare i fondi per avviare una prima ricostruzione. Una terza via alternativa a quella degli aiuti del Piano e all’intervento statale fu la rinata colla- borazione con le amministrazioni cittadine: si ripresero così i rapporti che durante il periodo fascista si erano rinsaldati attraverso i consorzi, permettendo la costru- zione di nuovi legami tra università ed enti locali, anche grazie alle competenze tecniche del corpo accademico finalizzate alla riattivazione dei tessuti produttivi locali [Istituto Centrale di Statistica 1948, 3; Pepe 2007, 240; Tavilla 2007, 361]. Nell’immediato dopoguerra, come in passato, Bologna si presentava come la più grande università dell’Emilia-Romagna: 3.068 erano solo gli immatricolati al primo anno contro gli altri tre Atenei che singolarmente non superavano i 500 iscritti. In proporzione anche le donne risultavano in maggioranza iscritte nell’A- teneo felsineo (circa 2.200) e anche in questo caso le altre sedi non superavano quota 600. Inoltre Bologna tornò ad essere meta di immigrazione studentesca con circa 350 studenti stranieri, una enormità in confronto ai 6 di Modena, ai 3 di Parma e al singolo immatricolato di Ferrara [Istituto Centrale di Statistica 1948, 66]. La superiorità numerica del capoluogo regionale si può far risalire, oltre che all’importanza della sua università, pur se minata da venti anni di regime e dalla guerra, anche alla mancanza presso le altre città di interi settori di studio. Alcuni ambiti disciplinari quali lettere, economia e ingegneria non erano ancora presenti nelle altre sedi, dunque anche un confronto diretto può risultare difficile. Per gli altri ambiti, quali giurisprudenza, Bologna rimase in testa, così come nel settore medico e in quello scientifico [Istituto Centrale di Statistica 1948, 62]. Lo stesso primato si rintraccia anche per quello che concerne il corpo docenti con circa 200 professori di ruolo, 377 liberi docenti e 382 assistenti [Istituto Centrale di Statistica 1948, 61]. Interessante in questo periodo il dato relativo agli assistenti,

in modo particolare nell’Università di Parma dove in un quinquennio la loro inci- denza raddoppiò rispetto ai liberi docenti. Tale mutamento rifletteva l’istituzione nel maggio 1948, durante il ministero Gonnella, della figura degli assistenti ordi- nari e la successiva generale espansione degli organici [Bonini 2007, 433]. Anche i professori di ruolo aumentarono dai 3.600 circa del 1946 a 4.286 nel 1950 e gli assistenti da 6.643 a oltre 10.000 [Istituto Centrale di Statistica 1953, 249]. Tornando ai dati relativi agli studenti, soffermiamoci brevemente sul 1946. Come si è visto nel 1945, pur con tutte le difficoltà politiche ed economiche del mo- mento, il numero degli iscritti a livello nazionale superò quota 189.000, l’anno successivo gli immatricolati raggiunsero la soglia dei 190.799 [ICS 1949, 12], un dato che tornò ad essere così elevato solo nel 1960. Dal 1947 si assistette infatti a una costante diminuzione degli iscritti protrattasi per oltre un decennio.

Nel panorama emiliano-romagnolo emerge ancora la preponderanza dell’Ateneo felsineo nel numero di immatricolati, pur con una diminuzione rispetto al 1945, mentre un aumento minimo lo registrarono Modena e Ferrara [Istituto Centrale di Statistica 1953, 258]. A Bologna, il rettorato Battaglia coincise con la nuo- va convenzione di metà degli anni Cinquanta e il coinvolgimento nel rilancio dell’Ateneo di comune, provincia, Camera di commercio, Cassa di risparmio, Banca del Monte, Credito romagnolo e Banca popolare. Provvedimenti similari vennero presi negli altri Atenei regionali con partnership più o meno estese, basti pensare a Ferrara dove fu creato il Consorzio per il potenziamento dell’Università dall’accordo tra comune e Ateneo. A Modena invece il dialogo tra amministrazio- ne cittadina e università fu più difficoltoso e si giunse ad una convenzione solo nel 1958.

Il quinquennio che dal 1950 conduce al 1955 fu all’insegna di un’ulteriore dimi- nuzione degli iscritti a livello nazionale con un decremento da 145.170 a 139.018.