Francesco Adornato Rettore dell’Università di Macerata
Nel disegno della Costituzione, Università, cultura e ricerca poggia-no su fondamenta di particolare ampiezza e profondità rinvenibili negli artt. 2,3,9,33,34 e 81. Esse, infatti, sono destinate a svolgere un ruolo della massima rilevanza per il più generale progresso e per il pieno sviluppo della persona umana, sia singolarmente intesa, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. Un ruo-lo, altresì, destinato alla realizzazione del paradigma democratico-pluralista, riconoscendo i processi di formazione, cultura e ricerca elementi fondanti proprio della democrazia e del pluralismo (in particolare F. Rimoli, “Università, ricerca, cultura: considerazioni brevi su una lunga agonia, in Le dimensioni costituzionali dell’Istru-zione, Atti del Convegno di Roma, 23 - 24 gennaio 2014, Jovene, 2014, 429).
Democrazia e pluralismo costituiscono valori e pratiche ancor più, e ancor più fortemente, da ribadire nella realtà contempora-nea in cui le dinamiche dell’esercizio del potere si indirizzano verso una abbreviazione dei tempi di decisione, particolarmente imposta dalla globalizzazione dell’economia e dalla rapidità dei mercati fi-nanziari e, più in generale, dalla globalizzazione telematica e, non-dimeno, sul piano sociale, dalla sostanziale abolizione delle stesse procedure discorsive e della loro funzione legittimante (In cui, in merito, si rinvia a I. DIonIgI, Il nuovo umanesimo che ci salverà, in La Repubblica 18 aprile 2018, 37).
Stiamo, infatti, attraversando, come altre volte è avvenuto nella storia, però mai con questa intensità e rapidità, una fase di
muta-menti epocali, che trasformano economie, società e culture e deter-minano nuove ragioni di scambio ed una nuova divisione sociale del lavoro, riposizionando i rapporti di forza e gli equilibri politico-economici mondiali.
Mutamenti, che si collocano all’interno di un più ampio con-testo di problematiche non eludibili: scarsità delle risorse energeti-che, variazioni climatienergeti-che, uso sostenibile delle risorse (e dell’acqua in particolare), impiego e ”governo” dei beni comuni, specialmente di quelli strategici (dal cibo ai minerali), mutamenti climatici, bio-diversità, movimenti migratori.
Si aggiungono, poi, sul piano istituzionale interno processi di sfrangiamento del tessuto unitario del Paese, mentre, più in ge-nerale emergono politiche che riducono il dialogo con culture e popoli altri.
A fronte di questo quadro, a maggior ragione, le Università ita-liane vanno considerate, nella loro pluralità e diversificazione, come un sistema nazionale. Un sistema che, nei secoli e fino ad oggi, al pari della letteratura e delle arti, ha contribuito con la ricchezza dei suoi saperi e delle sue discipline alla costruzione dell’identità nazionale, sostenendo lo sviluppo economico e civile e la coesione sociale del Paese. Le Università sono, cioè, un patrimonio del Paese.
Le specificità e le distintività di cui gli Atenei sono portatori (pubblici e privati, grandi, medi e piccoli, tecnologici e umanistici, generalisti e specializzati, metropolitani e “territoriali”, risalenti e più recenti e, più in generale, di differente allocazione geografica, etc…) vanno considerate come valori, fonte di arricchimento e di crescita per lo stesso sistema nazionale, la cui frammentazione sarebbe esiziale.
Questa dimensione plurale e unitaria al tempo stesso è impre-scindibile, inoltre, per rafforzare l’unità dei saperi, consolidare lo scambio scientifico culturale e, in particolar modo, per affermare ulteriormente la riconoscibilità del sistema Paese nello spazio glo-bale. Le Università svolgono, allo stesso tempo, un ruolo fonda-mentale nello sviluppo complessivo dei territori.
Le stesse discipline, tanto scientifiche quanto umanistiche, con-tinuano a connotarsi come ponte tra culture e civiltà, rappresentan-do la continuità con la dimensione Rinascimentale per cui l’Italia è tale nel mondo.
Le Università, in sostanza, e più in generale, con i loro legami e i loro processi innovativi costituiscono un’importante leva per l’internazionalizzazione del Paese.
