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Capitolo III. Desiderio e bisogni: dall’originario al normativo

3.3. La legge naturale

Questa intersezione ordinata di desiderio e bisogni non ci sembra esprimere altro che il senso della dottrina della legge naturale, per come Tommaso ce la presenta in S. Th., I-II, q. 94, a. 2. Prendiamo anzitutto in considerazione il respondeo di quell’articolo, luogo classico di riferimento per chi intenda occuparsi della legge naturale in Tommaso. Scrive l’Aquinate:

133J.D

E FINANCE S.J., Realtà e normatività della natura umana, ID., Persona e valore, a cura di B. VITALI-S.BARLONE S.J.-G. MAGNANI S.J., Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma 2003, pp. 217-218; tit. orig. Personne et Valeur, P.U.G., Rome 1992. Cfr. anche ID., Sul concetto di legge naturale, in: ID., Persona e valore, cit., pp. 179-184.

In his autem quae in apprehensione omnium cadunt, quidam ordo invenitur. Nam illud quod primo cadit in apprehensione, est ens, cuius intellectus includitur in omnibus quaecumque quis apprehendit. Et ideo primum principium indemonstrabile est quod non est simul affirmare et negare, quod fundatur supra rationem entis et non entis, et super hoc principio omnia alia fundantur, ut dicitur in IV Metaphys. Sicut autem ens est primum quod cadit in apprehensione simpliciter, ita bonum est primum quod cadit in apprehensione practicae rationis, quae ordinatur ad opus, omne enim agens agit propter finem, qui habet rationem boni. Et ideo primum principium in ratione practica est quod fundatur supra rationem boni, quae est, bonum est quod omnia appetunt. Hoc est ergo primum praeceptum legis, quod bonum est faciendum et prosequendum, et malum vitandum. Et super hoc fundantur omnia alia praecepta legis naturae, ut scilicet omnia illa facienda vel vitanda pertineant ad praecepta legis naturae, quae ratio practica naturaliter apprehendit esse bona humana. Quia vero bonum habet rationem finis, malum autem rationem contrarii, inde est quod omnia illa ad quae homo habet naturalem inclinationem, rationaturaliter apprehendit ut bona, et per consequens ut opere prosequenda, et contraria eorum ut mala et vitanda. Secundum igitur ordinem inclinationum naturalium, est ordo praeceptorum legis naturae134.

Proviamo a riprendere, approfondendolo, quanto l’Aquinate afferma nel passo che abbiamo testé preso in considerazione:

I. Il quadro di partenza è il parallelismo istituito tra teoresi e prassi, ovverosia tra i due diversi atteggiamenti dell’unica ragione umana135. Tommaso osserva che ciò che per primo si presenta all’intelletto umano è l’essere, rispettivamente come verum – nel caso della teoresi – e come bonum – nel caso della prassi136. Sull’essere come verum si fonda137 il

134

Ibidem.

135 Ragione teoretica e ragione pratica – o meglio: intelletto teoretico e intelletto pratico – sono per

Tommaso un’unica facoltà; la distinzione sta nel fatto che la conoscenza venga destinata o meno ad opus: «Respondeo dicendum quod intellectus practicus et speculativus non sunt diversae potentiae. Cuius ratio est quia, ut supra dictum est, id quod accidentaliter se habet ad obiecti rationem quam respicit aliqua potentia, non diversificat potentiam, accidit enim colorato quod sit homo, aut magnum aut parvum; unde omnia huiusmodi eadem visiva potentia apprehenduntur. Accidit autem alicui apprehenso per intellectum, quod ordinetur ad opus, vel non ordinetur. Secundum hoc autem differunt intellectus speculativus et practicus. Nam intellectus speculativus est, qui quod apprehendit, non ordinat ad opus, sed ad solam veritatis considerationem, practicus vero intellectus dicitur, qui hoc quod apprehendit, ordinat ad opus. Et hoc est quod philosophus dicit in III de anima, quod speculativus differt a practico, fine. Unde et a fine denominatur uterque, hic quidem speculativus, ille vero practicus, idest operativus» (S. Th., I, q. 79, a. 11, co).

136 Vogliamo insistere nel puntualizzare che si tratta di un medesimo oggetto, sotto due rispetti diversi:

«Ad secundum dicendum quod verum et bonum se invicem includunt, nam verum est quoddam bonum, alioquin non esset appetibile; et bonum est quoddam verum, alioquin non esset intelligibile. Sicut igitur obiectum appetitus potest esse verum, inquantum habet rationem boni, sicut cum aliquis appetit veritatem cognoscere; ita obiectum intellectus practici est bonum ordinabile ad opus, sub ratione veri. Intellectus enim practicus veritatem cognoscit, sicut et speculativus; sed veritatem cognitam ordinat ad opus» (S. Th., I, q. 79, a. 11, ad 2).

primo principio della ragione teoretica, ovverosia il principio di non contraddizione; mentre sull’essere come bonum si fonda il primo principio della ragione pratica, ovverosia «bonum est faciendum et prosequendum,et malum vitandum». Questo è, al contempo, il primo precetto della legge naturale138.