Un più forte modello universitario al servizio del Paese deve essere necessariamente accompagnato da più risorse, da minore complessità amministrativa, da un’edilizia universitaria adeguata e da maggiore disponibilità di servizi rivolti agli studenti, che sono al centro del nostro impegno. Dobbiamo, infatti, e non per ultimo, formare anche alla partecipazione, alla responsabilità, alla consa-pevolezza e alla democrazia perché gli studenti di oggi saranno la classe dirigente di domani.
L’Università non è un soggetto politico e non propone inizia-tive, né valutazioni politiche, ma intende esercitare la dimensione ontologica del suo ruolo: coltivare e manifestare un pensiero cri-tico, terzo, tutelato più in generale, dalla autonomia di cui l’Uni-versità è costituzionalmente garantita. Una “autonomia normativa, didattica, scientifica, amministrativa, finanziaria e contabile”, come sottolinea Cosulich richiamando la sentenza 1017/1988 della Cor-te Costituzionale (cfr. M. Cosulich, L’autonomia costituzionale, in La dimensione costituzionale dell’istruzione, cit., 475. Lo stesso Au-tore rimarca significativamente come l’autonomia universitaria ex art. 33, comma 6, Cost., non vada analizzata isolandola dalle altre previsioni costituzionali, ma all’interno della trama di un tessu-to costituzionale il cui orditessu-to consisterebbe nelle altre disposizioni costituzionali che intersecano l’autonomia stessa, con particolare riferimento all’art. 5 e all’art. 118. (M. Cosulich, op. cit., 479).
Nei fatti, però, è un’autonomia che sempre più viene scheggiata e messa in discussione. Intanto, per via del continuo affievolirsi delle risorse finanziarie e del contestuale processo di
burocratizza-zione sempre più stratificato. L’autonomia viene, altresì, appesanti-ta da una quantità insostenibile di leggi (382/80; 168/89; 210/98;
240/2010) ma, fatto ancor più grave, da norme di rango seconda-rio (Sul punto, vedasi la posizione netta di F.Rimoli, op.cit, 431, secondo cui, condivisibilmente, “un’autonomia finanziaria senza risorse è piuttosto una beffa e penalizza ogni autonomia scientifica e didattica”).
Autonomia che deve comprensibilmente misurarsi con il princi-pio di pareggio, o equilibrio, di bilancio ampiamente riferibili agli artt. 81, 97 e 117 Cost., di cui la “legge Gelmini” n. 240/2010, ha rafforzato i contenuti (v. R.Calvano, L’organizzazione del sistema universitario, in Le dimensioni costituzionali dell’istruzione, cit. 448).
L’art.1, 2° comma della citata ultima legge, vincola, peraltro, gli Atenei a perseguire la stabilità e la sostenibilità dei propri bilanci con una autonomia consentita solo attraverso accordi di program-ma (come è avvenuto, dopo il sisprogram-ma, con alcuni Atenei program- marchigia-ni), la cui base giuridica (decreto ministeriale di natura non regola-mentare) sembra non rispettare la riserva di legge di cui all’art. 33 della Costituzione.
Insistono, inoltre, dei vincoli di sistema che si accompagnano a ritardi strutturali dello stesso come accade, in particolare nel caso della didattica. Il mio Ateneo, sta perseguendo l’obiettivo di scom-paginarla rispetto alla sua dimensione tradizionale, ovvero fronta-le, “gerarchica” e unidisciplinare, andando oltre l’involucro liscio e ordinato della sua dimensione “protocollare”. Di fronte a questo importante obiettivo, il sistema nazionale di regole non consen-te, ad es., di introdurre nell’apparato informatico ministeriale, cd,.
Esse-3, una lezione fatta da docenti di diverse discipline, rendendo quindi vana la interdisciplinarità.
È un vincolo che scheggia gravemente gli obiettivi dell’unità dei saperi, da un lato, e della formazione di una mente multiculturale.
Concludo, infine, sottolineando come questa iniziativa costitu-isca un ulteriore, importante tassello di una logica aggregata delle
Università marchigiane, che potrebbe portare, nella loro comple-mentarietà, ad una “federazione funzionale” all’interno di un siste-ma universitario nazionale.