II. L’essere che si presenta all’umana intelligenza come verum e come bonum è l’essere trascendentale; ne segue che ciascun altro obiectum particulare, sia esso termine d’intellezione o termine di volizione, si darà all’interno dell’orizzonte del vero o del bene. Crediamo che sia questo il senso dell’inclusio della ratio veri o della ratio boni in tutto ciò che di particolare si concepisce e si desidera.

III. Considerando la ragione pratica, all’interno di questa sua apertura al bonum ut tale essa si porta su tutto ciò che naturalmente apprende come bene umano. Ci sembra che questo passaggio ci riporti al naturaliter volitum di cui abbiamo trattato nell’apertura di questa seconda Parte e che abbiamo considerato, di seguito, in dettaglio.

IV. Tutto ciò che la ragione pratica apprende come bene umano, in forza del primo precetto, sarà riconosciuto come buono – e quindi come faciendum et prosequendum –; quanto, invece, sarà visto in contrasto con i beni umani, sempre in forza del medesimo primo precetto, sarà riconosciuto come cattivo – e quindi come vitandum. L’estensione ad infra di questo primo precetto è ciò che ciò che Tommaso chiama «omnia alia praecepta legis naturae»; la legge naturale com-prende, dunque, diversi precetti, sia nel senso che si realizza in una pluralità di indicazioni, sia nel senso che queste molteplici indicazioni non sono tra loro irrelate, bensì unificate in quanto “rifrazione prismatica” di un unico precetto.

137 Trovandoci nell’ambito dei principi primi, la fondazione non potrà che attuarsi come espressione

discorsiva dell’essenza del verum (incontraddittorietà, condizione necessaria perché possa darsi qualsivoglia concezione della mente) e del bonum (desiderabilità).

138 Sul rapporto dei primi principi della ragione pratica con quelli della ragione speculativa, si veda il

breve ma profondo contributo di R.GARRIGOU-LAGRANGE O.P., De valore reali primi principii rationis practicae secundum sanctum Thomam, in: Thomistica morum principia (Communicationes V congressus thomistici internationalis, Romae 13-17 septembris 1960), Officium libri catholici, Romae 1960, pp. 70- 72 (specialmente p. 72); cfr. anche S. VANNI ROVIGHI, Il fondamento dell’etica di san Tommaso, in: EAD., Studi di filosofia medioevale, Vita e Pensiero, Milano 1978, vol. II, pp. 125-126.

V. I diversi precetti della legge naturale si costituiscono certamente come “rifrazione prismatica” di un medesimo precetto; nondimeno, manca un’ulteriore – e importantissima – precisazione, sempre stando al dettato: si tratta di una molteplicità ordinata. La legge naturale riflette la struttura dell’uomo, la quale ha un proprio ordine: difatti Tommaso non parla semplicemente di inclinationes naturales, bensì di ordo inclinationum naturalium.

VI. Per conoscere quale sia l’ordine delle inclinazioni naturali – e quindi dei precetti della legge naturale, che su di esso si fondano – è necessario fare riferimento al modello antropologico-filosofico di Tommaso, e segnatamente alla sua psicologia filosofica: difatti, le inclinazioni naturali di un ente derivano dalla sua forma, la quale – nel caso di vegetali, animali “bruti” e uomini – è l’anima. Abbiamo visto, nella prima Parte, che ogni anima superiore contiene in sé e trasfigura secondo la propria specificità le potenze delle anime inferiori: nel caso dell’anima umana, essa contiene in sé – trasfigurandole – le potenze dell’anima sensitiva e vegetativa.

VII. Ci permettiamo di sottolineare ancora una volta che le potenze delle anime inferiori non sono semplicemente presenti nell’anima superiore, ma lo sono secondo la specificità propria di quest’ultima: le potenze vegetative e sensitive – e le loro inclinazioni – non sono presenti nell’anima razionale come potenze puramente vegetative e puramente sensitive, bensì recano in sé il segno del trascendentale. Tenere o meno presente ciò non è ininfluente sul modo di concepire l’ordo delle inclinazioni naturali: se tale consapevolezza manca, si finirà per intendere l’ordine delle inclinazioni nella sola ottica di precedenza di un livello sull’altro, laddove ogni livello è separato da quello che lo precede e da quello che lo segue (ad esempio, dal momento che il livello sensitivo è più alto di quello vegetativo, si dovranno subordinare le inclinazioni del secondo a quelle del primo – e, se necessario, arrivare a sacrificarle); se, invece, si sarà consapevoli di quanto detto sopra, il criterio d’ordine non sarà tanto la disposizione degli strati, quanto

piuttosto il trascendentale che – attraversando per intero l’uomo – segna ogni potenza e ogni inclinazione dell’anima. Ciò che rende “bisogno” quella che in piante ed animali è semplice “tendenza” è proprio la costitutiva e segreta trascendenza nei confronti del termine proprio di ciascuna inclinazione; considerare, pertanto, l’ordo inclinationum crediamo voglia dire primo et per se vivere ciascun bisogno nella consapevolezza che non è semplice tendenza e che, in quanto tale, ciascun bisogno guarda oltre il proprio particolare termine di appagamento.

VIII. Dove guarderà, allora, ogni singolo bisogno umano? Se tutto nell’uomo è segnato dal trascendentale, anche ogni bisogno non potrà che quodammodo tendere ad esso. Ritornando a quanto detto nel punto precedente, se considerare l’ordo inclinationum significa vivere ogni bisogno nella consapevolezza che è bisogno – e non semplice tendenza –, significherà quindi vivere i bisogni avendo sullo sfondo ciò che li rende tali: il trascendentale. Si può dire che tutta la legge naturale si riassume nel «vivere i bisogni secondo la profondità del desiderio»139.

IX. A partire da quanto si è appena detto si può ricuperare il concetto di ordo, intendendolo come ordine di precedenza tra livelli nel categoriale: certamente la vita morale vede situazioni in cui si afferma un valore (relativo a un bisogno) superiore y sacrificando un valore inferiore x. Ciò, non tanto perché – rimanendo a una mera considerazione “orizzontale” del categoriale – y possieda maggior dignità di x; bensì perché affermare x significherebbe vivere x non come bisogno, ma come semplice tendenza, ovverosia come pura tensione al suo particolare termine di appagamento.

Ci sembra che la lettura da noi appena proposta sia il senso di quanto Tommaso afferma rispondendo alla seconda obiezione: «Ad secundum dicendum quod omnes inclinationes quarumcumque partium humanae naturae, puta concupiscibilis et irascibilis, secundum quod regulantur ratione, pertinent ad legem naturalem, et

139 Cfr. P.P

reducuntur ad unum primum praeceptum, ut dictum est. Et secundum hoc, sunt multa

praecepta legis naturae in seipsis, quae tamen communicant in una radice»140. Ciò che

in questo luogo l’Aquinate mette in campo sono soltanto le inclinazioni naturali e la ragione, il categoriale e il trascendentale. La differenza le tra inclinazioni naturali absolute consideratae e la lex naturalis consiste nel fatto che nella seconda le prime sono regolate dalla ragione; ora, noi riteniamo che – visti i presupposti antropologici di Tommaso – tale regolazione non si riduca a una mera questione di precedenze, bensì non manifesti altro che la preoccupazione della ragione affinché i bisogni vengano custoditi come autentico luogo d’intercettazione della tensione destinale.

PARTE TERZA

LEGGE NATURALE E BONUM COMMUNE NEL TRATTATO DE

LEGE DELLA SUMMA THEOLOGIAE

«Si igitur [Deus] communicavit aliis similitudinem suam quantum ad esse, inquantum res in esse produxit, consequens est quod communicaverit eis similitudinem suam quantum ad agere, ut etiam res creatae habeant proprias actiones» (TOMMASO D’AQUINO, C.G.,

Lib. III, cap. LXIX)

Il percorso svolto nelle due Parti precedenti ci permette ora di concentrarci sul trattato De lege della Grande Summa. L’obiettivo della nostra indagine è la corretta semantizzazione di bonum commune all’interno della lex naturalis: di primo acchito sembrerebbe che, con ciò, noi ci apprestassimo a dare un indebito rilievo a una questione tutto sommato secondaria, degna – al massimo – di una breve nota a pie’ di pagina. Nondimeno, si tratta di un’operazione di estrema importanza, dal momento che – come vedremo in sede conclusiva – dalla corretta intelligenza di quell’espressione dipende la retta comprensione del discorso tommasiano sulla legge naturale, e – più in generale – della stessa dottrina morale dell’Aquinate.

Nel fare ciò, intendiamo prendere in esame la trattazione sulla legge che ci offre la Summa theologiae nella Prima Secundae: la nostra scelta è dettata dal fatto che, secondo la critica, quest’opera ci restituisce il pensiero tommasiano più articolato e maturo in merito ai nostri temi1.

1 Cfr. A.V

ENDEMIATI, San Tommaso e la legge naturale, cit., p. 229; F.J.BORMANN, Natur als Horizont sittlicher Praxis. Zur handlungsteoretischen Interpretation vom natürlichen Sittengesetz bei Thomas von Aquin, Kohlhammer, Stuttgart-Berlin-Köln 1999, p. 193.

Prima di affrontare le pagine del De lege, mette conto premettere alcune brevi note di carattere introduttivo, riguardo alla posizione di questo trattato nel contesto dell’opera e alla sua organizzazione interna2.

2

Pur nella loro brevità, questi cenni si rivelano della massima importanza. Scrive Giuliana Parotto: «Molta critica, soprattutto di ambito filosofico-giuridico, ha affrontato il tema della legge con una settorialità che ha comportato e tutt’ora comporta gravi fraintendimenti: in primis uno scorretto inquadramento del problema. A questo si aggiungono poi equivoci relativi al significato e alla funzione di numerosi concetti e un’indebita sovrapposizione di problemi e di tematiche moderne, attraverso polarizzazioni concettuali fuorvianti, come ad esempio la classica contrapposizione diritto naturale-diritto positivo» (G.PAROTTO, Iustus ordo. Secolarizzazione della ragione e sacralizzazione del principe nella Seconda Scolastica, Guida, Napoli 1993, p. 33, nota 6).